al patibolo - Festival Biblico
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DIDI-HUBERMAN AGORÀ IDEE E IL CRISTIANESIMO SALVÒ LE IMMAGINI Accusate di alimentare l’idolatria, tacciate di blasfemia per il tentativo di rappresentare realtà ultraterrene e ineffabili, le icone cristiane alla fine 4/5 vinsero tutte le resistenze. Lo storico e filosofo dell’arte francese indaga un passaggio storico che ha reso possibile la grande arte occidentale Domenica 29 luglio 2007 75 Editoriale PECHINO 2008: SPORT E POLITICA ABBATTONO LE NUOVE MURAGLIE di Massimiliano Rosolino M anca un anno ancora ai Giochi di Pechino 2008, ma l’emozione in me sale ogni giorno di più che ci si avvicina al grande evento. Ogni Olimpiade, per me questa sarebbe la quarta, ha avuto un significato particolare. Ad Atlanta ’96 era la mia prima partecipazione assoluta ai Giochi. Nel 2000 a Sydney c’era la sensazione speciale dell’essere entrati nel nuovo millennio. Atene 2004 ha segnato il ritorno in Grecia, lì dove è cominciata la leggenda olimpica e adesso mi preparo a varcare la nuova frontiera della Cina. A dire il vero, personalmente non si tratta della prima volta, perché lo scorso anno ho avuto modo di gareggiare a Shanghai in occasione dei Mondiali. Un’esperienza per certi versi spiazzante, specie per un italiano che è abituato a stupirsi davanti a palazzi di sei piani e che lì invece si ritrova in una metropoli affollatissima, in cui per la popolazione locale è la normalità passare sotto a grattacieli alti fino a 400 metri. Essendo nato da padre napoletano e madre australiana di origine inglese, fin da bambino ho imparato a confrontarmi con qualsiasi tipo di cultura, ma devo ammettere che quella cinese l’ho trovata molto distante, anche se non nascondo che il viaggio olimpico mi permetterà di conoscerla più a fondo e di capirne meglio certe sfumature che al momento mi sfuggono. Della visita a Shanghai conservo sensazioni contrastanti. L’aspetto positivo e impressionante, è stato sicuramente toccare con mano la loro grande organizzazione, la capacità di riuscire a fare tutto e bene in tempi molto rapidi. Quello che in Cina viene costruito in dieci anni, forse qui da noi non ne basterebbero venti. Gli impianti so che sono già pronti ed eccellenti dal punto di vista estetico e della funzionalità. La nota dolente è che a Shanghai ricordo di aver visto tutti cartelli stradali con indicazioni scritte solo in cinese. Mi auguro che a Pechino abbiano ovviato a questo problema con una segnaletica alternativa, quanto meno in inglese, perché altrimenti per quanto mi riguarda gli spostamenti diventerebbero molto complicati al di là del tragitto classico dal villaggio olimpico alla piscina olimpionica. La cucina cinese, lo dico con franchezza, non mi ha mai entusiasmato, ma per questo mi sto già organizzando con scorte di grana e pacchi di pasta che porterò direttamente dall’Italia. Sembrano dettagli, ma nel quotidiano di un’atleta che deve affrontare un impegno importante come quello dei Giochi, è assolutamente indispensabile poter contare su una sistemazione confortevole all’interno del villaggio olimpico e soprattutto nella possibilità di nutrirsi secondo le proprie abitudini alimentari che fanno star bene il fisico per poi rendere al meglio in gara. Gli unici che non temo in vasca sono proprio i nuotatori cinesi che ancora non hanno raggiunto quel grado di eccellenza che invece li contraddistingue in altre discipline, alcune delle quali addirittura impensabili fino a qualche anno fa, tipo il basket. Il luogo comune del cinese piccolino è gracile, ormai è ampiamente sfatato dalla presenza di giganti dello sport a cominciare dal cestista Yao Ming, stella della Nba americana dall’alto dei suoi 2 metri e 28 centimetri. La sua immagine è un po’ il simbolo di una Cina che ormai ha veramente portato a termine la sua rivoluzione culturale e soprattutto ha abbattuto quella grande muraglia che la rendeva inaccessibile a tutto l’Occidente. Pechino 2008 dunque sarà un punto di svolta, l’ennesima dimostrazione che lo sport ha il potere universale di creare dei momenti fondamentali di aggregazione e la capacità di portare un’ulteriore messaggio di pace tra i popoli che ogni quattro anni si danno appuntamento per celebrare uno spettacolo incredibile che ancora una volta passerà alla storia. L’ aver accompagnato quattro uomini all’esecuzione capitale non mi rende certo questa prova più facile. Forse più prevedibile, ma di certo non più agevole. Ed è ancora più difficile perché adesso conosco molto di più sulla pena di morte, e uno degli aspetti che so è che l’innocente va verso la pena di morte insieme al colpevole. Quando iniziai per la prima volta a visitare i condannati nel 1982, presumevo la colpevolezza di tutti quelli che si trovavano nel braccio della morte. Pensavo che una persona innocente in quel posto doveva essere una semplice anomalia, un errore casuale, visti tutti i controlli in tribunale e i diversi gradi di appello. Adesso, dopo aver lavorato a stretto contatto con così tanti condannati e i loro difensori legali, conosco un po’ meglio il modo in cui opera il sistema giudiziario in campo criminale e la modalità secondo la quale un uomo innocente può andare a finire nel braccio della morte. Adesso ho preso coscienza che per il 95% dei casi, se una persona accusata può incorrere nel sistema giudiziario e venire uccisa, ciò accade di certo in tribunale. Dal momento che il "materiale grezzo" dell’evidenza forense, le deposizioni dei testimoni oculari, i resoconti della polizia, le testimonianze degli esperti e gli alibi sono presentati e decisi da una giuria, ci può essere la possibilità che un tribunale non permetta che questo materiale venga mai rivisto di nuovo. Con così tanti aspetti in gioco al momento di andare a processo, l’auspicio migliore è disporre di un energico e preparato avvocato che conosca la legge e che sappia come condurre un’indagine esaustiva e aggressiva in grado di mantenere ferma la versione originale della polizia, aggiungendo particolari freschi e inediti dei fatti e dei racconti dei testimoni oculari. Le persone onorabili non sono d’accordo con la prassi giudiziaria di uccidere il colpevole, ma c’è qualcuno che dissente sull’uccidere un innocente? Di recente siamo venuti a conoscenza della stupefacente ammissione degli errori dei tribunali PENA DI MORTE: LA NUOVA BATTAGLIA DI HELEN PREJEAN di Helen Prejean Innocenti al patibolo La suora americana divenuta famosa grazie al film «Dead Man Walking» prosegue il suo impegno contro la condanna capitale: qui racconta le esecuzioni sbagliate da parte della giustizia UN PRIGIONIERO NEL BRACCIO DELLA MORTE DI SAN QUENTIN. SOPRA, SUOR HELEN PREJEAN E PER O’DELL SI MOBILITÒ PAPA WOJTYLA I l grande pubblico la identifica nel volto di Susan Sarandon, l’attrice che, interpretandone la figura nel celebre film Dead Man Walking (a destra, un fotogramma), ha vinto un premio Oscar. La pellicola di Tim Robbins – datata 1996 – fece conoscere al mondo intero Helen Prejean, la religiosa americana appartenente all’ordine delle Sister of St. Joseph of Medaille, residente a New Orleans e impegnata nell’assistenza spirituale ai condannati a morte. Tanto che, dal 1981 tale «ministero» pastorale si è tramutato in una battaglia a tutto campo per la 69enne suora yankee, combattiva come pochi nel chiedere ovunque l’abolizione della pena capitale. L’ultimo lavoro di Sister Helen, The Death of Innocents, da cui in questa pagina pubblichiamo un brano per gentile concessione della casa editrice Vintage Books di New York, è il «racconto da testimone oculare delle esecuzioni sbagliate», come recita il sottotitolo di questo volume in cui racconta la vicenda di due condannati di cui lei ha appurato l’innocenza. La Prejean rievoca come ha accompagnato al patibolo Dobie Gillis Williams, giustiziato nel 1999 nel penitenziario statale della Louisiana. Nero, indigente e con un quoziente intellettivo da «ritardato mentale», Williams era accusato dell’omicidio di una donna bianca. Dopo la sua fine Stuart James, lo scienziato addetto ai riscontri giudiziari sul caso, confessò alla religiosa di aver trovato evidenze certe che il condannato non era colpevole. L’altra vicenda narrativa dalla Prejean fu un vero «caso» internazionale e riguardava Joseph O’ Dell (a sinistra), riconosciuto come omicida di una donna in Virginia nel 1986 e giustiziato nel 1997. Per lui si mobilitò anche Giovanni Paolo II, che ricevette una lettera di suor Helen in cui si perorava la causa dell’uomo. In favore di O’Dell, di cui il libro ricostruire il «calvario» processuale – fino alla tardiva ammissione di un testimone chiave, che riconosceva l’innocenza dell’uomo ormai defunto –, si erano mossi anche il Parlamento italiano e la città di Palermo, che ne accolse le spoglie mortali. Lorenzo Fazzini statali e federali, costretti a liberare 117 soggetti condannati per errore alla pena capitale dal 1973 ad oggi, e tale numero resta in crescita. In Louisiana 7 condannati nel braccio della porte sono stati trovati innocenti negli ultimi 6 anni (dati aggiornati al settembre 2004). Il solo Illinois ha liberato 13 persone di questo tipo, alcune erano già state condannate a morte da 8, 10, 15 anni, fatto che nell’anno 2000 ha portato il governatore di questo Stato a proclamare una moratoria sulle esecuzioni. Alcuni carcerati innocenti sono stati liberati grazie all’esame del Dna, altri perché alcune persone molto impegnate ed altri avvocati sono stati capaci, alla fine, di esporre prove di innocenza fino ad allora nascoste o per false testimonianze di altri pionieri, oppure in base a rapporti della polizia falsificati, o ancora grazie allo svelamento di testimoni oculari "istruiti". In Illinois, Anhony Porter, due giorni prima dell’esecuzione, è stato liberato perché gli studenti di giornalismo della Northwestern University hanno smantellato l’accusa nei suoi confronti e individuato il vero omicida. Nel 1997, l’American Bar Association (Aba), la principale associazione forense degli Stati Uniti, con 400 mila iscritti, di cui molti aderenti appoggiano in linea di principio la pena di morte, ha scoperto un così vasto insieme di episodi oscuri nell’applicazione della pena di morte che ne ha chiesto la moratoria. L’Aba si è dimostrata preoccupata per "processi giusti" e "la medesima giustizia sotto la legge", fatto così evidentemente assente nel caso di molti soggetti poveri e appartenenti alle minoranze, a tal punto che l’Aba ha presentato tale risoluzione. Nessuno conosce meglio degli avvocato che tipo di giustizia viene praticata nei tribunali. Essi sanno la differenza di trattamento accordata agli O.J.Simpson di tutto il mondo rispetto ai Signor Nessuno, costretti ad accettare, per la loro difesa, avvocati sottopagati, inetti e stracarichi di lavoro. © Helen Prejean (traduzione di Lorenzo Fazzini)