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DICEMBRE 2009
NUMERO 3
Nuovo disegno di legge sul Made in Italy approvato alla Camera
Approvate le nuove norme per la tracciabilità dei prodotti italiani e il contrasto alla contraffazione dei
prodotti fatti in Italia.
Utilizzo dei marchi altrui nei motori di ricerca e contraffazione - Primo round a Google davanti
alla Corte Europea di Giustizia
La CGE ha affermato che Google ha il diritto di mettere a disposizione all’interno del proprio motore di
ricerca parole chiave identiche a marchi anche noti; potrà invece incorrere in responsabilità se il suo
servizio di pubblicità a pagamento “Adwords” sarà utilizzato per pubblicizzare prodotti contraffatti.
Progetto antifrodi a tutela delle Denominazioni d'Origine Protetta e Indicazioni Geografiche
Protette
Nuovo progetto per tutela dei prodotti DOP e IGP in ambito internazionale.
Limitazioni al riconoscimento dei marchi celebri (c.d. well-known status) in Cina
Una recente pronuncia della Corte Suprema della Repubblica Popolare Cinese limita la tutela dei marchi di
rinomanza.
Le aziende non possono "spiare" la navigazione su Internet dei dipendenti
E’ illecito il monitoraggio sistematico e continuativo della navigazione in Internet dei lavoratori da parte
dei datori di lavoro.
Trattamento dati da parte delle banche: maggior protezione per i dati dei clienti
Il Garante per la privacy, con provvedimento del 18 luglio 2009, si è pronunciato in tema di tutela dei dati
della clientela da parte della banca.
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Nuovo disegno di legge sul Made
in Italy approvato alla Camera
sistematica e organizzata, la pena della
reclusione andrà da tre a sette anni.
Il 10 dicembre scorso la Camera dei Deputati
ha approvato la proposta di legge ReguzzoniVersace volta a combattere la contraffazione
dei prodotti italiani e a fornire maggiori
indicazioni ai consumatori sulla provenienza
dei prodotti. Il disegno di legge prevede anche
norme specifiche sulle diciture contenenti
l’espressione “Made in Italy” allo scopo di
fornire maggiori garanzie di trasparenza e
qualità al consumatore. In proposito, il nuovo
testo stabilisce che l’impiego della dicitura
“Made in Italy” sarà consentito esclusivamente
per contraddistinguere prodotti finiti le cui fasi
di
lavorazione
hanno
avuto
luogo
prevalentemente nel territorio nazionale. In
particolare, si richiede che almeno due fasi di
lavorazione siano state eseguite in territorio
italiano mentre per le rimanenti fasi dovrà
essere comunque verificabile la tracciabilità
dell’origine.
Altra importante novità è l’introduzione di un
obbligo di etichettatura dei prodotti immessi in
commercio in territorio italiano. L’etichetta
dovrà contenere l’indicazione del luogo di
origine dei componenti o ingredienti, il luogo
di lavorazione di questi ultimi e l’indicazione
dell’intera filiera produttiva fino ai luoghi di
vendita.
L’impresa produttrice dovrà, inoltre, fornire
chiare e sintetiche informazioni sulla
conformità dei processi di lavorazione alle
norme vigenti in materia di lavoro, sulla
certificazione di igiene e di sicurezza dei
prodotti, sull’esclusione dell’impiego di minori
nella produzione, sul rispetto della normativa
europea e sul rispetto degli accordi
internazionali in materia ambientale.
In caso di contravvenzione alle disposizioni
della legge, le sanzioni arriveranno fino a 70
mila euro. In caso di reiterate violazioni è
prevista la pena della reclusione da uno a tre
anni. Se le violazioni sono commesse in forma
Utilizzo dei marchi altrui nei
motori di ricerca e contraffazione Primo round a Google davanti alla
Corte Europea di Giustizia
Gran parte degli introiti di Google derivano
dalla vendita di parole chiave attraverso le
quali gli utenti sono indirizzati verso messaggi
promozionali e relative pagine web che
illustrano prodotti o servizi. Nessun problema
se tali parole chiave sono termini generici, ma,
in alcuni casi, una parola che sia il nome di una
società nota o coincida con un brand del lusso
o altro marchio molto conosciuto, può sviare
la clientela dal legittimo titolare a favore di un
concorrente o di un contraffattore.
Il colosso francese del lusso Lvmh Möet
Hennessy-Louis Vuitton, proprietario di
numerosi marchi celebri, ha lamentato il fatto
che Google consenta l’acquisto a chiunque ne
faccia richiesta l’utilizzo di un marchio come
parola chiave senza richiedere alcun consenso
del titolare, in alcuni casi per vendere prodotti
contraffatti.
Il 22 settembre 2009 una pronuncia della
Corte Europea di Giustizia ha dichiarato che la
vendita agli utenti di parole chiave che
coincidono con marchi noti da parte di
Google non viola i diritti di proprietà
intellettuale dei titolari di tali marchi. Secondo
la Corte il solo uso del segno come parola
chiave per raggiungere un sito Internet di per
sé non è infatti equiparabile all’uso di un
marchio contraffatto.
La
pronuncia
tuttavia
non
assolve
completamente il motore di ricerca da ogni
responsabilità e non accoglie la tesi del
carattere neutro del sistema di pubblicità del
motore di ricerca sostenuta dalla difesa di
Google. Secondo l’avvocato generale della
Corte di Giustizia Europea, il fatto che gli
utenti siano diretti verso siti che promuovono
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prodotti contraffatti può esporre Google a
responsabilità se i proprietari dei marchi
riescano a dimostrare che tali annunci hanno
arrecato un danno alle vendite. Si tenga
presente che sebbene il parere dell’avvocato
generale non sia vincolante, le sue opinioni
sono seguite dai giudici nell’80 per cento circa
dei casi.
Progetto antifrodi a tutela delle
Denominazioni d'Origine Protetta
e Indicazioni Geografiche Protette
Un’alleanza tra il Ministero delle Politiche
agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), la
Società per la promozione, valorizzazione e
tutela dell’agroalimentare italiano (Buonitalia) e
i Consorzi di tutela, ha recentemente attivato
un progetto per tutelare i mercati di prodotti
tipici contraddistinti dai marchi DOP e IGP.
L'Italia è il primo paese in Europa per numero
di prodotti registrati con questo tipo di
indicazioni. Sono attualmente oltre 180 i
prodotti che hanno ottenuto il riconoscimento
DOP e IGP, per un valore economico di circa
9,5 miliardi di euro. Tuttavia i fenomeni di
contraffazione e frodi in tale ambito sono assai
frequenti; basti pensare che, nel solo mercato
statunitense, il valore delle contraffazioni è
stato recentemente stimato pari a circa 50
miliardi di euro.
Il progetto in questione prevede una serie di
azioni tese a contrastare la concorrenza sleale e
la contraffazione che colpisce l'agroalimentare
italiano di qualità sui mercati esteri attraverso
varie misure. Tra esse: (i) la registrazione
all’estero dei marchi DOP e IGP italiani, (ii) il
monitoraggio costante dei mercati per
individuare usurpazioni e imitazioni da parte di
terzi, (iii) l’attivazione di procedimenti legali a
tutela delle indicazioni geografiche attraverso il
rilascio di pareri per i Consorzi e le
organizzazioni dei produttori richiedenti, cui
potranno seguire azioni preliminari e pre-
giudiziali quali lettere di diffida, assistenza in
fase pre-contenziosa, predisposizione di
eventuali atti di transazione.
Ad oggi sono state avviate le procedure di
intervento per la tutela di: Prosciutto di Parma,
Prosciutto di San Daniele, Provolone Val
Padana, Asiago, Montasio e Taleggio. E’ stato
inoltre attivato un monitoraggio costante dei
mercati statunitense e canadese con il
contributo dei Desk Anticontraffazione
dell’Istituto per il Commercio Estero e delle
Camere di commercio all’estero. Tale vigilanza
si estende anche al web e ai siti di e-commerce.
Limitazioni al riconoscimento dei
marchi celebri (c.d. well-known
status) in Cina
Nell’ordinamento cinese, il marchio celebre
gode di una speciale tutela essendo protetto
anche in assenza di registrazione a livello
nazionale. L’accertamento della rinomanza è
demandato alle competenti Autorità, sulla base
di parametri quali la notorietà presso i
consumatori cinesi e/o gli operatori del
settore, la durata dell’uso del marchio,
precedenti certificazioni di rinomanza, il
periodo di tempo e l’area geografica di
notorietà, l’attività promozionale svolta (cfr.
art. 14 della Legge Marchi della RPC). Tale
accertamento ha efficacia solo nell’ambito del
procedimento in cui è pronunciato, e non è
vincolante in successive contestazioni del
marchio medesimo. Esso può essere richiesto
esclusivamente in relazione a violazioni di
marchio o concorrenza sleale: ne conseguiva
che talvolta le contestazioni fossero proposte
pretestuosamente, al solo fine di ottenere la
certificazione di rinomanza accedendo in tal
modo alla tutela speciale correlata.
Con l’interpretazione giudiziale emanata il 26
aprile 2009, in vigore dal successivo 1 maggio,
la Corte Suprema ha – tra l’altro – limitato la
possibilità di certificare la rinomanza di un
marchio nei soli casi in cui essa è necessaria
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per definire giudizi relativi a: (i) violazioni di
marchio, ai sensi dell’art. 13, Legge Marchi
della PRC; (ii) violazione di marchi o
concorrenza sleale per nomi d’impresa simili o
identici al marchio rinomato; (iii) richiesta di
accertamento riconvenzionale della notorietà
del marchio.
L’interpretazione della Corte mira dunque a
ripristinare l’accertamento di rinomanza solo
in caso di effettiva violazione del marchio e a
evitare che vengano intraprese azioni
pretestuose da parte dei titolari al solo fine di
ottenere il riconoscimento della tutela speciale
dei marchi rinomati.
Le aziende non possono "spiare"
la navigazione su Internet dei
dipendenti
Con provvedimento del 2 aprile 2009 il
Garante ha affrontato il caso di una società
che per nove mesi aveva monitorato l’attività
online di un dipendente, utilizzando un
software in grado di memorizzare “in chiaro”
le pagine e i siti web visitati, il numero di
connessioni e il tempo trascorso su ogni
pagina.
Il Garante ha riscontrato la violazione dell’art.
4 dello Statuto dei lavoratori, che al 1° comma
vieta l'utilizzo di apparecchiature per finalità di
controllo a distanza dell'attività dei dipendenti.
Non era stata inoltre avviata la procedura
prevista dal 2° comma, per i casi in cui il
controllo a distanza sia reso possibile da
apparecchiature installate per esigenze
organizzative e produttive, oppure di sicurezza
sul lavoro.
Il trattamento dei dati personali del
dipendente, limitatamente agli accessi al web, è
stato perciò effettuato in modo illecito, anche
sotto il profilo della pertinenza e non
eccedenza, rispetto ai fini perseguiti, delle
informazioni raccolte (art. 11, comma 1, lett.
d, del Codice della privacy),” tenuto conto che
il monitoraggio effettuato dalla società
(peraltro diretto ed esclusivo nei confronti del
reclamante) risulta essere stato prolungato e
costante”.
In base alle linee guida fissate dall'Autorità, i
datori di lavoro possono, infatti, procedere a
eventuali controlli ma in modo graduale o a
campione, mediante verifiche di reparto,
d'ufficio, di gruppo di lavoro prima di passare
a controlli individuali.
Il provvedimento ha quindi vietato all’azienda
la prosecuzione della condotta denunciata dal
lavoratore e ha disposto la trasmissione degli
atti all'autorità giudiziaria “per le valutazioni di
competenza in ordine agli illeciti penali che
riterrà eventualmente configurabili”.
Trattamento dati da parte delle
banche: maggior protezione per i
dati dei clienti
Il Garante della privacy è stato chiamato da un
titolare di conto corrente a pronunciarsi sul
trattamento e la divulgazione illecita dei dati
personali del cliente da parte di una banca.
Gli accertamenti dell'Autorità hanno messo in
luce che la banca aveva sì adottato misure di
sicurezza ma non sufficienti a impedire il
trattamento non consentito dei dati del conto
corrente da parte di una propria dipendente.
L'istituto di credito, inoltre, pur avendo
rilevato l'accesso non autorizzato ai conti della
sua cliente, non l'aveva tempestivamente
avvertita, con ciò violando il principio di
correttezza. La tempestiva informazione
avrebbe, infatti, potuto consentire alla
correntista perlomeno di ridurre i rischi
derivanti dall'indebita divulgazione dei dati del
suo conto.
L'Autorità con il suddetto provvedimento, ha
prescritto al gruppo bancario di adottare
misure di sicurezza idonee a garantire la
scrupolosa vigilanza sull'operato degli
incaricati, e di sensibilizzare i funzionari al
rigoroso rispetto delle norme sulla privacy
attraverso
attività
di
formazione.
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Ha inoltre stabilito che la banca, una volta
acquisita la conoscenza di accessi non
autorizzati ai dati della clientela, inclusi quelli
eventualmente effettuati dai suoi dipendenti, è
tenuta a comunicarlo tempestivamente agli
interessati.
Le nostre sedi:
Roma I-00187
Via XXIV Maggio 43
Tel.: +39 06 466221
Fax: +39 06 46622600
Email: [email protected]
Londra W1J 6HF
20 Berkeley Square
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Fax: +44 20 75691501
Email: [email protected]
Pechino 100022
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District
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