crisi dei partiti e crisi della democrazia rappresentativa

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crisi dei partiti e crisi della democrazia rappresentativa
NOTA ISRIL ON LINE
N° 10 - 2012
CRISI DEI PARTITI E
CRISI DELLA DEMOCRAZIA
RAPPRESENTATIVA
Presidente prof. Giuseppe Bianchi
Via Piemonte, 101 00187 – Roma
[email protected]
www.isril.it
CRISI DEI PARTITI E CRISI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA
C’è un nesso di complementarietà tra lo stato di salute dei partiti e lo stato
di salute della democrazia rappresentativa la cui qualità influenza
l’identificazione dei cittadini nello stato democratico. La natura delegata della
democrazia rappresentativa, che non prevede la partecipazione diretta dei
cittadini alle decisioni politiche, assegna un ruolo fondamentale ai partiti per
quanto riguarda l’aggregazione del consenso e l’orientamento dell’azione
politica. Il problema si può dire che è generalizzato perché la democrazia
rappresentativa è la più diffusa nel mondo anche se caratterizzata da soluzioni
istituzionali diverse in funzione della storia e della cultura politica dei singoli
paesi.
Tornando al nostro paese, nel periodo iniziale dello Stato unitario, il circuito
partito-parlamento-governo è stato facilitato dal carattere elitario di questa
prima esperienza democratica al costo di una esclusione delle masse dal gioco
politico. Fino ai primi del novecento i votanti per censo e le rappresentanze
parlamentari erano espressione di ceti minoritari e la politica svolgeva
soprattutto una funzione di arbitro tra interessi privati (originaria espressione di
Cavour).
L’inclusione dei cittadini nello schema della democrazia delegata è avvenuta
per tappe successive e spesso sovrapposte la cui rilevazione può offrire spunti
validi per valutare l’attuale situazione di crisi dei partiti.
Un fattore di aggregazione è stata l’identità ideologica, tanto più inclusiva
quanto più i partiti si sono fatti portatori di una concezione politica totalizzante
che tendeva a coprire ogni aspetto della vita sociale. Un esempio è dato dai
partiti cattolici (dal Partito Popolare alla D.C.) che, richiamandosi al patrimonio
spirituale cristiano e alla dottrina sociale della Chiesa, non solo orientavano il
voto degli elettori ma ne stimolano la partecipazione alla costruzione del bene
comune. Non diversamente i partiti di ispirazione marxista il cui percorso doveva
portare ad una società senza classi, in cui l’alienazione e lo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo venivano eliminati.
Queste forti identità valoriali definivano anche i fini etici della politica e
creavano barriere a difesa dell’integrità morale della classe politica. La
caratterizzazione ideologica era anche sostenuta da un forte ricorso a simboli,
bandiere, inni, manifestazioni, un insieme di liturgie politiche che rafforzava la
partecipazione degli aderenti alla vita dei partiti, anche se in termini spesso
passivi.
L’altra variabile con cui rinvigorire i rapporti tra partiti e democrazia
rappresentativa è stata la politica sociale attraverso la quale è realizzata
l’inclusione delle masse, tradizionalmente al margine della rappresentanza
politica nello Stato, accrescendo la legittimazione del sistema democratico. La
creazione dello stato sociale, con l’introduzione di elementi di tutela solidaristica
nel divenire dello sviluppo capitalistico, è un percorso che nei paesi europei è
simboleggiato dall’economia sociale di mercato, punto di confluenza di filoni
culturali di diversa ispirazione, cattolica, socialista, liberal democratica.
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E’ lo sviluppo dell’industrializzazione che nonostante l’alternarsi delle
congiunture economiche ha messo a disposizione le risorse con cui alimentare i
meccanismi redistributivi in grado di conciliare, nell’involucro dello Stato
nazione, un accettabile equilibrio tra capitale e lavoro, tra rappresentanza
politica e società civile.
Non è il caso di riprendere le analisi che evidenziano, a cavallo di questo
nuovo secolo, l’avvio di un nuovo ciclo storico, alimentato dalle forze emergenti
del mercato (la finanza internazionale) e dalla promozione di nuovi ordinamenti
internazionali che ridefiniscono i confini della statualità nazionale (la Comunità
Europea), i cui effetti sono stati di mettere in crisi, nel campo politico, i rapporti
tra partiti e democrazia rappresentativa e, nel campo sociale, i rapporti tra
capitale e lavoro. Nello stesso tempo hanno preso corpo nuovi modelli di società
(la Cina, la Russia) in cui l’accettazione delle regole di mercato convive con
forme di autoritarismo politico e sociale; paesi che dispongono, peraltro, di
imponenti risorse finanziarie utilizzate ai fini di esportare nei paesi emergenti
queste nuove forme di capitalismo illiberale.
La ricostruzione di un nesso fra partiti e democrazia parlamentare si
ripropone, pertanto, come un problema centrale per la sostenibilità dell’attuale
sistema democratico, peraltro in presenza di condizioni alterate rispetto al
passato. Crisi delle ideologie, delegittimazione dei partiti, discredito delle
istituzioni politiche, ed un contesto di crisi economica che chiede sacrifici ai
cittadini più che offrire nuove opportunità.
L’attuale ricorso al Governo tecnico è un segnale del disorientamento dei
partiti ed un aggiustamento temporaneo se si vuole evitare il rischio di pericolosi
salti nel buio in assenza di altri ben individuati modelli di organizzazione
democratica.
Quindi, dopo l’esperienza del Governo Monti deve riprendere il normale
gioco democratico e la questione di rivitalizzare il ruolo dei partiti nell’attuale
assetto di democrazia parlamentare ritorna centrale, soprattutto in presenza di
una situazione economica che richiede capacità di iniziativa politica per
governare il rigore finanziario e stimolare la crescita economica.
Ai fini di stimolare una riflessione comune ci limitiamo a segnalare alcune
questioni che appartengono al posizionamento di un partito nel contesto di una
democrazia parlamentare.
Una questione da tutti evocata è quella dell’identità politica dei partiti. La
crisi delle ideologie tradizionali non fa venir meno il tradizionale antagonismo tra
“destra” e “sinistra” che orienta la scelta di gran parte dei cittadini in una società
democraticamente organizzata.
Il problema dell’identità non esclude il riferimento ai tradizionali
orientamenti valoriali da tradursi in premesse morali sulla cui base offrire
soluzioni ai problemi su cui si confronta la contesa politica, nei limiti di sovranità
ancora concessi alle politiche nazionali. Rigore, equità e crescita rimangono i
paradigmi alla luce dei quali i partiti sono chiamati a riposizionare i diversi
interessi da loro rappresentati (capitale e lavoro per esemplificare) nella
consapevolezza che la chiusura in una posizione difensiva, che si è espressa nel
passato con l’inconcludenza della stagione riformistica, è all’origine della loro
perdita di credibilità e del discredito delle istituzioni democratiche.
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L’esperienza del Governo tecnico dimostra che anche le decisioni impopolari
destinate rimuovere le incrostazioni nel funzionamento concorrenziale del
mercato e le iniquità del sistema di protezione sociale non penalizzano il
consenso popolare se i costi sono equamente ripartiti e percepiti dall’opinione
pubblica come occasione per uscire dall’attuale situazione di crisi e rimettere in
modo i motori della crescita.
Pur tenendo realisticamente conto delle attuali difficoltà, la cultura politica
dei partiti non può eludere il problema di offrire una prospettiva di società
migliore, a seconda dei valori di riferimento, in grado di ricostruire un percorso
di progresso che valorizzi le grandi potenzialità umano tecnologiche disponibili e
che riattivi i canali, oggi intasati, della partecipazione democratica.
Un’altra questione, collegata alla prima, riguarda la strutturazione
organizzativa dei partiti, nell’irrisolta alternativa fra il partito forte degli iscritti
ed il partito debole degli elettori.
La natura associativa del partito pone in primo piano la figura dell’iscritto e
le regole alla base dei processi decisionali interni ma non risolve il problema di
canalizzare entro il partito le molteplici espressioni individuali e collettive che
non se la sentono di farne parte strutturalmente. Altro problema inedito è la
domanda di “leader carismatici” capaci di bucare il video, come si dice,
stabilendo un rapporto diretto con gli elettori potenziali che mal si concilia con le
regole della democrazia interna dei partiti.
L’alternativa del partito debole degli elettori favorisce i rapporti con i vari
movimenti della società civile ma presenta il rischio che l’attivismo di minoranze
meglio organizzate facciano perdere al partito il suo posizionamento baricentrico
rispetto agli interessi che vuole rappresentare (il caso di alcune primarie). Va
ricordato che il partito democratico USA nel corso degli anni ’70, influenzato con
le primarie da minoranze radicali, ha perso il suo tradizionale rapporto con la
“middle class” condannandosi ad un ruolo minoritario per molti anni.
La scienza organizzativa, per quella minima parte che si è dedicata alle
associazioni (politiche, sindacali, ecc.) ha approfondito le caratteristiche dei
modelli organizzativi “a legami deboli” basati su reti interorganizzative annodate
intorno a poli gravitazionali (i nodi del reticolo), al fine di governare al meglio i
rapporti tra i giochi interni, partecipativi degli iscritti e quelli esterni del
coinvolgimento dei vari movimenti della società civile. Nonostante le incertezze
applicative, rimane aperto il problema di rendere l’organizzazione dei partiti
flessibile e pervasiva, senza penalizzare la loro identità politica e la loro capacità
decisionale.
Un contributo alla semplificazione del problema posto, può essere fornito
dal ridimensionamento del ruolo dei partiti nell’occupazione delle istituzioni
democratiche. Si tratta di un problema largamente percepito dall’opinione
pubblica e ritenuta causa non secondaria del degrado e della corruzione nella
gestione della cosa pubblica.
Il ruolo dei partiti è di aggregare i consensi e di fornire orientamenti alle
istituzioni democratiche di governo e di controllo che devono godere delle
necessarie autonomie per essere sottoposte alla fine del mandato al giudizio
degli elettori.
Come ci ricorda N. Bobbio il vantaggio della democrazia è sostanzialmente
quello di cambiare le maggioranze senza ricorrere alle rivoluzioni.
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Nel nostro Paese la pervasiva intermediazione dei partiti ha alterato il
corretto funzionamento della democrazia rappresentativa in nome di una
Costituzione reale caratterizzata da un anomalo protagonismo dei partiti,
all’origine di una invasione di campo nelle istituzioni e nelle organizzazioni
burocratiche che, alterando i meccanismi della selezione meritocratica, è
all’origine di sprechi e di inefficienze nella gestione della spesa pubblica.
Ridefinire correttamente il posizionamento dei partiti nell’attuale assetto di
democrazia parlamentare significa individuare più chiaramente gli obiettivi a cui
l’organizzazione deve rispondere.
- Da ultimo una giustificazione. Le Note dell’ISRIL hanno da sempre
privilegiato le istituzioni più direttamente impegnate nei processi di produzione e
redistribuzione del reddito, quali le imprese, i lavoratori e le rispettive
rappresentanze collettive, le cui reciproche interazioni hanno un impatto sulla
crescita economica e sulla coesione sociale.
Questa nostra invasione nel campo della politica riflette la percezione che la
crisi economica coincide ormai con la crisi istituzionale testimoniata dalla perdita
di credibilità dei partiti e dal discredito che coinvolge le stesse istituzioni
democratiche.
Dovendo affrontare un nuovo ciclo storico che ha sconvolto non solo i
precedenti equilibri tra capitale e lavoro ma anche i rapporti tra Stato e società
civile, il rinnovamento dei partiti e delle istituzioni della democrazia
rappresentativa deve prevenire il rischio che l’avvitamento della crisi possa
portare ad esiti imprevedibili anche dal lato della sostenibilità democratica.
Il governo tecnico, come già detto, rappresenta un aggiustamento
temporaneo che riflette uno stato di disorientamento della politica e delle sue
istituzioni. Il ritorno alla normalità democratica, nel perimetro residuo della
nostra sovranità nazionale impone ai partiti ed alle istituzioni democratiche un
ripristino dei rispettivi ruoli per gestire una situazione di emergenza che è ben
lungi dall’essere conclusa.
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