Ivo Gallimberti - Obiettivo Sicurezza

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Ivo Gallimberti - Obiettivo Sicurezza
LE INTERVISTE
Giuseppe Sangiorgi
Ivo Gallimberti
professione
fulminologo
Laureato in Ingegneria Elettrotecnica, Professore ordinario alla facoltà
di Ingegneria dell’università di Padova dove ricopre la cattedra di
Tecnica delle alte tensioni, Ivo Gallimberti ha svolto un’attività di
ricerca amplissima che ha toccato numerosi campi diversi: fisica delle
scariche elettriche negli isolanti gassosi; studio sperimentale e teorico
sulla formazione e sviluppo dei fulmini nell’atmosfera; precipitazione
elettrostatica delle particelle di cenere prodotte in impianti di
combustione industriali; ricerca e sviluppo di nuove tecnologie per
la rimozione di inquinanti gassosi. Gallimberti è stato consulente di
numerose grandi compagnie e organizzazioni (ENEL, CNR, ENEA,
Ivo Gallimberti
FIAT, Passoni & Villa, in Italia; EDF, ONERA, RENAULT, in Francia;
ABB, in Svizzera), e responsabile di numerosi contratti di ricerca
nazionali e internazionali, supportati dalla Comunità europea.
Leggendo i giornali, vedendo
la televisione e ascoltando
la
radio,
sembra
siano
aumentati i casi di persone
che vengono colpite dai
fulmini. Una volta era così
raro che si diceva “un fulmine
a ciel sereno” per indicare
l’eccezionalità di un simile
evento. Oggi sembra di no. E’
soltanto un’impressione o è
davvero così? E se è davvero
così, perché avviene e cosa
bisogna fare?
Io credo che sia davvero così, che
sia effettivamente in aumento il
numero di incidenti provocati da
fulmini. E questo sta avvenendo
per il concorso di più cause.
Innanzitutto ci sono le mutazioni
climatiche: siamo di fronte ad
un aumento complessivo della
temperatura che produce una
specie di tropicalizzazione, e
questo anche nella regione del
Mediterraneo. Questo comporta
una maggiore instabilità climatica
e più temporali dovuti al ciclo
dell’evaporazione dell’acqua. Più
temporali soprattutto nelle zone
montane dove le masse d’aria
umida si scontrano con le pareti
fredde delle montagne provocando
precipitazioni di grande violenza:
gli sfregamenti, le turbolenze
atmosferiche creano una maggiore
carica elettrica e quindi una maggiore
densità di fulmini. Un’altra circostanza
è l’aumento in questi ultimi anni
dell’escursionismo di massa. Questo
comporta che ci sono molte più
persone in movimento, e non è
un caso che i morti di fulmine
sono prevalentemente in zone
montane: persone che stavano
facendo escursioni e che sono
state sorprese dal temporale. Ecco
perché, essendo aumentata la
densità di fulmini per chilometro
quadrato ed essendoci su questo
territorio più persone, il rischio si è
moltiplicato.
In che cosa consiste essere
un fulminologo?
Vuol dire studiare i fulmini sotto
un duplice aspetto: il primo è
quello di capire i meccanismi
fisici per cui il fulmine si genera,
il secondo è, una volta capiti
questi meccanismi fisici, come
proteggerci dalle conseguenze
dei fulmini. C’è una grande
quantità di problemi di messa
in sicurezza che riguardano per
esempio il volo degli aerei, la fase
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obiettivo sicurezza
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di lancio dei satelliti, così come la
protezione di tutti i luoghi che in
qualche modo possono essere
sensibili alla scarica di fulmini
come una centrale nucleare ecc.
Si tratta dunque della protezione
a terra e di quella degli oggetti
in volo.
Come è nata questa sua
passione per lo studio dei
fulmini?
E’ nata all’università. Ho cominciato
ad occuparmene quando mi sono
laureato in ingegneria con una tesi
sui problemi delle alte tensioni.
Io ho iniziato come ingegnere,
specializzandomi poi come fisico
in un istituto della mia facoltà
che studiava come portare il
livello di tensione della rete
elettrica italiana a 1000 kilovolt
invece dei 380 esistenti, con una
serie di problemi di isolamento
elettrico dovuti al fatto che lungo
la rete si potevano formare delle
scariche e occorreva indagare i
meccanismi di queste scariche.
Il progetto dei 1000 kilovolt non
si è realizzato, però ci sono stati
dei gruppi di lavoro europei a
cui ho partecipato e studiavamo
anche sperimentalmente il formarsi
delle scariche elettriche sulle linee
di alta tensione. Da questo sono
passato alle scariche naturali, con
misurazioni, campagne sperimentali
e con la comprensione di cosa
succede dentro le scariche, anche
attraverso l’elaborazione di modelli
fisico-matematici. Questa passione
dura ormai da oltre 25 anni.
Esiste una collaborazione
internazionale
su
questi
problemi?
Assolutamente sì, e molto spesso
ho viaggiato in giro per il mondo,
chiamato da università, da enti
che si occupano di protezione.
Molte campagne sperimentali di
rilevamento delle caratteristiche
dei fulmini le abbiamo fatte in
collaborazione con gli americani,
nel New Mexico dove i temporali
sono molto frequenti, oppure in
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obiettivo sicurezza
Florida con la NASA alla base
di Cape Kennedy. Catturavamo
i fulmini con dei piccoli razzi
che salgono con un filo di
rame legato a terra e che
quando sono a un centinaio
di metri inducono dalla nube
il fulmine che cade sul razzo
e quindi attraverso il filo
legato a terra ci permetteva di
misurare le correnti, le tensioni
e le caratteristiche generali ad
iniziare dalla loro intensità.
quindi non è che il fulmine cade
su una cosa; in realtà c’è un
“accompagnatore” che sale e
lo cattura. Il parafulmine non
ripara dal fulmine ma innesca
un fulmine ascendente e fa
in modo che un fulmine che
sarebbe potuto cadere su una
casa, in realtà venga scaricato
sul parafulmine.
C’è in Italia una normativa
adeguata che obbliga l’impiego
di sistemi di protezione, in
particolar modo alle grandi
concentrazioni urbane per
evitare rischi?
Esistono normative di sicurezza,
ma non sono tali da imporre
a ogni costruzione l’obbligo di
essere protetta.
Sarebbe opportuno adottare
norme di maggiore dettaglio
specie nel settore dell’edilizia
civile?
Il vecchio parafulmine fatto
da un’asta di metallo è
ancora un metodo sicuro o
sono state sviluppate nuove
tecniche?
Diciamo che ci sono tecniche più
raffinate. Normalmente, quando
si forma un fulmine, questo
scende dalla nube verso terra
in una maniera aleatoria, lungo
un percorso a zig zag del tutto
imprevedibile. Potrebbe quindi
cadere ovunque. Quando si
approssima a terra, il fulmine
innalza tutto il campo elettrico al
suolo e quindi se ci sono oggetti
appuntiti di qualsiasi genere il
campo diventa massimo in quella
zona. Dal punto più sollecitato
parte una carica ascendente
che va ad incrociare il fulmine;
Sarebbe utile approfondire questi
temi alla luce di quelle che
sono oggi le nuove conoscenze
e le nuove potenzialità anche
ingegneristiche. Poi ci sono le
normative CEI. Quando costruisci
un sistema di protezione, questo
deve avere delle caratteristiche
per la conduzione del fulmine a
terra che devono rispettare certi
parametri tecnici in modo che il
fulmine, una volta catturato, possa
essere scaricato agevolmente sul
terreno senza produrre rischi
né all’edificio, né alle persone
circostanti ecc.
E’ solo fantasia immaginare
che un giorno l’uomo possa
catturare queste immense
“scariche di potenza” dai
fulmini, imbrigliarle e metterle
al servizio della convivenza
civile?
Diciamo
che
ogni
singolo
fulmine ha in realtà una potenza
estremamente elevata ma una
durata
estremamente
breve,
parliamo di millesimi di secondo.
Quindi l’energia complessiva che
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Ivo Gallimberti:
professione fulminologo
Fulmini
sulla città di
Los Angeles;
nella pagina
a fianco
un ritratto
di Benjamin
Franklin
inventore
del parafulmine
si potrebbe utilizzare, catturando
un fulmine, è relativamente
modesta. Un temporale è
normalmente
costituito
da
migliaia di fulmini, la maggior
parte dei quali sono fulmini che
si scaricano all’interno della nube
stessa. Quello che possiamo
sognare di realizzare in futuro
è di raccogliere l’energia della
nube prima che si scarichi nei
fulmini. Lì c’è un’energia enorme:
se potessimo raccoglierla e
convogliarla,
un
temporale
sarebbe sufficiente per fornire
energia a un’intera città.
alberi isolati. Un albero isolato
ha il terreno intorno che assorbe
molta acqua e diventa come un
conduttore; un albero isolato
diventa un parafulmine e se tu ti
metti incollato a un parafulmine
ne diventi parte. Questa dunque
è la prima cosa da evitare.
Quale consiglio si può dare
al singolo cittadino che
cammina e si imbatte in un
temporale estivo, per poter
poi ridurre i rischi alla propria
sicurezza?
Se sei in macchina con la radio
accesa, è meglio spegnere la
radio perché l’antenna scenda?
E’ abbastanza difficile dare dei
consigli per quanto riguarda il
vestiario mentre se ne possono
dare per il comportamento. Così
come si sconsiglia di andare
in mare con una bufera, così
bisogna non lasciarsi sorprendere
da un temporale. Nel caso che
invece avvenga, allora occorre
evitare di ripararsi sotto gli
alberi, particolarmente se sono
E’ meglio sotto un ponte?
Assolutamente si, meglio sotto
un ponte, meglio ad esempio,
se si è in montagna trovare
una roccia, uno spuntone sotto
cui ripararsi o di fianco a una
casetta, ma non sotto gli alberi.
Il luogo più sicuro dove ci si può
proteggere da un temporale
è la propria macchina. E’
assolutamente il luogo più
sicuro perché diciamo che la
protezione migliore è quella
che viene chiamata una gabbia
di Faraday, cioè una scatola
metallica.
Le
caratteristiche
dei campi elettrici sono tali
che non entrano all’interno
della gabbia di Faraday, vi
passano all’esterno. Un aereo
è un posto abbastanza sicuro.
Capita spesso che un aereo
sia colpito dal fulmine. E’ una
scatola metallica, una gabbia di
Faraday e le persone che sono
all’interno non sono sottoposte a
campi elettrici significativi. Perciò
ripararsi in macchina è la prima
cosa da fare perché è il luogo
più sicuro. Quando ero giovane
e studiavamo i fenomeni dell’alta
tensione, c’era un professore che
era direttore di un laboratorio
di alta tensione a Monaco, poi
diventato museo che, facendo
lezione sul principio della gabbia
di Faraday agli studenti, entrava
con la propria macchina nel
laboratorio, si metteva sotto il
generatore di alta tensione e si
faceva scaricare 5 milioni di volt
sul tetto della macchina, una
scarica elettrica pazzesca. Poi
usciva dalla macchina incolume
e tutto allegro.
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