La Testata N. 3, Dicembre-Gennaio 2013
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La Testata N. 3, Dicembre-Gennaio 2013
Anno 5 Numero 3 Dicembre-Gennaio 2013 Risposta alla domanda La Testata “Che cos’è L’Occupazione?” Direttore carlo daffonchio Progetto grafico, impaginazione e ricerca immagini filippo bASILICO Correzione bozze Ilaria SIELI IIF di Carlo Daffonchio III C Copertina silvia Baldo If A seguito dei tre giorni di occupazione è stato ritrovato nella cassetta blu - viola del piano terra (dove, vorrei ricordarlo, chiunque può imbucare qualsiasi suo scritto a questo giornale) un biglietto anonimo recante tre formalmente semplici, ma contenutisticamente impegnative, domande a cui La Testata, nella persona del sottoscritto, si sente in dovere di rispondere, non solo per l’interessante argomento, ma anche e soprattutto per estrema riconoscenza al postulante, che, inviando questo documento che potrebbe scuotere la ormai dilagante apatia manzoniana, ha fatto uno stupendo regalo di Natale. I tre quesiti, ai quali invito a rispondere chiunque voglia, sono: 1. Occupazione o autogestione? 2. Meglio protestare in modo legale o illegale? 3. Qual è più efficace? Per cominciare dalla numero uno, ritengo personalmente preferibile come metodo di protesta l’autogestione, in quanto – ci colleghiamo qui alla seconda domanda – è legale. Infatti il punto debole di un’occupazione sta proprio nell’illegalità, che, se qualcuno può trovare affascinante (i ribelli, specie quelli in rotta con la legge, un minimo di fascino lo conservano sempre), mette gli occupanti, anche nel caso questi siano nel giusto, in una condizione di inferiorità e automatico torto dal punto di vista legale (pessima posizione, dato che il ribelle è notoriamente squattrinato e dunque impossibilitato a pagarsi un avvocato. Certo, ci sono sempre i difensori d’ufficio, ma i film ci insegnano a evitarli come la peste...). Inoltre, per quanto riguarda l’immagine di chi protesta, muoversi nell’illegalità è una pessima scelta – so benissimo di star contraddicendo ciò che ho appena detto del fascino ribelle, ecc, il problema è che nel privato gli irriducibili rivoluzionari godono della simpatia di ognuno, ma pubblicamente sono condannati da tutti –, dato che se qualche reazionario detrattore ci accusa di essere delinquenti, criminali e così via non si può negare di aver infranto la legge (magari non l’abbiamo violata come un omicida plurimo, sta di fatto che comunque l’abbiamo violata). Meglio dunque non montarsi la testa, ché poi la si perde (Rivoluzione Francese docet), e muoversi su un terreno sicuro, magari non così elettrizzante ed esplicita2 — LA TESTATA n3 mente rivoluzionario, ma che renda sicuramente più solida, più forte e più difendibile la posizione di chi protesta. Inoltre, quale miglior modo di dimostrare la propria abilità e intelligenza di giovani ribelli se non utilizzare e volgere a proprio vantaggio la stessa arma dell’ordine e del sistema costituito, ovvero la legge, dimostrando così di non essere eversivi riottosi e bruti, ma fini e cerebrali cospiratori? Sarebbe sicuramente un’encomiabile azione e uno stupefacente virtuosismo rivoluzionario riuscire a fare una rivoluzione legale, per quanto questi due termini assieme possano sembrare ossimorici. Inoltre un’autogestione, anche in quanto legale, ha il pregio di riuscire ad avvicinare e coinvolgere categorie che per causa maggiore e/o convinzioni non prenderebbero parte all’occupazione (leggasi professori) e altre che sono sottoposte a un notevole stress in periodo di occupazione (il personale A.T.A.). Per quanto riguarda l’efficacia, sono scettico in entrambi i casi. Come può infatti esse efficace al giorno d’oggi un tipo di protesta nato quarant’anni fa, che rispondeva a determinate esigenze, quelle di quarant’anni fa appunto, che chiaramente non sono più quelle del nostro tempo? Parlando tra classicisti, è come se pretendessi di leggere oggi i testi greci e latini ancora con l’interpretazione cristiano-medievale, che, pur essendo affascinante, è chiaramente antiquata e superata. Starei chiaramente sbagliando. Con questo non dico di gettare via il vecchio modo di fare, ma di lavoraci su, di soppesarlo e pensarlo, di scrollarli di dosso ruggine e polvere, di reinventarlo. Mi direte: “Dacci tu la soluzione, allora, visto che sei così bravo a parlare.” Vi rivelerò una cosa: io personalmente non ce l’ho, ma sono più che disposto a cercarla con voi. E rendersi conto che qualcosa non va come dovrebbe è il primo passo per risolvere il problema. MODERNA FORMA DI PROTESTA: Ai Weiwei balla il ‘Gangnam Style’ per denunciare le autorità di Pechin. L’artista, architetto e dissidente cinese in un video diffuso sul web. Usa il tormentone del momento del rapper sudcoreano Psy per la sua ‘battaglia’ politica. Memorie Manzoniane (parte II) di Federico Di Matteo III F La quinta ginnasio è, senza dubbio, l’anno più odioso per qualunque classicista: un numero spropositato di temi verbali, che non hanno alcuna utilità se non quella di farsi figo con gli amici, che poi, figo, non ti considerano affatto; tale fu il mio secondo anno. Come se non bastasse, quel simpaticone di Fioroni – il predecessore della Gelmini, per chi non lo sapesse – pensò bene a come potesse rendere la vita scolastica più intrigante, partorendo un’idea tanto malvagia da meritarsi il rispetto di Sauron: “Reintroduciamo – disse – gli esami a Settembre” (Sospensione del Giudizio per gli eruditi). Ebbene sì, cari lettori, sette anni fa la gente poteva fottersene (citazione necessaria) altamente di avere il debito di latino e greco, continuando a prendere insufficienze su insufficienze per tutti e 5 gli anni, e godersi ugualmente vacanze estive di tutto rispetto. Ovviamente inaugurai quel decreto facendomi rimandare a Settembre. Quello fu un anno di strani avvenimenti – basti pensare che un giorno vidi una persona essere trascinata, letteralmente, lungo i corridoi verso la presidenza; ci fu anche gente che riuscì a fuggire da scuola, in un modo tanto elegante quanto Houdini, per iscriversi ad un nuovo gioco online, se non che studenti che giravano in cortile vestiti da Socrate rischiando non so per quale motivo una sospensione – ma fu anche un anno di cambiamenti: il Manzoni godette dell’avvento dell’Autogestione. All’epoca essa era una novità assoluta, che scalzava l’Occupazione, dalla quale non si riscontrò una sostanziale diversità, almeno non agli occhi dello studente medio; certo, avere tutta la scuola a propria disposizione aveva favorito il progetto nel riscuotere successo, soprattutto agli organizzatori di bische clandestine, tanto che venne portato avanti di anno in anno, fino ad oggi. LA TESTATA n3 — 3 Occupazione Dicembre 2012 di Lorenzo Pacini I D Con questo articolo io, come studente manzoniano e membro del CPM, a nome dello stesso Collettivo Politico Manzoni, intendo stilare un resoconto finale delle giornate del 10-11-12 dicembre 2012, durante le quali è stata portata avanti l’occupazione studentesca del nostro istituto. Per fare ciò è necessario che si faccia analisi di alcune questioni fondamentali. Prima di tutto, cosa vuol dire per noi occupare la propria scuola? Occupare la propria scuola è un’azione di protesta, una presa di posizione chiara e ferma riguardo gli argomenti di carattere politico che si intende affrontare con un’occupazione. Si intende, quindi, una irrevocabile decisione finalizzata a scopi di coinvolgimento e partecipazione dell’intero organo studentesco della scuola. Occupazione vuol dire anche responsabilità e organizzazione. Nel momento in cui gli studenti decidono di occupare l’edificio scolastico non si torna indietro, non ci sono alternative, siamo noi ad assumerci la totale responsabilità delle nostre azioni che riguardano l’istituto. Di conseguenza, l’organizzazione diventa indispensabile, nessuna azione politica potrà mai essere basata sull’improvvisazione, altrimenti essa si trasformerà inevitabilmente in un bordello di dimensioni direttamente proporzionali all’incapacità del singolo che vi partecipa. Questo primo punto è stato pienamente assorbito nell’integrità dei suoi principi e parametri dalla nostra occupazione, e fiero sono di affermarlo. La partecipazione ai collettivi di argomento socio-culturale è stata straordinaria, l’organizzazione efficiente, il messaggio politico è stato captato dalla stragrande maggioranza degli studenti. Altro obiettivo di un’occupazione è riuscire a diffondere il messaggio politico anche al di fuori dell’istituto. I primi interessati sono le scuole e gli studenti della città, dai quali ci si vuole aspettare un coinvolgimento di carattere non solo emotivo e ideologico, ma allo stesso tempo di partecipazione e cooperazione. È certamente un compito più difficile, che necessita la presenza di una serie di fattori che permettano l’unità del Movimento milanese, che a volte può mancare. La nostra occupazione è riuscita a trovarsi in un periodo durate il quale si sono viste molte altre scuole cogestite, 4 — LA TESTATA n3 autogestite e occupate (es. Parini, Allende, Agnesi, Brera). Non è un caso. L’autunno è sempre caldo, certo, ma quest’anno si è visto – dai cortei, dai presidii, dalle occupazioni – che si è risvegliato un sentimento politico negli animi degli studenti milanesi, che in fondo teniamo davvero alla nostra scuola e al nostro futuro, che non basta un nano di meno al potere per fermarci. Ritorniamo ora a una questione che riguarda più internamente il nostro istituto. Trattandosi di un’occupazione, è plausibile che ci possa essere un malcontento dei professori, parte fondamentale della stessa scuola. La questione è molto semplice: l’occupazione non è e non sarà mai rivolta contro insegnanti o preside, non sia mai che si vada incontro a inimicizie e contrasti. Purtroppo, proprio per la stessa caratteristica che differenzia un’autogestione dall’occupazione, è inevitabile un “mancato coinvolgimento” del corpo docenti. Sono gli studenti che occupano. Punto. Dall’assemblea di corso, tenutasi qualche settimana prima, si era riusciti ad ottenere un forte dialogo interno, che aveva raggiunto i suoi più elevati livelli con la partecipazione dei professori, anche se pochi di loro hanno preso parte al presidio di sabato 24 novembre, organizzato dal CPM. Evviva il dialogo! Evviva la collaborazione! Ma siamo diversi, quindi c’è un “però”, che ha determinato sicuramente la decisione di occupare. Ci sono momenti in cui gli studenti, in piena consapevolezza politica, devono prendere alcune decisioni senza dover per forza tener conto di un professore/genitore/suocero. La scelta è nostra, se un docente è d’accordo, siamo contenti, grazie; se non è d’accordo, ci dispiace. Mai e poi mai una scelta del genere, come l’occupazione, dovrà comportare l’influenza dal parere di qualcuno che non sia uno studente. L’errore che, appunto, è sempre più solito commettere in occasioni del tipo, è quello di indugiare o cercare lo scontro, sottoforma Prima di tutto, cosa vuol dire per noi occupare la propria scuola? di “vendettina”, di fronte ad un “no” di professori o preside. Questo è quello che abbiamo fatto, l’occupazione, portata avanti dagli studenti, si rivolge agli studenti (non a caso insegnanti e preside sono stati fatti passare attraverso il picchetto, ogni mattina, puntualmente alle 8). Altra questione, forse più ideologica: quante volte ci siamo sentiti dire la frase-tipo “prima di tutto è una cosa illegale” da parte di chi, contrario alle nostre scelte, faceva valere, giustamente, le proprie ragioni. Siamo d’accordo, è illegale, al di fuori della legge, ne abbiamo piena consapevolezza. Ma una cosa è l’illegale, un’altra è l’illegittimo, il non giusto. Ricorderei che deportare gli Ebrei fu legale, l’Apartheid fu legale. Era giusto? No. Era, invece, illegale fare il partigiano. Era giusto? Sì. Lo so, sono paragoni impraticabili, insolenti, ingiusti con la nostra situazione, ma quando i Nazisti occupavano il Paese e deportavano gli Ebrei, si andava in montagna imbracciando il fucile; oggi per quello che fanno le istituzioni su di noi ogni giorno, reprimendoci, togliendoci il futuro, tagliandoci la scuola, noi rispondiamo: noi occupiamo. In proporzione, rispondiamo oggi come si rispondeva allora. Il succo del discorso è proprio questo: non sempre legge e legittimità coincidono. Noi ci siamo sentiti perfettamente legittimati nelle nostre azioni e, quando dico noi, intendo tutti gli studenti che hanno partecipato e aderito all’occupazione. Per quanto riguarda invece l’analisi dei fatti, lasciamo parlare i numeri. Danni alla scuola: nessuno. Morti o feriti: nessuno. Grazie ad un’efficiente organizzazione degli studenti, l’ordine pubblico all’interno dell’edificio si è mantenuto sia durante il giorno sia durante le “serate”. In conclusione, la nostra scuola ha dimostrato, ancora una volta, la sua capacità, il suo impegno e il suo grandioso entusiasmo in tutto ciò che si pone come obiettivo. L’occupazione del 10-11-12 dicembre ci ha fatto capire quanto l’attività politica rappresenti una parte fondamentale dell’identità manzoniana, sta a noi studenti tenerla viva e migliorarla nel tempo. LA TESTATA n3 — 5 Malala di Vera Calabrese VD Malala Yousafzai è una ragazzina di 14 anni, a cui hanno sparato il 9 ottobre perché aveva lottato per un suo diritto: andare a scuola. Questa è una cruda realtà che sembra appartenere a un altro mondo, eppure esiste davvero in Pakistan. Già dal 1996 i talebani hanno occupato Kabul, chiuso tutte le scuole e limitato soprattutto i diritti di donne e ragazze. Ma esattamente chi sono i talebani? Sono fanatici religiosi noti soprattutto per l’odio nei confronti dell’arte e delle donne. I talebani affermano di sostenere un movimento a nome dell’Islam, mentre spesso non conoscono i valori più importanti della religione, studiano solo pochi versi del Corano e in molti casi non sanno neanche leggere e scrivere. Il loro modo di governare è violento e brutale: terrorizzano le donne, proibiscono loro di andare a scuola, di lavorare nell’amministrazione pubblica, di curarsi se stanno male; ma anche di fare le cose più semplici, che tutti noi facciamo abitualmente, come uscire di casa, fare sport e ascoltare musica. Le loro punizioni sono atroci: lapidano donne considerate da loro immorali, seppelliscono vive quelle accusate di tradimento coniugale e molte altre torture… Malala Yousafzai, a solamente undici anni, spinta da un amore per lo studio, ha avuto il coraggio di lottare contro questo governo. Tutto è cominciato nel 2008, quando i talebani hanno preso la regione dello Swat, in Pakistan. Subito dopo hanno chiuso le scuole, proibito che le donne avessero un’istruzione e distrutto molte scuole femminili, creando caos, conflitti e umentando ancora di più la miseria. La BBC (British Broadcasting Corporation) non era riuscita a ricavare molte informazioni riguardo il conflitto, infatti spesso i giornalisti venivano travolti nei bombardamenti. Così la BBC ha deciso di entrare in contatto con insegnanti di alcune scuole, tra cui il papà di Malala, Ziauddin Yousafzai, della città di Mingora. Ziauddin ha proposto alla figlia di scrivere un diario regolare sul blog della BBC. Dopo aver accettato, Malala nel blog ha raccontato il caos della città e la condizione di una normale studentessa pakistana, costretta a vivere quotidianamente nel terrore. I talebani infatti hanno l’obiettivo di chiudere le scuole femminili entro il 2014 e per fare ciò creano il panico negli edifici: per esempio, hanno avvelenato studentesse con acqua infetta e riempito le classi con materiali tossici. Malala ha anche scritto che, per il bando dei talebani e la paura, il numero delle studentesse andava via via a diminuire. Malala stessa viveva nel terrore tutti i giorni, ma la voglia di studiare era più forte. Per strada evitava di indossare la divisa scolastica e nascondeva i libri sotto lo scialle per non dare nell’occhio. Nel maggio 12 — LA TESTATA n3 2009 c’è stata un’operazione dell’esercito pakistano per liberare la regione dai talebani, così Malala ha dovuto lasciare Mingora con la sua famiglia e ha smesso di scrivere il diario. Qualche mese dopo, con la vittoria dell’esercito pakistano, è potuta tornare nella sua città. A quel punto il papà di Malala ha deciso di rivelare il vero nome della figlia. La ragazzina ha ottenuto un grande successo non solo in Pakistan, ma in tutto il mondo. Ha avuto il coraggio di criticare in tv i talebani, pur sapendo di correre molti rischi. Malala difende l’istruzione, dicendo: “dateci delle penne oppure i terroristi metteranno in mano alla mia generazione le armi”. Da quando i talebani hanno lasciato la regione dello Swat, la situazione è tornata alla normalità: stanno ricostruendo le scuole e le ragazze possono studiare, ma ci vuole ancora molto tempo perché il Pakistan diventi un paese con le nostre stesse libertà. Il 9 ottobre Malala stava tornando a casa sullo scuolabus, quando un uomo giovane, armato e barbuto è salito e ha semplicemente chiesto:”Chi è Malala?”. Nessuna risposta, ma tutti si sono girati istintivamente verso la ragazzina. Subito l’uomo ha sparato contro di lei almeno sei colpi alla testa, mirando per sbaglio anche alla gamba di una sua compagna. Sicuro di averla ammazzata, si è voltato e se n’è andato, lasciando Malala in un bagno di sangue. Subito la ragazzina è stata portata d’urgenza all’ospedale di Mingora, per poi essere trasferita al sicuro a Peshawar e infine a Birmingham, in Inghilterra. Perché sparare contro una ragazzina? Questo sconcerto si è diffuso in Pakistan come nel resto del mondo. A questa domanda i talebani rispondono che è un loro diritto attaccarla, è il Corano che lo dice. La accusano di fare propaganda negativa contro i musulmani e di avere come idolo Obama, in sintesi la considerano come simbolo degli infedeli e dell’oscenità. Inoltre minacciano di uccidere tutti i suoi collaboratori. Malala è stata in gravi condizioni, un proiettile le ha sfiorato il cervello danneggiandolo, non si può dire fino a che punto. I medici hanno fatto un’operazione alla testa dell’adolescente sostituendole parte dell’osso con titanio. La ragazzina resta in coma per un mese in fin di vita. Ma Malala non è più sola, altre ragazze manifestano per avere un’istruzione mettendo a rischio persino la propria vita. Il 9 novembre Malala ha riaperto gli occhi e ha ricominciato a prendere conoscenza. Prima cosa a farla svegliare è stata sentire la voce del padre Ziauddin al telefono. Giaceva nel suo letto stringendo un orsetto bianco, aveva gli occhi gonfi, viola e una cannula che le usciva dal naso. Il 4 gennaio finalmente è uscita dall’ospedale, ma è costretta a rimanere a Londra per un altro intervento al cranio. La ragazza migliora di giorno in giorno e ringrazia tutto il mondo d’interessarsi alla sua guarigione. Anche il padre Ziauddin è grato a tutti, ma ora l’unica cosa importante per lui è la vita della figlia e la sua completa riabilitazione. I talebani hanno voluto sbarazzarsi di una pakistana che li ostacolava, ma non ci sono riusciti, anzi, l’hanno trasformata in un’eroina. Ora Malala ha l’appoggio di tutte le ragazze, dello stesso presidente del Pakistan e del mondo, entro la fine del 2015 dovrebbe entrare in vigore il “Piano Malala”: tutte le ragazze del mondo avranno diritto all’istruzione. Forse Malala sta riuscendo davvero a ottenere quello che le spetta di diritto. Idoli, no grazie! di Mattia Giordano II B N oi studiamo e questo è un dovere a cui non possiamo sottrarci. Dove sta il piacere, se lo studio non è solo una tortura? Ogni tanto, se c’è, sta nei posti sbagliati. L’idea generale da cui voglio partire è che fare qualcosa per osannare qualcuno di più potente, o magari per indottrinamento di qualcuno di più potente, è lesivo della propria autonomia di pensiero. Nei confronti del “potente” non bisogna mai porsi con accondiscendenza (a meno che non se ne voglia trarre vantaggio personale, da furbi), ma con criticità obiettiva. L’esempio a noi più vicino è il professore. Egli, per definizione, è un “potente” rispetto allo studente, perché ha “potere” su di lui, è il “propugnatore” di quel dovere imposto che è lo studio, e soprattutto lo giudica. Ha il coltello dalla parte del ma- nico, come ogni giudice. Per cui volgere il proprio sforzo al fine di compiacere un professore è negare la propria autonomia. È inutile premettere che spesso coloro che agiscono così sono ossessionati dall’andare molto bene a scuola. Si può provare stima per chi insegna, gratitudine, simpatia, ma il mio piacere di studente non deve stare nel mostrarmi “bravo”, nel bramare solamente un voto alto e un sorriso. Stu- diare diventa totalmente inutile. Il professore è una grande sorgente, una fonte, non un “idolo” (positivo o negativo). La consapevolezza di essersi guadagnato quel risultato, o nel veder confermata la propria passione per una materia, sono validi motivi per essere fieri di un voto. L’idolatria (che è in positivo e in negativo) è una bestia feroce, umiliante, a mio avviso, non solo per lo studente. Non ce n’è alcun bisogno di inscenare galà dell’ipocrisia, né di essere posseduti dal terrore di “deludere” un professore: può capitare di non aver studiato o di non averne voglia, ma è un problema tutto dello studente. Lo studio, il piacere, e la responsabilità derivante è appunto tutta personale. L’importante è essere sempre autonomi. Ciò non significa che i professori siano androidi distaccati che ripetono lezioni: simpatia, antipatia, enorme stima, è normale che si abbiano, è giusto. Semplicemente è bene non perdere di vista che io studio per me, non per altri, che se non è così mi sto assoggettando a quegli altri. Bisogna partecipare, non subire. Se a qualcuno, in realtà, non interessa veramente niente ciò che fa a scuola, è bene che non lo faccia. Non si può studiare greco o filosofia perché è bravo o simpatico il professore, come credere perché è bravo il prete, ma studiare in nome della passione che lui sa o meno far nascere, o che lo studente già ha. E a “professore” si può sostituire la parola “parente” e il ragionamento non cambia. Chiunque imponga, chiunque sia al di sopra va preso con criticità, gli va riconosciuto il giusto ruolo, però mai lasciarsi schiacciare. Agire per qualcuno che idealmente ci “sovrasta” e davanti a cui dobbiamo mostrarci bravi bambini per amore o timore, professore o parente o guru che sia, equivale a formarsi per quel qualcuno, il che è un controsenso, perché “formarsi” vuol dire diventare indipendenti. Lo stesso discorso si estende infatti a tutti i campi. Bisogna stare attenti agli slogan e alle cose che ci dice chi, in un’ ideale scala gerarchica, ci sta sopra, perché ha più esperienza in un determinato campo: i “capi” non sono fonti di verità ed emularli non fa salire nessuno al gradino più in alto della “scala sociale”, che neanche esiste. A stare fuori dal meccanismo, non avendo bisogno di qualcuno che ci dica cosa pensare, si vive comunque benissimo. È troppo facile applaudire a due discorsi triti e ritriti e tutto va bene. Molto più difficile è capire perché si applaude o magari perché si sente l’impulso irrefrenabile di stare fermi. LA TESTATA n3 — 7 Venezia di Elia Steve II C L’ uomo salì le scalette del treno, scostò un’anziana coppia, un distinto uomo di mezza età e un ragazzino di una quindicina d’anni. Con passo calmo si diresse verso la sua poltroncina; si tolse il cappotto, lo appese alla piccola gruccia accanto ad essa e si sedette. Accavallò le gambe e guardò l’orologio: le quattro. Perfetto. Sarebbe arrivato prima del tramonto. Con un fischio e un leggero sussulto il treno si mosse e, staccandosi dalla banchina, iniziò a percorrere la sua via. Contemporaneamente, non molto lontano, la vecchia signora ebbe un fremito, come un guizzo di coscienza in un mare di oblio. Per un attimo pensò di essersi sbagliata. Tese l’orecchio. Nulla. Ascoltò meglio. Sì, ora riusciva a sentirlo: un flebile ronzio, quasi impercettibile. Non si era sbagliata. Il controllore veniva avanti con un incedere svogliato. “Biglietti... Biglietti... La ringrazio. Biglietti...” Arrivò accanto all’uomo: benché avesse gli occhi aperti, era talmente immobile che sarebbe potuto sembrare morto. “Buongiorno, signore. Biglietto, prego.” L’uomo squadrò il controllore con flemma, poi lentamente prese dalla tasca interna della giacca il biglietto e glielo diede. Il controllore lo bucò e glielo porse. “Molte grazie, signore.” Proseguì nel suo giro. L’uomo si rimise nella sua posizione iniziale. Soffocò un moto di fastidio. Morti viventi, esseri senz’anima. Per fortuna la sua permanenza lì era quasi giunta al termine. Ora il ronzio si faceva più forte. La vecchia signora iniziò a svegliarsi completamente. Si stirò con voluttà. Percepì i mucchietti di materiale sulla sua schiena, così come i piccoli passettini degli esseri che camminavano sul suo dorso. Provò prurito, ma non aveva forza sufficiente per grattarsi. Non ancora. Si impose di essere paziente, e iniziò a raccogliere le forze. 8 — LA TESTATA n3 Gradualmente il treno iniziò a rallentare e, con uno stridore di binari, raggiunse lo stato prossimo all’immobilità. Cercò di andare ancora un poco avanti, ma non ci riuscì, e si fermò con un’ultima, leggera scossa. I passeggeri iniziarono ad accalcarsi verso l’uscita. Una voce metallica gracchiò negli altoparlanti: “Venezia Santa Lucia, stazione di Venezia Santa Lucia. Termine corsa del treno.” L’uomo aspettò che tutti gli altri se ne fossero andati. Poi, lentamente, si alzò, prese il suo cappotto, lo indossò e si avviò verso le porte del treno. Uscito, tirò un respiro, e gli sembrò di respirare veramente per la prima volta in tanti anni. Troppi. Soffocò un moto di rimpianto, e si diresse a passi svelti verso la sua meta. Guardò le acque dei canali incresparsi e agitarsi violentemente. Sorrise. Sto arrivando, pensò. La vecchia signora sentì sulla sua schiena il vibrare lento e ritmato del treno. Ne passavano tanti ogni giorno, ma questo era diverso. Lui era lì, lo sentiva. Il suo corpo iniziò ad agitarsi, scosso da brividi freddi. Il tremore si fece quasi incontrollabile; i brividi partivano dalla sua testa e si propagavano fino alla coda, violenti. L’attesa era quasi giunta al termine. Un’ondata di felicità attraversò le sue membra. Stava arrivando. L’uomo, dopo un cammino di un tempo indefinito, arrivò alla sua meta. Si arrestò davanti ad una scalinata che si gettava nel mare; ebbe un attimo di esitazione, poi iniziò a scendere. Dopo qualche gradino arrivò a pelo dell’acqua, ma non si fermò, fiducioso che le sue antiche abilità si fossero mantenute, anche dopo tutto quel tempo. Sorrise quando mise la testa sott’acqua e scoprì di essere ancora in grado di respirare. Si arrestò davanti ad una porticina. Muovendosi in modo fluido e naturale, malgrado si trovasse immerso sotto tre metri d’acqua, si slacciò la giacca, la camicia e prese la chiave che gli pendeva sul petto, appesa ad una catena. Ripulì il legno della porta, che non era marcito benché si trovasse lì da secoli, passandoci sopra il palmo della mano, e mise a nudo il buco di una serratura. Con il polso che gli tremava leggermente dall’emozione, infilò la chiave nella toppa. I piccoli cilindretti del meccanismo interno si allinearono e quello scattò con un clic. Non nascondendo la propria emozione, l’uomo entrò. La vecchia signora aveva sentito che stava arrivando. Era stata percorsa da un tremito violento, quasi convulso, quando aveva sentito il piede di lui che si poggiava sulla sua schiena, e aveva continuato a tremare man mano che lui avanzava. Le sue membra, costrette per secoli ad un’immobilità forzata, stavano premendo per spezzare il legacci che le tenevano avvinte. Percepì sulla pelle le barriere che erano state costruite da quegli strani animaletti; iniziò a fare forza e sentì che cedevano. Già in superficie molti piccoli mucchietti di materiale crollavano, e sentiva che gli esserini si agitavano frenetici. Continuò a spingere. Contemporaneamente, sentì che le sue mani toccavano l’ingresso. A quel tocco amico, lungamente bramato, il suo corpo umano, disteso da tempo immemorabile sopra un letto in casa, aprì gli occhi. Si alzò, mise indumenti leggeri sulla pelle rosea e liscia, poi iniziò a camminare. Varcò la soglia della stanza e si diresse verso di lui. L’uomo, quasi titubante, fece qualche passo. Si volse indietro: l’acqua non entrava in quel luogo, come sempre. Sorrise e chiuse la porta. Nulla era cambiato dall’ultima volta che aveva dovuto lasciare quella dimora, in fuga per proteggere colei che amava dal condividere lo stesso destino che loro volevano infliggergli. Ma ora era diverso. Erano tutti morti, alcuni per l’eccessiva vecchiaia dei loro corpi, altri per mano sua. In diverse epoche aveva fatto pulizia, e non ne rimaneva più nessuno: aveva spezzato il collo dell’ultimo a Francoforte, cinque giorni addietro. Erano liberi, ora. Si levò il cappotto, lo appese a una gruccia. Sentì un dolce scricchiolio, impercettibile per un orecchio non allenato quanto il suo. Si voltò. Lei era lì, di fronte a lui. Sembrava che non fosse passato un giorno. Era bella come sempre. Mentre la giovane donna passava lungo il corridoio, gettò uno sguardo distratto allo specchio. Non era affatto cambiata: il sonno nel quale si era messa dopo la sua partenza l’aveva preservata dalla corruzione del tempo e, del resto, loro facevano parte dei pochi che avevano ricevuto alla nascita il dono di non invecchiare. Scese rapidamente le scale. Sentì il rumore della porta che si chiudeva, poi il fruscio di un cappotto appeso. Trepidante, affrettò il passo. Mentre sostava sotto lo stipite, egli si accorse di lei. Si girò. La giovane lo guardò negli occhi. Ardevano. Neanche lui era invecchiato di un giorno. I due si corsero incontro; le braccia dell’uno anelavano l’altra. Si strinsero. Rimasero così a lungo, immobili, tremanti di gioia. Sopra alla schiena della vecchia signora palazzi crollavano, ponti si disfacevano. Le gondole erano inghiottite dalle acque rumoreggianti. Si staccarono dopo un tempo che nessuno dei due avrebbe saputo quantificare. Si guardarono, l’uno negli occhi dell’altra. Si scambiarono un bacio. L’uomo la guardò. Lacrime bagnavano gli occhi verdi di lei. Si sorrisero. “È tempo di andare. Portaci via” le disse. Lei sorrise ancora di più. Lo abbracciò. Lui ricambiò l’abbraccio. La vecchia signora a quelle parole si destò completamente. Scrollò dalla sua schiena gli edifici che rimanevano ancora in piedi, poi, con un colpo di coda, si immerse. Finalmente, dopo mille anni, lasciò la sua sede, e si diresse verso il mare aperto, salutata dalle screziature rosse e oro del tramonto nel cielo. LA TESTATA n3 — 9 Non ha più sprint il folletto Spread! di Federica Messaggeri IB Lapponia, Circolo Polare Artico, Rovaniemi, Azienda di manodopera follettistica “Il giocattolo speciale del panciuto Babbo Natale” S.p.A. Situazione in azienda alle ore 14:58 SPREAD (FOLLETTO DIRETTORE): Muoversi, muoversi! Fra meno di due minuti il capo sarà qui e vorrà che tutto sia pronto. (tra sé) Come se cioccolata calda e ciambelle apparissero per magia! E con gli stipendi da fame che ci paga! (a tutti i folletti presenti) Timoty, non perdere tempo! Jenny, non allacciarti la scarpa! Sarà qui fra pochissimo, folletti miei, e se il suo cibo non sarà pronto ad affrontare le sue terribili fauci…. Hmm scusate… se il cibo non sarà in tavola darà di matto! Quindi scattare! TIMOTY, JENNY E GLI ALTRI FOLLETTI: Sì, direttore! Arriva Babbo Natale con passo lento ed affannoso. Valica l’ingresso ed attende che qualcuno giunga a prendergli il soprabito. SPREAD: Buongiorno, signor Natale. Come sta, signor Natale? Sua moglie sta bene? BABBO NATALE: Moglie…. Bene si…. Sta bene. Anche se quando si mette a farfugliare sul cibo io… vabbe’. Dove sono la mia cioccolata con praline e la mia scatola di ciambelle glassate? Sto morendo di fame! JACKIE: Nel suo ufficio, signor Natale, e la poltrona reclinabile è per lei azionata per un dolce massaggio. BN: Fantastico, faccio sempre confusione con quei tasti: a volte schiaccio e non va, mentre altre schiaccio e va… bah. S: (tra sé) È diventato padrone di un impero mondiale e non sa nemmeno cosa sia un tasto on/off e io, dopo vent’anni gli porto ciambelle e gli accen… BN: Hai detto qualcosa, Ti… Ted? 10 — LA TESTATA n3 S: No, signore. Ma la pregherei di chiamarmi Spread. BN: (tra sé) Come mi piacciono queste ciambelle, mamma mia! (a Spread) Cosa dici? Ah, sì, sì… volevo dire Fred. S: Sì, certo signore. (tra sé andandosene) Sono vent’anni, vent’anni che lavoro per questo… e lui nemmeno si ricorda come mi chiamo! Ma ora non posso pensarci, manca solo una settimana al Natale e qui c’è ancora tutto da fare! Devo parlare coi folletti di fabbrica e dire loro di velocizzare i tempi, anche se si infurieranno e io dovrò ancora una volta prendere le sue difese. Senza pensare al fatto che dovrò dire a mia moglie che farò tardi anche stasera, non posso permettermi di non accettare un turno straordinario, mi servono i soldi, mi serve questo lavoro e di questi tempi sarebbe meglio far meno gli schizzinosi. Ma poi ripenso a quell’uomo tranquillamente seduto in poltrona nel suo ufficio con tutti i comfort ed insieme alla mia bolletta, cara come il fuoco per quel che mi tocca spendere di riscaldamento, con questo freddo! A volte avrei proprio voglia di mollare tutto e di andare da lui e dirgli che… ma no, non posso farlo! Ho una famiglia, devo pensare ai miei figli, e poi da quando circolano meno renne, col fatto che Babbo Natale deve avere la sua sicura scorta nel suo allevamento, il prezzo della carne si è alzato e qui non è che si trovi molto altro; quassù l’unico modo per tirare avanti è pescare e allevare renne e soprattutto importare tutto quello che non possiamo procurarci da soli. E si sa, i prodotti che arrivano da fuori costano di più, e come se non bastasse rincarano pure i prezzi delle poche cose che riusciamo a procurarci da noi! È incredibile! Ma devo smetterla di tormentarmi, o finirà che per lo stress non… J: Signore! Signore! Signor direttore, in fabbrica servono le sue direttive. Manca solo una settimana, sono tutti molto agitati e qui siamo molto indietro con i preparativi. S: Sì, lo so, Jenny, lo so. Dovrei parlare con il capo a proposito, ma sai che quando mangia non vuole essere disturbato. J: Ma signore, manca solo una settimana ed io… e noi tutti… S: Ho capito Jenny, ho capito! Vado a parlargli subito, sperando di riuscire a velocizzare i tempi almeno quest’anno e non ridurci sempre all’ultimo minuto, considerato che già siamo in ritardo! Spread si dirige nuovamente verso l’ufficio di Babbo Natale cercando di non sembrare agitato, al capo non piacciono le persone che si angosciano per nulla, per cose di scarsa importanza che lui molto prontamente definisce “banalità”. Spread bussa alla porta. BN: Chi bussa? Sei forse nuovo? Non lo sai che dalle 15 alle 16 ho bisogno del mio relax? Va’via! S: Signor Natale, veramente sono Spread, il direttore, e avrei una cosa molto importante di cui parlarle. BN: Può aspettare, ora sono molto impegnato. S: (entrando nell’ufficio) Mi scusi signore per l’irruzione, ma ciò che ho da dirle riguarda l’azienda e in particolar modo la fabbrica dei giocattoli. Vede, siccome i materiali per la costruzione dei giocattoli sono arrivati solo ieri, i folletti di fabbrica temono di non riuscire a finire in tempo per la notte del 24 dicembre, in particolar modo con le macchine antiquate ed ormai superate che hanno per svolgere il loro lavoro e… BN: Allora che lavorino di più! Ti incarico di raddoppiare a tutti i turni di lavoro e per questa settimana chiuderemo la fabbrica non alle 18, ma alle 22. Sono stato chiaro? E ora lasciami lavorare in pace! S: (tra sé) E ingozzarsi stando seduto in poltrona sarebbe un lavoro? Se il suo è un lavoro, il mio è tre lavori messi insieme e dovrebbe pagarmi tre volte tanto! (A Babbo Natale) Signore, non credo che i folletti prenderanno molto bene questa storia, anche se posso cercare di convincerli ricordando loro che sono ore straordinarie e quindi retribuite maggiormente… BN: Prendere bene questa storia? Retribuite maggiormente? Vedo che non ci siamo ben capiti. Ti dirò una cosa, anzi ti farò una domanda. Sai perché io sono qui? S: (tra sé) Sinceramente me lo chiedo da anni! (A Babbo Natale) Perché lei è la figura più adatta a svolgere questo compito? BN: Ovviamente sì. Ma non è questa la risposta. Io sono qui perché mio padre era qui e prima di lui mio nonno e prima di mio nonno il mio bisnonno e così via per tutti i miei antenati. Io sono qui perché loro hanno lavorato per costruire un Impero Commerciale Mondiale, che ora io posso e voglio godermi in santa pace, chiaro? Faccio il mio dovere tutti i giorni venendo qui in ufficio dalle 15 alle 18 e non più dalle 16 alle 18, perché mi dicono che c’è “crisi” e bisogna che un capo sia presente e faccio il mio dovere tutti i santi Natali consegnando pacchi e pacchi di regali per tutta la lunga notte del 24 dicembre. S: (tra sé) Se sommassimo tutte le sue ore di vero lavoro, non riuscirebbero nemmeno ad eguagliare quelle di una mia sola settimana in questo posto! BN: (continuando senza sentirlo) Detto ciò, quest’azienda è mia, è della mia famiglia e voi siete miei dipendenti e tu, in particolare, sei il folletto a cui io ho affidato la gestione della mia azienda, quindi… S: Ma signore, senza la sua firma le consegne non potevano arrivare ed i giocattoli non potevano… BN: … quindi tu devi occuparti di ogni problema! Tu sei stato assunto per evitare che io mi occupassi di tutto ciò, per evitare che io solo sentissi le parole “problema” e “crisi”, di cui ho già la testa piena grazie a quei dannati telegiornali che piacciono tanto a mia moglie e che sembrano avere la grande capacità di innervosirmi! Sei stato assunto per evitare che io le sentissi nominare perché, per come la vedo io, voi non avete alcun “problema” e io non sento la “crisi”, né tantomeno sento che voi vi ci trovate in mezzo. Quindi… io non voglio sentire nulla di tutto ciò, ma voglio solo conoscere il risultato finale e tu devi fare in modo che sia così, fai il tuo lavoro! E se dovrò ancora occuparmi di qualcosa per cui pago te, allora vorrà dire che non sai svolgerlo, questo tuo lavoro, e io agirò di conseguenza, mi sono spiegato? E per quel che riguarda i folletti di fabbrica, visto che tu hai causato questo “problema”, o ti offri tu di pagare i loro straordinari o trovi il modo di convincerli a farli, com’è giusto che sia, per puro senso del dovere e per riparare ad una situazione che tu e loro avete creato. S: C-certo, s-signor Natale, parlerò io con loro, signor Natale. BN: Bene! E non fare quella faccia, ché non è successo nulla. E ricordati – e in particolar modo ricordatevi – che siete fortunati ad avere un lavoro in questa azienda… tredicesima, quattordicesima, ferie pagate, io sono un uomo buono, lo sanno tutti, del resto bisogna accontentarsi, non serve a nulla creare problemi che non ci sono, non credi? Epoca delle gioventù bruciate di Drowninyourownpain, IV ginnasio Era l’epoca del liceo, delle canne, dei tatuaggi, l’epoca dei primi amori, delle farfalle nello stomaco. L’epoca del caos, degli scazzi, delle botte, dei colori. L’epoca della rivoluzione, delle lotte, dei soldi che mancavano e dei genitori che si scannavano. L’epoca dei “ti amo ma ti odio”, l’epoca in cui sapevi quello che non eri anche se quello che eri non lo avevi ancora capito per bene. L’epoca dei capelli colorati, dei dread, della musica che ti strappava via dalla realtà. Delle amicizie che se ne andavano, dei pugni nello stomaco. Non ce ne rendevamo neanche conto, giovani illusi di essere disillusi. Chissà chi di voi il dolore lo nasconde bene quanto me. sono qui per parlare di noi, di voi, di me. abbiamo quest’ansia di essere amati, ci prendiamo le colpe del nostro non-amore e versiamo lacrime amare in noi stessi, siamo bloccati nel sogno a occhi aperti che ci arraffa all’improvviso nel bel mezzo di filosofiche condizioni di vittimismo. Tremiamo come foglie dolenti e abbiamo scheletri nascosti in ragnatele grigie nel nostro petto. Ciao, sono logorroica. Imperfetta e perfettamente orrenda nel mio essere me stessa e diversamente affabile nel mio essere finta. Sono queste urla strazianti e questi bisbigli impercettibili a far girare il mondo, ‘sta fottuta pelle d’oca che mi congela e scongela prima di sbattere contro lo specchio ancora, e ancora, e ancora. Vorrei spegnere le luci di questa città che (amo) odio e farla saltare in aria, altrimenti verrò risucchiata dal mondo kafkiano che cerca di fottermi. Vorrei mandarvi una pillola “anti-odio”, stessa lunghezza d’onda, ragazzi, per sempre e mai, contemporaneamente, siamo solo noi. Siamo sillogismi casuali in questa caotica Milano, giovani persi che si cercano e si avvelenano. Avete l’acido muriatico al posto delle parole, forse siamo troppo piccoli per capire, o troppo grandi per vedere. LA TESTATA n3 — 11 Oroscopo cinese: Oroscopo Istruzioni cinese: per l’uso Istruzioni di Margherita Protti I B Lo zodiaco cinese è composto, come il nostro, da 12 segni, ma ad ognuno di essi corrisponde un anno, anziché un mese. Inoltre, poiché il Capodanno cinese cade nella prima luna nuova dopo l’entrata del sole nel segno dell’Acquario, esso non corrisponde al nostro, ma cade sempre tra il 21 gennaio e il 19 febbraio. Quest’anno il Capodanno cinese è il 10 febbraio, in quella data si entra nell’anno del Serpente, mentre il 2012 è stato l’anno del Drago. Topo 子: 19 febbraio 1996 6 febbraio 1997 Quest’anno sarà per te foriero di nuove, entusiasmanti novità. Zuckerberg deciderà che si è stufato del blu e progetterà di rendere il tuo profilo di un imbarazzante color rosa salmone. Solo il tuo, però. Se sei fortunato, o se hai un amico hacker, potresti riuscire a trasformarlo in ocra, o giallo canarino. A te la scelta! Comunque questo non influirà sulla tua vita sociale, che sarà già corsa ad ubriacarsi con i tuoi amici, lasciandoti da solo a smanettare al computer. birra più scadente. Se nevicherà, la battaglia a palle di neve che si scatenerà sarà davvero violenta e davvero divertente, ma potrebbe farti avere una ricaduta: a quel punto starai a casa direttamente fino a gennaio, ma sarà dura recuperare tutto… curare le tartarughe della tua anziana vicina di casa, oppure rubare le briciole ai piccioni e impacchettarle in un’elegante carta a pois arancioni per venderle a uccelli più facoltosi. Tigre 寅: 28 gennaio 1998 15 febbraio 1999 Guardati dalla tecnologia! Essa infatti sarà la causa di un grave incidente che capiterà verso metà Agosto a uno dei tuoi mignoli: ti conviene iniziare a mangiare esclusivamente cibo biologico crudo, regalare o rivendere computer, cellulare, televisione e ogni altro oggetto a spina o a batteria (compresa quella maledetta Reflex con cui fotografi le doppie punte del tuo migliore amico, le unghie dei piedi della tua compagna di banco e gli avanzi mangiucchiati dal tuo cane) e, se riesci, chiuderti in convento almeno fino a Ottobre. Coniglio , Drago , Serpente, Cavallo , Pecora (Non ci sono studenti di questi segni al Manzoni) Scimmia 申: 4 febbraio 1992 22 gennaio 1993 Ricordati queste parole: il tuo Televoto potrà cambiare le sorti di Sanremo! Con un semplice ed economico messaggio, sarai tu a decidere il vincitore. E non solo, quest’anno infatti è particolarmente indicato per te per utilizzare tutti quei simpatici servizi in abbonamento, come il Love Calculator o la suoneria con la mucca che scoreggia… ti succhieranno tutti una barca di soldi, ma potrai farti beffe dei tuoi amici con le tue simpaticissime suonerie*! *tvgbfvtrhs sifrtavbgys urgbttsdoaxno fybcrbye abtrcfcy vsgtrrcfhgrv brvtgshyutjs Cane 戌 : 10 febbraio 1994 30 gennaio1995 Eh sì, Cane, le elezioni si avvicinano e tu ancora non sai chi votare… guardati dagli uomini calvi e da quelli con la barba, da quelli che sorridono troppo e da quelli che sorridono troppo poco, da quelli troppo a destra e da quelli troppo a sinistra, da quelli troppo ricchi e… beh, da quegli altri troppo ricchi. Dopo che avrai esercitato il diritto di voto, la vita ti sembrerà tanto più facile, che potresti rischiare di scivolare su una buccia di banana o su una cacca di mucca mentre stai guardando il sole e gli uccellini. Non te la prendere, non riporterai contusioni gravi e potrai subito tornare a casa a studiare! Maiale (o Cinghiale) 亥: 31 gennaio 1995 – 19 febbraio 1996 L’unica via di salvezza per te è la scelta vegetariana. Se ancora mangi pesce, uova, formaggio e altri latticini, dovresti provare a diventare vegano, o, ancora meglio, fruttariano. Mangiare carne rossa provoca gravi malattie come il raffreddore cronico e il singhiozzo. Inoltre, uccidere animali che vivono tuta la vita ingabbiati sotto lampade al neon accese 24 ore su 24 è veramente una barbarie. Ricordati di chiudere il rubinetto v tvesbvytyyt drghnfybiunkonmo nubftnymoijyd areffdafrvbrioumip nimoyuginoo unyojnipbjntfdut btrsvcsvbynty nyrevcrewcr vcetyhrcyjnuriroj brstvgayevrt buy Gallo 酉: Toro 丑 : 7 febbraio 1997 27 gennaio 1998 Non scoraggiarti se quest’anno scoprirai che il tuo animale totemico è la puzzola: semplicemente, lavati! Un bel bagno nel fiume tra novembre e dicembre sarà l’occasione tanto agognata per saltare una settimana di scuola… Peccato che proprio in quel periodo si deciderà l’occupazione e tu sarai a casa con la febbre! Forse riuscirai a partecipare all’ultima giornata, quella con i collettivi più pacchi e la 23 gennaio 1993 9 febbraio 1994 Ahi, ahi, caro Gallo, è vero che i soldi non fanno la felicità, ma quando ti vedrai costretto a cambiare l’equitazione o lo sci con la pesca alla trota o il torneo che la Bocciofila sotto casa organizza sempre per i quattro pensionati del quartiere, ti accorgerai che hai sempre contato un po’ troppo sulle tasche di mamma e papà. Se vuoi un consiglio, ti conviene cercare un lavoretto serale: potresti mentre ti lavi i denti, così li avrai belli sporchi, e di spegnere la luce prima di entrare in una stanza, così non troverai niente di quello che stavi cercando e rischierai di inciampare nel gatto, che ti aveva visto benissimo ma provava gusto nel vederti ruzzolare per terra. Se la verdura da sola non ti sazierà, potrai allora mangiarci insieme il gatto.