La Testata N. 3, Dicembre-Gennaio 2013

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La Testata N. 3, Dicembre-Gennaio 2013
Anno 5 Numero 3
Dicembre-Gennaio 2013
Risposta alla domanda
La Testata
“Che cos’è
L’Occupazione?”
Direttore
carlo daffonchio
Progetto grafico, impaginazione
e ricerca immagini
filippo bASILICO
Correzione bozze
Ilaria SIELI IIF
di Carlo Daffonchio III C
Copertina
silvia Baldo If
A seguito dei tre giorni di occupazione è stato ritrovato nella cassetta blu - viola
del piano terra (dove, vorrei ricordarlo, chiunque può imbucare qualsiasi suo
scritto a questo giornale) un biglietto anonimo recante tre formalmente semplici,
ma contenutisticamente impegnative, domande a cui La Testata, nella persona
del sottoscritto, si sente in dovere di rispondere, non solo per l’interessante
argomento, ma anche e soprattutto per estrema riconoscenza al postulante, che,
inviando questo documento che potrebbe scuotere la ormai dilagante apatia
manzoniana, ha fatto uno stupendo regalo di Natale. I tre quesiti, ai quali invito
a rispondere chiunque voglia, sono:
1. Occupazione o autogestione?
2. Meglio protestare in modo legale o illegale?
3. Qual è più efficace?
Per cominciare dalla numero uno, ritengo personalmente preferibile come metodo di protesta l’autogestione, in quanto –
ci colleghiamo qui alla seconda domanda – è legale. Infatti il
punto debole di un’occupazione sta proprio nell’illegalità, che,
se qualcuno può trovare affascinante (i ribelli,
specie quelli in rotta con la legge, un minimo di
fascino lo conservano sempre), mette gli occupanti, anche nel caso questi siano nel giusto, in
una condizione di inferiorità e automatico torto
dal punto di vista legale (pessima posizione, dato
che il ribelle è notoriamente squattrinato e dunque impossibilitato a pagarsi un avvocato. Certo,
ci sono sempre i difensori d’ufficio, ma i film ci
insegnano a evitarli come la peste...). Inoltre, per
quanto riguarda l’immagine di chi protesta, muoversi nell’illegalità è una pessima scelta – so benissimo di star contraddicendo ciò che ho appena
detto del fascino ribelle, ecc, il problema è che nel privato gli
irriducibili rivoluzionari godono della simpatia di ognuno, ma
pubblicamente sono condannati da tutti –, dato che se qualche
reazionario detrattore ci accusa di essere delinquenti, criminali e
così via non si può negare di aver infranto la legge (magari non
l’abbiamo violata come un omicida plurimo, sta di fatto che comunque l’abbiamo violata). Meglio dunque non montarsi la testa, ché poi la si perde (Rivoluzione Francese docet), e muoversi
su un terreno sicuro, magari non così elettrizzante ed esplicita2 — LA TESTATA n3
mente rivoluzionario, ma che renda sicuramente più solida,
più forte e più difendibile la posizione di chi protesta. Inoltre,
quale miglior modo di dimostrare la propria abilità e intelligenza di giovani ribelli se non utilizzare e volgere a proprio
vantaggio la stessa arma dell’ordine e del sistema costituito,
ovvero la legge, dimostrando così di non essere eversivi riottosi e bruti, ma fini e cerebrali cospiratori? Sarebbe sicuramente
un’encomiabile azione e uno stupefacente virtuosismo rivoluzionario riuscire a fare una rivoluzione legale, per quanto questi
due termini assieme possano sembrare ossimorici. Inoltre un’autogestione, anche in quanto legale, ha il pregio di riuscire ad
avvicinare e coinvolgere categorie che per causa
maggiore e/o convinzioni non prenderebbero parte all’occupazione (leggasi professori) e altre che
sono sottoposte a un notevole stress in periodo di
occupazione (il personale A.T.A.). Per quanto riguarda l’efficacia, sono scettico in entrambi i casi.
Come può infatti esse efficace al giorno d’oggi un
tipo di protesta nato quarant’anni fa, che rispondeva a determinate esigenze, quelle di quarant’anni
fa appunto, che chiaramente non sono più quelle
del nostro tempo? Parlando tra classicisti, è come
se pretendessi di leggere oggi i testi greci e latini
ancora con l’interpretazione cristiano-medievale,
che, pur essendo affascinante, è chiaramente antiquata e superata. Starei chiaramente sbagliando. Con questo non dico di
gettare via il vecchio modo di fare, ma di lavoraci su, di soppesarlo e pensarlo, di scrollarli di dosso ruggine e polvere, di
reinventarlo. Mi direte: “Dacci tu la soluzione, allora, visto
che sei così bravo a parlare.” Vi rivelerò una cosa: io personalmente non ce l’ho, ma sono più che disposto a cercarla con
voi. E rendersi conto che qualcosa non va come dovrebbe è il
primo passo per risolvere il problema. 
MODERNA FORMA DI PROTESTA:
Ai Weiwei balla il ‘Gangnam
Style’ per denunciare le autorità
di Pechin. L’artista, architetto
e dissidente cinese in un video
diffuso sul web. Usa il tormentone
del momento del rapper
sudcoreano Psy per la sua
‘battaglia’ politica.
Memorie Manzoniane
(parte II)
di Federico Di Matteo III F
La quinta ginnasio è, senza dubbio, l’anno
più odioso per qualunque classicista: un
numero spropositato di temi verbali, che
non hanno alcuna utilità se non quella
di farsi figo con gli amici, che poi, figo,
non ti considerano affatto; tale fu il mio
secondo anno.
Come se non bastasse, quel simpaticone
di Fioroni – il predecessore della Gelmini,
per chi non lo sapesse – pensò bene a
come potesse rendere la vita scolastica
più intrigante, partorendo un’idea tanto
malvagia da meritarsi il rispetto di
Sauron: “Reintroduciamo – disse – gli
esami a Settembre” (Sospensione del
Giudizio per gli eruditi). Ebbene sì,
cari lettori, sette anni fa la gente poteva
fottersene (citazione necessaria) altamente
di avere il debito di latino e greco,
continuando a prendere insufficienze
su insufficienze per tutti e 5 gli anni, e
godersi ugualmente vacanze estive di
tutto rispetto. Ovviamente inaugurai
quel decreto facendomi rimandare a
Settembre.
Quello fu un anno di strani avvenimenti
– basti pensare che un giorno vidi una
persona essere trascinata, letteralmente,
lungo i corridoi verso la presidenza;
ci fu anche gente che riuscì a fuggire
da scuola, in un modo tanto elegante
quanto Houdini, per iscriversi ad
un nuovo gioco online, se non che
studenti che giravano in cortile vestiti
da Socrate rischiando non so per quale
motivo una sospensione – ma fu anche
un anno di cambiamenti: il Manzoni
godette dell’avvento dell’Autogestione.
All’epoca essa era una novità assoluta,
che scalzava l’Occupazione, dalla quale
non si riscontrò una sostanziale diversità,
almeno non agli occhi dello studente
medio; certo, avere tutta la scuola a
propria disposizione aveva favorito
il progetto nel riscuotere successo,
soprattutto agli organizzatori di bische
clandestine, tanto che venne portato
avanti di anno in anno, fino ad oggi. 
LA TESTATA n3 — 3
Occupazione
Dicembre 2012
di Lorenzo Pacini I D
Con questo articolo io, come studente manzoniano e
membro del CPM, a nome dello stesso Collettivo Politico
Manzoni, intendo stilare un resoconto finale delle giornate
del 10-11-12 dicembre 2012, durante le quali è stata portata
avanti l’occupazione studentesca del nostro istituto. Per
fare ciò è necessario che si faccia analisi di alcune questioni
fondamentali.
Prima di tutto, cosa vuol dire per noi occupare
la propria scuola?
Occupare la propria scuola è un’azione di protesta, una
presa di posizione chiara e ferma riguardo
gli argomenti di carattere politico che si intende affrontare
con un’occupazione. Si intende, quindi, una irrevocabile
decisione finalizzata a scopi di coinvolgimento e
partecipazione dell’intero organo studentesco della
scuola. Occupazione vuol dire anche responsabilità e
organizzazione. Nel momento in cui gli studenti decidono
di occupare l’edificio scolastico non si torna indietro,
non ci sono alternative, siamo noi ad assumerci la
totale responsabilità delle nostre azioni che riguardano
l’istituto. Di conseguenza, l’organizzazione diventa
indispensabile, nessuna azione politica potrà mai essere
basata sull’improvvisazione, altrimenti essa si trasformerà
inevitabilmente in un bordello di dimensioni direttamente
proporzionali all’incapacità del singolo che vi partecipa.
Questo primo punto è stato pienamente assorbito
nell’integrità dei suoi principi e parametri dalla nostra
occupazione, e fiero sono di affermarlo. La partecipazione
ai collettivi di argomento socio-culturale è stata
straordinaria, l’organizzazione efficiente, il messaggio
politico è stato captato dalla stragrande maggioranza degli
studenti.
Altro obiettivo di un’occupazione è riuscire
a diffondere il messaggio politico anche al di
fuori dell’istituto. I primi interessati sono le scuole e
gli studenti della città, dai quali ci si vuole aspettare un
coinvolgimento di carattere non solo emotivo e ideologico,
ma allo stesso tempo di partecipazione e cooperazione.
È certamente un compito più difficile, che necessita la
presenza di una serie di fattori che permettano l’unità del
Movimento milanese, che a volte può mancare.
La nostra occupazione è riuscita a trovarsi in un periodo
durate il quale si sono viste molte altre scuole cogestite,
4 — LA TESTATA n3
autogestite e occupate (es. Parini, Allende, Agnesi,
Brera). Non è un caso. L’autunno è sempre caldo, certo,
ma quest’anno si è visto – dai cortei, dai presidii, dalle
occupazioni – che si è risvegliato un sentimento politico
negli animi degli studenti milanesi, che in fondo teniamo
davvero alla nostra scuola e al nostro futuro, che non basta
un nano di meno al potere per fermarci.
Ritorniamo ora a una questione che riguarda più
internamente il nostro istituto. Trattandosi di
un’occupazione, è plausibile che ci possa essere un
malcontento dei professori, parte fondamentale della stessa
scuola. La questione è molto semplice: l’occupazione
non è e non sarà mai rivolta contro insegnanti
o preside, non sia mai che si vada incontro a inimicizie e
contrasti. Purtroppo, proprio per la stessa caratteristica che
differenzia un’autogestione dall’occupazione, è inevitabile
un “mancato coinvolgimento” del corpo docenti. Sono
gli studenti che
occupano. Punto.
Dall’assemblea
di corso, tenutasi
qualche settimana
prima, si era
riusciti ad ottenere
un forte dialogo
interno, che aveva
raggiunto i suoi più
elevati livelli con
la partecipazione
dei professori, anche se pochi di loro hanno preso parte
al presidio di sabato 24 novembre, organizzato dal
CPM. Evviva il dialogo! Evviva la collaborazione! Ma
siamo diversi, quindi c’è un “però”, che ha determinato
sicuramente la decisione di occupare. Ci sono momenti in
cui gli studenti, in piena consapevolezza politica, devono
prendere alcune decisioni senza dover per forza tener conto
di un professore/genitore/suocero. La scelta è nostra, se
un docente è d’accordo, siamo contenti, grazie; se non è
d’accordo, ci dispiace. Mai e poi mai una scelta del genere,
come l’occupazione, dovrà comportare l’influenza dal
parere di qualcuno che non sia uno studente. L’errore che,
appunto, è sempre più solito commettere in occasioni del
tipo, è quello di indugiare o cercare lo scontro, sottoforma
Prima di tutto,
cosa vuol
dire per noi
occupare la
propria scuola?
di “vendettina”, di fronte ad un “no” di professori o preside.
Questo è quello che abbiamo fatto, l’occupazione, portata
avanti dagli studenti, si rivolge agli studenti (non a caso
insegnanti e preside sono stati fatti passare attraverso il
picchetto, ogni mattina, puntualmente alle 8).
Altra questione, forse più ideologica: quante volte ci
siamo sentiti dire la frase-tipo “prima di tutto è una cosa
illegale” da parte di chi, contrario alle nostre scelte,
faceva valere, giustamente, le proprie ragioni. Siamo
d’accordo, è illegale, al di fuori della legge, ne abbiamo
piena consapevolezza. Ma una cosa è l’illegale, un’altra
è l’illegittimo, il non giusto. Ricorderei che deportare gli
Ebrei fu legale, l’Apartheid fu legale. Era giusto? No. Era,
invece, illegale fare il partigiano. Era giusto? Sì. Lo so,
sono paragoni impraticabili, insolenti, ingiusti con la nostra
situazione, ma quando i Nazisti occupavano il Paese e
deportavano gli Ebrei, si andava in montagna imbracciando
il fucile; oggi per quello che fanno le istituzioni su di
noi ogni giorno, reprimendoci, togliendoci il futuro,
tagliandoci la scuola, noi rispondiamo: noi occupiamo. In
proporzione, rispondiamo oggi come si rispondeva allora.
Il succo del discorso è proprio questo: non sempre
legge e legittimità coincidono. Noi ci siamo sentiti
perfettamente legittimati nelle nostre azioni e, quando
dico noi, intendo tutti gli studenti che hanno partecipato e
aderito all’occupazione.
Per quanto riguarda invece l’analisi dei fatti, lasciamo
parlare i numeri. Danni alla scuola: nessuno. Morti o feriti:
nessuno. Grazie ad un’efficiente organizzazione degli
studenti, l’ordine pubblico all’interno dell’edificio si è
mantenuto sia durante il giorno sia durante le “serate”.
In conclusione, la nostra scuola ha dimostrato, ancora una
volta, la sua capacità, il suo impegno e il suo grandioso
entusiasmo in tutto ciò che si pone come obiettivo. 
L’occupazione del
10-11-12 dicembre ci
ha fatto capire quanto
l’attività politica
rappresenti una
parte fondamentale
dell’identità
manzoniana, sta a noi
studenti tenerla viva
e migliorarla
nel tempo.
LA TESTATA n3 — 5
Malala
di Vera Calabrese VD
Malala Yousafzai è una ragazzina di 14 anni, a cui hanno sparato il 9 ottobre perché aveva lottato per un suo diritto: andare a
scuola. Questa è una cruda realtà che sembra appartenere a un
altro mondo, eppure esiste davvero in Pakistan. Già dal 1996 i
talebani hanno occupato Kabul, chiuso tutte le scuole e limitato
soprattutto i diritti di donne e ragazze. Ma esattamente chi sono
i talebani? Sono fanatici religiosi noti soprattutto per l’odio nei
confronti dell’arte e delle donne. I talebani affermano di sostenere un movimento a nome dell’Islam, mentre spesso non conoscono i valori più importanti della religione, studiano solo pochi
versi del Corano e in molti casi non sanno neanche leggere e
scrivere. Il loro modo di governare
è violento e brutale: terrorizzano le
donne, proibiscono loro di andare a
scuola, di lavorare nell’amministrazione pubblica, di curarsi se stanno
male; ma anche di fare le cose più
semplici, che tutti noi facciamo
abitualmente, come uscire di casa,
fare sport e ascoltare musica. Le
loro punizioni sono atroci: lapidano
donne considerate da loro immorali, seppelliscono vive quelle accusate di tradimento coniugale e molte
altre torture…
Malala Yousafzai, a solamente undici anni, spinta da un amore per lo
studio, ha avuto il coraggio di lottare contro questo governo.
Tutto è cominciato nel 2008, quando i talebani hanno preso la
regione dello Swat, in Pakistan. Subito dopo hanno chiuso le
scuole, proibito che le donne avessero un’istruzione e distrutto
molte scuole femminili, creando caos, conflitti e umentando ancora di più la miseria. La BBC (British Broadcasting Corporation) non era riuscita a ricavare molte informazioni
riguardo il conflitto, infatti spesso i giornalisti venivano travolti
nei bombardamenti. Così la BBC ha deciso di entrare in contatto
con insegnanti di alcune scuole, tra cui il papà di Malala, Ziauddin Yousafzai, della città di Mingora. Ziauddin ha proposto alla
figlia di scrivere un diario
regolare sul blog della BBC. Dopo aver accettato, Malala nel
blog ha raccontato il caos della città e la condizione di una normale studentessa pakistana, costretta a vivere quotidianamente nel terrore. I talebani infatti hanno l’obiettivo di chiudere le
scuole femminili entro il 2014 e per fare ciò creano il panico negli edifici: per esempio, hanno avvelenato studentesse con acqua
infetta e riempito le classi con materiali tossici. Malala ha anche
scritto che, per il bando dei talebani e la paura, il numero delle
studentesse andava via via a diminuire. Malala stessa viveva
nel terrore tutti i giorni, ma la voglia di studiare era più forte.
Per strada evitava di indossare la divisa scolastica e nascondeva i libri sotto lo scialle per non dare nell’occhio. Nel maggio
12 — LA TESTATA n3
2009 c’è stata un’operazione dell’esercito pakistano per liberare
la regione dai talebani, così Malala ha dovuto lasciare Mingora
con la sua famiglia e ha smesso di scrivere il diario. Qualche
mese dopo, con la vittoria dell’esercito pakistano, è potuta tornare nella sua città. A quel punto il papà di Malala ha deciso
di rivelare il vero nome della figlia. La ragazzina ha ottenuto
un grande successo non solo in Pakistan, ma in tutto il mondo.
Ha avuto il coraggio di criticare in tv i talebani, pur sapendo di
correre molti rischi. Malala difende l’istruzione, dicendo: “dateci delle penne oppure i terroristi metteranno in mano alla mia
generazione le armi”. Da quando i talebani hanno lasciato la regione dello Swat, la situazione è tornata alla normalità: stanno
ricostruendo le scuole e le ragazze possono studiare, ma ci vuole
ancora molto tempo perché il Pakistan diventi un paese con le
nostre stesse libertà. Il 9 ottobre Malala stava tornando a casa
sullo scuolabus, quando un uomo giovane, armato e barbuto è
salito e ha semplicemente chiesto:”Chi è Malala?”. Nessuna risposta, ma tutti si sono girati istintivamente verso la ragazzina.
Subito l’uomo ha sparato contro di lei almeno sei colpi alla testa,
mirando per sbaglio anche alla gamba di una sua compagna. Sicuro di averla ammazzata, si è voltato e se n’è andato, lasciando
Malala in un bagno di sangue. Subito la ragazzina è stata portata
d’urgenza all’ospedale di Mingora,
per poi essere trasferita al sicuro a
Peshawar e infine a Birmingham, in
Inghilterra. Perché sparare contro
una ragazzina? Questo sconcerto si
è diffuso in Pakistan come nel resto del mondo. A questa domanda
i talebani rispondono che è un loro
diritto attaccarla, è il Corano che lo
dice. La accusano di fare propaganda negativa contro i musulmani e di
avere come idolo Obama, in sintesi
la considerano come simbolo degli infedeli e dell’oscenità. Inoltre
minacciano di uccidere tutti i suoi
collaboratori.
Malala è stata in gravi condizioni,
un proiettile le ha sfiorato il cervello danneggiandolo, non si può dire fino a che punto. I medici
hanno fatto un’operazione alla testa dell’adolescente sostituendole parte dell’osso con titanio. La ragazzina resta in coma per
un mese in fin di vita. Ma Malala non è più sola, altre ragazze
manifestano per avere un’istruzione mettendo a rischio persino
la propria vita. Il 9 novembre Malala ha riaperto gli occhi e ha
ricominciato a prendere conoscenza. Prima cosa a farla svegliare
è stata sentire la voce del padre Ziauddin al telefono.
Giaceva nel suo letto stringendo un orsetto bianco, aveva gli occhi gonfi, viola e una cannula
che le usciva dal naso. Il 4 gennaio finalmente è uscita dall’ospedale, ma è costretta a rimanere a Londra per un altro intervento
al cranio. La ragazza migliora di giorno in giorno e ringrazia
tutto il mondo d’interessarsi alla sua guarigione. Anche il padre
Ziauddin è grato a tutti, ma ora l’unica cosa importante per lui
è la vita della figlia e la sua completa riabilitazione. I talebani
hanno voluto sbarazzarsi di una pakistana che li ostacolava, ma
non ci sono riusciti, anzi, l’hanno trasformata in un’eroina. Ora
Malala ha l’appoggio di tutte le ragazze, dello stesso presidente
del Pakistan e del mondo, entro la fine del 2015 dovrebbe entrare
in vigore il “Piano Malala”: tutte le ragazze del mondo avranno
diritto all’istruzione. Forse Malala sta riuscendo davvero a ottenere quello che le spetta di diritto. 
Idoli,
no grazie!
di Mattia Giordano II B
N
oi studiamo e questo è un dovere a cui non
possiamo sottrarci. Dove sta il piacere, se lo
studio non è solo una tortura? Ogni tanto, se c’è,
sta nei posti sbagliati. L’idea generale da cui voglio partire
è che fare qualcosa per osannare qualcuno di più potente,
o magari per indottrinamento di qualcuno di più potente,
è lesivo della propria autonomia di pensiero.
Nei confronti del “potente” non bisogna
mai porsi con accondiscendenza (a meno
che non se ne voglia trarre vantaggio personale, da furbi), ma con criticità obiettiva. L’esempio a noi più vicino è il professore. Egli, per definizione, è un “potente”
rispetto allo studente, perché ha “potere”
su di lui, è il “propugnatore” di quel dovere imposto che è lo studio, e soprattutto lo
giudica. Ha il coltello dalla parte del ma-
nico, come ogni giudice. Per cui volgere
il proprio sforzo al fine di compiacere un
professore è negare la propria autonomia.
È inutile premettere che spesso coloro che
agiscono così sono ossessionati dall’andare molto bene a scuola. Si può provare
stima per chi insegna, gratitudine, simpatia, ma il mio piacere di studente non deve
stare nel mostrarmi “bravo”, nel bramare
solamente un voto alto e un sorriso. Stu-
diare diventa totalmente inutile. Il professore è una grande sorgente, una fonte,
non un “idolo” (positivo o negativo). La
consapevolezza di essersi guadagnato
quel risultato, o nel veder confermata la
propria passione per una materia, sono
validi motivi per essere fieri di un voto.
L’idolatria (che è in positivo e in negativo) è una bestia feroce, umiliante, a mio
avviso, non solo per lo studente. Non
ce n’è alcun bisogno di inscenare galà
dell’ipocrisia, né di essere posseduti dal
terrore di “deludere” un professore: può
capitare di non aver studiato o di non
averne voglia, ma è un problema tutto
dello studente. Lo studio, il piacere, e la
responsabilità derivante è appunto tutta
personale. L’importante è essere sempre
autonomi. Ciò non significa che i professori siano androidi distaccati che ripetono lezioni: simpatia, antipatia, enorme
stima, è normale che si abbiano, è giusto. Semplicemente è bene non perdere
di vista che io studio per me, non per altri, che se non è così mi sto assoggettando a quegli altri. Bisogna partecipare,
non subire. Se a qualcuno, in realtà, non
interessa veramente niente ciò che fa a
scuola, è bene che non lo faccia. Non
si può studiare greco o filosofia perché
è bravo o simpatico il professore, come
credere perché è bravo il prete, ma studiare in nome della passione che lui sa o
meno far nascere, o che lo studente già
ha. E a “professore” si può sostituire la
parola “parente” e il ragionamento non
cambia. Chiunque imponga, chiunque
sia al di sopra va preso con criticità, gli
va riconosciuto il giusto ruolo, però mai
lasciarsi schiacciare. Agire per qualcuno
che idealmente ci “sovrasta” e davanti a
cui dobbiamo mostrarci bravi bambini
per amore o timore, professore o parente
o guru che sia, equivale a formarsi per
quel qualcuno, il che è un controsenso,
perché “formarsi” vuol dire diventare indipendenti. Lo stesso discorso si
estende infatti a tutti i campi. Bisogna
stare attenti agli slogan e alle cose che
ci dice chi, in un’ ideale scala gerarchica, ci sta sopra, perché ha più esperienza
in un determinato campo: i “capi” non
sono fonti di verità ed emularli non fa
salire nessuno al gradino più in alto della “scala sociale”, che neanche esiste. A
stare fuori dal meccanismo, non avendo bisogno di qualcuno che ci dica cosa
pensare, si vive comunque benissimo. È
troppo facile applaudire a due discorsi
triti e ritriti e tutto va bene. Molto più
difficile è capire perché si applaude o
magari perché si sente l’impulso irrefrenabile di stare fermi. 
LA TESTATA n3 — 7
Venezia
di Elia Steve II C
L’
uomo salì le scalette del treno,
scostò un’anziana coppia, un
distinto uomo di mezza età
e un ragazzino di una quindicina d’anni.
Con passo calmo si diresse verso
la sua poltroncina; si tolse il cappotto,
lo appese alla piccola gruccia accanto
ad essa e si sedette. Accavallò le gambe
e guardò l’orologio: le quattro. Perfetto.
Sarebbe arrivato prima del tramonto.
Con un fischio e un leggero sussulto
il treno si mosse e, staccandosi dalla
banchina, iniziò a percorrere la sua via.
Contemporaneamente, non molto lontano, la vecchia signora
ebbe un fremito, come un guizzo di coscienza in un mare di
oblio. Per un attimo pensò di essersi sbagliata. Tese l’orecchio.
Nulla. Ascoltò meglio. Sì, ora riusciva a sentirlo: un flebile
ronzio, quasi impercettibile. Non si era sbagliata.
Il controllore veniva avanti con un incedere svogliato.
“Biglietti... Biglietti... La ringrazio. Biglietti...”
Arrivò accanto all’uomo: benché avesse gli occhi aperti, era
talmente immobile che sarebbe potuto sembrare morto.
“Buongiorno, signore. Biglietto, prego.”
L’uomo squadrò il controllore con flemma, poi lentamente
prese dalla tasca interna della giacca il biglietto e glielo diede.
Il controllore lo bucò e glielo porse.
“Molte grazie, signore.” Proseguì nel suo giro.
L’uomo si rimise nella sua posizione iniziale. Soffocò un moto
di fastidio. Morti viventi, esseri senz’anima. Per fortuna la sua
permanenza lì era quasi giunta al termine.
Ora il ronzio si faceva più forte. La vecchia signora iniziò
a svegliarsi completamente. Si stirò con voluttà. Percepì
i mucchietti di materiale sulla sua schiena, così come i
piccoli passettini degli esseri che camminavano sul suo
dorso. Provò prurito, ma non aveva forza sufficiente per
grattarsi. Non ancora. Si impose di essere paziente, e iniziò
a raccogliere le forze.
8 — LA TESTATA n3
Gradualmente il treno iniziò a rallentare e, con uno stridore
di binari, raggiunse lo stato prossimo all’immobilità. Cercò di
andare ancora un poco avanti, ma non ci riuscì, e si fermò con
un’ultima, leggera scossa. I passeggeri iniziarono ad accalcarsi
verso l’uscita. Una voce metallica gracchiò negli altoparlanti:
“Venezia Santa Lucia, stazione di Venezia Santa Lucia.
Termine corsa del treno.”
L’uomo aspettò che tutti gli altri se ne fossero andati. Poi,
lentamente, si alzò, prese il suo cappotto, lo indossò e si avviò
verso le porte del treno. Uscito, tirò un respiro, e gli sembrò
di respirare veramente per la prima volta in tanti anni. Troppi.
Soffocò un moto di rimpianto, e si diresse a passi svelti verso
la sua meta. Guardò le acque dei canali incresparsi e agitarsi
violentemente. Sorrise. Sto arrivando, pensò.
La vecchia signora sentì sulla sua schiena il vibrare lento e
ritmato del treno. Ne passavano tanti ogni giorno, ma questo
era diverso. Lui era lì, lo sentiva. Il suo corpo iniziò ad agitarsi,
scosso da brividi freddi. Il tremore si fece quasi incontrollabile;
i brividi partivano dalla sua testa e si propagavano fino alla
coda, violenti.
L’attesa era quasi giunta al termine. Un’ondata di felicità
attraversò le sue membra. Stava arrivando.
L’uomo, dopo un cammino di un tempo indefinito, arrivò alla
sua meta. Si arrestò davanti ad una scalinata che si gettava nel
mare; ebbe un attimo di esitazione, poi iniziò a scendere. Dopo
qualche gradino arrivò a pelo dell’acqua, ma non si fermò,
fiducioso che le sue antiche abilità si fossero mantenute, anche
dopo tutto quel tempo. Sorrise quando mise la testa sott’acqua e
scoprì di essere ancora in grado di respirare.
Si arrestò davanti ad una porticina. Muovendosi in modo
fluido e naturale, malgrado si trovasse immerso sotto tre metri
d’acqua, si slacciò la giacca, la camicia e prese la chiave che
gli pendeva sul petto, appesa ad una catena. Ripulì il legno
della porta, che non era marcito benché si trovasse lì da secoli,
passandoci sopra il palmo della mano, e mise a nudo il buco
di una serratura. Con il polso che gli tremava leggermente
dall’emozione, infilò la chiave nella toppa. I piccoli cilindretti
del meccanismo interno si allinearono e quello scattò con un
clic. Non nascondendo la propria emozione, l’uomo entrò.
La vecchia signora aveva sentito che stava arrivando. Era
stata percorsa da un tremito violento, quasi convulso, quando
aveva sentito il piede di lui che si poggiava sulla sua schiena, e
aveva continuato a tremare man mano che lui avanzava. Le sue
membra, costrette per secoli ad un’immobilità forzata, stavano
premendo per spezzare il legacci che le tenevano avvinte.
Percepì sulla pelle le barriere che erano state costruite da quegli
strani animaletti; iniziò a fare forza e sentì che cedevano. Già
in superficie molti piccoli mucchietti di materiale crollavano,
e sentiva che gli esserini si agitavano frenetici. Continuò
a spingere. Contemporaneamente, sentì che le sue mani
toccavano l’ingresso. A quel tocco amico, lungamente bramato,
il suo corpo umano, disteso da tempo immemorabile sopra un
letto in casa, aprì gli occhi. Si alzò, mise indumenti leggeri sulla
pelle rosea e liscia, poi iniziò a camminare. Varcò la soglia della
stanza e si diresse verso di lui.
L’uomo, quasi titubante, fece qualche passo. Si volse indietro:
l’acqua non entrava in quel luogo, come sempre. Sorrise
e chiuse la porta. Nulla era cambiato dall’ultima volta che
aveva dovuto lasciare quella dimora, in fuga per proteggere
colei che amava dal condividere lo stesso destino che loro
volevano infliggergli. Ma ora era diverso. Erano tutti morti,
alcuni per l’eccessiva vecchiaia dei loro corpi, altri per mano
sua. In diverse epoche aveva fatto pulizia, e non ne rimaneva
più nessuno: aveva spezzato il collo dell’ultimo a Francoforte,
cinque giorni addietro. Erano liberi, ora. Si levò il cappotto, lo
appese a una gruccia. Sentì un dolce scricchiolio, impercettibile
per un orecchio non allenato quanto il suo. Si voltò. Lei era lì,
di fronte a lui. Sembrava che non fosse passato un giorno. Era
bella come sempre.
Mentre la giovane donna passava lungo il corridoio, gettò
uno sguardo distratto allo specchio. Non era affatto cambiata:
il sonno nel quale si era messa dopo la sua partenza l’aveva
preservata dalla corruzione del tempo e, del resto, loro facevano
parte dei pochi che avevano ricevuto alla nascita il dono di non
invecchiare. Scese rapidamente le scale. Sentì il rumore della
porta che si chiudeva, poi il fruscio di un cappotto appeso.
Trepidante, affrettò il passo. Mentre sostava sotto lo stipite, egli
si accorse di lei. Si girò.
La giovane lo guardò negli occhi. Ardevano. Neanche lui era
invecchiato di un giorno.
I due si corsero incontro; le braccia dell’uno anelavano l’altra.
Si strinsero. Rimasero così a lungo, immobili, tremanti di gioia.
Sopra alla schiena della vecchia signora palazzi crollavano,
ponti si disfacevano. Le gondole erano inghiottite dalle acque
rumoreggianti.
Si staccarono dopo un tempo che nessuno dei due avrebbe
saputo quantificare. Si guardarono, l’uno negli occhi dell’altra.
Si scambiarono un bacio.
L’uomo la guardò. Lacrime bagnavano gli occhi verdi di lei. Si
sorrisero.
“È tempo di andare. Portaci via” le disse.
Lei sorrise ancora di più. Lo abbracciò. Lui ricambiò
l’abbraccio.
La vecchia signora a quelle parole si destò
completamente. Scrollò dalla sua schiena gli edifici che
rimanevano ancora in piedi, poi, con un colpo di coda, si
immerse. Finalmente, dopo mille anni, lasciò la sua sede,
e si diresse verso il mare aperto, salutata dalle screziature
rosse e oro del tramonto nel cielo. 
LA TESTATA n3 — 9
Non ha più sprint
il folletto Spread!
di Federica Messaggeri IB
Lapponia, Circolo Polare Artico,
Rovaniemi, Azienda di manodopera
follettistica “Il giocattolo speciale
del panciuto Babbo Natale” S.p.A.
Situazione in azienda alle ore 14:58
SPREAD (FOLLETTO
DIRETTORE): Muoversi, muoversi!
Fra meno di due minuti il capo sarà
qui e vorrà che tutto sia pronto. (tra sé)
Come se cioccolata calda e ciambelle
apparissero per magia! E con gli stipendi
da fame che ci paga! (a tutti i folletti
presenti) Timoty, non perdere tempo!
Jenny, non allacciarti la scarpa! Sarà qui
fra pochissimo, folletti miei, e se il suo
cibo non sarà pronto ad affrontare le sue
terribili fauci…. Hmm scusate… se il
cibo non sarà in tavola darà di matto!
Quindi scattare!
TIMOTY, JENNY E GLI ALTRI
FOLLETTI: Sì, direttore!
Arriva Babbo Natale con passo lento ed
affannoso. Valica l’ingresso ed attende che
qualcuno giunga a prendergli il soprabito.
SPREAD: Buongiorno, signor Natale.
Come sta, signor Natale? Sua moglie sta
bene?
BABBO NATALE: Moglie…. Bene
si…. Sta bene. Anche se quando si mette
a farfugliare sul cibo io… vabbe’. Dove
sono la mia cioccolata con praline e la mia
scatola di ciambelle glassate? Sto morendo
di fame!
JACKIE: Nel suo ufficio, signor Natale, e
la poltrona reclinabile è per lei azionata per
un dolce massaggio.
BN: Fantastico, faccio sempre confusione
con quei tasti: a volte schiaccio e non va,
mentre altre schiaccio e va… bah.
S: (tra sé) È diventato padrone di un
impero mondiale e non sa nemmeno cosa
sia un tasto on/off e io, dopo vent’anni gli
porto ciambelle e gli accen…
BN: Hai detto qualcosa, Ti… Ted?
10 — LA TESTATA n3
S: No, signore. Ma la pregherei di
chiamarmi Spread.
BN: (tra sé) Come mi piacciono queste
ciambelle, mamma mia! (a Spread) Cosa
dici? Ah, sì, sì… volevo dire Fred.
S: Sì, certo signore. (tra sé andandosene)
Sono vent’anni, vent’anni che lavoro per
questo… e lui nemmeno si ricorda come
mi chiamo! Ma ora non posso pensarci,
manca solo una settimana al Natale e qui
c’è ancora tutto da fare! Devo parlare coi
folletti di fabbrica e dire loro di velocizzare
i tempi, anche se si infurieranno e io
dovrò ancora una volta prendere le sue
difese. Senza pensare al fatto che dovrò
dire a mia moglie che farò tardi anche
stasera, non posso permettermi di non
accettare un turno straordinario, mi
servono i soldi, mi serve questo lavoro e di
questi tempi sarebbe meglio far meno gli
schizzinosi. Ma poi ripenso a quell’uomo
tranquillamente seduto in poltrona nel suo
ufficio con tutti i comfort ed insieme alla
mia bolletta, cara come il fuoco per quel
che mi tocca spendere di riscaldamento,
con questo freddo! A volte avrei proprio
voglia di mollare tutto e di andare da lui e
dirgli che… ma no, non posso farlo! Ho
una famiglia, devo pensare ai miei figli, e
poi da quando circolano meno renne, col
fatto che Babbo Natale deve avere la
sua sicura scorta nel suo allevamento,
il prezzo della carne si è alzato e qui
non è che si trovi molto altro; quassù
l’unico modo per tirare avanti è pescare
e allevare renne e soprattutto importare
tutto quello che non possiamo procurarci
da soli. E si sa, i prodotti che arrivano
da fuori costano di più, e come se non
bastasse rincarano pure i prezzi delle
poche cose che riusciamo a procurarci
da noi! È incredibile! Ma devo smetterla
di tormentarmi, o finirà che per lo stress
non…
J: Signore! Signore! Signor direttore, in
fabbrica servono le sue direttive. Manca
solo una settimana, sono tutti molto
agitati e qui siamo molto indietro con i
preparativi.
S: Sì, lo so, Jenny, lo so. Dovrei
parlare con il capo a proposito, ma sai
che quando mangia non vuole essere
disturbato.
J: Ma signore, manca solo una settimana
ed io… e noi tutti…
S: Ho capito Jenny, ho capito! Vado a
parlargli subito, sperando di riuscire a
velocizzare i tempi almeno quest’anno
e non ridurci sempre all’ultimo minuto,
considerato che già siamo in ritardo!
Spread si dirige nuovamente verso
l’ufficio di Babbo Natale cercando di non
sembrare agitato, al capo non piacciono
le persone che si angosciano per nulla,
per cose di scarsa importanza che lui
molto prontamente definisce “banalità”.
Spread bussa alla porta.
BN: Chi bussa? Sei forse nuovo? Non
lo sai che dalle 15 alle 16 ho bisogno del
mio relax? Va’via!
S: Signor Natale, veramente sono
Spread, il direttore, e avrei una cosa
molto importante di cui parlarle.
BN: Può aspettare, ora sono molto
impegnato.
S: (entrando nell’ufficio) Mi scusi
signore per l’irruzione, ma ciò che ho da
dirle riguarda l’azienda
e in particolar modo la fabbrica dei
giocattoli. Vede, siccome i materiali per
la costruzione dei giocattoli sono arrivati
solo ieri, i folletti di fabbrica temono di
non riuscire a finire in tempo per la notte
del 24 dicembre, in particolar modo con le
macchine antiquate ed ormai superate che
hanno per svolgere il loro lavoro e…
BN: Allora che lavorino di più! Ti
incarico di raddoppiare a tutti i turni di
lavoro e per questa settimana chiuderemo
la fabbrica non alle 18, ma alle 22. Sono
stato chiaro? E ora lasciami lavorare in
pace!
S: (tra sé) E ingozzarsi stando seduto
in poltrona sarebbe un lavoro? Se il
suo è un lavoro, il mio è tre lavori
messi insieme e dovrebbe pagarmi tre
volte tanto! (A Babbo Natale) Signore,
non credo che i folletti prenderanno
molto bene questa storia, anche se posso
cercare di convincerli ricordando loro che
sono ore straordinarie e quindi retribuite
maggiormente…
BN: Prendere bene questa storia? Retribuite
maggiormente? Vedo che non ci siamo ben
capiti.
Ti dirò una cosa, anzi ti farò una domanda.
Sai perché io sono qui?
S: (tra sé) Sinceramente me lo chiedo da
anni! (A Babbo Natale) Perché lei è la figura
più adatta a svolgere questo compito?
BN: Ovviamente sì. Ma non è questa la
risposta. Io sono qui perché mio padre era
qui e prima di lui mio nonno e prima di
mio nonno il mio bisnonno e così via per
tutti i miei antenati. Io sono qui perché
loro hanno lavorato per costruire un
Impero Commerciale Mondiale, che
ora io posso e voglio godermi in santa
pace, chiaro? Faccio il mio dovere
tutti i giorni venendo qui in ufficio
dalle 15 alle 18 e non più dalle 16 alle
18, perché mi dicono che c’è “crisi”
e bisogna che un capo sia presente e
faccio il mio dovere tutti i santi Natali
consegnando pacchi e pacchi di regali
per tutta la lunga notte del 24 dicembre.
S: (tra sé) Se sommassimo tutte le sue
ore di vero lavoro, non riuscirebbero
nemmeno ad eguagliare quelle di una mia
sola settimana in questo posto!
BN: (continuando senza sentirlo) Detto
ciò, quest’azienda è mia, è della mia
famiglia e voi siete miei dipendenti e tu, in
particolare, sei il folletto a cui io ho affidato
la gestione della mia azienda, quindi…
S: Ma signore, senza la sua firma le
consegne non potevano arrivare ed i
giocattoli non potevano…
BN: … quindi tu devi occuparti di
ogni problema! Tu sei stato assunto per
evitare che io mi occupassi di tutto ciò,
per evitare che io solo sentissi le parole
“problema” e “crisi”, di cui ho già la testa
piena grazie a quei dannati telegiornali
che piacciono tanto a mia moglie e
che sembrano avere la grande capacità
di innervosirmi! Sei stato assunto per
evitare che io le sentissi nominare
perché, per come la vedo io, voi non
avete alcun “problema” e io non sento la
“crisi”, né tantomeno sento che voi vi ci
trovate in mezzo. Quindi… io non voglio
sentire nulla di tutto ciò, ma voglio solo
conoscere il risultato finale e tu devi fare
in modo che sia così, fai il tuo lavoro! E se
dovrò ancora occuparmi di qualcosa per
cui pago te, allora vorrà dire che non sai
svolgerlo, questo tuo lavoro, e io agirò di
conseguenza, mi sono spiegato? E per quel
che riguarda i folletti di fabbrica, visto che
tu hai causato questo “problema”, o ti offri
tu di pagare i loro straordinari o trovi il
modo di convincerli a farli, com’è giusto
che sia, per puro senso del dovere e per
riparare ad una situazione che tu e loro avete
creato.
S: C-certo, s-signor Natale, parlerò io con
loro, signor Natale.
BN: Bene! E non fare quella faccia, ché non
è successo nulla. E ricordati – e in particolar
modo ricordatevi – che siete fortunati ad avere
un lavoro in questa azienda… tredicesima,
quattordicesima, ferie pagate, io sono un
uomo buono, lo sanno tutti, del resto bisogna
accontentarsi, non serve a nulla creare
problemi che non ci sono, non credi? 
Epoca delle
gioventù bruciate
di Drowninyourownpain, IV ginnasio
Era l’epoca del liceo, delle canne, dei tatuaggi, l’epoca dei primi
amori, delle farfalle nello stomaco. L’epoca del caos, degli
scazzi, delle botte, dei colori. L’epoca della rivoluzione, delle
lotte, dei soldi che mancavano e dei genitori che si scannavano.
L’epoca dei “ti amo ma ti odio”, l’epoca in cui sapevi quello
che non eri anche se quello che eri non lo avevi ancora capito
per bene. L’epoca dei capelli colorati, dei dread, della musica
che ti strappava via dalla realtà. Delle amicizie che se ne
andavano, dei pugni nello stomaco. Non ce ne rendevamo
neanche conto, giovani illusi di essere disillusi. Chissà chi di
voi il dolore lo nasconde bene quanto me. sono qui per parlare
di noi, di voi, di me. abbiamo quest’ansia di essere amati, ci
prendiamo le colpe del nostro non-amore e versiamo lacrime
amare in noi stessi, siamo bloccati nel sogno a occhi aperti
che ci arraffa all’improvviso nel bel mezzo di filosofiche
condizioni di vittimismo. Tremiamo come foglie dolenti e
abbiamo scheletri nascosti in ragnatele grigie nel nostro petto.
Ciao, sono logorroica. Imperfetta e perfettamente orrenda nel
mio essere me stessa e diversamente affabile nel mio essere
finta. Sono queste urla strazianti e questi bisbigli impercettibili
a far girare il mondo, ‘sta fottuta pelle d’oca che mi congela e
scongela prima di sbattere contro lo specchio ancora, e ancora,
e ancora. Vorrei spegnere le luci di questa città che (amo) odio
e farla saltare in aria, altrimenti verrò risucchiata dal mondo
kafkiano che cerca di fottermi. Vorrei mandarvi una pillola
“anti-odio”, stessa lunghezza d’onda, ragazzi, per sempre e
mai, contemporaneamente, siamo solo noi. Siamo sillogismi
casuali in questa caotica Milano, giovani persi che si cercano e si
avvelenano. Avete l’acido muriatico al posto delle parole, forse
siamo troppo piccoli per capire, o troppo grandi per vedere. 
LA TESTATA n3 — 11
Oroscopo
cinese:
Oroscopo
Istruzioni
cinese:
per
l’uso
Istruzioni
di Margherita Protti I B
Lo zodiaco cinese è composto, come il nostro,
da 12 segni, ma ad ognuno di essi corrisponde
un anno, anziché un mese. Inoltre, poiché il
Capodanno cinese cade nella prima luna nuova
dopo l’entrata del sole nel segno dell’Acquario,
esso non corrisponde al nostro, ma cade sempre
tra il 21 gennaio e il 19 febbraio. Quest’anno
il Capodanno cinese è il 10 febbraio, in quella
data si entra nell’anno del Serpente, mentre
il 2012 è stato l’anno del Drago.
Topo 子:
19 febbraio 1996
6 febbraio 1997
Quest’anno
sarà per te
foriero di nuove,
entusiasmanti
novità. Zuckerberg
deciderà che
si è stufato del
blu e progetterà di rendere il tuo profilo di
un imbarazzante color rosa salmone. Solo il
tuo, però. Se sei fortunato, o se hai un amico
hacker, potresti riuscire a trasformarlo in ocra,
o giallo canarino. A te la scelta! Comunque
questo non influirà sulla tua vita sociale, che
sarà già corsa ad ubriacarsi con i tuoi amici,
lasciandoti da solo a smanettare al computer.
birra più scadente. Se nevicherà, la battaglia
a palle di neve che si scatenerà sarà davvero
violenta e davvero divertente, ma potrebbe
farti avere una ricaduta: a quel punto starai a
casa direttamente fino a gennaio, ma sarà dura
recuperare tutto…
curare le tartarughe della tua anziana vicina
di casa, oppure rubare le briciole ai piccioni
e impacchettarle in un’elegante carta a pois
arancioni per venderle a uccelli più facoltosi.
Tigre 寅:
28 gennaio 1998
15 febbraio 1999
Guardati dalla
tecnologia! Essa infatti
sarà la causa di un
grave incidente che
capiterà verso metà
Agosto a uno dei tuoi
mignoli: ti conviene
iniziare a mangiare
esclusivamente cibo
biologico crudo, regalare o rivendere computer,
cellulare, televisione e ogni altro oggetto a
spina o a batteria (compresa quella maledetta
Reflex con cui fotografi le doppie punte del tuo
migliore amico, le unghie dei piedi della tua
compagna di banco e gli avanzi mangiucchiati
dal tuo cane) e, se riesci, chiuderti in convento
almeno fino a Ottobre.
Coniglio , Drago , Serpente,
Cavallo , Pecora (Non ci sono studenti
di questi segni al Manzoni)
Scimmia 申:
4 febbraio 1992
22 gennaio 1993
Ricordati queste
parole: il tuo
Televoto potrà
cambiare le sorti
di Sanremo!
Con un semplice
ed economico
messaggio, sarai tu a
decidere il vincitore.
E non solo, quest’anno infatti è particolarmente
indicato per te per utilizzare tutti quei simpatici
servizi in abbonamento, come il Love
Calculator o la suoneria con la mucca che
scoreggia… ti succhieranno tutti una barca di
soldi, ma potrai farti beffe dei tuoi amici con le
tue simpaticissime suonerie*!
*tvgbfvtrhs sifrtavbgys urgbttsdoaxno fybcrbye abtrcfcy vsgtrrcfhgrv brvtgshyutjs
Cane 戌 : 10 febbraio 1994
30 gennaio1995
Eh sì, Cane, le elezioni si avvicinano e tu ancora
non sai chi votare… guardati dagli uomini calvi
e da quelli con la barba, da quelli che sorridono
troppo e da quelli che sorridono troppo poco,
da quelli troppo a destra e da quelli troppo a
sinistra, da quelli troppo ricchi e… beh, da quegli
altri troppo ricchi. Dopo che avrai esercitato
il diritto di voto, la vita ti sembrerà tanto più
facile, che potresti rischiare di scivolare su una
buccia di banana o su una cacca di mucca mentre
stai guardando il sole e gli uccellini. Non te la
prendere, non riporterai contusioni gravi e potrai
subito tornare a casa a studiare!
Maiale (o Cinghiale) 亥:
31 gennaio 1995 – 19 febbraio 1996
L’unica via di salvezza per te è la scelta
vegetariana. Se ancora mangi pesce, uova,
formaggio e altri latticini, dovresti provare
a diventare vegano, o, ancora meglio,
fruttariano. Mangiare carne rossa provoca
gravi malattie come il raffreddore cronico e
il singhiozzo. Inoltre, uccidere animali che
vivono tuta la vita ingabbiati sotto lampade
al neon accese 24 ore su 24 è veramente una
barbarie. Ricordati di chiudere il rubinetto
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Gallo 酉:
Toro 丑 :
7 febbraio 1997
27 gennaio 1998
Non scoraggiarti se quest’anno scoprirai
che il tuo animale totemico è la puzzola:
semplicemente, lavati! Un bel bagno nel fiume
tra novembre e dicembre sarà l’occasione tanto
agognata per saltare una settimana di scuola…
Peccato che proprio in quel periodo si deciderà
l’occupazione e tu sarai a casa con la febbre!
Forse riuscirai a partecipare all’ultima
giornata, quella con i collettivi più pacchi e la
23 gennaio 1993
9 febbraio 1994
Ahi, ahi, caro Gallo,
è vero che i soldi
non fanno la felicità,
ma quando ti vedrai
costretto a cambiare
l’equitazione o lo
sci con la pesca alla trota o il torneo che la
Bocciofila sotto casa organizza sempre per i
quattro pensionati del quartiere, ti accorgerai
che hai sempre contato un po’ troppo sulle
tasche di mamma e papà. Se vuoi un consiglio,
ti conviene cercare un lavoretto serale: potresti
mentre ti lavi i denti, così li avrai belli sporchi,
e di spegnere la luce prima di entrare in una
stanza, così non troverai niente di quello che
stavi cercando e rischierai di inciampare nel
gatto, che ti aveva visto benissimo ma provava
gusto nel vederti ruzzolare per terra. Se la
verdura da sola non ti sazierà, potrai allora
mangiarci insieme il gatto.