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La Stampa - A Milano un workshop per una nuova era “green”
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GREEN ECONOMY
24/05/2013
A Milano un workshop
per una nuova era “green”
Il dibattito del terzo European
meeting forum di Milano
ANDREA GUARINI
Bertone, amministratore delegato di Sant’Anna,
è tranchant e ti chiedi, circumnavigando nel
rimbambimento generale dell’invasione ‘green’,
di che cosa stiamo parlando? Hanno creato una
bottiglia senza uno schizzo di petrolio, sicura per
la salute al 100%, ‘smaltibile’ al 100%, costi di
investimento altissimi e faticano 100, 1000
camicie a posizionarla nei supermercati. Hai
voglia fare una politica green, tracciare una filosofia verde se poi la grande distribuzione è sorda, gli altri
“imbottigliatori” (non solo di acque ma anche di detersivi), continuano sulla loro strada ‘plastica
forever’ (perché è estremamente vantaggiosa nel rapporto costi-guadagni) mentre lo Stato si lava le mani
senza dare alcun incentivo o esenzione fiscale ai produttori più virtuosi che sono pronti a darsela a gambe
e abbandonare ogni sentiment verde ritornando sulla riva del solo, puro, vantaggio economico.
Potremmo finirla qui e mandare in soffitta tutti i ragionamenti loffi sul Sistema Italia o sul Green made in
Italy. E’ evidente che la mano destra non sa cosa fa la mano sinistra. Il tono degli interventi al III
European meeting forum, L’Umanesimo Verde. Go-Green 3.0. E’ la scienza dei contadini - organizzato
dalla Fondazione Istud, la più antica business school privata italiana, e dalla Rappresentanza a Milano
della Commissione europea, con i patrocini del Ministero dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico – è
stato tutto caratterizzato da grandi accelerazioni e, immediatamente dopo, da grandi frenate, tipiche
dell’humus italico. Un voglio ma non posso, vorrei ma c’è la burocrazia che frena tutto nel paese delle,
trenta, quaranta autorizzazioni, ha ricordato il prof. Alessandro Marangoni di Althesys che ha da poco
curato il Rapporto Irex. Per crescere c’è da snellire la burocrazia, la filiera delle scartoffie, delle
concessioni, dei passaggi da un ufficio all’altro. Serve una politica industriale: contatti di rete, accordi di
filiera, sistemi logistici. Soprattutto in settori che stanno cambiando ogni giorno, come il fotovoltaico
dove è finita l’era degli incentivi che hanno drogato a dismisura il settore. E’ tempo, per Claudio
Moscardini di Sorgenia, che questa industria cammini sulle sue gambe, solo così saremo competitivi nel
mondo: c’è da passare da un sistema incentivante a un sistema di auto sostegno, cioè la redditività vi deve
essere a prescindere dagli incentivi.
Vai in SudAfrica, ha ricordato il ‘giramondo’ Giovanni Roncucci, della Roncucci&Partners Group, e per
fare progetti sul fotovoltaico vogliono solo gli italiani: poi però il problema è in Italia, quando cerchi di
mettere insieme un po’ di istituzioni, università e quant’altro e devi spingere, convincere e sperare in
qualche santo in Paradiso. Andrea Poggio, vice direttore di Legambiente, ha trovato il nome da dare alla
nuova fase che serve per fare il tanto agognato salto di qualità: collaborazione. Forse dopo i corsi e ricorsi
caratterizzati dal ‘Sistema’ che non c’è, dalle ‘reti’ da creare, e dalla competitività andata sotto l’uscio,
collaborare e quindi comunicare, parlarsi è il solo modo per cambiare le cose. L’uovo di Colombo? Le
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La Stampa - A Milano un workshop per una nuova era “green”
eccellenze in Italia ci sono. Dario Giordano del Gruppo Mossi&Ghisolfi da Crescentino in provincia di
Vercelli, guida un gruppo di oltre cento ricercatori legati con Università e professori, tra i più quotati, che
hanno creato il più grande impianto di bioetanolo di seconda generazione al mondo. Per la prima volta la
tecnologia permette l’incontro tra la sostenibilità ambientale e la sostenibilità economica. Il bioetanolo è
un combustibile che ha già attirato l’attenzione di Paesi come il Brasile che ha deciso di investire sui
biocarburanti mettendo da parte la tradizionale canna da zucchero. In Italia, nel 2011 il peso delle
bioenergie è pari al solare. C’è un giro d’affari di 3 miliardi di euro. Quando parliamo di agro e bio energie
si tratta di un settore che va dall’azienda agricola che realizza impianti a biogas fino al grande player che
centrali a biomasse. Sono <<culture dedicate>> che valorizzano anche i sottoprodotti derivanti da reflui
della zootecnia agli scarti dell’industria agroalimentare.
Per accogliere queste novità occorre che una comunità si attrezzi, si organizzi, in modo che le esigenze
dell’individuo, da qui l’Umanesimo Verde, siano al centro: e quindi politiche di trasporto green, mobilità
green, case green. Riassumendo, stiracchiando un po’, le smart cities: mentre nel mondo si fanno, da noi
se ne parla soltanto. Eppure, anche qui, ci sono multinazionali come Siemens e Abb, pronte a fare, a dare
una mano, a investire. Tra l’altro tra due anni c’è una scadenza straordinaria come l’Expo a Milano che
avrà le smart cities in calendario. Problemi sì di collaborazione ma soprattutto conoscenza. Quanto
guadagneremmo ad avere città, case, al top dell’efficienza energetica? E a proposito di scienza dei nostri
contadini, quanto ci guadagneremmo a costruire case di legno, con il mattone di canapa, di terra cruda
(argilla e sabbia) o case di paglia (non di fieno)? Costruzioni a basso impatto ambientale, sottolinea
l’architetto Fabio Cova - uno dei pochi progettisti di case di paglia in Italia – e a basso impatto
economico. Conoscenza e educazione. Come nella lotta allo spreco alimentare (anche dell’acqua,
puntualizza Davide Panciera di 3M che ha studiato un tubo a prova di perdite) e al riciclo dei rifiuti, ci
ricorda Roberto Cavallo autore del libro <<Meno 100 chili. Ricette per la dieta della nostra pattumiera>>.
La grande distribuzione spreca un miliardo di euro ogni anno in cibo che si butta, mentre nelle nostre
case si getta il 42% del cibo complessivamente sprecato. Una cifra che potrebbe sfamare 600 mila
persone. Riuso e recupero. L’Italia è il terzo Paese europeo per dimensione del mercato dei rifiuti urbani,
ma il riciclo si ferma al 33%, mentre il 53% finisce in discarica e solo il 14% dei rifiuti è sfruttato come
combustibile per produrre energia. Il ritardo nel trattamento dei rifiuti ha un costo anche occupazionale:
per ogni 10 mila tonnellate di rifiuti smaltiti in discarica, si registra un addetto; se lo stesso quantitativo
di rifiuti fosse avviato al compostaggio e recupero, si creerebbero dieci nuovi posti di lavoro.
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