NON È VERO CHE NON

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NON È VERO CHE NON
NON È VERO CHE NON
DI MAURO FOLCI
Un giorno Funes, l’uomo dalla
memoria prodigiosa, si mise alla
prova scrivendo tutto ciò che
ricordava del giorno prima con il
risultato che gli ci volle un giorno
intero, tanto aderente era il ricordo
agli istanti di tempo che furono.
Funes, ci dice Borges alla fine del
racconto, per via della sua memoria
sempre in atto non era un uomo
felice, non lo era perché incapace
di pensare. Pensare, infatti, vuol
dire pensare un’impotenza, vuol
dire pensare nella mancanza, è
nel segno negativo che il pensiero
sorge, da una negatività originaria
senza la quale non è possibile alcun
esercizio cognitivo. Heidegger a
proposito degli stati d’animo come
la noia o l’angoscia diceva una
cosa simile, è in questa condizione
esistenziale regressiva fin dove il
mondo e il tempo si congedano da
noi che si fa esperienza dell’aperto,
dell’ultrapotenza, è lì che è possibile
filosofare.
A ben guardare e come ci spiegano i
linguisti, non esiste un pensiero, che
possa dirsi tale, che sia affermativo,
la lingua al contrario è un sistema di
“differenze senza termini positivi”
(Saussure), è il risultato di relazioni
differenziali tra i termini stessi del
rapporto. Un “plesso di differenze
eternamente negative”.
Anche il “sì” alla vita di Nietzsche,
esatto opposto del sempre “sì” (ia, i-a) dell’asino in Zarathustra,
è frutto di una sequenza
impressionante di no, di una
decostruzione serrata dei vecchi
valori della morale cristiana per cui
si parla di una trasvalutazione dei
valori per l’ultraumano. Così come
potremo dire, volgendo lo sguardo
più indietro alla scena primordiale
del positivismo illuminista che
Adorno racconta per mezzo
dell’Odissea, dell’alienazione del
sé/natura da un fuori sorretto
dalla logica della ragione. Un’aspra
dialettica che naturalmente ci
portiamo dietro, un’estenuante
resistenza al richiamo dell’indistinto
naturale, ai Lotofagi, alle Sirene, ai
Ciclopi, a Circe, che ci dice
come la storia propriamente
umana abbia avuto inizio con
un disconoscimento, con una
separazione, con un atto di
negazione dei più-propri caratteri
naturali. La nostra è la storia di
questo esodo.
La ricerca dell’archè antropologica
come quella filosofica dell’essenza
ultima, della nuda vita, o quella della
fisica in cerca della particella che
precede la Creazione, così come il
regresso psichico o nell’arte (Kafka,
Artaud, Malevic, Duchamp, Cage), e
come è stato detto, l’ esistenza stessa
del linguaggio, sono espressione di
questa negatività.
Per dirla tutta d’un fiato, cosa può
un corpo-mente ossia cosa è una
potenza è deducibile solo dalla
facoltà di non passare all’atto. La
potenza è sempre una potenza-dinon, se dico “non posso parlare” sto
dicendo che ho un impedimento nel
farlo, ho mal di gola e sono afono,
ma questo non c’entra nulla con la
negazione; se invece dico “posso-non
parlare” sto esprimendo liberamente
la facoltà di dire o di non dire. La
potenza è un trattenere, è una facoltà
anestetizzata, è una impotenza,
è indissolubilmente legata alla
possibilità di non passare all’atto,
il suo codice genetico è non, una
negazione.
Paolo Virno, che da diversi anni
riflette sulla relazione tra negazione e
modalità del possibile, in “E così via
all’infinito” pone questo rapporto,
insieme al regresso all’infinito, al
centro di ogni frequenza emotiva
che caratterizza il nostro essere
con l’ambiente e con gli altri.
L’articolazione tra il pensiero
verbale in generale e il mondo
percettivo-passionale ricade su
queste tre categorie logiche, sono
queste che connotano la specificità
della natura umana: il non, ossia la
capacità di dire come non stanno le
cose, “tu non sei mia madre”; l’uso
dell’espressione “é possibile che”
in quanto dà a vedere la carenza di
istinti specializzati per far fronte
all’ambiente e al contempo la
plasticità creativa con cui ci
districhiamo nella contingenza; la
possibilità che le passioni precipitino
in una interminabile marcia a ritroso.
Questi tre dispositivi che connotano
la nostra forma di vita sono possibili
solo a partire da una negazione.
È stato appurato scientificamente,
ormai da due decenni, un fatto che in
realtà abbiamo sempre saputo e cioè
che la mente umana è conformata
biologicamente per essere una mente
sociale, sono i neuroni mirror che
si attivano alla presenza dell’altro
nell’imitazione e nell’empatia. Ma
queste evidenze scientifiche, tanto
pubblicizzate dal determinismo
naturalistico secondo cui la natura
provvede a tutto, evidenziano in
realtà, a guardarle da un punto di
osservazione diverso, che la socialità,
il co-sentire intraspecifico garantito
dall’azione neuronale può essere
invalidato dall’azione del non. Il
riconoscimento dell’altro, come la
storia dei conflitti ci ammonisce, può
non avvenire perché il linguaggio,
che interviene nei primi anni di vita
sul rapporto di totale empatia del
bambino con la madre, non accresce
quello spazio noi-centrico stabilito
dai neuroni, tutt’altro, lo ostacola e
spesso sotto l’azione della negazione
lo abolisce del tutto: “tu non sei un
uomo”.
Il non ha una natura anfibia, da una
parte sospende il riconoscimento,
con conseguenze a volte
catastrofiche, dall’altro si presenta
come unico antidoto al mancato
riconoscimento, “non è vero che
non sei un uomo”. La negazione è il
farmaco del linguaggio, è il rimedio
per il veleno che essa stessa inocula
nella comunicazione tra gli umani.
Sotto l’azione del non il linguaggio
costantemente lacera e ricuce quel
flebile co-sentire neuronale, e ciò
che succede nella sfera pubblica
è il risultato in divenire di questo
conflitto.
Tra la negazione e la doppia
negazione, così come viene
presentata in questa occasione, c’è
uno scarto di livello, nel senso che la
negazione nella sua ambivalenza di
veleno/rimedio mantiene una
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Artist-Run Space
dialettica con l’oggetto negato che
può portare ad una sospensione del
giudizio, se dico “non nero” non sto
dicendo “bianco” ma apro ad una
infinita gradazione
di colore che dal nero giunge fino
al bianco. La negazione ha questo
statuto particolare in quanto, perché
funzioni, ha bisogno di riferirsi
all’oggetto negato, riconoscendogli
in questo modo una possibilità di
essere diversamente.
Così la negazione che mostra la
potenza del linguaggio nel processo
antropogenetico, oltre al rischio
di un mancato riconoscimento,
oltre ad essere il motore di ogni
disobbedienza e di ogni devianza
dalle norme, è anche il dispositivo
che può sospendere il conflitto, che
può differirlo in un altro tempo:
non ora. Non qui. Nella doppia
negazione questo aspetto della
sospensione dialettica e pacificatrice
si perde, qui c’è il carico di un
pensiero forte antecedente e che
informa inequivocabilmente, e per
nulla democraticamente, il senso
proprio della doppia negazione: non
è vero che non si può vivere senza re
e senza padrone.
Mauro Folci è docente di Arti
Performative alla Scuola di Nuove
Tecnologie dell’Arte dell’Accademia
di Brera a Milano.
Le opere di Mauro Folci riflettono
sulle modalità
lavorative contemporanee che si
appropriano del linguaggio umano
per tramutarlo in lavoro e lo
riducono a merce.
Questi lavori nascono da
un’approfondita riflessione sulle
disparate forme linguistiche della
metropoli contemporanea ed in
particolare a quelle forme che
tracciano linee di fuga singolari dal
linguaggio produttivo dominante.
Linguaggio e lavoro si trovano nella
nostra epoca in una congiuntura
inedita da cui l’artista è attratto e
in cui rintraccia il materiale su cui
costruire operazioni stratificate e
complesse.
I suoi interventi e le sue opere
sono state ospitati da istituzioni
italiane ed internazionali ( tra le
altre Kunstverein di Francoforte,
Fondazione Baruchello, Neue
Kunstforum di Colonia, al PAN di
Napoli al Maxxi di Roma, al SUPEC
di Shanghai).
SPACE4235 é uno spazio nonprofit, galleria e studio fondato nel
2010 a Tromsø, in Norvegia.
Nel nuovo spazio, a Genova,
4235 ospiterà progetti artistici
internazionali ed una serie di eventi
collaterali e pubblicazioni. Tra
le attività, sarà a disposizione del
pubblico un archivio composto da
pubblicazioni artistiche.
Nel corso delle attività svolte, dal
2010 al 2014, SPACE4235 ha
incentrato l’attività di divulgazione
artistica a cavallo tra Italia e
Norvegia, in collaborazione con
diversi artisti internazionali.
Obiettivo fondamentale del progetto
é l’interscambio culturale tra diverse
realtà artistiche e didattiche in
Italia e all’estero, con particolare
attenzione alla fruibilità delle
pubblicazioni artistiche.
Mauro Folci
Genova/Luglio 2014
SPACE4235
Mercoledì 16 Luglio 2014
www.space4235.com