Giu. 2016 - Area Studenti - Collegio Universitario Don Nicola Mazza

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Giu. 2016 - Area Studenti - Collegio Universitario Don Nicola Mazza
Nadir
Collegio Universitario
Don Nicola Mazza
l a r i v i s ta degli st udent i m az z iani di p adova
Nadir 5, Giugno 2016
Copia gratuita
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Nadir, Giu. 2016
In questo numero
1. EDITORIALE
2. ATTUALITÀ
Leicester City, quando i sogni diventano realtà
2
3
3. CULTURA
Termini inglesi nella lingua italiana: arricchimento o
distruzione? 5
Sui sistemi di riferimento
5
I miei studi in Bangladesh
6
4. BIBLIOSOFIA
Partenza lenta
Massimo tre parole
7
7
6. COLLEGIO
Tragicommedia dello studente Mazziano
Torneo del Vino 9
10
7. RUBRICHE
Matricola d’oro 8
Culto: “...aspettare che il vapore svanisca come un
sogno” 12
Culto: Quante aragoste per un solo film?
13
Culto: Addio alle tastiere. Reportage di un ultimo
saluto. 14
8. TEMPO LIBERO
Piccolo decalogo semiserio per gli esami 15
Editoriale
Miriam Furlanetto
Cantami, o Nadir, del Collegio le molteplici avventure
che tanti mazziani porteranno nel cuore
Eventi, accadimenti, concerti e tornei
tra le tue fragili pagine sfoglierei
Una carta per narrarli,
una penna per vergarli,
uno scrigno per proteggerli
e al sicuro conservarli.
Questo, e molto più, è il giornalino
lettere che si rincorrono su pagine bianche
raccontando la vita collegiale
con sguardo rivolto all’interesse personale
e a ciò che accade nel mondo e nel sociale.
Nadir
Collegio Universitario
Don Nicola Mazza
l a r ivist a d egl i st u d ent i m azziani d i p ad ova
Nadir 5, Giugno 2016
Carissimi lettori e lettrici,
con questa dolce Ode vi diamo il benvenuto tra le
pagine di questo Nadir, ultimo dell’anno, che speriamo porti un po’ di frescura e ristoro ai caldi o
umidi pomeriggi di studio.
Il tempo bizzarro di questi giorni ben si sposa con
l’animo a volte in tempesta dei gagliardi giovani
che affrontano la sessione, ma in questi fogli una
certezza: sole all’orizzonte! Tuffatevi (ehi, non piangete! Al mare ci andrete davvero prima o poi, abbiate fede!) nei frizzanti racconti di questo mese,
particolarmente ripieni di sport, sfavillanti di cultura e costellati di sano divertimento!
Buona lettura!!
□
Copia gratuita
Nadir, Giu. 2016
3
Attualità
Leicester City, quando i sogni diventano realtà
Vito Squicciarini
Accade talvolta che la realtà superi l’immaginazione più fervida, regalandoci storie indimenticabili. Accade talvolta
che il corso degli eventi devii dai binari già
tracciati, dischiudendoci la vista di paesaggi meravigliosi. È l’imprevisto che rompe la
quotidianità. È l’episodio che stravolge la
Storia. Ciò che è successo a Leicester negli
ultimi dodici mesi non ha nulla di logico, di
razionale. È un dado che mostra la stessa
faccia per cento lanci di fila. È uno dei sogni
più assurdi che gli dei del pallone abbiano
mai potuto concepire. Un chiaro di Luna per
i romantici del football. Un caleidoscopio di
storie, di coincidenze, di situazioni così improbabili che pare uscito dalle pagine di un
romanzo. E che come un romanzo ti strega,
ti rapisce il cuore.
Leicester è una cittadina di
285.000 abitanti ubicata nel centro dell’Inghilterra, pressappoco a metà strada tra
Londra e Liverpool; una città industriale che
oggi, come tutti i grandi centri del Paese,
è un crogiuolo d’etnie e di culture. Il nome
della città è storicamente legato, in ambito
sportivo, alla squadra di rugby: i Leicester
Tigers costituiscono una delle realtà più
vincenti del panorama inglese ed europeo.
Assai più modesta la tradizione calcistica,
rappresentata dal Leicester City, un secolo
e un quarto a barcamenarsi tra prima e seconda divisione. La stagione 2014/15 vide il
ritorno in Premier League delle Foxes dopo
dieci anni vissuti tra seconda e terza serie. A
una buona partenza seguì una serie infinita di risultati negativi, tale da relegare ben
presto la squadra all’ultimo posto in classifica. Ancora ad aprile essa giaceva in fondo
alla graduatoria con soli 19 punti ottenuti
in 29 gare. Solo una strepitosa rimonta, con
sette vittorie nelle ultime nove partite, le
consentì di raggiungere un’inattesa salvezza.
Ai nastri di partenza della stagione 2015/16 la squadra delle East Midlands
è tra le favorite per la retrocessione. Non c’è
più Nigel Pearson, autore della rinascita del
club, ma Claudio Ranieri, 63enne allenatore
romano: un tecnico esperto ma - sottolineano i suoi detrattori - dal palmares povero.
La decisione suscita malcontento tra i tifosi
e gli esperti del settore. Gary Lineker, leggenda del club e della Nazionale inglese,
commenterà amaramente: An uninspired
choice by Leicester. La vittoria del campionato è quotata 5000:1, più di una eventuale
apparizione del mostro di Lochness (500:1)
o di Elvis Presley (2000:1).
La dirigenza chiede a Ranieri una
salvezza tranquilla: nel far ciò gli accorda fin
da subito fiducia incondizionata, dandogli
così modo di lavorare senza pressioni. La
rosa, indebolita in mediana dallapartenza
di Cambiasso, è la stessa dell’anno passato con l’aggiunta di tre elementi: il terzino
austriaco Christian Fuchs, il mediano N’golo
Kanté e l’attaccante giapponese Shinji Okazaki. La partenza è convincente: le Foxes,
schierate in campo con un classico 4-4-2,
giocano con tattica italiana e cuore inglese,
lasciando il possesso palla agli avversari e
colpendoli con veloci ripartenze. Fondamentale il contributo di Kanté, capace di
imporsi da subito come uno dei migliori interpreti del suo ruolo: il francese corre senza
sosta, è ovunque, spezza le trame avversarie grazie a un incredibile senso della posizione, riparte senza mai perdere il pallone.
Un motorino instancabile, fondamentale
per gli equilibri della squadra. La fase offensiva è affidata alla fantasia dell’ala algerina
Riyad Mahrez e alla vena realizzativa dell’attaccante col numero 9.
Le partite passano, ma il suo
nome sul tabellino dei marcatori c’è sempre: succederà per undici gare consecutive
tra agosto e novembre, un record. La storia
di Jamie Vardy è degna di un film. Fino a sei
anni fa lavorava come operaio metalmeccanico nelle fabbriche di Sheffield, la sua città
natale, e calcava, nel tempo libero, i polverosi campi dell’ottava serie. Due anni tra i
dilettanti e una caterva di gol convincono il
Leicester, allora in Championship, a puntare
su di lui. È il 2012 e la sua vita cambia. Oggi,
a 29 anni, Vardy è un attaccante completo:
agile e veloce, letale con entrambi i piedi, rapido nell’esecuzione e nel dribbling,
versato tanto nell’attacco della profondità
quanto nel pressing sul portatore di palla
avversario. Un fantastico cavallo, secondo
Ranieri, l’uomo simbolo di questa squadra.
La salvezza, dicevamo. Obiettivo
dichiarato per tutta la prima parte della stagione, anche quando, a novembre, il club
intravede per la prima volta la vetta. Ranieri
appare cauto, ma sicuro di sé e dei suoi ragazzi. Sempre rispettoso degli arbitri e degli
avversari, il manager italiano si mostra rilassato davanti alle telecamere, scherza, intrattiene i giornalisti con un inglese elementare
ma efficace. Il Tinkerman, lo smanettone,
colui che al Chelsea era canzonato per le
sue perenni indecisioni relative alla formazione, è ora il coach che la cambia di meno.
L’uomo accusato da Mourinho di avere la
mentalità di uno che non ha bisogno di
vincere e di essere troppo vecchio per cambiare mentalità” si concederà la vendetta
più dolce, in una fredda sera di dicembre,
battendo 2-1 il Chelsea e mettendo fine
all’esperienza del portoghese sulla panchina dei Blues.
La fatidica quota quaranta è toccata nella prima partita del 2016. Raggiunto
in metà campionato il traguardo stagionale, il pericolo di rilassarsi è dietro l’angolo. È
forse il momento più delicato della stagione. Tutti si aspettano che il Leicester, passato l’inverno, si sciolga come neve al sole.
Come era successo 50 anni prima, quando
4
gli Ice Kings di mister Matt Gillies, volati sorprendentemente al primo posto durante
l’inverno del 1962/63, il più freddo del XX
secolo, crollarono ai primi segnali di primavera, terminando quarti.
Un 3-0 allo Stoke City fa seguito
a un filotto di cinque partite in cui le Foxes
hanno raccolto solo sei punti; le tre partite
successive, in casa contro il Liverpool e fuori
casa contro Arsenal e Manchester City si apprestano dunque ad essere lo spartiacque
della stagione, duecentosettanta minuti al
termine dei quali le volpi conosceranno la
loro vera natura.
È il 60’, la partita contro i Reds
è bloccata sullo 0-0. Drinkwater vince un
contrasto nella sua area e spazza, Mahrez,
marcato stretto da un avversario, difende il
pallone sulla sua trequarti, si gira e rilancia
di 50 metri a servire lo scatto di Vardy, che
lascia rimbalzare la sfera. Nessun giocatore
sano di mente proverebbe la conclusione di
prima da quella posizione. Ma Jamie è pazzo e tira. Gol. A moment like that just makes
you wonder: could it happen? Could they
really last the whole course?
La trasferta successiva mette i brividi. Il Leicester ci arriva da capolista, con 3
punti di vantaggio proprio sul Manchester
City. Sulla carta non c’è storia: un solo difensore centrale dei Citizens è costato più
di tutto l’undici avversario. Sarà proprio un
centrale il mattatore della serata: Robert
Huth, il gigante tedesco, sblocca la gara
dopo soli tre minuti. 0-1. Il City è scioccato,
tiene il possesso ma offre il fianco ai velocissimi contropiedi degli ospiti. Il secondo
tempo è iniziato da poco quando Kanté
recupera l’ennesimo pallone, si spinge in
avanti sulla fascia sinistra e poi imbuca
centralmente Mahrez: il passaggio è un po’
lungo ma l’algerino supera un primo avversario in scivolata con un tocco sotto, ne
punta un secondo, doppio passo secco e
destro immediato sul primo palo. Una poesia. È difficile quantificare il contributo di
Riyad Mahrez a questa irripetibile stagione.
Arrivato per 600.000€ dal Le Havre, serie B
francese, a gennaio 2014 e ritenuto troppo
gracile per poter reggere ad alti livelli, Riyad
ha smentito tutti con prestazioni sublimi.
Un fantasista di un’eleganza disarmante, un
mancino delicatissimo che accarezza il pallone e riesce a metterlo con uguale efficacia
sul piede di un compagno smarcato davanti
alla porta o in fondo alla rete. Un artista che
vale, da solo, il prezzo del biglietto.
La partita, in pratica, finisce lì.
Money-Passion 1-3.”Oh how wrong I was,
how wonderfully, spectacularly, blissfully
wrong.” È stato in quel momento che ho ca-
Nadir, Giu. 2016
pito che avrebbero potuto farcela davvero.
Questa squadra non è una cenerentola. Non
tornerà a casa a mezzanotte; vuole danzare
fino all’alba. Vuol esserci fino alla fine. La fiaba corre veloce di bocca in bocca, in attesa
del lieto fine. Tutto il mondo ascolta a bocca
aperta le avventure della banda di Ranieri.
Storie del genere sono merce rara, al giorno
d’oggi. Ed è ciò che le rende così magiche,
così speciali. Un po’ come quei vecchi racconti che, se ascolti bene, riecheggiano talvolta nelle brezze d’estate: Montpellier, Kaiserslautern, Hellas Verona, Brian Clough coi
suoi Derby County e Nottingham Forest... È
la magia dello sport: un gruppo di ragazzini
determinati e consci dei propri mezzi può
giocarsela contro i più forti, i più famosi, i
più ricchi. E trionfare.
Il risveglio è durissimo. Il gol di
Welbeck al 96’ in Arsenal-Leicester 2-1 può
rivelarsi catastrofico sul piano psicologico
ma sortisce, di fatto, l’effetto opposto. Il Leicester non sbaglia più nulla, prendendosi
19 punti nelle sette gare successive. Solo il
Tottenham riesce a tenere il passo.
We are in Champions League
man, dilly ding dilly dong! La doppietta
di Vardy contro il Sunderland consegna a
Ranieri la matematica qualificazione alla
Champions League. Impensabile, a inizio
campionato, lasciarsi alle spalle colossi
come i due Manchester, l’Arsenal, il Liverpool, il Chelsea. Non che il Leicester sia una
squadra povera, sia chiaro. Il presidente del
club, Vichai Srivaddhanaprabha, è un miliardario thailandese i cui investimenti nel club
sono utopia per la squadra media italiana.
Calate però nel contesto della lega più ricca del mondo, dove una squadra come il
Newcastle può permettersi di sperperare
100 milioni in un anno e retrocedere, queste cifre appaiono ridimensionate. I trenta
milioni spesi negli anni per mettere insieme
l’undici titolare sono meno di quanto City
o United sborsano per il campione di turno ad ogni sessione di mercato. Il Leicester
sarà pure il 24° club al mondo per fatturato,
ma 17 tra i primi trenta sono inglesi. E guarda tutti dall’alto nonostante il quartultimo
monte ingaggi della Lega.
Ci mancano sei partite. Dobbiamo
continuare a lottare col cuore e con l’anima.
Siamo un piccolo club che sta mostrando al
mondo cosa si può raggiungere con lo spirito di squadra e la motivazione. 26 giocatori,
26 cervelli diversi, ma un solo cuore. Pochi
anni fa molti miei giocatori giocavano in
leghe più basse. Vardy lavorava in fabbrica,
Kanté e Mahrez erano nella terza e quarta
divisione francese. Ora lottiamo per il titolo. I tifosi che incontro per strada mi dicono
che stanno sognando. Io dico “Voi sognate
per noi, noi non sogniamo, noi lavoriamo
duro”. Non importa cosa succederà alla fine,
penso che la mostra storia è importante per
tutti i tifosi di calcio del mondo. Dà speranza
a tutti i giovani giocatori là fuori che si sono
sentiti dire di non essere abbastanza bravi.
Possono dirsi: “Come arrivo al top? Se Vardy
e Kanté lo possono fare, posso anch’io”. Cosa
gli serve? Un grande contratto o un grande
nome? No. Bisogna tenere la mente aperta,
così come il cuore, una batteria carica e correre liberi.
Trentaseiesima giornata, Old
Trafford, il Teatro dei Sogni. Una vittoria in
casa del Manchester United chiuderebbe i
giochi. Non è una sfida qualunque per Danny Simpson e Danny Drinkwater, scaricati
troppo presto dai Red Devils, né per Kasper
Schmeichel, la cui unica colpa è stata quella
di portare il cognome di suo padre Peter. Finisce 1-1, in virtù di una rete di Martial e di
una capocciata di Wes Morgan, il capitano,
quel “tragico mammone, ciccione, depresso” scaricato a 28 anni dal Nottingham Forest e ritenuto da molti incapace di giocare
in Premier League. Il giorno successivo, il
2 maggio, si gioca Chelsea-Tottenham: gli
Spurs sono costretti a vincere per conservare qualche speranza di vittoria di un titolo
che manca loro dal 1961. La sfida è cattiva,
durissima. Il Chelsea non ha più obiettivi ma
contro i cugini gioca alla morte, strappando
il pareggio all’82° minuto. È la parola fine
che chiude l’ultimo atto della stagione.
Sono stato a Leicester a fine aprile. L’atmosfera era di una normalità sconvolgente, tanto che sulle prime ero un po’
deluso. Ma parlando con la gente del posto
mi sono accorto di quanto tutto ciò contasse per loro, i tifosi che ci sono sempre stati, quelli che hanno sofferto i momenti più
bui. Things like this simply do not happen
to clubs like mine. Ora capivo: non era qualcosa da ostentare al mondo, quanto piuttosto un sentimento sincero sopito in fondo
all’animo. Una fiammella da tenere al riparo dalle folate di vento. La domenica della
partita le strade si sono colorate di blu. L’odore di birra nell’aria, l’adrenalina, l’euforia
contagiosa. Per un giorno soltanto ti senti il
centro del mondo. Invincibile.
Schmeichel; Simpson, Morgan,
Huth, Fuchs; Kanté, Drinkwater, Mahrez,
Albrighton; Okazaki, Vardy. E poi Leonardo Ulloa, l’argentino dei gol pesanti, Andy
King, che c’era in terza serie, e tutti gli altri.
E Ranieri, il condottiero dall’animo gentile.
Chiudete gli occhi. È una favola. C’era una
volta una banda di reietti che conquistò il
trono d’Inghilterra.
□
Nadir, Giu. 2016
5
Cultura
Termini inglesi nella lingua italiana:
arricchimento o distruzione?
Beatrice Marchet
dietro alla parola “Zucchero”, o del francese cyclisme dietro al termine “Ciclismo”?
“Visita la homepage del sito”,
“Controlla la mail”, “Cerco un volo lowcost
per le vacanze”, sono tutte espressioni
che utilizziamo comunemente nei nostri dialoghi di tutti i giorni, tanto
naturalmente da non renderci nemmeno
più conto che si tratta di espressioni prese
a prestito da un altro idioma. Da “badget”a
“background”, da “audience”a “make up”
ormai l’inglese è entrato a viva forza nella
nostra lingua, e non soltanto nel linguaggio
di tutti i giorni. L’obbligo di corsi tenuti in
inglese all’università così come il lessico
politico che sempre più spesso prende
spunto dal vocabolario d’oltre Manica
sono soltanto alcuni esempi di quello che
ormai viene definito “itanglese”. L’internazionalismo e la multiculturalità hanno finito per creare una lingua mista, ma è sempre un bene per la nostra lingua madre?
Ma l’utilizzo dell’inglese oggi è
un caso diverso, perché le espressioni non
vengono “italianizzate”dopo essere state
accolte, ma entrano a viva forza nel nostro
linguaggio così come sono, e noi non ci
sforziamo più di adattarle a delle sonorità
più consone alla nostra lingua. Accettiamo passivamente, o ce ne compiacciamo
addirittura, come se questo nuovo stato
di cose fosse simbolo di un paese svecchiato e al passo coi tempi, ma non ci
rendiamo conto di come, in realtà, ci stiamo soltanto impoverendo culturalmente
prima ancora che linguisticamente. Un
sistema linguistico può trarre giovamento
da una contaminazione, può trovare spunti
positivi dalle novità grammaticali introdotte da una lingua straniera, ma una cultura che si esprime in una lingua incapace di trovare forme proprie per dire cose
nuove dà preoccupanti segni di debolezza.
Diciamolo subito, l’adozione di
espressioni straniere in una lingua non è
una colpa da condannare ma anzi un aspetto vivace e pressoché inevitabile per una
lingua parlata, un segno di vitalità in un sistema globale dove i prestiti e gli scambi tra
culture sono all’ordine del giorno. Di fatto è
sempre accaduto che lingue più o meno
diverse prendessero termini stranieri e li
riformulassero nelle proprie corde, fino
a farli diventare parte integrante del
proprio bagaglio lessicale. Chi riconoscerebbe oggi le tracce dell’arabo sukkar
È anche vero che oggi l’inglese è
la lingua degli studi scientifici più avanzati,
fondamentale quindi per esprimersi in un
lessico tecnico e comprensibile a tutti. In
quest’ottica è senz’altro necessario e doveroso apprenderla appieno, anche perché
è attualmente il principale veicolo di comunicazione tra nazioni e culture differenti. Ma è anche vero che quando questa
lingua arriva a soppiantare l’italiano anche nei campi più significativi e vasti della
comunicazione il suo ruolo e la sua presen-
za iniziano a farsi un po’ troppo predominanti. Più che naturale che uno scienziato
si avvalga di un lessico tecnico inglese
per esporre le proprie ricerche, ma che il
governo di un paese debba avvalersi di
termini presi a prestito da un’altra lingua
per definire i propri decreti o per esporre
i propri piani di riforme quando ne esistono gli esatti corrispettivi in italiano diventa
eccessivo, anche perché impedisce ad una
buona fetta della popolazione, quella che
solo di rado è a stretto contatto con altre
lingue, di comprendere appieno i provvedimenti e le scelte del suo stesso governo.
O ancora, è comprensibile che
docenti stranieri e relatori provenienti
dall’estero tengano le loro lezioni in inglese, ma se un docente italiano viene
chiamato per legge a tenere ai propri
studenti, anche loro italiani, un corso in
un’altra lingua, è certo che nella maggior parte dei casi il risultato non sarà
dei più felici, e anzi la qualità stessa della didattica ne risentirà e non di poco.
L’interscambio è dunque positivo
soltanto nella misura in cui tiene conto di
ciascuna cultura, perché prestito e rielaborazione sono molto diversi da accettazione passiva di tutto quanto arriva dall’esterno. Se l’italiano vuole mantenere il suo
status di lingua viva e attiva su tutti i piani
deve tenere conto di questa differenza.
□
Sui sistemi di riferimento
Marco Faccioli
Premessa: se questo articolo ha
un valore, il suo valore viene principalmente dalla reazione suscitata nel lettore. Se il
lettore non avverte alcuna reazione, questo
scritto può essere gettato, in quanto non
ha raggiunto il suo scopo. Per raggiungere
meglio il suo scopo l’ho scritto volutamente
in modo provocatorio. Per quanto riguarda
infine ciò che vi sta scritto lo si deve considerare come una sorta di introduzione a
pensieri, o meglio a modi di pensare, per
così dire meno dogmatici.
Molto spesso quando si sentono i
dibattiti sui contributi della scienza, si sente
spesso dire che uno di essi è l’aver dimostrato che la Terra si muove attorno al Sole.
Tuttavia tale idea, strettamente parlando,
è del tutto falsa. Infatti il riferimento che
ruota solidale con la Terra certamente non
vede la Terra ruotare, ma vede tutto il resto
ruotare attorno alla Terra. Non possiamo in
ogni caso dire che la descrizione che questo
riferimento dà è falsa, in fisica. Potrà essere
una descrizione estremamente elegante,
ma per quanto assurda possa sembrare
deve essere nei suoi limiti accettata.
Supponiamo di avere Alice fuori
dal sistema solare, Bob solidale alla Terra e
Charlie solidale alla Luna. Alice, Bob e Charlie decidono di descrivere il moto, poniamo,
di Marte. Quello che succede è questo: Alice
vede più o meno il Sistema Solare muoversi proprio nel modo in cui siamo abituati a
pensare che si muova (cioè col Sole quasi
fisso e i pianeti che si muovono attorno ad
esso, con traiettorie ellittiche), per Bob invece il moto di Marte è stranissimo e lo è
ancor di più nel caso della descrizione di
Charlie. Tuttavia anche se nel caso di Alice
e di tutti gli osservatori esterni al Sistema
6
Solare Marte si muove in modo (quasi) ellittico attorno al Sole, ciò non implica in alcun
modo che la descrizione di Bob e Charlie,
per quanto esse possano essere complicate
e orribili per i nostri gusti, siano false. Quello
che dobbiamo semmai dire è che – sempre con validità alquanto limitata - Marte
compie una traiettoria quasi ellittica attorno al Sole è una proposizione che è vera in
moltissimi riferimenti. Ma non è una verità
assoluta. Per inciso, per l’osservatore David,
situato, poniamo, vicino al centro di massa
del Gruppo Locale (l’insieme di galassie cui
appartiene la Via Lattea), il Sole anch’esso si
muove attorno al centro della Via Lattea, e
il centro di massa di quest’ultima si muove
attorno al centro di massa del Gruppo Locale. Chiaramente il procedimento che si fa è il
seguente: per descrivere qualcosa si ritiene
che bisogna allontanarsi da essa in modo da
vederla nella sua interezza e si prende tale
descrizione come quella vera (così ad esempio si dice di avere una migliore visione della Pianura Padana dal Monte Bianco rispetto
che dalla città diMilano – cioè per così dire
si è meno ingannati dall’essere all’interno di
Nadir, Giu. 2016
essa).
Così ad esempio si dice che la Via
Lattea è una galassia a spirale, perché se
vista da una certa distanza da essa appare
all’incirca come a noi abitanti di un piccolo granello di polvere appare una qualsiasi
galassia a spirale. E sappiamo che noi siamo
trascinati dalla nostra galassia in un moto
attorno al centro di un ammasso di polvere
(Gruppo Locale) e inoltre il Gruppo Locale ci
trascina nel moto attorno ad un altro centro
di massa.
Tuttavia, se l’idea di Einstein sull’uguaglianza delle leggi della fisica (in forma)
è corretta per ogni sistema di riferimento,
allora è chiaro che in realtà non ci possono
essere sistemi di riferimento che descrivono
più accuratamente la realtà ma tutti hanno
qualcosa in comune (le leggi della fisica). In
sostanza possiamo certamente considerare
la Terra ferma – anche se non saremmo molto intelligenti a farlo, se vogliamo descrivere l’Universo – e il Sole che ruota attorno ad
essa. La fisica non lo vieta. La fisica per così
dire vieta che consideriamo la nostra prospettiva (e quella altrui) come assoluta. Per
così dire in un certo senso sia Tolomeo che
Copernico avevano ragione.
D’altronde, come Albert Einstein e
Leopold Infeld scrissero in The Evolution of
Physics (1938):
Can we formulate physical laws so that they
are valid for all CS (=coordinate systems),
not only those moving uniformly, but also
those moving quite arbitrarily, relative to
each other? If this can be done, our difficulties will be over. We shall then be able
to apply the laws of nature to any CS. The
struggle, so violent in the early days of
science, between the views of Ptolemy and
Copernicus would then be quite meaningless. Either CS could be used with equal
justification. The two sentences, “the sun
is at rest and the earth moves”, or “the sun
moves and the earth is at rest”, would simply mean two different conventions concerning two different CS. Could we build a real
relativistic physics valid in all CS; a physics in
which there would be no place for absolute,
but only for relative, motion? This is indeed
possible!.
□
I miei studi in Bangladesh
Rasel Miah
Sono andato a scuola all’età di 6
anni. La scuola statale non offriva l’asilo e la
scuola dell’infanzia come in Italia, quindi ho
iniziato direttamente dalla 1^ elementare.
Come tutti i bambini, però, prima di andare a scuola sono stato istruito a casa. Avevo
un insegnante (un conoscente della nostra
famiglia) che veniva ogni pomeriggio a casa
nostra e m’insegnava l’alfabeto bengalese,
l’inglese e la matematica. Sapevo quindi già
leggere e scrivere prima di iniziare la 1^ elementare. I libri mi erano stati regalati dalla
scuola, erano un mix di libri nuovi e usati ed
erano davvero voluminosi e difficili. Tranne
il venerdì, ogni giorno andavo a scuola alle
9 della mattina e finivo alle 16 del pomeriggio; verso le 13 avevo una pausa pranzo di
circa 45 minuti. A scuola la cosa che notai
subito fu che tutti i miei insegnanti avevano
dei sottili bastoni di bambo con cui punivano i bambini che si comportavano male
e non facevano i compiti assegnati. Forse
non punivano così tanto in 1^ elementare,
quanto piuttosto in 2^ e 3^: diciamo che
più avanti andavo più forti erano le frustate!
La classe aveva quindi un’ottima disciplina
nonostante la presenza di almeno 40 studenti, dato che nessuno voleva subire le
frustatee vederle prendere agli altri metteva in guardia dal fare lo stesso sbaglio.
Dopo la 5^ elementare sono andato alla scuola media (durata 5 anni: dalla
classe 6 alla classe 10) e ovviamente qui le
frustate erano peggiori! Mi ricordo che prima di entrare nella scuola media sapevo già
quali insegnati avevano la mano pesante,
quindi stavo sempre attento a fare i loro
compiti e non comportarmi male con loro...
altrimenti era un inferno!
Mi ricordo che c’erano 11 materie
in classe 6: letteratura bangla, grammatica
bangla, letteratura inglese, grammatica inglese, matematica, fisica, chimica, società,
religione (obbligatorio), produzione agricola, sport. Avevo un professore di religione che era un prete e frustava tanto se non
pregavamo al pomeriggio. Infatti, essendo
la sua lezione verso le 2 del pomeriggio,
subito dopo la preghiera pomeridiana, non
appena entrava in classe frustava quelli che
non si erano presentati in moschea.
Non avevo verifiche di classe,
l’esame era fissato in un certo periodo. Al
6° mese di scuola si svolgeva l’esame semestrale (tutte le materie una dopo l’altra
nel giro di 2 settimane), poi al 9° mese si
ripeteva di nuovo questa serie di esami e
finalmente al 11°-12° mese sostenevo il temibile Esame finale con cui ricevevo i l mio
numero di matricola (se c’erano 60 studenti,
ad esempio, andava da 1 a 60: 1 è il miglior
studente mentre 60 è il peggiore della classe). La valutazione era fatta attribuendo un
punteggio da 1 a 100 in ogni materia e alla
fine dell’esame finale si sommavano tutti i
risultati per vedere il punteggio complessivo.
Dopo esser stato promosso in 7^ classe, ho
lasciato il mio Paese e sono arrivato in Italia.
I miei amici hanno frequentato fino alla 10^
classe in cui hanno sostenuto L’Esame di
Stato che è detto SSC. Dopo aver superato
questo esame si sono iscritti al College, di
durata 2 anni. Alcuni si sono iscritti al College della mia città mentre altri hanno scelto di iscriversi ai vari College della capitale
Dacca. In College si studia tutto per avere
la preparazione necessaria per sostenere il
test universitario. Per esempio in Bangladesh il test di medicina si può provare solo
2 volte, non c’è una terza possibilità, quindi
scegliere un buon College per la preparazione è molto importante. Alla fine di 2 anni
di College hanno sostenuto un secondo
Esame di Stato chiamato HSC. Il certificato
di superamento di HSC dà il diritto di sostenere i Test Universitari. La durata dell’università è generalmente di 5 anni, ma dipende dal tipo di corso.
Dopo che sono arrivato in Italia, i
miei amici mi hanno detto che il governo ha
emanato una legge con cui ha vietato l’uso
di bastoni per frustare gli studenti: questa
pratica è oggi quasi scomparsa, per fortuna. L’ho sempre odiata. In realtà non è che
abbia subito tante punizioni: i professori
erano clementi, se avevi una numero di matricola da buon studente. Comunque, non
sopportavo l’idea di dare tutto questo potere a certi professori che erano dei veri e
propri psicopatici!
□
Nadir, Giu. 2016
7
Bibliosofia
Partenza lenta
Davide Persic
Per la terza volta nel giro di una
manciata di secondi esploro con le dita
l’interno dell’astuccio alla disperata ricerca di una matita in condizioni accettabili.
La gomma che con meticolosità continuo
a rivoltare nel palmo della mano s’è ormai
intiepidita. Non c’è più un briciolo di speranza. Non ce n’è mai stata. Mi volto insoddisfatto ad osservare la schiena china del
mio compagno di stanza. Penso al futuro
luminoso che lo attende, macché, al presente già brillante! Prendo tempo e getto uno
sguardo alla finestra; mi lascio abbagliare
ancora un poco dalla luce corrusca che filtra
attraverso il vetro. Provo un esagerato senso di gratitudine nei confronti della vita, lo
stesso che avevo provato esattamente tre
ore prima, nel soppesare con senso critico
se la composizione squisitamente estrosa di
doghe e lenzuola potesse assurgere a stato
dell’arte. Mi sorprendo della stupefacente
nitidezza con cui affiora l’immagine.
Scatta il sessantesimo minuto e la
partita è ancora in stallo. Nessuno dei due
ha avuto il coraggio di fare la prima mossa.
Da una parte Lui, beffardo e imperscrutabile nel suo innocente candore, dall’altra Io
(e chi mai?), a disegnare col pensiero ogni
genere di fantasia sulla sua superficie liscia
e intonsa. Ancora, dannatamente, intonsa.
Mi massaggio le tempie e serro gli occhi.
Segue un profondo silenzio interrotto solamente dalle severe imprecazioni di Ja-
copo rivolte all’ennesimo, impestatissimo
problema di fisica. Ridimensiono immediatamente la natura del mio, assalito da una
buona dose di timore reverenziale (e non
poco imbarazzo). Diavolo, che sarà mai! Mi
faccio coraggio e con decisione, armato di
solida grafite inserita in un raffinato fodero
di legno intarsiato (un vero cimelio risalente
all’epoca Ikea, credetemi), traccio d’istinto:
PARTENZA LENTA. Mi rendo conto di essere
leggermente in svantaggio. Nonostante il
titolo non ho ancora deciso quale argomento discutere. Ma come la stessa storia dell’umanità ci insegna, un punto di partenza è
allo stesso tempo un buon punto d’arrivo.
Rassicurante.
□
Massimo tre parole
Ernesto Ruota
Dove, armati di veridiche prove
filologiche e supportati da illustre esempio,
si mostra al Lettore quanto sia cosa infelice
il conceder con avarizia il tempo agli scritti.
Recenti ricerche hanno permesso
la riscoperta di alcuni scritti giovanili di Immanuel Kant; particolarmente interessanti
sono gli studi del grande filologo Osvald
M., massimo studioso dei diari segreti del
pensatore tedesco. Riportiamo ora un breve estratto delle sue ricerche.
Il giovane Kant frequentò con
grande profitto il collegio, tanto che si
definì subito il miglior allievo della classe;
quando poi la scelta del percorso universitario si rese necessaria, non esitò
ad iscriversi alla prestigiosa università di
Königsberg, anche perché, all’epoca, l’unica
senza prove di ammissione.
Il primo anno, come possiamo
leggere nei suoi diari, fu superato senza
eccessive difficoltà, se si esclude una ripetuta bocciatura all’esame di Storia della
Filosofia Contemporanea. Anche il secondo anno di studi procedette senza intoppi
e con risultati eccellenti. Durante il terzo
anno viene invece registrato un evento particolare, che intendo qui approfondire, anche a vantaggio delle nuove generazioni di
studenti.
Nei mesi di novembre e dicembre 1743, il giovane Immanuel studiava
assiduamente in vista dell’esame a scelta
da lui selezionato per la sessione invernale: Logica ed etica nel pensiero kantiano.
Quando giunse il momento di presentarsi alla prova, Kant si sentiva decisamente
preparato e sicuro di sé; del resto l’esame
riguardava la sua stessa filosofia, come
avrebbe mai potuto non superarlo? Questo
consisteva in uno scritto di dieci domande,
per ognuna delle quali erano disponibili
dieci righe, da completarsi in 60 minuti.
Sedutosi al banco e impugnato il pennino,
lesse i quesiti e li trovò estremamente facili.
Quesito numero uno: Si descriva, in massimo dieci righe, la concezione
kantiana dell’etica e in che modo essa si
relazioni con ciò che nel sistema si definisce
idea. Si giustifichi la risposta con opportune citazioni dalle principali opere di Kant,
con relativo commento ed analisi linguistica. Si esponga poi come quanto detto
possa essere inscritto in un ragionamento
più ampio, che consideri anche la sua
definizione di categoria, la sua attitudine
rispetto alla logica e le altre discipline da
lui studiate, supportando il discorso con
valide argomentazioni; non si dimentichi
infine di tracciare un quadro storico-politico-sociale dell’epoca.
Di simile natura i restanti nove
quesiti. Il giovane Immanuel cominciò di
buona lena a rispondere, ma si accorse
ben presto di come qualcosa non tornasse.
Dopo venti minuti stava ancora delineando
l’orizzonte storico-politico-sociale richiesto
nel primo quesito, senza aver minimamente affrontato gli altri punti. Quando poi,
dopo mezzora, terminò quell’impossibile
sintesi, si accorse di avere a disposizione
una riga soltanto per affrontare il resto
del quesito numero uno. Cercò allora di
recuperare disperatamente il tempo perduto e si tuffò a capofitto nella seconda
domanda, tentando in ogni modo di condensare la sua stessa concezione di metafisica, corredata ovviamente da citazioni
delle opere che lui stesso aveva partorito,
in meno di cinque righe. Così, quando il
professore, frustrato forse da una carriera
accademica non particolarmente brillante,
annunciò che bisognava appoggiare il pennino e consegnare gli scritti, il povero Kant
era riuscito a completare soltanto i primi 6
quesiti, abbozzando qualche frase sconnessa nel settimo. Massimi furono il suo
sconforto e la sua frustrazione.
Quando, una volta che anche il
secondo appello fosse trascorso, il professore decise di pubblicare gli esiti del
primo, il giovane filosofo scoprì di aver ricevuto diciotto e pianse lungamente.
Il giorno della visione dei compiti si recò in università e attese il suo turno;
quando finalmente fu chiamato a prendere
il suo elaborato, sul quale era stata pasticciata in rosso la sufficienza, volle chiedere
umilmente spiegazione al professore, il
quale prontamente gli rispose: «Signor
Kant, intanto il tenore polemico della
vostra richiesta vìola irrispettosamente la
8
Nadir, Giu. 2016
mia persona, dunque vi invito ad adottare un tono differente quando vi rivolgete
a me. Per quanto riguarda il vostro scritto,
posso soltanto asserire che voi della filosofia kantiana avete assimilato ben poco,
per non dire che non ne avete capito
davvero nulla. Sapete come definirei il vostro lavoro? Eh, lo sapete? Superficiale, non
avete approfondito nessun dei concetti richiesti; vi siete limitato ad accennare vagamente alcuni punti, dimostrando tra l’altro
scarsa attitudine alla materia. Consentitemi
infine di dire che voi, in qualità di non
frequentante, non meritereste un voto
migliore neppure se lo scritto lo fosse. Vi invito a ripresentarvi quando avrete studiato
Kant seriamente».
Allora Kant, che si sforzava di
trattenere le lacrime, osò accennare alla
scarsità di spazio e di tempo a disposizione e all’impossibilità di elaborare, scrivere
e addirittura pensare in quelle condizioni.
Non l’avesse mai fatto! Subito l’altro montò su tutte le furie, urlando «Voi non
vi dovete permettere di criticare il mio
lavoro di insegnante, è CHIARO? Voi state
mettendo in discussione quello che un
consiglio di docenti con secolare esperienza nell’insegnamento ha stabilito. Vi
rendete conto della gravità della cosa? Se
ho ritenuto che un’ora fosse sufficiente e
così lo fossero dieci righe, voi non vi
dovete neppure sognare di contestare ciò.
Mi sono spiegato? Quando qualcuno conosce realmente ciò che ha appreso, non
necessita di molto tempo per pensare, né
di tanto spazio per scrivere. Se non avete
voglia di studiare e intendete soltanto far
polemica restatevene a casa. E ora andatevene, dall’aula e anche dall’università,
se volete un consiglio da amico».
Se il lettore pensa che questa
scena sia stata la più triste che il povero
Kant dovette affrontare, si sbaglia grandemente. Quando infatti, tornato a casa,
dovette confessare ai genitori il misero
esito dell’ultimo esame, questi si adirarono
ancor più del professore.
La madre, che gli aveva impartito una profonda educazione religiosa di
stampo pietista, non ebbe nessuna pietà.
Inutili furono i tentativi di Immanuel di
riportarla alla ragione: «Madre, vi prego,
come potete pensare che io non abbia
studiato? Del resto l’esame riguardava me
stesso, come accidenti mi si può ritenere superficiale nella conoscenza della mia
stessa maledetta filosofia?» diceva lui mentre, iniziando ad accorgersi dell’assurdità di
quella situazione, si andava scaldando.
«Non ti giustificare» gridava lei
piangendo con il volto nascosto dietro ai
palmi, «se non hai più voglia di studiare
non inventare sporche menzogne almeno; inficia la tua media, ma non l’onestà
della famiglia. Se avessi saputo di questo
giorno, forse non ti avrei mai dato alla luce».
A quel punto intervenne il padre
e, con voce ferma e minacciosa, disse «Immanuel, hai deciso di gettar via la tua carriera accademica, quella stessa che io e
tua madre, con tanti sacrifici, ti abbiamo
permesso di seguire. Ora ti appelli a scuse meschine, insultando la tua e la nostra
intelligenza; non hai più rispetto di niente
e di nessuno. Non sei più un uomo ai miei
occhi».
Poi, essendo egli un ben conosciuto sellaio, non ebbe difficoltà a trovare
un lungo laccio di cuoio e ne fece lungo uso
sul figlio. Gli studiosi moderni non sanno
ancora dire se, alla fine di quella infelice
scena, molte ore dopo, fosse più conciato
il cuoio o il didietro di Kant stesso.
Va detto che il filosofo tedesco si
laureò ugualmente, ripetendo l’esame con
un altro professore che, dopo averlo interrogato in una prova orale, gli diede trenta e lode, complimentandosi per la conoscenza approfondita della materia. Qualche
anno più tardi, una volta laureatosi, divenne anch’egli docente universitario e
cominciò a insegnare. Quando dovette preparare il testo dell’esame, il primo quesito
recitava così:
Quesito uno di undici: Si descriva la storia del pensiero occidentale, prestando particolare attenzione agli aspetti
storici e sociali intercorsi tra l’invenzione
della scrittura e il secondo Illuminismo. Si
giustifichi la risposta con opportune citazioni dalle principali opere scritte in questo
periodo, con relativo commento ed analisi
linguistica. Si esponga poi come quanto
detto possa essere inscritto in un ragionamento più ampio, che consideri anche la
filosofia scolastica, la storia delle religioni
in generale e le metafisiche orientali, supportando il discorso con valide argomentazioni. Massimo dieci righe.
Tempo a disposizione: trenta minuti. Non intendo ora esprimermi circa la
morale di ciò che è stato qui riportato; eppure lasciate che vi chieda: quale insegnamento ritenete si possa trarre da tutto ciò?
Si scriva un significante elaborato di massimo tre parole.
□
Rubriche
Matricola d’oro
Matricola 1568224: non riesce ad aprire il lucchetto della propria bici per alcuni mesi, in quanto arrugginito. Una sera per gioco propone
ad alcuni Mazziani di cimentarsi nell’impresa, ma nessun bicipite riesce a muovere la chiavetta nella serratura. Arriva la Matricola d’Oro,
che scherzando: “Vincerò io questa Excalibur! Dovrete chiamarmi Re Artù!”, prende il lucchetto e tra gli sguardi attoniti dei compagni con
un leggero movimento sblocca il lucchetto. La matricola proprietaria scoppia in un pianto di gioia. GLORIA E ONORE!
Matricola 1646001: alla festa di Primavera si avvicina agli avventori mostrando fiero il bicchiere, chiedendo “Sai cos’è? È piña colada!”
...rispondendo poi agli sguardi interdetti con: “Ha solo ananas e cocco! Solo frutta! NON C’È ALCOL!”
Nadir, Giu. 2016
9
Collegio
Tragicommedia dello studente Mazziano
Veronica Mondini
Ebbene sì, cari lettori, ci siamo:
ci stiamo avvicinando al periodo caldo
dell’anno! Caldo di stagione e caldo per
l’impegno che bisogna metterci. Compitini,
preappelli, c’è già chi si è cimentato con il
primo studiacchiare, ma il bello deve ancora venire! Presto finiranno le lezioni e tutto
il nostro tempo sarà come risucchiato in un
unico costante pensiero: gli esami!
In realtà, crediamo che ansia,
preoccupazione, insonnia, oltre che danneggiare la vostra (e nostra) salute non vi
aiutino per nulla ad affrontare con serenità quello che alla fine è un momento della
vita, che prima o poi passerà (e fidatevi che
passa sempre). Vi proponiamo allora alcuni
esempi di tipologie dello studente mazziano in sessione estiva, non dimenticando
qualche consiglio pratico, per fare qualche
risata (e perché no?) per distrarci un momento dal nostro studio matto e disperatissimo.
Il tipo Sociale
La tipologia del mazziano last minute predilige come habitat naturale il bar. Ritiene
che specialmente nel periodo in cui non è
più impegnato con lezioni e laboratori, non
ci si debba dimenticare di socializzare con
tutti. Lo vedi protagonista di tutte le partite
a carte, campione assoluto del bigliardino
e talvolta potreste anche vederlo giocare a
scacchi (ma con moderazione, perché lì il
gioco si fa più intellettualistico). Della serie,
lo trovi tutta la sessione in bar a rilassarsi,
come dice lui. Capita magari di beccarlo in
mensa, ma proprio solo quando fa una breve pausa per mangiare. Domanda da evitare con questo soggetto:
Come va con gli esami?.
Potreste fare una
pessima figura con
chi si impegna così
tanto nel vivere
sociale.
Il tipo A-sociale
Il tipo Fuso
Attenzione signori, perché non è come potreste pensare: il mazziano A-sociale non è il
semplice opposto del tipo definito Sociale,
ma qualcosa di molto più divertente! Innanzitutto il mazziano A-sociale non lo vedi
praticamente mai: girano leggende che si
nutra delle pagine dei libri che studia, per
interiorizzare meglio (pensiero discutibile).
Poi lo vedi (beato chi lo vede) aggirarsi per
i corridoi a qualsiasi ora, ripetendo a voce
bassa frasi, che non si capiscono e che sono
comunque inquietanti. L’unico approccio
che si può tentare con questa specie mazziana è solo nella fase post-esame. Lo studente si presenta con la valigia alla mano,
ti saluta in modo assolutamente normale
e perde qualsiasi minaccia di pericolo che
aveva fino a qualche ora prima.
Il tipo Fuso generalmente si riconosce per
un tic evidente alla palpebra dell’occhio
destro, che continua a sbattere, senza che
il mazziano possa controllarla. Lo vedi sempre con un bicchiere di caffè in mano, il pigiama addosso e le pantofole (più comode
delle scarpe). Vi raccomandiamo di non avvicinarvi troppo, il contatto ravvicinato potrebbe essere sgradevole. Questa specie si
porta il vassoio in camera, lo consuma nella
velocità di pochi istanti e si rigetta nello studio. Se provate a scrivergli, probabilmente
vi risponderà il prossimo Natale. Normalmente non lo vedi in lavanderia, perché il
tipo Fuso riesce a sopravvivere con gli stessi
indumenti tutta la sessione. Aiuto.
Il tipo Mattiniero
La tipa Isterica
Lo studente Mattiniero si sveglia praticamente all’alba, se non prima. Fa colazione
con calma, approfittando del fatto che con
lui non c’è nessuno. Inizia a studiare prestissimo e sfrutta le ore più fresche della
giornata, perché la mattina ha l’oro in bocca!. Mentre tu stai facendo la merenda alle
undici, lo vedi passare, perché lui a quell’ora
va a pranzo. Della cena sarebbe meglio tacere, tuttavia il momento in cuisolitamente
il mazziano Mattiniero va a cena è generalmente prima dell’apertura della mensa. Altra peculiarità di questa specie l’ora a cui va
a dormire: le 21 potrebberogià essere un’ora troppo tarda!
Questa specie è prevalentemente femminile, anche se sono stati recentemente avvistati esemplari anche al maschile. La tipa
Isterica non la vedi, la senti. La senti perché
quando entri nella stanza in cui si trova noti
il valore di Ph acido salire alle stelle. La tipa
Isterica non comunica, sbuffa o grugnisce.
Generalmente è meglio evitare qualsiasi
contatto e rapporto per aver salva la vita.
Segnaliamo ai nostri lettori l’evoluzione
altamente rischiosa della tipa Isterica in
tipa Sclerata. Questo genere femminile si
caratterizza per le urla e grida che rivolge
inveendo contro tutti, per quale motivo?
Non sappiamo ancora dirvelo. Gli studiosi
stanno impostando un nuovo lavoro di indagine specifica.
Finisce qui la rassegna dei tipi
Mazziani, vi rassicuriamo però col dirvi che
il nostro studio semi-serio procederà con
tutto l’impegno del nostro team di giovani
ricercatori. Per avvistamenti o altre rivelazioni, vi segnaliamo la nostra mail: tragicommedia_mazziani_sessione-estiva@
gmail.com.
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10
Nadir, Giu. 2016
Torneo del Vino
Kristi Mustaqe e Gianluca Badano
La settimana scorsa si è svolta la
finale del torneo di calcio per club più importante al mondo: la finale di Champions
League. Il palcoscenico era uno dei più belli
al mondo, e non poteva essere altrimenti.
Si giocava allo stadio Giuseppe Meazza di
Milano e tutti abbiamo visto il meraviglioso
spettacolo che le squadre ci hanno offerto.
Però non tutti sanno che a poche centinaia
di chilometri da San Siro si è giocata anche
la finale di un’altra competizione calcistica,
forse meno blasonata della prima ma altrettanto affascinante e ricca di emozioni.
Parliamo del Torneo del Vino, che si svolge
nel famosissimo ESTADIO della SAGRADA
FAMILIA. Un torneo storico di calcio a 6 che
ogni anno vede sfidarsi i vari piani della residenza maschile. Anche quest’anno i ragazzi non ci hanno deluso, regalandoci tanta
adrenalina e tantissima sana ignoranza.
In finale si sono sfidate a suon di
tibiate il SERENISSIMO TERZO PIANO contro Il QUINTO, una partita a senso unico,
nel senso che hanno fatto tutti schifo. Ma
come in tutte le competizioni ci deve essere
un vincitore, e come in tutte le finali che si
rispettino solo i rigori possono decretare i
campioni.
La finale quindi si risolve ai rigori
con la vittoria del QUINTO, e le smadonne
(metaforicamente parlando) dei “SERENISSIMI” terzopianisti. Ora, tramite le nostre
pagelle ignoranti, andiamo a raccontarvi da
vicino tutto quello che è successo durante
la partita.
Terzo piano
Giovanni Brunelli (4,5): Pronti via e si becca
un gol su un tiro da centrocampo deviato
dove ha dimostrato l’agilità di un bradipo
sotto effetto di calmanti. Sul secondo gol
viene accecato dal colpo del sole di Leonardo e la palla gli scivola tra le mani come le
saponette delle peggiori prigioni di Azkaban. Dopo il terzo gol dice ‘mo basta e abbassa la saracinesca regalandoci salvataggi
che neanche Buffon ai tempi d’oro. Meglio
tardi che mai.
Piersavino Lichinchi (6): Si e preso più
pastiglie lui prima di questa partita che
Armstrong negli ultimi 5 tour, pur di giocare. Il veterano, tre volte campione, regala
tutto quello che ha, anche se il fisico ormai
è quello che è e i piedi anche. Molto propositivo finché non va in riserva, ovvero dopo
10 minuti, allora fa sfoggio della sua arma
segreta, la sciabolata tesa sulla tibia dell’avversario. Ortopedico.
Gianluca Badano (6): Il fatto di non essere
sceso in campo gli basta per la sufficienza
d’ufficio. Meno male che Gianluca non c’è.
Matteo Peria (10): BOMBER
Mario Giardina (7): Dedizione e professionalità al servizio di una banda di scappati
di casa. Aveva detto che avrebbe segnato
e l’ha fatto, gol ignorante come i suoi dribbling sulla fascia, dove si sente a suo agio
come F. Papa in una festa dove non si limona. ‘mmbbarefrate
Nicola Giannizzari (6,5): Don Nicola si mette subito a don-dolare tra le linee con un
paio di dribbling che lasciano tutti ipnotizzati e lui ne approfitta per fregarsi quello
che può. Firma la sua doppietta personale
con un tiro da fuori, prima di sbagliare un
gol praticamente già fatto. Utile in fase di
copertura come Zaccardo ai mondiali del
2006. (Don)’t touch my Breil.
Ilija Vego (6): Prestazione onestissima, diversamente dalla sua impresa di “recupero
crediti” che gestisce nelle peggiori città dei
Balcani. Rimane il rammarico per quel tiro
all’incrocio che viene neutralizzato dal portiere. Lui non ha i mezzi tecnici per farlo, ma
non lo sa e lo ha fatto comunque. Wiggle
wiggle wiggle!
Kristi Mustaqe (6): Partita di sacrificio e tanta sporcizia, condita da un assist degno del
Tare ai tempi del Brescia e da un tocco di
mano che ricorda la MANO de DIOS di Maradona. Rischia più volte il
secondo giallo collezionando
rotule a
destra e
a sinistra.
A fine partita
si contano:
1 ammonizione,
1 assist,
1 gol a porta
vuota sbagliato
clamorosamente
e 43 falli.
Crispy McTibia.
Matteo Guardamagna (6): 6 come i minuti disputati nel torneo, con tanto di gol e
assist. Se la tira perché il suo corso di studi è in inglese ma si dimentica di dire che
è una magistrale di psicologia. Cock-nitive
Neuros(uck)cience.
Claudio Zagonel (6): Una vita in pressing
dentro e fuori dal campo. Riuscirebbe a farsi male anche altorneo di bocce. Rapace di
cristallo.
Giovanni D’Onofrio (s.v/senza vergogna):
Non si dovrebbe scaricare la colpa su un
solo giocatore, perché si perde e si vince insieme, ma stavolta la colpa è tutta sua. Utile solo nel momento del non-bisogno. C’è
chi nasce a Policoro e segna il gol scudetto
(Zaza) e chi invece non decide neanche il
torneo del vino. (c.c/Carlo Conti)
Quinto Piano
Giacomo Di Paolo (10): BOMBER
Leonardo Monterubbiano (6): Tante giocate
e tanta classe sono quello che non ha fatto e non ha dimostrato in questa partita. In
cambio ha segnato un gol che mette in mostra il meglio del suo repertorio, lancio lungo sbagliato che si trasforma in pallonetto
e colpo del sole per accecare il portiere.
Ha meno autonomia del Veneto. Chiamate
un’ambulanza.
Nadir, Giu. 2016
11
Nicola Bettiol (6):
Occhiale alla Edgar
Davids, capello alla
Borriello e si va a
comandare per i
campi del Torneo
del Vino.
Fabbrica del sorriso.
Edoardo Ghidetti (5):
Ha sbagliato più stop
lui di Chiellini col destro.
Tira bene i rigori.
Poco STRANUZ.
Mattia Montanaro (6): Parlare di autonomia
per lui non ha nemmeno senso, ha fatto più
cambi in mezza partita di Allegri in mezza
stagione. Sprazzi di genialità con dribbling
e giocate da campione in pillole da 30 secondi. L’erba del campo è sempre più buona.
Tobu (6,5): Si fa mezz’ora in auto per giocare
40 minuti di una partita importante come i
semafori in Albania. Buona partita, pulita e
ordinata, mancava di ignoranza purtroppo.
Tommaso Comellato.
Filippo Manaigo (7,5): Partita di grande
spessore e la ciliegina sulla torta è la parata
di uno dei rigori. Il lancio lungo in fallo laterale veniva quotato 1.01. Spider-Man(aigo).
Iacopo Cristoferi (6,5): Ha la forma fisica di
uno che è appena stato a pranzo da sua
nonna. Partita pulita e senza sbavature.
Protesta più lui per un fallo laterale di un
leghista contro l’accoglienza dei rifugiati.
Salveeni.
Raffaele La Torre (6): Buona partita, sfrutta i
30 secondi che ha nelle gambe per segnare
il 3 a 0. Da uno che è tornato dall’India solo
poche settimane fa non si poteva chiedere
di più. Arridateci i Marò.
Davide Scipioni (6): Il mancino più pericoloso di Padova, non è lui. Riesce a saltare
gli avversari come birilli ma se non rientra
sul sinistro non è contento e quindi torna
indietro. Una volta ha provato a tirare di
destro, stanno ancora cercando la palla. Mi
ricorda tanto Robben (semicit.)
Qui sotto la dedica al nostro idolo.
Marco de Nadai (Y): Da uno che si è beccato
11 tunnel in una partita da ALBY non ci si può
aspettare tanto. Con il balletto al Mazzurro ha
conquistato i cuori di tutte le bufale di Pd. Bufalino ballerino.
□
12
Nadir, Giu. 2016
Rubriche - Culto
“...aspettare che il vapore svanisca come un sogno”
Cristiana Contri
É giunto, forse, il momento di
parlare di quella che è stata la prima drag
queen ad arrivare al grande pubblico in
Italia e la prima ad aprire la strada ad
altri personaggi simili nel mondo della
musica e dello spettacolo: Platinette, nome
d’arte di Mauro Coruzzi.
L’importanza rivestita dal suo
personaggio sfugge ad uno sguardo repentino, ma può essere rilevata se se ne
osserva più attentamente la figura. Egli,
nato a Parma nel 1955, è stato membro a
partire dal ’76 di un gruppo di intrattenimento, chiamato “Mine vaganti” e definito
di “trasformiste”, in quanto come sostenne
ad una intervista a “Niente di personale” nel
2011 “allora non si usava il termine “travestite”, suonava troppo volgare”.
L’appellativo deriva dal fatto che
il repertorio di tale collettivo canoro, che
si esibiva per eventi, discoteche e feste, si
basava su quello di Mina, ma soprattutto dal
fatto che il nome esprimeva in modo abbastanza incisivo la consapevolezza del ruolo
politico e sociale rivestito, poiché come egli
affermò sempre in quell’intervista “in quegli anni se non si era in un gruppo, in un
movimento, allora non si era”.
Dopo l’università è iniziata la sua
attività di recensore di concerti, poi una
concatenazione di eventi e di conoscenze
lo ha fatto approdare presso il mondo
della radio. Fin dagli anni Settanta ha
lavorato come conduttore radiofonico su
alcune emittenti regionali e solo a partire dal 1999 ha condotto una trasmissione
in onda su Radio Deejay. In questo stesso
anno, probabilmente grazie anche alla
notorietà del canale per il quale lavorava, venne notato da Maurizio Costanzo ed invitato a partecipare al suo show.
Fu in questa occasione che si presentò al
pubblico italiano con un coraggio ed una
modernità spiazzanti per quegli anni e
che diede inizio alla sua carriera televisiva
con le vesti, l’umorismo e la sfrontatezza
che da allora in avanti l’avrebbero sempre contraddistinto. Infatti, ancora a “Niente
di personale” a proposito del suo modo di
fare spettacolo dichiarò: “Mi piace stupire,
mi piace rischiare ogni volta ciò di cui non
sono sicuro, mi piace la forte provocazione
da leggersi e da vedersi come desiderio del
farsi accettare”.
Tale concetto è stato da lui ripreso anche nella sua ultima canzone, scritta
in collaborazione con Grazia Di Michele,
cantautrice italiana. Egli, infatti, oltre ad
essere un conduttore radiofonico, un conduttore televisivo ed un personaggio televisivo, si è posto anche come cantante,
avendo composto due album nel 1999 e nel
2012 e calcato il palco di San Remo nel 2012
e nel 2015. L’ultima esperienza, però, è stata forse quella nella quale più si è aperto al
pubblico.
Fra i versi di quel testo, che è
una poesia, una grande metafora nella
quale egli paragona il suo corpo ad una
finestra e il suo trucco ad un velo di vapore
che nasconde tutto, si legge: “Io non so mai
chi sono io sono per la gente/ coscienza
iconoclasta volgare e irriverente”. Attraverso una notevole capacità di sintesi, quindi, anche in questo caso viene ripreso il
suo gusto per lo spiazzamento, un gusto
nato forse come necessità in un Paese come
l’Italia, nel quale, negli anni in cui egli per la
prima volta compariva in televisione, l’unico modo per attirare attenzioni ma allo
stesso tempo tutelarsi era quello dell’ec-
cesso; non a caso nella canzone si parla di
“un’ombra di rossetto contro l’ipocrisia”.
Non molto tempo fa a “Lo
schiaffo”, una trasmissione televisiva, è
stata chiesta a Coruzzi un’opinione su
quest’epoca ed egli ha sostenuto come di
essa non gli piaccia quasi niente, in quanto invivibile, e come gli scocci il sapere che
non potrà vedere e vivere la parte che verrà.
“Io sono una finestra” a Sanremo si è
scandalosamente classificata al 16° posto
e ciò ha fatto emergere come il pubblico italiano non sia ancora preparato a
tali tematiche e a canzoni che trattano
questioni importanti, che in alcuni Paesi
sono già state superate, preferendone altre
meno impegnative. Quello di Coruzzi e della Di Michele, però, rimarrà comunque un
tentativo e, chissà, forse tra qualche anno
o forse dopo che la figura di Platinette
non ci sarà più, ne verranno riconosciuti
il valore e l’importanza avuti nel riscatto
della mentalità italiana. Prima che ciò avvenga, però, dovrà passare del tempo e, soprattutto, dovranno succedergli molti altri
personaggi simili. Nel frattempo a lui non
resta che sperare e, come afferma negli
ultimi due versi della canzone, quasi fosse
un saluto, “aspettare che il vapore/ svanisca
come un sogno”.
□
Nadir, Giu. 2016
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Quante aragoste per un solo film?
Giuseppe Matone e Giovanni Tregnago
Giovedì 28 aprile si è tenuta da
parte di CineMazza la proiezione del film
The lobster di Yorgos Lanthimos. Vista l’alta
partecipazione, anche da parte dei ragazzi
del collegio, ma soprattutto il forte dibattito
avvenuto a seguito della programmazione,
ci siamo confrontati per dare un’interpretazione al film, ma avendo scoperto le nostre
posizioni essere sorprendentemente diverse, quasi da chiederci se avessimo davvero visto lo stesso film, abbiamo deciso di
proporvele entrambe, per lasciare spazio
al confronto e soprattutto per coinvolgervi
nel dialogo. Se il film vi ha colpito, scrivete
anche voi una vostra versione del film, saremo ben felici di pubblicarla (anche anonima, se così preferiste).
Essendo presenti forti spoiler,
consigliamo la lettura principalmente a coloro che hanno già visto il film.
Giuseppe Matone
Il film proietta una storia amorosa sullo
sfondo di un futuro distopico animato da
una società opprimente e coercitiva che
vieta alle persone di essere single e le costringe a trovare l’anima gemella in un tempo limitato. Questa è la situazione in cui
versa un insolito Colin Farrel che si ritrova
costretto a recitare una tragicommedia sul
palcoscenico delle relazioni interpersonali.
Possiamo isolare tre figure fondamentali
che si distinguono nel modo in cui reagiscono a questa forma di oppressione. Prima tra
tutte è quella del protagonista David che si
staglia su due mondi completamente diversi: l’hotel e il bosco abitato dai solitari. In entrambe queste situazioni egli si comporta in
maniera esattamente opposta a quella prevista dalle regole: si innamora quando vive
con i solitari dove è vietato, non riesce a farlo nell’hotel dove è imposto, pena la trasformazione in un animale a sua scelta. Ed ecco
che tutto ad un tratto questi due mondi
così lontani sembrano avvicinarsi e condividere la stessa ipocrisia di fondo: i solitari rifuggono un sistema terribile e opprimente
rifugiandosi in uno che, forse, lo è ancora di
più, vista la vasta gamma di atroci punizioni
previste per coloro che osano trasgredire
le regole. Così il bosco, primamente visto
come porto sicuro in cui poter trovare riparo, rivela anch’esso, a suo modo, la propria
forma di coercizione, diventando il nuovo
mondo da cui fuggire. Alla luce di questo
si può notare come David rifiuti qualsiasi
forma di costrizione imposta dall’alto, egli
è la più pura incarnazione del desiderio di
libertà che è proprio di ciascun uomo, egli
diviene il paladino di una ribellione che si
consuma nei confronti di una società malsana che pretende di controllare, al limite
della dignità, anche l’ambito più privato
della vita di una persona, quello delle relazioni. Essa cerca a tutti i costi di inculcare
nella gente l’assurda convinzione di non
poter vivere senza un partner e che la felicità di coppia possa essere raggiunta solo
se si hanno tante cose in comune. Proprio
da qui scaturisce la vacuità di un sistema
forzato, non naturale, finto, la cui dimostrazione si ha nella completa assenza di esitazione del marito della direttrice dell’hotel
nel momento in cui gli viene chiesto di
sparare alla moglie, in cambio di aver salva
la vita. Seconda importante figura è quella
della donna insensibile, l’unica persona capace di sopravvivere in una situazione così
proibitiva quale quella dell’hotel. Ella altro
non è che il prodotto annichilito di una società asfissiante che l’ha completamente
spogliata del suo essere umana, che le ha
strappato l’ossigeno degli uomini, ossia la
capacità di provare sentimenti, la capacità
di relazionarsi con gli altri. Così, l’unica cosa
che distingue l’uomo dagli animali, lei sembra averla perduta per sempre, essendo già
andata incontro, di fatto, alla trasformazione tanto demonizzata. Alla donna insensibile si contrappone la terza e ultima figura
presa in considerazione, quella donna che,
dopo aver tentato il tutto per tutto arrivando persino a calpestare la propria dignità,
decide di porre fine alla sua vita gettandosi
da una finestra. Attorno a questo personaggio si coagula la condizione di chi è debole
e incapace di reggere una realtà tale, chi
non vede in quest’incubo altra via d’uscita
se non nella morte. Questa contrapposizione è perfettamente ravvisabile nella scena
in cui la donna suicida giace a terra schiacciata in una pozza di sangue e la donna
insensibile, a pochi metri da lei, continua
a sorseggiare amabilmente la sua tazzina
restando in silenzio e impassibile dinanzi
ad uno spettacolo così scioccante. Questo
silenzio viene squarciato dalle urla della
donna che sottolineano il distacco tra le
due figure, trasmettendo un profondo senso di sgomento nello spettatore come se si
sentisse partecipe di quel dramma. Tuttavia
questa atmosfera stupefacente viene spezzata dall’inverosimile conversazione che segue tra la donna e David: questi sta fingendo di essere anch’egli insensibile per poter
entrare nelle sue grazie. Così il protagonista
sembra voler rispettare le regole, sembra
accettare quella situazione, ma in realtà sta
solo cercando di uscirne il prima possibile.
Alla luce di quanto detto appare evidente
come, in una società dove l’ipocrisia e la
vacuità sono i pilastri portanti, non possa
trovare spazio un amore schietto e autentico quale quello dei protagonisti e perché
il protagonista voglia essere trasformato in
un’aragosta, che tra le tante qualità elencate possiede un esoscheletro: quasi come se
egli volesse finalmente ottenere quello scudo protettivo capace di renderlo immune
a quel conformismo con cui alla fine sembrascendere a patti. David durante tutta la
sua avventura si muove sul filo che separa la
libertà dall’abisso dell’oppressione, la naturalezza dalla vanità: se da una parte sembra
piegarsi e accettare quel sistema repressivo
dall’altra si erge a paladino dell’autenticità e
della spontaneità. Tuttavia possiamo effettivamente affermare che egli riesca nel suo
intento? Egli si acceca o no? Egli è carnefice
o vittima di questo sistema? Non lo sappiamo, il regista tace su questo lasciando allo
spettatore l’ardua sentenza, quasi come se
volesse lanciare una sfida allo stesso che si
trova a vivere in un contesto non molto distante da quello da lui esasperato.
Giovanni Tregnago
Un’atmosfera melanconica per un umore
nuvoloso, non sai che cosa sta succedendo, pensi solo che c’è qualcosa che non va
– quella triste speranza che senti crescere
come una tensione, speranza che il sole
torni a brillare o trapassi appena un po’ di
più la cortina di ferro, che il sipario non cali
troppo presto, che quel coperchio non copra anche l’ultimo spiraglio, e chi s’è visto s’è
visto. Sono queste le impressioni che lascia
la fotografia in The lobster. Cieli bigi e mari
chiari, pavimenti e vestiti bianchi, tutto perfettamente livido, asettico e anonimo, torbido come acqua salata.
Per chi ha vissuto il film in maniera partecipata, The lobster è il dramma
esistenziale di un uomo che vorrebbe tanto
avere un posto nel mondo in cui vive; per
chi non l’ha fatto, a chi è solito assumere
una prospettiva critica verso un lavoro artistico, sembrerà una commedia con punte
tragiche, humor amaro e spunti interessanti. Avendoli provati entrambi, non me la
sento di dire che uno sia migliore dell’altro,
nonostante le mie preferenze vadano al primo.
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La storia del protagonista è un
timido, tremendo, silenzioso grido d’aiuto
agli altri, aiuto che solo in apparenza gli
viene concesso. Tutte le società a cui porge la richiesta infatti non cercano affatto di
salvarlo: una società non ha alcun interesse
nel soddisfare le richieste del singolo, una
società non può far altro che imporre le
proprie regole. In questo senso sono andati
gli interventi del pubblico: la società come
organismo di controllo, sorveglianza e costrizione che esige l’alienazione dell’individuo da sé stesso. Purtroppo, i più si sono
Nadir, Giu. 2016
dimenticati di un particolare: è il protagonista stesso a volerci entrare. È il protagonista
che vorrebbe, in qualche modo, prenderne
parte, sebbene non si sappia infine perché
(Senso di solitudine? Debolezza? Male di vivere? Boh). David sente il bisogno di stare
con l’altro, per questo arriva a fingersi diverso da sé pur di stare nel gruppo. Ma non ci
riesce. Non si adatta perché non è in grado
di adattarsi: ha troppo a cuore sé stesso, i
propri desideri e inclinazioni da cui non può
in alcun modo prescindere. È un inetto: il
paradigma dell’uomo che vuole, ma non
riesce. Il finale in tal senso è emblematico:
forse che alla fine ci riesce? Riesce ad uscire
dal limbo, a prendere una decisione? Mistero. Un fatto però è evidente: che sia lui l’aragosta, lui che in ogni società di cui entra a
far parte (i tre amici, la società civile, quella
clandestina, con la sua amata) si sente in
trappola, in un mondo monocromo e feroce, con appena un accenno di sole. Perché
ricordiamoci: le aragoste, le cuociono vive.
Cala il coperchio, ops, il sipario.
□
Addio alle tastiere. Reportage di un ultimo saluto
Giovanni Tregnago
Tensione positiva. C’è adrenalina
nell’aria, l’adrenalina del pre-concerto, e
una luce blu che carica l’atmosfera di elettricità. Non sai cosa accadrà; sai però che puoi
aspettarti di tutto.
Sono nel quadrato A, il primo davanti al palco, proprio sotto la cassa sinistra.
Il Geox strabocca di gente. Ogni tanto qualcuno cerca di far partire vari cori da stadio
per incitare l’arrivo della band, ma non sembra esserci alcuna risposta alle loro invocazioni.
All’improvviso, buio in sala. Parte
una musica che ha dell’epico. Sullo schermo
compaiono uno dopo l’altro questi spezzoni:
AVEVANO UN SOGNO CANTARE LA LORO
IRLANDA CI SONO RIUSCITI MA ERA IL SOGNO SBAGLIATO COSÌ NE HANNO SOGNATO UN ALTRO
Parte quindi una carrellata di immagini, dagli anni ’60 a oggi, che ripercorrono i momenti fondamentali della loro saga.
Entrano così uno ad uno sul palco: Faso il bassista, Cesareo il chitarrista,
Christian Meyer alla batteria, Rocco Tanica e
Jantoman alle tastiere, la corista Paola Folli
ed infine lui: Elio, vestito di tutto punto, con
un completo rosa confetto. Completata la
formazione, il pubblico in delirio che applaude, gli Elio e le Storie Tese erompono
con il pezzo che per 24 anni ha accompagnato i loro live: Servi della Gleba.
All’ultimo concerto ufficiale con il
tastierista storico Rocco Tanica, non vogliono perdere tempo: e difatti, dopo l’apertura
infilano la strepitosa doppietta Burattino
senza fichie Miocuggino, sul cui finale parte
una deriva di Faso e Paola Folli, che si esibiscono basso-voce in una versione sporca
della celebre sigla di Heidi. All’altezza del
sesto brano ho l’impressione che manchi
qualcosa.
Mi domando il perché di questo
vuoto, quando d’improvviso parte l’inconfondibile urlo: Argento vivo! Sbiancate!
Figu! Oklahoma! Sigarette! Puttano! Paciugo! Smarmittare...͟, e salta sul palco la
Bestia Mangoni con la sua tutina verde di
Supergiovane, il supereroe che difende i
giovani dai matusa e dal governo, sventolando la mantellina di plastica iridescente.
Ecco cosa! Da lì in poi il concerto
esplode. Per la canzone successiva la Bestia
si cambia, indossando l’immancabile vestito rosa shock con il boa di piume, e accompagnato dal corpo di ballo sculetta allegramente dentro una gabbia sulle note latine
di El pube.
In seguito, Christian Meyer si prodiga nel marasma elettronico di Discoteca
svizzera pigiando i tasti della console con le
bacchette, la gente comincia a ballare sulle
note di Pipppero e Discomusic, a Born to be
Abramo mi alzo per unirmi al lungo trenino che si è formato e circonda il par terre.
Parte la sezione rock: a Il Rock and Roll una
chitarra plana sul palco in mano a Mangoni travestito da Elvis, Elio sfodera un pollo
di gomma col quale al termine del brano
schiaffeggia sadomasochisticamente il collega, canto con loro a squarciagola il ritornello di John Holmes, canta tutto il pubblico quando giunge Uomini col borsello.
Momento di rallentamento. Dopo
una godibilissima T.V.U.M.D.B. gli Elii danno
un ottimo saggio di un corretto uso dell’auto-tune quando Rocco Tanica canta soavemente il verso She wants in the posterior.
Nuova combo: dopo l’ilare Il vitello dai piedi
di balsa con Reprise parte una potentissima
versione di Shpalman(sì, proprio quello che
shpalma la merda in faccia), e di punto in
banco la band abbandona il palco.
Già qualcuno si alza, pensando sia
ora di andarsene, ma evidentemente non
conosce fino in fondo la band. Tutti infatti
sanno che non se ne vanno prima di aver
suonato almeno una volta Tapparella. Parte così un potentissimo Forza panino! che
li richiama sul palco, per suonare quella
straordinaria Cara ti amo, che, nata come
improvvisazione e subito diventata loro
simbolo, non è mai uguale da un concerto
all’altro. Se ne vanno di nuovo, e questa
volta bisogna urlare ancora più forte Forza
panino!; tornati, finalmente eccoli rievocare
i brufolazzi, tapparella giù e poltiglia, più
ascella purificata che tipicamente accompagnano la festa delle medie in Tapparella.
Ecco, adesso è finita. Sul Forza panino! finale si chiude l’esperienza di Rocco Tanica. Il
pubblico in delirio si scaglia a bordo palco.
La band e il corpo di ballo fanno l’inchino, e
si chiude così il più fantasmagorico capitolo
per la band più importante d’Italia. Senza
Rocco non sarà più la stessa cosa - un fan
accanito come me lo sa.
Eravamo fidanzati / poi tu mi hai lasciato, /
senza addurre motivazioni plausibili [...] ciononostante/ cara ti amo
Ciao Rocco.
□
Nadir, Giu. 2016
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Tempo libero
Piccolo decalogo semiserio per gli esami
Don Luca Corona
1. L’esame è soltanto l’occasione per uno studio più approfondito;
2. In un esame, in fondo, si valuta quasi soltanto fino a che punto lo studente sia riuscito a pensare quello che sta dicendo;
3. Nessun argomento d’esame è secondario. Ognuno può essere l’occasione per un
discorso più o meno intelligente;
4. Le nozioni non servono a niente, purché le si conosca bene, in modo quasi infallibile;
5. Mantenere la calma è la prima delle qualità di un esaminando. Ma si è calmi solo
quando si sanno le risposte;
6. Ogni approfondimento è gradito, purché venga dopo lo studio del corso ordinario e
non stia al posto di quello;
7. Durante l’esame orale si ha di fronte agli occhi solo la faccia del professore: nessun
foglio o appunto o libro viene ammesso, perché bisogna abituarsi a usare la memoria.
Non è vietato parlare con le mani;
8. La libera scelta di un argomento con cui partire (quando c’è la possibilità), solo apparentemente semplifica la vita. In realtà dimostra già qualcosa;
9. La passione o la trascuratezza con cui si studia vien fuori dalle prime dieci parole che
si proferiscono. Quelle successive servono solo ad un tentativo, spesso vano, di smentita;
10. Lo stress da esame è anche una molla per dare il meglio. Non preoccupatevi troppo, ma nemmeno troppo poco, sapendo comunque che una serena tensione è la vostra arma vincente.
Buona sessione!