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scheda tecnica
titolo originale: UM FILME FALADO
durata: 96 minuti
nazionalità: FRANCIA, ITALIA, PORTOGALLO
anno: 2003
regia: MANOEL DE OLIVEIRA
soggetto: MANOEL DE OLIVEIRA
sceneggiatura: MANOEL DE OLIVEIRA
produzione: PAULO BRANCO PER MADRAGOA FILMES, GEMINI FILMS, MIKADO
FILM, FRANCE 2 CINEMA, ICAM, RTP, CNC, CANAL+, CINE' CINEMAS,
EURIMAGES
distribuzione: MIKADO
fotografia: EMMANUEL MACHUEL
montaggio: VALÉRIE LOISELEUX
set design: ZÉ BRANCO
costumi: ISABEL BRANCO
suono: PHILIPPE MOREL
interpreti:
LEONOR SILVEIRA
JOHN MALKOVICH
CATHERINE DENEUVE
STEFANIA SANDRELLI
IRENE PAPAS
FILIPA DE ALMEIDA
LUÍS MIGUEL CINTRA
Rosa Maria
Il Capitano John Walesa
Delfina
Francesca
Helena
Maria Joana
l'Attore Portoghese
MANOEL DE OLIVEIRA pseudonimo di MANOEL CANDIDO PINTO DE OLIVEIRA
Biografia
Nasce il 11/12/1908 a OPORTO (Portogallo). Ancora attivo a oltre 90 anni, è il decano e
maestro del cinema portoghese, dallo stile lento, antinarrativo e straniante in cui
predomina la raffinatezza formale. Nato in una famiglia di ricchi industriali, studia in
Portogallo e in Spagna. Debutta nel cinema come comparsa nel 1928 in Fatima
miracolosa (Fátima Milagrosa) e come attore partecipa al primo film sonoro portoghese.
Nel 1929 comincia a girare un cortometraggio sull'ansa fluviale del Douro Douro, ansa
fluviale (Douro, faina fluvial) che uscirà due anni dopo. Atleta e corridore automobilistico,
alla morte del padre deve dedicarsi alla conduzione dell'azienda paterna insieme ai fratelli.
Torna a girare cortometraggi nel 1938 con Miramar, plaia de rosas e In Portogallo
adesso si fabbricano automobili (Em Portugal já se fazem automóveis". Il suo primo film
da regista è Aniki Bóbó (1942) - un film sull'infanzia adattato da un racconto di Rodrigues
de Freitas - che verrà paragonato ai film di De Sica- Zavattini I bambini ci guardano e
Sciuscià. Poichè gli vengono bocciate dal governo alcune proposte per altri film si dedica
all'agricoltura dove con il suo animo di sperimentatore tenta nuove forme di gestione. Nel
1956 gira un documentario a colori Il pittore e la città (O pintor e a cidade) in cui
confronta immagini di Oporto con i quadri di Antonio Cruz grazie al quale vince l'Arpa
d'argento al festival di Cork. Ottiene dei fondi nel 1963 per girare il suo secondo
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lungometraggio Atto di primavera (Acto de primavera) sulla rappresentazione che ogni
anno nel paesino di Curalha si fa della passione di Cristo. Dal '72 torna al lungometraggio,
grazie a un finanziamento della Fondazione Gulbenkian, con Il passato e il presente (O
passado e o presente) si orienta verso storie letterarie d'epoca romantica, dove si
consumano amori impossibili, che inizia la tetralogia che comprende Benilde o la vergine
madre (Benilde ou a Virgem-Mãe 1975), Amor de perdiço (1978), e si conclude con il
suo capolavoro Francisca (1981). Nel 1985 si ispira a un testo del francese Paul Claudel
per La scarpetta di raso (O sapato de cetim) e riceve a Venezia il Leone d'oro alla
carriera. Nel 1991, sempre a Venezia vince il premio speciale della giuria per La Divina
Commedia (A divina comédia). Negli ultimi anni la sua produzione è stata molto intensa.
Sono usciti tra gli altri, La valle del peccato (Vale Abraão, 1993) e I misteri del convento
(O convento, 1995). Nel 1996 ha presentato a Venezia con successo il sottile Party. Con
La lettera (A carta, 1999), ha ottenuto il gran premio della giuria al Festival di Cannes.
Notevole successo di pubblico ha ottenuto nel 2000 Parole e Utopia (Palavra e utopia) e
nel 2001 Ritorno a casa (Vou para casa) con Michel Piccoli nel ruolo di un anziano attore.
Presente fuori concorso con Porto della mia infanzia (Porto da minha infãncia) alla 58°
Mostra del Cinema di Venezia dove riceverà il "Premio Robert Bresson" assegnato dalla
Rivista del Cinematografo con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura e del
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
Filmografia
AMOR DI PERDIZIONE
REGIA, SCENEGGIATURA - 1978
ANIKI-BOBO'
IL PITTORE E LA CITTA'
REGIA, MONTAGGIO E FOTOGRAFIA - 1956
IL PRINCIPIO DELL'INCERTEZZA
REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 2002
REGIA, MONTAGGIO, SCENEGGIATURA - 1942
IL QUINTO IMPERO - IERI COME OGGI
ATTO DI PRIMAVERA
REGIA E SCENEGGIATURA - 2004
REGIA, FOTOGRAFIA, SCENEGGIATURA - 1962
INQUIETUDINE
BENILDE O LA VERGINE MADRE
REGIA E SCENEGGIATURA - 1974
CONVERSAZIONE CONCLUSA
ATTORE - 1980
DOURO, ANSA FLUVIALE
REGIA E SCENEGGIATURA - 1998
LA CACCIA
REGIA,
SOGGETTO
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MONTAGGIO,
SCENEGGIATURA E FOTOGRAFIA - 1963
LA DIVINA COMMEDIA
REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 1991
REGIA E MONTAGGIO - 1931
FRANCISCA
LA LETTERA
REGIA E SCENEGGIATURA - 1999
REGIA E SCENEGGIATURA - 1981
LA VALLE DEL PECCATO
I CANNIBALI
REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 1993
REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 1988
LE SOULIER DE SATIN
I MISTERI DEL CONVENTO
REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 1995
I QUADRI DI MIO FRATELLO JULIO
REGIA E SCENEGGIATURA- 1985
LISBON STORY - STORIA DI LISBONA
ATTORE - 1994
REGIA, MONTAGGIO E FOTOGRAFIA - 1965
NO, O LA FOLLE GLORIA DEL COMANDO
REGIA, MONTAGGIO E FOTOGRAFIA - 1959
REGIA,
MONTAGGIO,
SCENEGGIATURA - 1990
IL PASSATO E IL PRESENTE
PAROLE E UTOPIA
IL PANE
REGIA, SCENEGGIATURA E MONTAGGIO - 1971
SOGGETTO
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REGIA, SOGGETTO E SCENEGGIATURA - 2000
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PARTY
REGIA, SOGGETTO E SCENEGGIATURA - 1996
UN FILM PARLATO
REGIA , SOGGETTO E SCENEGGIATURA - 2003
PORTO DELLA MIA INFANZIA
REGIA - 2001
VIAGGIO ALL'INIZIO DEL MONDO
RITORNO A CASA
ATTORE, REGIA SOGGETTO E SCENEGGIATURA 1997
REGIA, SOGGETTO E SCENEGGIATURA - 2001
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È UN FILM PARLATO poiché è parlato in varie lingue. Poiché sin dai primordi ognuna di
esse rappresenta un contributo all'evoluzione della civiltà occidentale. Si tratta, in
definitiva, di un modo traverso di toccare ciò che è fondamentale in questo film parlato.
Tutto avviene lungo un viaggio su una nave da crociera. Una professoressa di storia
attraversa il Mediterraneo con sua figlia, per andare a trovare il marito, pilota d'aereo, e
trascorrere le vacanze insieme dall'altra parte del mondo, a Bombay.
È anche un pretesto per rendere omaggio a tre grandi attrici di teatro e di cinema che
hanno attraversato una lunga e gloriosa vita artistica, e che ci danno, attraverso i
personaggi che rappresentano, una visione critica di questa civiltà, in una semplice
conversazione a tavola, con l'esperto comandante della nave che le conduce in questo
nuovo viaggio.
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Cineasta cardine del movimento modernista, la cui vita scorre parallela al compiersi del
primo cinesecolo, de Oliveira, puntualmente deriso dai gazzettieri nostrani, non è solo un
uomo: è un intero mondo. Nella sua produzione cinematografica s'intrecciano non solo le
stagioni del cinema portoghese (realismo, neorealismo ecc.) ma soprattutto l'esigenza di
trovare una strada (insieme individuale e nazionale) attraverso la quale mettere in scena il
farsi della crisi modernista. De Oliveira, probabilmente il cineasta più libero della storia del
cinema, a partire dal seminale O passado e o presente, ripensa, nella sua
personalissima parabola estetica, non solo tutta la storia recente (e non solo) del
Portogallo ma la rielabora come se potesse (dovesse) essere il terreno d'elezione di un
cinema a rischio e sempre sul crinale dell'innovazione formale e linguistica. Nonostante
l'apparente monoliticità della sua produzione ruotante intorno alla centralità della parola e
del divenire delle messinscene possibili, quello di de Oliveira è un cinema multiplo. Basti
pensare al florilegio di testi che s'intrecciano nel suo lavoro: l'ironica e minacciosa
frontalità di Mon cas, la riflessione filosofica di A divina comedia, il musical operettistico
di Os canibais il sensuale rigore giansenista di Benilde oppure la geniale reinvenzione
storica di No o la folle gloria del comando dove Fuller s'intreccia con il Rohmer di
Perceval. È impossibile circoscrivere de Oliveira e le sue traiettorie. Lui non si fa mai
trovare dove lo si sospetta. Con la leggerezza di un folletto, gioca di derive e di scarti.
Mescola materiali e stili, storie ed estetiche. Per viaggiare con Manoel de Oliveira bisogna
senz'altro essere attrezzati. Ma pensare di poter competere con la sua olimpica
"onniscienza" è impresa destinata a fallire in partenza. E allora tanto vale seguirlo dotati di
poco bagaglio, quel tanto in grado di restituirci ogni volta al piacere del suo cinema.
Giona A. Nazzaro
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Manuel de Oliveira riceve alla 61a Mostra internazionale del cinema di
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Manuel de Oliveira è un regista di 96 anni, il più longevo ancora in attività di tutta la storia
del cinema, e uno dei maestri del cinema portoghese essendo nato a Oporto nel 1908.
Ricordiamo alcuni dei suoi film più importanti: Aniki-Bobò (1941) che prende il titolo dal
verso di una filastrocca per fare la conta e racconta le avventure di due bambini
innamorati, Il passato e il presente (1971), Francisca (1980), I cannibali (1988), La Divina
Commedia (1991) riflessione storica tra bene e male, tra peccato e santità, La valle del
peccato (1994), I misteri del convento (1995), Party (1996) storia d’
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dongiovanni (Michel Piccoli) e una celebre attrice non più giovanissima (Irene Papas),
Viaggio al principio del mondo (1997), La lettera (1999), Parole e utopia (2000) che
ricostruisce la vita di padre António Vieira, grande predicatore gesui
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tratta di azioni destinate alla sconfitta o di situazioni che finiscono in tragedia, prendendo
spunto e ispirazione da testi letterari importanti. Fra questi Claudel e Madame de La
Favette, Dostoevskj e Flaubert, Beckett e Camilo Castelo Branco, che ha fornito al regista
lo spunto per Amore di perdizione (1978).
Molti dei suoi film sono dilatati, intellettualistici, poetici, quasi immobili nella compostezza
delle inquadrature, attraversati lentamente da personaggi che si rivolgono solo alla
macchina da presa, richiedono attenzione e concentrazione allo spettatore, ma offrono in
cambio emozioni esclusive.
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DE OLIVEIRA , O DELLO SGUARDO INNOCENTE
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Torino ha dato la possibilità di assistere a incontri con il regista ma anche con i suoi
principali collaboratori (dal direttore della fotografia agli attori al produttore): per usare le
parole dei direttore Della Casa, "ècomeseun’
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De Oliveira ha parlato del cinema che lo ha influenzato, ("Jean Vigo, il cinema
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spiegato perché i suoi attori guardano spesso in macchina: "Perché in questo modo gli
attori parlano direttamente allo spettatore, e questo porta il pubblico a passare da una
posizione passiva ad una più attiva: lo obbliga a pensare, a prendere posizione su quanto
sta accadendo".
E non ha lesinato critiche al cinema di oggi: "Fino alla seconda guerra mondiale il cinema
ha conservato la sua innocenza, il suo candore, anche quando voleva essere sovversivo.
Oggi il cinema ha perso questa innocenza tanto più quanto è avanzata la tecnica. Io
stesso, che pure non sono così innocente come posso sembrare, ammiro moltissimo
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colo dalla tecnica che rende molta parte della nostre vite
artificiali, facendoci perdere di vista ciò che conta: i rapporti umani, i sentimenti, gli affetti.
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Andrea Nobile –www.tempimoderni.com
Recensioni
Daniele Sesti –Film Up
In concorso nella Sezione principale della 60° Mostra del Cinema di Venezia "Un film Parlato" del
portoghese Manoel De Oliveira ("Ritorno a casa" , 2001) è un film dalla storia accattivante.
Rosa Maria, giovane professoressa universitaria di storia attraversa il Mediterraneo, assieme alla
piccola figlia Maria Joana, per raggiungere il marito che si trova a Bombay. E' un viaggio
affascinante che la conduce nei luoghi dove la civiltà occidentale ha avuto la sua culla e dove si è
sviluppata raggiungendo le più alte vette delle sua crescita. Ceuta, Marsiglia, Pompei, Atene,
Istambul, l'Egitto fino ad Aden, madre e figlia percorrono miglia di storia e di conoscenza ed
apprendono le basi e le ragioni della cultura occidentale. Sulla nave hanno poi la fortuna di
conoscere il Capitano, un americano di origine polacca (John Malkovich) e tre affascinanti ed
intriganti donne: la francese Dauphine (Catherine Deneuve) imprenditrice, Francesca (Stefania
Sandrelli) un ex modella italiana, Helena (Irene Papas) cantante ed attrice greca. Esperienza
elettrizzante e fertile se non fosse che qualcuno, dei terroristi sicuramente, degli arabi
probabilmente, minacciano la sicurezza della nave e dei suoi passeggeri...
Trama, come detto, molto intrigante e che reca messaggi altamente condivisibili come quelli della
tolleranza e della reciproca conoscenza. Su questo De Oliveira non manca di colpirci ancora una
volta positivamente.
Perplessità, invece, provengono dal come si mette in esecuzione questo proposito.
Il titolo, invero, è rivelatore. In questo non possiamo tacciare l'autore di averci ingannato.
Infatti, questo è un film parlato, parlatissimo, verboso come pochi. I primi 40 minuti del film sono un
continuo rispondere della madre alle, dopo cinquanta minuti, oziosissime domande della figlia.
Che significa "mito"? Che significa "leggenda"? Chi sono gli arabi? Chi sono gli ortodossi?
Un fuoco di domande delle quali, dopo un po', non se può veramente più. A tutto ciò aggiungete
che ogni tanto la mammina chiede lumi a guide turistiche dei luoghi visitati i quali rispondono nella
propria lingua. Dopodiché ci tocca la tortura della traduzione di quanto riferito dalla guide, che la
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mamma fa alla noiosissima bambina.
Ma il culmine della ciarleria spinta, dove le parole volano come polline in primavera, si raggiunge
durante la cena al tavolo del Capitano (un Jonh Malkovich mai visto così a disagio). Metti una sera
a cena una francese (vestita di blu), un'italiana (vestita di rosso) ed una greca (vestita di nero), con
velleità artistiche ed urgenti dubbi esistenziali, e poco scampo avranno le tue orecchie travolte da
un profluvio di parole dalle quali riemergere è impresa quasi impossibile.(Per inciso, la succitata
scena della cenetta dura qualcosa come 25 minuti!!).
Insomma, un film dagli intenti lodevolissimi, ma squilibrato nel suo impianto genetico e nella sua
gestazione.
Lidwine Tamburini –Film.it
Nella sua ultima opera, il grande regista portoghese ci trascina in un viaggio attraverso il
Mediterraneo, sui siti originari delle grandi civilizzazioni, per una riflessione sull'evoluzione del
mondo occidentale.
Rosa Maria (Leonor Silveira), una giovane professoressa di storia dell'università di Lisbona, parte
per una crociera nel Mediterraneo con sua figlia Maria Joana (Filipa De Almeida), per poi
raggiungere il marito, pilota d'aereo in posto a Bombay, in India.
Diverse tappe durante le quali Rosa Maria potrà visitare i posti di cui parla durante le sue lezioni e
facendo così conoscere a sua figlia ciò che ha marcato la storia delle civilizzazioni mediterranee:
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Durante la crociera, Rosa Maria incontra anche tre donne di nazionalità diverse : Delfina, donna
d'affari francese (Catherine Deneuve), Francesca, ex-famosa modella (Stefania Sandrelli) e
Helena, attrice e cantante greca (Irene Papas) ; così come il capitano della nave, John Walesa,
americano di origine polacca (John Malkovich).
Tramite i meandri della crociera, De Oliveira ci trasporta attraverso il tempo, come una deviazione
per farci riflettere su ciò che ha costituito il mondo occidentale, i suoi luoghi mitici, le sue
civilizzazioni. Come dice lui stesso, « un film parlato poiché è parlato in varie lingue ».
Infatti, il film affronta le lingue sulle loro particolarità proprie, sulla cultura che ognuna porta con sé
e che rappresenta, e come hanno potuto contribuire all'evoluzione della civiltà occidentale, nelle
loro vicinanze ma anche nelle differenze.
Così lo spazio si costruisce tramite le lingue e la parola in generale, e la tavola dove cenano il
comandante e le tre donne costituisce una specie di nuova Babele, dove ciascuno parla la sua
lingua e si fa capire perfettamente dagli altri. Ma al di là del confronto linguistico, sono la
comunicazione e l'ascolto ad essere in gioco qui, l'apprendimento dell'altro proprio nelle sue
differenze : sia fra due o parecchie culture, sia fra individui nelle loro scelte di vita, sia anche nel
semplice fatto di una madre-professoressa che spiega a sua figlia-allieva, alla quale « piace
sapere ».
La curiosità per l'altro, le interrogazioni che esso possa suscitare e che porta infine a questa riscoperta dei simboli del mondo occidentale, dei diversi luoghi come teatro della civilizzazione. Il
tempo continua ad andare avanti (il piano ricorrente della nave che fende le onde), ma spinto da
ciò che lo ha costituito. Il tempo che le immagini distendono e ripiegano tramite lo sguardo, in
particolare della protagonista sui monumenti, la Storia, ma anche all'interno del film stesso, con gli
echi del cane di Marsiglia che prefigura quello di Pompei, o della bambola che la madre prende in
esempio per spiegare la natura umana a sua figlia (« se hai una bambola e che qualcuno prova a
prendertela, la tieni con tutte le tue forze ») prefigurando l'ultima scena.
Il film si presenta come uno scambio continuo di sguardi, dal primo piano all'ultimo (come un
campo/controcampo), nel senso proprio così come figurato, per una critica dell'evoluzione
dell'umanità, di cui le tre donne e il comandante si fanno portatori, lasciando lo spettatore stupito
come lo sarà Malkovich.
Donato Ronchi –www.castlerock.it
Oggi possiamo tranquillamente ammettere quanto l'attentato dell'undici settembre abbia segnato
una svolta epocale, riportando in auge vecchi timori messi da parte e dimostrandoci quanto fragile
possa essere l'equilibrio politico dello scenario mondiale. Molti registi si sono di conseguenza
cimentati in pellicole che, argomentando delle diversità culturali e dell'innato spirito bellico della
razza umana, hanno dato esiti più o meno riusciti.
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Manoel de Oliveira ha fatto qualcosa in più. Discostandosi dagli altri, ha incentrato il suo ultimo
lavoro, Un film parlato, sul racconto di un viaggio. E' il viaggio di una famiglia portoghese,
composta di madre e figlia di sette anni, che incuranti dei mezzi offerti dalla tecnologia affrontano
una trasferta via nave dirette a Bombay dove si riuniranno con il marito e padre della bambina.
Questa la trama del film, un film di parole e di storia.
Le parole sono quelle di Rosa Maria, interpretata da Leonor Silveira, insegnante di storia
all'università di Lisbona che narra a sua figlia Maria Joana, con un linguaggio semplice e
comprensibile, il percorso che la civiltà ha compiuto attraverso i secoli con le sue contraddizioni, i
suoi misteri ed i suoi miti. La storia è invece quella che gira intorno agli stessi personaggi: i
magnifici monumenti, l'aria intrisa di antichi odori ed infine un delizioso happening a quattro,
durante una cenetta organizzata dal comandante della nave interpretato da John Malkovich alla
quale prendono parte Irene Papas, Stefania Sandrelli e Catherine Deneuve nei panni di tre donne
colte e famose, che altro non è se non un simbolico spaccato di storia contemporanea.
Il viaggio che mamma e figlia compiono attraversando le grandi capitali delle antiche civiltà del
mediterraneo è il collante, il pretesto per mostrare al pubblico la personale visione del regista: una
visione del mondo disincantata e fatalista seppur mostrataci con i toni tenui e delicati della
saggezza. De Oliveira sembra volerci dire che analizzando la storia umana è molto facile
accorgersi dei grandi paradossi della nostra civiltà, soprattutto quando sono messi a nudo dalle
semplici domande di una bambina curiosa. Il film è scarno, pulito, come se l'autore volesse
arrivare il più vicino possibile al nucleo ed al cuore delle vicende umane.
I pochi personaggi che interagiscono nella storia sono interpretati egregiamente da tutti gli attori,
anche se una spanna sopra gli altri si pongono l'affascinante John Malkovich e Catherine
Deneuve, assolutamente perfetta nel ruolo di una cinica donna d'affari francese.
Tuttavia, nonostante una regia che cerca di rendere neutre la pellicola e la narrazione affinché gli
spettatori possano giudicare e riflettere autonomamente, il film non riesce a raggiungere
completamente il suo obiettivo. Alcuni concetti tardano ad essere compresi, altri non si
comprendono affatto. In alcuni momenti il film risulta inoltre di difficile appeal, data la sua palese
vena autoriale. La storia a volte si avvicina pericolosamente alla facile retorica, ma grazie a
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dialoghi da manuale, come quello in cui la professoressa Rosa Maria cerca di spiegare alla sua
bambina il significato della parola ambizione innescando una progressione drammatica e narrativa
che culminerà solo nel finale, splendido e destabilizzante.
Questi momenti di puro cinema fanno pensare ad alcune recenti opere, pluri-premiate, che
pretendendo di trattare lo stesso difficile argomento con toni leggeri e superficiali, scadono spesso
in commedie dal sapore farsesco.
Un film difficile ma sentito che consigliamo a chi vuole purificarsi dai bombardamenti mediatici che
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Francesco Rosetti –www.offscreen.it
La prima cosa che balza alla mente di chi scrive dopo la proiezione di Un film parlato è che questo,
come tutta la produzione ultima di de Oliveira, sia il film di un vecchio e da questa semplicissima
considerazione derivino i pregi notevoli dell'opera. Spiegando meglio: molto spesso opere di registi
in età avanzata, magari senza aggiungere molto alla precedente produzione dei loro artefici,
raggiungono una trasparenza nel discorso come nella scrittura registica quasi adamantina,
accompagnata da una certa quale ineffabilità. Tanto più il discorso filmico risulta semplificato,
quanto più le immagini, i personaggi, i segni, le parole si caricano di una strana e intensa distanza,
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Rohmer. E paradossalmente il film di de Oliveira, nella sua distanza fuori dal tempo, quasi senile,
si inserisce perfettamente nel dibattito cinefilo più contemporaneo.
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trarne le conseguenze). E guarda caso molte delle più intense riflessioni metacinematografiche
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come nelle pellicole sopra citate, abbiamo circolarità narrativa e un viaggio verso la morte, o
comunque verso una catastrofe sempre possibile. Nel particolare, Un film parlato è il viaggio (in
nave) di una professoressa di storia con la figlia per raggiungere il marito a Bombay (verso le
Indie, come Colombo, che non le raggiunse mai). E qui si apre il ventaglio delle interpretazioni: chi
è la protagonista? La Storia forse? E chi sono le tre affascinanti donne che incontra? E il capitano?
E la nave? Con il suo repertorio di figure da romanzo allegorico barocco, de Oliveira riesce a
mantenere opaco il senso di questo suo poemetto cinematografico e a dargli ariosità e mistero.
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nel suo complesso o forse della civiltà tout court? Di certo la costruzione simbolico-metaforica di
de Oliveira è abbastanza vasta da contenere in sé ognuna di queste interpretazioni senza
privilegiarne nessuna. Proprio come non è poi così importante sapere se de Oliveira storico si
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sia imprigionata in queste infinite traiettorie, senza poterne dirimere razionalmente le trame. La
nave diventa una condizione da cui risulta impossibile uscire, se non con una vaga prospettiva di
un altrove vuoi geografico (l'America,l
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la Repubblica (27/3/2004) Roberto Nepoti
Nelle sue lezioni all'Actor's Studio, Lee Strasberg diceva: "Il pubblico è abituato a un certo gusto.
Provate a fargli assaggiare lo spicchio di una mela dal sapore diverso: forse gli piacerà, e finirà per
mangiarla tutta". Un film parlato è la mela dal sapore diverso. Certo, non è con un'opera come
questa che il novantacinquenne Manoel de Oliveira si conquisterà i gradi di cineasta popolare: ma
che gliene può importare, dopo settantacinque anni di cinema e dotato di una lucidità che la
maggior parte dei colleghi giovani dovrebbe invidiargli? Un film parlato comincia come una lezione
di storia, prosegue sui toni della commedia sofisticata e finisce in dramma, verniciando il tutto con
uno strato, sottile e prezioso, d'ironia. Per raggiungere il marito a Bombay, una giovane
professoressa universitaria traversa il Mediterraneo assieme alla sua deliziosa bambina di sette
anni, facendo tappa a Marsiglia e Napoli, Atene e Istanbul, Aden. Nella culla della civiltà moderna,
la donna ci conduce in una visita guidata ai miti fondatori della cultura occidentale. Sulla stessa
nave, comandata dal capitano americano di origine polacca John Malkovich, viaggiano Catherine
Deneuve, Stefania Sandrelli, Irene Papas, che simboleggiano rispettivamente il mondo degli affari,
della moda, del canto: sono tre Parche moderne e sofisticate; conversano ciascuna nella propria
lingua ma si capiscono alla perfezione. Si parla molto, moltissimo nel film del patriarca portoghese,
quasi si trattasse di una torre di Babele rappacificata e ormai capace di comprensione reciproca.
Solo in apparenza, però. Come sappiamo troppo bene, i dissensi tra i vari popoli perdurano e si
acuiscono, facendo naufragare nella violenza l'utopia di un mondo finalmente senza conflitti.
Inattesa, alla fine del film incombe sui passeggeri l'ombra del terrorismo: Oliveira cambia registro e
vira alla riflessione acre sul vero posto della nostra civiltà, che da troppo tempo presume di
occupare quello centrale, nell'effimero mondo d'oggi. L'epilogo spiazzante, fisso sul fotogramma di
[email protected]
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un uomo senza più parole, pare quasi un'allegoria della fine del mondo. Però il geniale Manoel
riesce a circondare le sue amare riflessioni politiche e filosofiche di un'aura leggera, di una
disinvoltura straordinaria, componendo una sorta di film-saggio in anticipo di qualche decennio suo
cinema odierno, da cui esala una strana seduzione che non sapremmo ritrovare in nessun altro.
Corriere della Sera (16/3/203) Tullio Kezich
Qualche volta il cinema riesce a diventare uno specchio nel quale leggere la contemporaneità
meglio che nel telegiornale. Messo di fronte all'apocalisse finale di Un film parlato, l' atterrito John
Malkovich siamo noi, uomini del XXI secolo folgorati dal crollo delle Torri Gemelle o dalla strage di
Madrid. Sempre arditamente spiazzante, Manoel de Oliveira ci offre una parodia del Titanic
imbastita fra divagazioni didascaliche e aneddoti frivoli, ma con un approdo da brividi. Lo sa solo
lui che cosa vuol dire esattamente con questo apologo di quattro donne in crociera (Silveira,
Sandrelli, Deneuve, Papas) e ci gira intorno con sorniona ironia. Tuttavia il film (puntualmente
ignorato dalla giuria veneziana) trasmette un segnale allarmante sulla condizione disperata di un
mondo che naviga in brutte acque. Rimane il dubbio: semplice constatazione o cupa profezia?
La Stampa (26/3/2004) Lietta Tornabuoni
Lo strano titolo di una delle opere più profonde, eleganti, significative e belle di Manoel de Oliveira,
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parlate erano varie e diverse, che ciascuna di esse ha dato il suo contributo all'evoluzione della
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crociera che tocca la Grecia, la Francia, le rovine di Pompei, le sfingi d'Egitto e Istanbul prima di
arrivare a Bombay, partecipano una giovane donna portoghese docente di Storia e la sua
bambina: gli insegnamenti impartiti dalla madre alla figlioletta permettono di ripercorrere, in modo
sintetico ma non sommario, la storia del Mediterraneo. Sulla nave, invitate alla tavola del
comandante John Malkovich, un americano d'origine polacca che parla l'inglese come un
esperanto contemporaneo, viaggiano anche tre donne famose e non più giovani, appartenenti a tre
Paesi cruciali: la donna d'affari Catherine Deneuve esprime il talento della Francia per i commerci;
Stefania Sandrelli, ex modella, simboleggia l'estetismo e il gusto per la vita dell'Italia; Irene Papas,
cantante e insegnante di canto che interpreta pure una stupenda canzone, è un emblema della
vocazione per le arti della Grecia. Conversando con spirito, grazia e saggezza, parlando di sè
ciascuno parla anche del proprio Paese, ma un funesto annuncio di colpo interrompe la civilissima
serata: terroristi hanno piazzato due bombe, bisogna abbandonare la nave, subito... L'intelligenza
della visione critica della civiltà mediterranea, la tragica previsione di fine, la finezza dello sguardo
posato sui protagonisti, la raffinata bellezza della metafora e del film so no quasi impossibili da
descrivere: a novantasei anni Manoel de Oliveira è sempre più intenso e lieve, sempre più bravo
il Manifesto (2/4/2004) Silvana Silvestri
Il re cattolico e teenager Sebastiano scomparve nella "battaglia dei tre sovrani", in Marocco, tanti
secoli fa. Il mito lusitano racconta però che non morì per lama islamica e infedele. Semplicemente
svanì. Ma, i portoghesi ne sono certi, tornerà in una giorno di nebbia in groppa al suo cavallo
bianco e allora l'impero cristiano (tanto agognato, e non solo da Mel Gibson) sarà di nuovo forte e
unito sotto il suo comando... Aspettando quel giorno bigio, e riflettendo attraverso le due o tre cose
che sa, sulla storia secolare dell'umanità, il cineasta portoghese Manoel de Oliveira che il secolo di
vita l'ha quasi raggiunto e dunque ricorda molto bene le cose di tanto tanto tempo fa, ha realizzato
uno dei suoi capolavori, Un film parlato. Che ci interessa ancora più degli altri perché, come il rock,
è opera discutibile, imperfetta, piena di crepe, permeabile da dubbi, critiche, riserve... È infatti,
questa cosa, una strana, inquietante, continua sorpresa. Quasi un film nazionalista, fiero e
secessionista, comunque un'opera su: "perché il terrorismo islamico terrorizza tanto tutto
l'occidente?" Risposta: è vero, la grande cultura araba del XII secolo curò il medioevo con
massicce flebo di Aristotele e d'amor cortese, forse prefigurò perfino l'Illuminismo e la frenesia
scientifica ma la sua colpa storica rimane la distruzione della "très grand bibliotéque" d'Alessandria
d'Egitto...Bè, questa notizia è semplicemente falsa. Non fu il cristianissimo Cirillo a bruciare tutto?
È una leggenda, un altro mito cristiano, quasi quanto quello del "re infante". Ma i film di de Oliveira
[email protected]
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non sono mai pedagogici né realistici. Sono fiabe dell'immaginazione raccontate (e raccomandate)
solo a un pubblico che faccia della "prassi" il proprio hobby. Ai lettori del manifesto questo film non
dovrebbe sfuggire. Il regista portense Manoel de Oliveira, 95 anni, con Un film parlato ha deciso di
abbandonare la sua tradizionale e leggendaria agilità mentale, fisica e spirituale per inginocchiarsi,
meno laico del solito, sul feretro della nostra civiltà. E pregare, a seconda della recezione, o
perché resusciti più pura o perché scompaia (come sembra indicarci il finale insostenibile) per
sempre. Il requiem in onore di Eurolandia (o ne è l'ironica, ma criptica, "marcia funebre per una
marionetta"?) ha la forma di una lezione di storia (e d'arte e cultura) "on the road". Leonor Silveira
fa Rosa Maria, docente universitaria di storia, e per metà film porta in piroscafo nel mediterraneo la
figlioletta Maria Joana, e le racconta in stile Rossellini e con l'aiuto di connazionali gentili e
charmant (Luis Miguel Cintra che fa se stesso) e pope greco-ortodossi, pescivendoli e libroni, la
grandezza della cultura egiziana, fenicia, greca e romana, e come la rivoluzione francese e
Napoleone seppero poi rielaborarla e renderla planetaria e borghese. Il fiume Tejo, e poi
Ceuta/Marsiglia, Napoli/Pompei, Atene/Acropoli, Alessandria/Il Cairo, Istanbul euroasiatica sono gli
approdi di questo viaggio al termine dell'apoteosi cristiana, finché seppe ben separarsi dall'eresia
religiosa islamica il cui egualitarismo comunitario nuoceva troppo agli affari, non come quello
puritano o quacchero transatlantico, e il cui dispotismo, anche ottomano, resta tutt'oggi schema
tattico da principianti della scienza del controllo sociale e del profitto... Poi, secondo tempo, il
piroscafo prende la rotta del Mar Rosso e da lì, passando per il suq-solo-suq di Aden (e la regina
di Saba? e la grandezza culturale dell'Islam? non ne sapremo nulla, mannaggia), si dirige a
Bombay, dove la professoressa riabbraccerà il marito pilota di linea e i tre partiranno per una
ancora più magnifica vacanza...L'ammiraglio del piroscafo, americano di origine polacca (John
Malkovich), ha un lungo "quartetto a cena" con grandi dame: la manager francese, l'ex modella
italiana Stefania Sandrelli e la attrice e cantante greca Irene Papas (non ci negherà un frammento
della sua arte canora) che sintetizzano, in un tavolo solo e con quattro lingue parlate
simultaneamente, lo charme e l'orrore, il calore la tragedia, la grandezza e la ferocia dei due
millenni incriminati oggi dai tre quarti del globo. Solo la lingua portoghese resta isolata e
incompresa al tavolo, quando anche Leonor Silveira sarà ospite con la bimba, fiera del suo nuovo
regalo, una bambola in chador. Altri i tragitti mentali e navali cantati da Camoes, quelli «Lusiadi»,
da Vasco da Gama in poi: Goa, l'Africa, il Brasile, Macao... Poco europea, più che europea vista la
sua non indifferente tradizione schiavistica, la terra lusofona non sarà per caso, in alleanza con
Lula, la carta segreta per raddrizzare i micidiali squilibri del mondo, con "stile manuelino"? Un
finale, imprevedibile e agghiacciante, risponde pessimisticamente a questa speranza. Come il re
infante, anche Rosa Maria e Maria Joana, per mano di Al Quaeda, svaniranno nella nebbia... In
nome del padre (la Grecia), del figlio (Roma), dello spirito santo (la rivoluzione francese). Amen
(Bush jr.)
[email protected]
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