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[email protected] 1 scheda tecnica titolo originale: UM FILME FALADO durata: 96 minuti nazionalità: FRANCIA, ITALIA, PORTOGALLO anno: 2003 regia: MANOEL DE OLIVEIRA soggetto: MANOEL DE OLIVEIRA sceneggiatura: MANOEL DE OLIVEIRA produzione: PAULO BRANCO PER MADRAGOA FILMES, GEMINI FILMS, MIKADO FILM, FRANCE 2 CINEMA, ICAM, RTP, CNC, CANAL+, CINE' CINEMAS, EURIMAGES distribuzione: MIKADO fotografia: EMMANUEL MACHUEL montaggio: VALÉRIE LOISELEUX set design: ZÉ BRANCO costumi: ISABEL BRANCO suono: PHILIPPE MOREL interpreti: LEONOR SILVEIRA JOHN MALKOVICH CATHERINE DENEUVE STEFANIA SANDRELLI IRENE PAPAS FILIPA DE ALMEIDA LUÍS MIGUEL CINTRA Rosa Maria Il Capitano John Walesa Delfina Francesca Helena Maria Joana l'Attore Portoghese MANOEL DE OLIVEIRA pseudonimo di MANOEL CANDIDO PINTO DE OLIVEIRA Biografia Nasce il 11/12/1908 a OPORTO (Portogallo). Ancora attivo a oltre 90 anni, è il decano e maestro del cinema portoghese, dallo stile lento, antinarrativo e straniante in cui predomina la raffinatezza formale. Nato in una famiglia di ricchi industriali, studia in Portogallo e in Spagna. Debutta nel cinema come comparsa nel 1928 in Fatima miracolosa (Fátima Milagrosa) e come attore partecipa al primo film sonoro portoghese. Nel 1929 comincia a girare un cortometraggio sull'ansa fluviale del Douro Douro, ansa fluviale (Douro, faina fluvial) che uscirà due anni dopo. Atleta e corridore automobilistico, alla morte del padre deve dedicarsi alla conduzione dell'azienda paterna insieme ai fratelli. Torna a girare cortometraggi nel 1938 con Miramar, plaia de rosas e In Portogallo adesso si fabbricano automobili (Em Portugal já se fazem automóveis". Il suo primo film da regista è Aniki Bóbó (1942) - un film sull'infanzia adattato da un racconto di Rodrigues de Freitas - che verrà paragonato ai film di De Sica- Zavattini I bambini ci guardano e Sciuscià. Poichè gli vengono bocciate dal governo alcune proposte per altri film si dedica all'agricoltura dove con il suo animo di sperimentatore tenta nuove forme di gestione. Nel 1956 gira un documentario a colori Il pittore e la città (O pintor e a cidade) in cui confronta immagini di Oporto con i quadri di Antonio Cruz grazie al quale vince l'Arpa d'argento al festival di Cork. Ottiene dei fondi nel 1963 per girare il suo secondo [email protected] 2 lungometraggio Atto di primavera (Acto de primavera) sulla rappresentazione che ogni anno nel paesino di Curalha si fa della passione di Cristo. Dal '72 torna al lungometraggio, grazie a un finanziamento della Fondazione Gulbenkian, con Il passato e il presente (O passado e o presente) si orienta verso storie letterarie d'epoca romantica, dove si consumano amori impossibili, che inizia la tetralogia che comprende Benilde o la vergine madre (Benilde ou a Virgem-Mãe 1975), Amor de perdiço (1978), e si conclude con il suo capolavoro Francisca (1981). Nel 1985 si ispira a un testo del francese Paul Claudel per La scarpetta di raso (O sapato de cetim) e riceve a Venezia il Leone d'oro alla carriera. Nel 1991, sempre a Venezia vince il premio speciale della giuria per La Divina Commedia (A divina comédia). Negli ultimi anni la sua produzione è stata molto intensa. Sono usciti tra gli altri, La valle del peccato (Vale Abraão, 1993) e I misteri del convento (O convento, 1995). Nel 1996 ha presentato a Venezia con successo il sottile Party. Con La lettera (A carta, 1999), ha ottenuto il gran premio della giuria al Festival di Cannes. Notevole successo di pubblico ha ottenuto nel 2000 Parole e Utopia (Palavra e utopia) e nel 2001 Ritorno a casa (Vou para casa) con Michel Piccoli nel ruolo di un anziano attore. Presente fuori concorso con Porto della mia infanzia (Porto da minha infãncia) alla 58° Mostra del Cinema di Venezia dove riceverà il "Premio Robert Bresson" assegnato dalla Rivista del Cinematografo con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Filmografia AMOR DI PERDIZIONE REGIA, SCENEGGIATURA - 1978 ANIKI-BOBO' IL PITTORE E LA CITTA' REGIA, MONTAGGIO E FOTOGRAFIA - 1956 IL PRINCIPIO DELL'INCERTEZZA REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 2002 REGIA, MONTAGGIO, SCENEGGIATURA - 1942 IL QUINTO IMPERO - IERI COME OGGI ATTO DI PRIMAVERA REGIA E SCENEGGIATURA - 2004 REGIA, FOTOGRAFIA, SCENEGGIATURA - 1962 INQUIETUDINE BENILDE O LA VERGINE MADRE REGIA E SCENEGGIATURA - 1974 CONVERSAZIONE CONCLUSA ATTORE - 1980 DOURO, ANSA FLUVIALE REGIA E SCENEGGIATURA - 1998 LA CACCIA REGIA, SOGGETTO , MONTAGGIO, SCENEGGIATURA E FOTOGRAFIA - 1963 LA DIVINA COMMEDIA REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 1991 REGIA E MONTAGGIO - 1931 FRANCISCA LA LETTERA REGIA E SCENEGGIATURA - 1999 REGIA E SCENEGGIATURA - 1981 LA VALLE DEL PECCATO I CANNIBALI REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 1993 REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 1988 LE SOULIER DE SATIN I MISTERI DEL CONVENTO REGIA, MONTAGGIO E SCENEGGIATURA - 1995 I QUADRI DI MIO FRATELLO JULIO REGIA E SCENEGGIATURA- 1985 LISBON STORY - STORIA DI LISBONA ATTORE - 1994 REGIA, MONTAGGIO E FOTOGRAFIA - 1965 NO, O LA FOLLE GLORIA DEL COMANDO REGIA, MONTAGGIO E FOTOGRAFIA - 1959 REGIA, MONTAGGIO, SCENEGGIATURA - 1990 IL PASSATO E IL PRESENTE PAROLE E UTOPIA IL PANE REGIA, SCENEGGIATURA E MONTAGGIO - 1971 SOGGETTO E REGIA, SOGGETTO E SCENEGGIATURA - 2000 [email protected] 3 PARTY REGIA, SOGGETTO E SCENEGGIATURA - 1996 UN FILM PARLATO REGIA , SOGGETTO E SCENEGGIATURA - 2003 PORTO DELLA MIA INFANZIA REGIA - 2001 VIAGGIO ALL'INIZIO DEL MONDO RITORNO A CASA ATTORE, REGIA SOGGETTO E SCENEGGIATURA 1997 REGIA, SOGGETTO E SCENEGGIATURA - 2001 Not adel l ’ aut or e È UN FILM PARLATO poiché è parlato in varie lingue. Poiché sin dai primordi ognuna di esse rappresenta un contributo all'evoluzione della civiltà occidentale. Si tratta, in definitiva, di un modo traverso di toccare ciò che è fondamentale in questo film parlato. Tutto avviene lungo un viaggio su una nave da crociera. Una professoressa di storia attraversa il Mediterraneo con sua figlia, per andare a trovare il marito, pilota d'aereo, e trascorrere le vacanze insieme dall'altra parte del mondo, a Bombay. È anche un pretesto per rendere omaggio a tre grandi attrici di teatro e di cinema che hanno attraversato una lunga e gloriosa vita artistica, e che ci danno, attraverso i personaggi che rappresentano, una visione critica di questa civiltà, in una semplice conversazione a tavola, con l'esperto comandante della nave che le conduce in questo nuovo viaggio. Manoel de Oliveira Not asul l ’ aut or e Cineasta cardine del movimento modernista, la cui vita scorre parallela al compiersi del primo cinesecolo, de Oliveira, puntualmente deriso dai gazzettieri nostrani, non è solo un uomo: è un intero mondo. Nella sua produzione cinematografica s'intrecciano non solo le stagioni del cinema portoghese (realismo, neorealismo ecc.) ma soprattutto l'esigenza di trovare una strada (insieme individuale e nazionale) attraverso la quale mettere in scena il farsi della crisi modernista. De Oliveira, probabilmente il cineasta più libero della storia del cinema, a partire dal seminale O passado e o presente, ripensa, nella sua personalissima parabola estetica, non solo tutta la storia recente (e non solo) del Portogallo ma la rielabora come se potesse (dovesse) essere il terreno d'elezione di un cinema a rischio e sempre sul crinale dell'innovazione formale e linguistica. Nonostante l'apparente monoliticità della sua produzione ruotante intorno alla centralità della parola e del divenire delle messinscene possibili, quello di de Oliveira è un cinema multiplo. Basti pensare al florilegio di testi che s'intrecciano nel suo lavoro: l'ironica e minacciosa frontalità di Mon cas, la riflessione filosofica di A divina comedia, il musical operettistico di Os canibais il sensuale rigore giansenista di Benilde oppure la geniale reinvenzione storica di No o la folle gloria del comando dove Fuller s'intreccia con il Rohmer di Perceval. È impossibile circoscrivere de Oliveira e le sue traiettorie. Lui non si fa mai trovare dove lo si sospetta. Con la leggerezza di un folletto, gioca di derive e di scarti. Mescola materiali e stili, storie ed estetiche. Per viaggiare con Manoel de Oliveira bisogna senz'altro essere attrezzati. Ma pensare di poter competere con la sua olimpica "onniscienza" è impresa destinata a fallire in partenza. E allora tanto vale seguirlo dotati di poco bagaglio, quel tanto in grado di restituirci ogni volta al piacere del suo cinema. Giona A. Nazzaro [email protected] 4 Manuel de Oliveira riceve alla 61a Mostra internazionale del cinema di Venez i a,i lLeoned’ or o2004al l acar r i er a. . . Manuel de Oliveira e Stanley Donen ricevono, alla 61a Mostra internazionale del cinema di Venezi a,i lLeone d’ or o 2004 al l a car r i er a.Reci t al a mot i v azi one:“ duegr andici neast i ancora in attività, che hanno lasciato un segno profondo nel cinema del XX secolo, c ont r i buendoar i def i ni r nel amoder ni t à” . Manuel de Oliveira è un regista di 96 anni, il più longevo ancora in attività di tutta la storia del cinema, e uno dei maestri del cinema portoghese essendo nato a Oporto nel 1908. Ricordiamo alcuni dei suoi film più importanti: Aniki-Bobò (1941) che prende il titolo dal verso di una filastrocca per fare la conta e racconta le avventure di due bambini innamorati, Il passato e il presente (1971), Francisca (1980), I cannibali (1988), La Divina Commedia (1991) riflessione storica tra bene e male, tra peccato e santità, La valle del peccato (1994), I misteri del convento (1995), Party (1996) storia d’ amor ef r a un dongiovanni (Michel Piccoli) e una celebre attrice non più giovanissima (Irene Papas), Viaggio al principio del mondo (1997), La lettera (1999), Parole e utopia (2000) che ricostruisce la vita di padre António Vieira, grande predicatore gesui t adel’ 600,Ri t or noa c as a( 2001)f i l m chet essegl iel ogidel l av ecchi ai a,I lpr i nci pi odel l ’ i ncer t ezza( 2002) ,Un f i l m par l at o( 2003)apol ogodi un’ Eur opauni t aemi nacci at adalt er r or i smo. Il suo è un cinema colto, raffinato fuori dagli schemi commerciali, con uno stile non c onsuet udi nar i o,f r ut t odiunest r emor i gor ef or mal e,madal l ’ ef f et t osempr ecoi nv ol gent e. De Oliveira esplora da decenni, attraverso una personalissima ricerca estetica, il tema del l ’ amor econt r ast at o,di f f i ci l e,av ol t ei mpossi bi l e e delle frustrazioni che ne derivano, tratta di azioni destinate alla sconfitta o di situazioni che finiscono in tragedia, prendendo spunto e ispirazione da testi letterari importanti. Fra questi Claudel e Madame de La Favette, Dostoevskj e Flaubert, Beckett e Camilo Castelo Branco, che ha fornito al regista lo spunto per Amore di perdizione (1978). Molti dei suoi film sono dilatati, intellettualistici, poetici, quasi immobili nella compostezza delle inquadrature, attraversati lentamente da personaggi che si rivolgono solo alla macchina da presa, richiedono attenzione e concentrazione allo spettatore, ma offrono in cambio emozioni esclusive. I noccasi onedel l aconsegnadelLeoned’ or oManueldeOl i v ei r ahapr esent at oi npr i ma mondiale il suo nuovo film O quinto império, affresco storico cinquecentesco su re Sebastiano del Portogallo. Sicompi acediesser edef i ni t o“ uncl ass i co”senzaer met i smiv uol eesser e“ chi ar osenza per der ei npr of ondi t à” . Dot at odiunaf or za,diun’ i nv ent i v a,diun’ i r oni anot ev ol e,continua a lavorare e onorare il c i nema come “ ar t e e come r i f l esso del l a vi t a”r eal i zzando pr oget t isenza l a mi ni ma i nt enzi onedif ar sicondi zi onar edal l ’ et à. . .Beat ol ui . Pierluigi Capra DE OLIVEIRA , O DELLO SGUARDO INNOCENTE I nt er v i st aconl ’ ar t i st ai noccasione della retrospettiva lui dedicata al Festival del Cinema di Torino ManoelDeOl i v ei r asembr av ol err ecuper ar ei lt empoper dut o.Nonost ant el ’ esor di osi adel 1931 con il bellissimo Douro, fauna fluvial, di stampo ejzenŝt eni ano,l ’ accogl i enza negativa del primo lungometraggio, Aniki-Bòbò, del 1942, lo induce ad allontanarsi dal c i nemaf i noagl ianni’ 60,quandoconos cel anot or i et ài nt er nazi onal e.( Dur ant e)i lTor i no Fi l m Fest i v al ,( che)… gl ihagi ust ament ededi cat ounar et r ospet t i v acompl et a,( sono stati [email protected] 5 or gani zzat imol t i )moment idii ncont r oconi lpubbl i cocheci( hanno)r est i t ui t ol ’ i mmagi nedi un regista vitale, lucido e instancabile, a dispetto dei suoi quasi 92 anni. Nonostante si cominci a parlare di film testamento, infatti, De Oliveira non èneanc hesf i or at odal l ’ i deadi f er mar si( …) Torino ha dato la possibilità di assistere a incontri con il regista ma anche con i suoi principali collaboratori (dal direttore della fotografia agli attori al produttore): per usare le parole dei direttore Della Casa, "ècomeseun’ of f i ci nad’ ar t er i nasci ment al esipr esent asse tutta assieme a chi sta ammirando i suoi affreschi". De Oliveira ha parlato del cinema che lo ha influenzato, ("Jean Vigo, il cinema d’ avanguar di a degl ianni’ 20 peri lsuo car at t er e sperimentale, il cinema russo per l ’ i mpor t anz adelmont aggi o,l ’ espr essi oni smot edesco,l anouvel l evague"), ma ha anche spiegato perché i suoi attori guardano spesso in macchina: "Perché in questo modo gli attori parlano direttamente allo spettatore, e questo porta il pubblico a passare da una posizione passiva ad una più attiva: lo obbliga a pensare, a prendere posizione su quanto sta accadendo". E non ha lesinato critiche al cinema di oggi: "Fino alla seconda guerra mondiale il cinema ha conservato la sua innocenza, il suo candore, anche quando voleva essere sovversivo. Oggi il cinema ha perso questa innocenza tanto più quanto è avanzata la tecnica. Io stesso, che pure non sono così innocente come posso sembrare, ammiro moltissimo l ’ i nnocenz a,messa i n per i colo dalla tecnica che rende molta parte della nostre vite artificiali, facendoci perdere di vista ciò che conta: i rapporti umani, i sentimenti, gli affetti. Nelc i nema odi er no pochisf uggono a quest at endenz a:una eccez i one è senz ’ al t r o Kiarostami, che haconser vat ol ’ i nnocenza,i lcandor e,l ’ i ngenui t à,eperquest ol oammi r o". Andrea Nobile –www.tempimoderni.com Recensioni Daniele Sesti –Film Up In concorso nella Sezione principale della 60° Mostra del Cinema di Venezia "Un film Parlato" del portoghese Manoel De Oliveira ("Ritorno a casa" , 2001) è un film dalla storia accattivante. Rosa Maria, giovane professoressa universitaria di storia attraversa il Mediterraneo, assieme alla piccola figlia Maria Joana, per raggiungere il marito che si trova a Bombay. E' un viaggio affascinante che la conduce nei luoghi dove la civiltà occidentale ha avuto la sua culla e dove si è sviluppata raggiungendo le più alte vette delle sua crescita. Ceuta, Marsiglia, Pompei, Atene, Istambul, l'Egitto fino ad Aden, madre e figlia percorrono miglia di storia e di conoscenza ed apprendono le basi e le ragioni della cultura occidentale. Sulla nave hanno poi la fortuna di conoscere il Capitano, un americano di origine polacca (John Malkovich) e tre affascinanti ed intriganti donne: la francese Dauphine (Catherine Deneuve) imprenditrice, Francesca (Stefania Sandrelli) un ex modella italiana, Helena (Irene Papas) cantante ed attrice greca. Esperienza elettrizzante e fertile se non fosse che qualcuno, dei terroristi sicuramente, degli arabi probabilmente, minacciano la sicurezza della nave e dei suoi passeggeri... Trama, come detto, molto intrigante e che reca messaggi altamente condivisibili come quelli della tolleranza e della reciproca conoscenza. Su questo De Oliveira non manca di colpirci ancora una volta positivamente. Perplessità, invece, provengono dal come si mette in esecuzione questo proposito. Il titolo, invero, è rivelatore. In questo non possiamo tacciare l'autore di averci ingannato. Infatti, questo è un film parlato, parlatissimo, verboso come pochi. I primi 40 minuti del film sono un continuo rispondere della madre alle, dopo cinquanta minuti, oziosissime domande della figlia. Che significa "mito"? Che significa "leggenda"? Chi sono gli arabi? Chi sono gli ortodossi? Un fuoco di domande delle quali, dopo un po', non se può veramente più. A tutto ciò aggiungete che ogni tanto la mammina chiede lumi a guide turistiche dei luoghi visitati i quali rispondono nella propria lingua. Dopodiché ci tocca la tortura della traduzione di quanto riferito dalla guide, che la [email protected] 6 mamma fa alla noiosissima bambina. Ma il culmine della ciarleria spinta, dove le parole volano come polline in primavera, si raggiunge durante la cena al tavolo del Capitano (un Jonh Malkovich mai visto così a disagio). Metti una sera a cena una francese (vestita di blu), un'italiana (vestita di rosso) ed una greca (vestita di nero), con velleità artistiche ed urgenti dubbi esistenziali, e poco scampo avranno le tue orecchie travolte da un profluvio di parole dalle quali riemergere è impresa quasi impossibile.(Per inciso, la succitata scena della cenetta dura qualcosa come 25 minuti!!). Insomma, un film dagli intenti lodevolissimi, ma squilibrato nel suo impianto genetico e nella sua gestazione. Lidwine Tamburini –Film.it Nella sua ultima opera, il grande regista portoghese ci trascina in un viaggio attraverso il Mediterraneo, sui siti originari delle grandi civilizzazioni, per una riflessione sull'evoluzione del mondo occidentale. Rosa Maria (Leonor Silveira), una giovane professoressa di storia dell'università di Lisbona, parte per una crociera nel Mediterraneo con sua figlia Maria Joana (Filipa De Almeida), per poi raggiungere il marito, pilota d'aereo in posto a Bombay, in India. Diverse tappe durante le quali Rosa Maria potrà visitare i posti di cui parla durante le sue lezioni e facendo così conoscere a sua figlia ciò che ha marcato la storia delle civilizzazioni mediterranee: daCeut aaMar si gl i a,Pompei ,At ene,l epi r ami ded' Egi t t o,I s t anbul … Durante la crociera, Rosa Maria incontra anche tre donne di nazionalità diverse : Delfina, donna d'affari francese (Catherine Deneuve), Francesca, ex-famosa modella (Stefania Sandrelli) e Helena, attrice e cantante greca (Irene Papas) ; così come il capitano della nave, John Walesa, americano di origine polacca (John Malkovich). Tramite i meandri della crociera, De Oliveira ci trasporta attraverso il tempo, come una deviazione per farci riflettere su ciò che ha costituito il mondo occidentale, i suoi luoghi mitici, le sue civilizzazioni. Come dice lui stesso, « un film parlato poiché è parlato in varie lingue ». Infatti, il film affronta le lingue sulle loro particolarità proprie, sulla cultura che ognuna porta con sé e che rappresenta, e come hanno potuto contribuire all'evoluzione della civiltà occidentale, nelle loro vicinanze ma anche nelle differenze. Così lo spazio si costruisce tramite le lingue e la parola in generale, e la tavola dove cenano il comandante e le tre donne costituisce una specie di nuova Babele, dove ciascuno parla la sua lingua e si fa capire perfettamente dagli altri. Ma al di là del confronto linguistico, sono la comunicazione e l'ascolto ad essere in gioco qui, l'apprendimento dell'altro proprio nelle sue differenze : sia fra due o parecchie culture, sia fra individui nelle loro scelte di vita, sia anche nel semplice fatto di una madre-professoressa che spiega a sua figlia-allieva, alla quale « piace sapere ». La curiosità per l'altro, le interrogazioni che esso possa suscitare e che porta infine a questa riscoperta dei simboli del mondo occidentale, dei diversi luoghi come teatro della civilizzazione. Il tempo continua ad andare avanti (il piano ricorrente della nave che fende le onde), ma spinto da ciò che lo ha costituito. Il tempo che le immagini distendono e ripiegano tramite lo sguardo, in particolare della protagonista sui monumenti, la Storia, ma anche all'interno del film stesso, con gli echi del cane di Marsiglia che prefigura quello di Pompei, o della bambola che la madre prende in esempio per spiegare la natura umana a sua figlia (« se hai una bambola e che qualcuno prova a prendertela, la tieni con tutte le tue forze ») prefigurando l'ultima scena. Il film si presenta come uno scambio continuo di sguardi, dal primo piano all'ultimo (come un campo/controcampo), nel senso proprio così come figurato, per una critica dell'evoluzione dell'umanità, di cui le tre donne e il comandante si fanno portatori, lasciando lo spettatore stupito come lo sarà Malkovich. Donato Ronchi –www.castlerock.it Oggi possiamo tranquillamente ammettere quanto l'attentato dell'undici settembre abbia segnato una svolta epocale, riportando in auge vecchi timori messi da parte e dimostrandoci quanto fragile possa essere l'equilibrio politico dello scenario mondiale. Molti registi si sono di conseguenza cimentati in pellicole che, argomentando delle diversità culturali e dell'innato spirito bellico della razza umana, hanno dato esiti più o meno riusciti. [email protected] 7 Manoel de Oliveira ha fatto qualcosa in più. Discostandosi dagli altri, ha incentrato il suo ultimo lavoro, Un film parlato, sul racconto di un viaggio. E' il viaggio di una famiglia portoghese, composta di madre e figlia di sette anni, che incuranti dei mezzi offerti dalla tecnologia affrontano una trasferta via nave dirette a Bombay dove si riuniranno con il marito e padre della bambina. Questa la trama del film, un film di parole e di storia. Le parole sono quelle di Rosa Maria, interpretata da Leonor Silveira, insegnante di storia all'università di Lisbona che narra a sua figlia Maria Joana, con un linguaggio semplice e comprensibile, il percorso che la civiltà ha compiuto attraverso i secoli con le sue contraddizioni, i suoi misteri ed i suoi miti. La storia è invece quella che gira intorno agli stessi personaggi: i magnifici monumenti, l'aria intrisa di antichi odori ed infine un delizioso happening a quattro, durante una cenetta organizzata dal comandante della nave interpretato da John Malkovich alla quale prendono parte Irene Papas, Stefania Sandrelli e Catherine Deneuve nei panni di tre donne colte e famose, che altro non è se non un simbolico spaccato di storia contemporanea. Il viaggio che mamma e figlia compiono attraversando le grandi capitali delle antiche civiltà del mediterraneo è il collante, il pretesto per mostrare al pubblico la personale visione del regista: una visione del mondo disincantata e fatalista seppur mostrataci con i toni tenui e delicati della saggezza. De Oliveira sembra volerci dire che analizzando la storia umana è molto facile accorgersi dei grandi paradossi della nostra civiltà, soprattutto quando sono messi a nudo dalle semplici domande di una bambina curiosa. Il film è scarno, pulito, come se l'autore volesse arrivare il più vicino possibile al nucleo ed al cuore delle vicende umane. I pochi personaggi che interagiscono nella storia sono interpretati egregiamente da tutti gli attori, anche se una spanna sopra gli altri si pongono l'affascinante John Malkovich e Catherine Deneuve, assolutamente perfetta nel ruolo di una cinica donna d'affari francese. Tuttavia, nonostante una regia che cerca di rendere neutre la pellicola e la narrazione affinché gli spettatori possano giudicare e riflettere autonomamente, il film non riesce a raggiungere completamente il suo obiettivo. Alcuni concetti tardano ad essere compresi, altri non si comprendono affatto. In alcuni momenti il film risulta inoltre di difficile appeal, data la sua palese vena autoriale. La storia a volte si avvicina pericolosamente alla facile retorica, ma grazie a momenti dipr of ondai nt ensi t à dr ammat i ca r i t r ovaf aci l ment el ’ equi l i br i o per so.Esempl ar ial cuni dialoghi da manuale, come quello in cui la professoressa Rosa Maria cerca di spiegare alla sua bambina il significato della parola ambizione innescando una progressione drammatica e narrativa che culminerà solo nel finale, splendido e destabilizzante. Questi momenti di puro cinema fanno pensare ad alcune recenti opere, pluri-premiate, che pretendendo di trattare lo stesso difficile argomento con toni leggeri e superficiali, scadono spesso in commedie dal sapore farsesco. Un film difficile ma sentito che consigliamo a chi vuole purificarsi dai bombardamenti mediatici che c iaf f l i ggonoquot i di anament e,abbandonandosiadol ciel ucubr azi oniaccompagnat edal l ’ i pnot i co scrosciare delle onde. Francesco Rosetti –www.offscreen.it La prima cosa che balza alla mente di chi scrive dopo la proiezione di Un film parlato è che questo, come tutta la produzione ultima di de Oliveira, sia il film di un vecchio e da questa semplicissima considerazione derivino i pregi notevoli dell'opera. Spiegando meglio: molto spesso opere di registi in età avanzata, magari senza aggiungere molto alla precedente produzione dei loro artefici, raggiungono una trasparenza nel discorso come nella scrittura registica quasi adamantina, accompagnata da una certa quale ineffabilità. Tanto più il discorso filmico risulta semplificato, quanto più le immagini, i personaggi, i segni, le parole si caricano di una strana e intensa distanza, diun’ i ndi f f er enza quasimet afisica. Sublimi divertimenti senili sono stati Sogni di Kurosawa, Mi ssi onei nManci ur i adiFor d,Gohat t odiOshi ma,ThedeaddiHoust on,t ut t ol ’ ul t i modecenni odi Rohmer. E paradossalmente il film di de Oliveira, nella sua distanza fuori dal tempo, quasi senile, si inserisce perfettamente nel dibattito cinefilo più contemporaneo. Non i nganni no l e di f f er enze ot t i che e dr ammat ur gi che che separ ano i l“ f i l m d’ ar t e” dal l ' “ i nt r at t eni ment o con i nt el l i genza” ,i l“ Bl ockbust er ”senza pensi er o;i ldi bat t i t o alci nema è sempre uno e si svolge tra i film e nei film (al critico su carta spetterebbe solo prenderne atto e trarne le conseguenze). E guarda caso molte delle più intense riflessioni metacinematografiche [email protected] 8 del l ’ annohannoachef ar econnavi ,navi gazi one,mar e,elemento acquatico. Si ripensa a Master & commander, al non perfetto ma affascinante Cantando dietro i paraventi, a Big Fish, alle chiatte didet r i t idiThel adyk i l l er sdeiCoen,al l ’ i mmer si onef l uvi al enelf i nal ediMyst i cr i ver .I ndeOl i vei r a, come nelle pellicole sopra citate, abbiamo circolarità narrativa e un viaggio verso la morte, o comunque verso una catastrofe sempre possibile. Nel particolare, Un film parlato è il viaggio (in nave) di una professoressa di storia con la figlia per raggiungere il marito a Bombay (verso le Indie, come Colombo, che non le raggiunse mai). E qui si apre il ventaglio delle interpretazioni: chi è la protagonista? La Storia forse? E chi sono le tre affascinanti donne che incontra? E il capitano? E la nave? Con il suo repertorio di figure da romanzo allegorico barocco, de Oliveira riesce a mantenere opaco il senso di questo suo poemetto cinematografico e a dargli ariosità e mistero. Si amo dif r on t ealt r amont o del l aci vi l t àmedi t er r anea,del l ’ Occi dent ecol oni al i st a,del l ' Occi dente nel suo complesso o forse della civiltà tout court? Di certo la costruzione simbolico-metaforica di de Oliveira è abbastanza vasta da contenere in sé ognuna di queste interpretazioni senza privilegiarne nessuna. Proprio come non è poi così importante sapere se de Oliveira storico si c oncent r isul l anost al gi apergl ispl endor idiunaci vi l t àosul l acondannadeisuoior r or i .Dal l ’ al t o della sua senilità oltreumana può permettersi semplicemente di rimpiangere i primi e condannare i secondi. Imparzialità assoluta. Quello che conta veramente nel cineasta portoghese, come in tanti al t r igr andidiquest oscor c i odici nema,èchel ’ esi st enza,l ast or i a,cost i t ui scanounf l ussol i qui do, infinitamente metamorfico e mutante, impossibile da catalogare, e che anche la disciplina storica sia imprigionata in queste infinite traiettorie, senza poterne dirimere razionalmente le trame. La nave diventa una condizione da cui risulta impossibile uscire, se non con una vaga prospettiva di un altrove vuoi geografico (l'America,l ’ I ndi a,i lt er zomondo)vuoi pi ùpr opr i ament eesot er i ca( come nel suo grande conterraneo Pessoa). Ri manel ’ i mmagi ne,appar ent ement ef r eddaecr i st al l i na,i nr eal t àsf umat aei nef f abi l e,doveanche le forme perfette della messa in scena risultano irriducibili alla razionalità della rappresentazione. E,di et r ol ’ i mmagi n e,l apar ol a,al t r et t ant osf umat a,al t r et t ant oevanescent e.Si amoalt i t ol odel l a pellicola: "Un film parlato", non sonoro, parlato. Dove anche la parola, però, contiene le stesse ambiguitàdif ondodel l ’ i mmagi ne,sicar i cadii nf i n i t ir i f l essi ,per dei lsu osensouni v ocoPoiar r i vai l n auf r agi oel af i nedel l aSt or i acomedi sci pl i na.Maf or seanchel ’ i mmer si onenelner odelmar eè s ol ol acont i nuazi onedelf l usso i nun’ al t r af or ma( i nf or me). De Oliveira, nel suo personalissimo ambi t odelf i l m d’ ar t e,cer cal ast essaaper t ur ai nf i ni t adel l avi si onechecer canoipi ùi ncal l i t iaut or i pos t moder nial l ’ i nt er no deicodi cidigener e.I lci nema ha una sua coer enza.I ldi bat t i t o può continuare. la Repubblica (27/3/2004) Roberto Nepoti Nelle sue lezioni all'Actor's Studio, Lee Strasberg diceva: "Il pubblico è abituato a un certo gusto. Provate a fargli assaggiare lo spicchio di una mela dal sapore diverso: forse gli piacerà, e finirà per mangiarla tutta". Un film parlato è la mela dal sapore diverso. Certo, non è con un'opera come questa che il novantacinquenne Manoel de Oliveira si conquisterà i gradi di cineasta popolare: ma che gliene può importare, dopo settantacinque anni di cinema e dotato di una lucidità che la maggior parte dei colleghi giovani dovrebbe invidiargli? Un film parlato comincia come una lezione di storia, prosegue sui toni della commedia sofisticata e finisce in dramma, verniciando il tutto con uno strato, sottile e prezioso, d'ironia. Per raggiungere il marito a Bombay, una giovane professoressa universitaria traversa il Mediterraneo assieme alla sua deliziosa bambina di sette anni, facendo tappa a Marsiglia e Napoli, Atene e Istanbul, Aden. Nella culla della civiltà moderna, la donna ci conduce in una visita guidata ai miti fondatori della cultura occidentale. Sulla stessa nave, comandata dal capitano americano di origine polacca John Malkovich, viaggiano Catherine Deneuve, Stefania Sandrelli, Irene Papas, che simboleggiano rispettivamente il mondo degli affari, della moda, del canto: sono tre Parche moderne e sofisticate; conversano ciascuna nella propria lingua ma si capiscono alla perfezione. Si parla molto, moltissimo nel film del patriarca portoghese, quasi si trattasse di una torre di Babele rappacificata e ormai capace di comprensione reciproca. Solo in apparenza, però. Come sappiamo troppo bene, i dissensi tra i vari popoli perdurano e si acuiscono, facendo naufragare nella violenza l'utopia di un mondo finalmente senza conflitti. Inattesa, alla fine del film incombe sui passeggeri l'ombra del terrorismo: Oliveira cambia registro e vira alla riflessione acre sul vero posto della nostra civiltà, che da troppo tempo presume di occupare quello centrale, nell'effimero mondo d'oggi. L'epilogo spiazzante, fisso sul fotogramma di [email protected] 9 un uomo senza più parole, pare quasi un'allegoria della fine del mondo. Però il geniale Manoel riesce a circondare le sue amare riflessioni politiche e filosofiche di un'aura leggera, di una disinvoltura straordinaria, componendo una sorta di film-saggio in anticipo di qualche decennio suo cinema odierno, da cui esala una strana seduzione che non sapremmo ritrovare in nessun altro. Corriere della Sera (16/3/203) Tullio Kezich Qualche volta il cinema riesce a diventare uno specchio nel quale leggere la contemporaneità meglio che nel telegiornale. Messo di fronte all'apocalisse finale di Un film parlato, l' atterrito John Malkovich siamo noi, uomini del XXI secolo folgorati dal crollo delle Torri Gemelle o dalla strage di Madrid. Sempre arditamente spiazzante, Manoel de Oliveira ci offre una parodia del Titanic imbastita fra divagazioni didascaliche e aneddoti frivoli, ma con un approdo da brividi. Lo sa solo lui che cosa vuol dire esattamente con questo apologo di quattro donne in crociera (Silveira, Sandrelli, Deneuve, Papas) e ci gira intorno con sorniona ironia. Tuttavia il film (puntualmente ignorato dalla giuria veneziana) trasmette un segnale allarmante sulla condizione disperata di un mondo che naviga in brutte acque. Rimane il dubbio: semplice constatazione o cupa profezia? La Stampa (26/3/2004) Lietta Tornabuoni Lo strano titolo di una delle opere più profonde, eleganti, significative e belle di Manoel de Oliveira, “ Unf i l m par l at o” ,vuoldi r echesi tratta d'un film eloquente, che le lingue che all'origine vi venivano parlate erano varie e diverse, che ciascuna di esse ha dato il suo contributo all'evoluzione della civiltà mediterranea e occidentale, che questa civiltà si trova in una condizione di fragilità, di v ul ner abi l i t à.Come Fel l i nii n“ El a nave va” ,i lmaest r o delci nema por t oghese scegl i e una imbarcazione e un viaggio sul mare per rappresentare una potente metafora del presente. Alla crociera che tocca la Grecia, la Francia, le rovine di Pompei, le sfingi d'Egitto e Istanbul prima di arrivare a Bombay, partecipano una giovane donna portoghese docente di Storia e la sua bambina: gli insegnamenti impartiti dalla madre alla figlioletta permettono di ripercorrere, in modo sintetico ma non sommario, la storia del Mediterraneo. Sulla nave, invitate alla tavola del comandante John Malkovich, un americano d'origine polacca che parla l'inglese come un esperanto contemporaneo, viaggiano anche tre donne famose e non più giovani, appartenenti a tre Paesi cruciali: la donna d'affari Catherine Deneuve esprime il talento della Francia per i commerci; Stefania Sandrelli, ex modella, simboleggia l'estetismo e il gusto per la vita dell'Italia; Irene Papas, cantante e insegnante di canto che interpreta pure una stupenda canzone, è un emblema della vocazione per le arti della Grecia. Conversando con spirito, grazia e saggezza, parlando di sè ciascuno parla anche del proprio Paese, ma un funesto annuncio di colpo interrompe la civilissima serata: terroristi hanno piazzato due bombe, bisogna abbandonare la nave, subito... L'intelligenza della visione critica della civiltà mediterranea, la tragica previsione di fine, la finezza dello sguardo posato sui protagonisti, la raffinata bellezza della metafora e del film so no quasi impossibili da descrivere: a novantasei anni Manoel de Oliveira è sempre più intenso e lieve, sempre più bravo il Manifesto (2/4/2004) Silvana Silvestri Il re cattolico e teenager Sebastiano scomparve nella "battaglia dei tre sovrani", in Marocco, tanti secoli fa. Il mito lusitano racconta però che non morì per lama islamica e infedele. Semplicemente svanì. Ma, i portoghesi ne sono certi, tornerà in una giorno di nebbia in groppa al suo cavallo bianco e allora l'impero cristiano (tanto agognato, e non solo da Mel Gibson) sarà di nuovo forte e unito sotto il suo comando... Aspettando quel giorno bigio, e riflettendo attraverso le due o tre cose che sa, sulla storia secolare dell'umanità, il cineasta portoghese Manoel de Oliveira che il secolo di vita l'ha quasi raggiunto e dunque ricorda molto bene le cose di tanto tanto tempo fa, ha realizzato uno dei suoi capolavori, Un film parlato. Che ci interessa ancora più degli altri perché, come il rock, è opera discutibile, imperfetta, piena di crepe, permeabile da dubbi, critiche, riserve... È infatti, questa cosa, una strana, inquietante, continua sorpresa. Quasi un film nazionalista, fiero e secessionista, comunque un'opera su: "perché il terrorismo islamico terrorizza tanto tutto l'occidente?" Risposta: è vero, la grande cultura araba del XII secolo curò il medioevo con massicce flebo di Aristotele e d'amor cortese, forse prefigurò perfino l'Illuminismo e la frenesia scientifica ma la sua colpa storica rimane la distruzione della "très grand bibliotéque" d'Alessandria d'Egitto...Bè, questa notizia è semplicemente falsa. Non fu il cristianissimo Cirillo a bruciare tutto? È una leggenda, un altro mito cristiano, quasi quanto quello del "re infante". Ma i film di de Oliveira [email protected] 10 non sono mai pedagogici né realistici. Sono fiabe dell'immaginazione raccontate (e raccomandate) solo a un pubblico che faccia della "prassi" il proprio hobby. Ai lettori del manifesto questo film non dovrebbe sfuggire. Il regista portense Manoel de Oliveira, 95 anni, con Un film parlato ha deciso di abbandonare la sua tradizionale e leggendaria agilità mentale, fisica e spirituale per inginocchiarsi, meno laico del solito, sul feretro della nostra civiltà. E pregare, a seconda della recezione, o perché resusciti più pura o perché scompaia (come sembra indicarci il finale insostenibile) per sempre. Il requiem in onore di Eurolandia (o ne è l'ironica, ma criptica, "marcia funebre per una marionetta"?) ha la forma di una lezione di storia (e d'arte e cultura) "on the road". Leonor Silveira fa Rosa Maria, docente universitaria di storia, e per metà film porta in piroscafo nel mediterraneo la figlioletta Maria Joana, e le racconta in stile Rossellini e con l'aiuto di connazionali gentili e charmant (Luis Miguel Cintra che fa se stesso) e pope greco-ortodossi, pescivendoli e libroni, la grandezza della cultura egiziana, fenicia, greca e romana, e come la rivoluzione francese e Napoleone seppero poi rielaborarla e renderla planetaria e borghese. Il fiume Tejo, e poi Ceuta/Marsiglia, Napoli/Pompei, Atene/Acropoli, Alessandria/Il Cairo, Istanbul euroasiatica sono gli approdi di questo viaggio al termine dell'apoteosi cristiana, finché seppe ben separarsi dall'eresia religiosa islamica il cui egualitarismo comunitario nuoceva troppo agli affari, non come quello puritano o quacchero transatlantico, e il cui dispotismo, anche ottomano, resta tutt'oggi schema tattico da principianti della scienza del controllo sociale e del profitto... Poi, secondo tempo, il piroscafo prende la rotta del Mar Rosso e da lì, passando per il suq-solo-suq di Aden (e la regina di Saba? e la grandezza culturale dell'Islam? non ne sapremo nulla, mannaggia), si dirige a Bombay, dove la professoressa riabbraccerà il marito pilota di linea e i tre partiranno per una ancora più magnifica vacanza...L'ammiraglio del piroscafo, americano di origine polacca (John Malkovich), ha un lungo "quartetto a cena" con grandi dame: la manager francese, l'ex modella italiana Stefania Sandrelli e la attrice e cantante greca Irene Papas (non ci negherà un frammento della sua arte canora) che sintetizzano, in un tavolo solo e con quattro lingue parlate simultaneamente, lo charme e l'orrore, il calore la tragedia, la grandezza e la ferocia dei due millenni incriminati oggi dai tre quarti del globo. Solo la lingua portoghese resta isolata e incompresa al tavolo, quando anche Leonor Silveira sarà ospite con la bimba, fiera del suo nuovo regalo, una bambola in chador. Altri i tragitti mentali e navali cantati da Camoes, quelli «Lusiadi», da Vasco da Gama in poi: Goa, l'Africa, il Brasile, Macao... Poco europea, più che europea vista la sua non indifferente tradizione schiavistica, la terra lusofona non sarà per caso, in alleanza con Lula, la carta segreta per raddrizzare i micidiali squilibri del mondo, con "stile manuelino"? Un finale, imprevedibile e agghiacciante, risponde pessimisticamente a questa speranza. Come il re infante, anche Rosa Maria e Maria Joana, per mano di Al Quaeda, svaniranno nella nebbia... In nome del padre (la Grecia), del figlio (Roma), dello spirito santo (la rivoluzione francese). Amen (Bush jr.) [email protected] 11