Manierismo e Palladio
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Manierismo e Palladio
Appunti integrativi all’ultima lezione (IV liceo) Il tono è quella sfumatura di un colore, che varia al variare della sua luminosità. La luce, quando colpisce gli oggetti, viene riflessa, e ci rimanda così la percezione dei colori. Ma, se il colore può essere considerato una qualità oggettiva dell’oggetto, la nostra percezione del colore è invece condizionata dalla luce, e varia al variare sia dell’intensità luminosa, sia dell’angolo d’incidenza della luce rispetto alla superficie riflettente. Se la luce illumina un oggetto piano, avremo un angolo d’incidenza costante, e quindi avremo una tonalità uniforme di colore; se invece illumina un oggetto curvo, avremo un angolo d’incidenza variabile, e quindi la tonalità varia uniformemente da un tono più chiaro ad uno più scuro. Questa osservazione aveva già portato alla scoperta di quell’effetto chiamato «chiaroscuro», e che già nell’arte italiana del Trecento era usato per la resa tridimensionale dei corpi e dei volumi. Un’ulteriore comprensione della luce era stata avviata dall’arte fiamminga, già agli inizi del Quattrocento. I fiamminghi, infatti, capirono che la luce può provenire da una fonte diffusa (con raggi tutti paralleli tra loro) o da una fonte concentrata (con raggi che tengono a convergere in un punto). E se la pittura occidentale aveva sempre considerato la luce come uniformemente diffusa, i fiamminghi furono i primi a sperimentare la differenza di tono, nel caso la fonte luminosa sia concentrata. E ciò è possibile notarlo già nel «Ritratto dei Coniugi Arnolfini» di Jan Van Eyck, dove la parete di fondo, pur essendo piana, è trattata a chiaro-scuro, in quanto la luce che la illumina è solo quella proveniente dalla finestra posta sulla destra. In sostanza, anche l’illuminazione di una superficie piana avviene con un angolo di incidenza variabile, se la fonte luminosa è concentrata. Questa novità, introdotta dai fiamminghi, influenzò in maniera più o meno diretta, anche l’arte rinascimentale, sia attraverso Antonello da Messina (che introdusse in Italia anche la pittura ad olio, inventata dai fiamminghi), sia attraverso Leonardo da Vinci. Quest’ultimo si incamminò poi su ricerche personali, raggiungendo livelli di conoscenza della percezione ottica delle forme, dello spazio e della luce, talmente avanzate, che rimasero quasi senza seguito nella cultura artistica successiva. Nella seconda metà del Cinquecento, il Rinascimento vide una generale diffusione in tutta Europa. La scoperta della prospettiva, unita alle altre scoperte sulla luce e sul colore, aveva fornito un vocabolario completo di soluzioni formali, che per la sua validità tecnica ebbe il senso di una conquista astorica, non legata a fattori di gusto o di stile. Intanto, alla metà del Cinquecento, in Italia il Rinascimento, ormai maturo, conobbe una stagione intensa, caratterizzata da tantissimi ottimi artisti, ma mancante delle personalità geniali della prima metà del secolo: Leonardo, Michelangelo, Raffaello. Ciò ha portato a considerare questo periodo, in rapporto al precedente, in maniera analoga al rapporto che ci fu tra ellenismo e arte greca classica: non più periodo di ricerca, ma di codificazione delle norme artistiche già acquisite, e di loro diffusione attraverso la pratica accademica. E, per questo motivo, all’arte della seconda metà del Cinquecento è stato dato il nome di «manierismo», ove con il termine «maniera» (“fare arte alla maniera di…”) si denotava appunto la codificazione accademica del fare artistico, così come praticato dai grandi maestri precedenti. Da qui, poi, il termine «manierismo» ha acquisito una universalità astorica, indicando sempre quel momento della produzione artistica, riscontrabile in tutti i periodi storici, in cui si procedeva senza ulteriori sperimentazioni, ma applicando i princìpi artistici già di provata efficacia e successo. In seguito, dall’Ottocento in poi, il termine «manierismo» è stato generalmente sostituito da quello di «accademismo», indicando in sostanza il medesimo atteggiamento. Andrea Palladio. Il Quattrocento è stato un secolo di arte rinascimentale solo per l’Italia, e in particolare per quella centrale. Nel resto d’Europa, specie al nord, si era continuato a praticare quel gotico fiorito, fatto di archi acuti e intrecci incredibili di nervature, secondo un virtuosismo oramai prossimo alla caduta di ispirazione. Il Cinquecento rappresentò il trionfo del rinascimento che si impose in campo artistico, e non solo architettonico. Rappresentò il trionfo del gusto italiano, che si affermò in un mondo sostanzialmente nuovo. Il medioevo era oramai tramontato dappertutto. Dal 1492 – data della scoperta dell’America – in poi, caddero molti di quegli assunti dogmatici di fede religiosa, che prima avevano imposto al mondo una visione sostanzialmente teologica della vita e dell’universo. Il Cinquecento, da Copernico a Lutero, proseguì questo processo di laicizzazione universale. Il gotico era ancora troppo pervaso di misticismo medievale; il rinascimento, per contro, affidandosi a forme ed immagini tratte dalla classicità precristiana, ma soprattutto facendosi ispirare da un metodo sostanzialmente basato sulla razionalità, interpretava sicuramente meglio la nuova visione laica del mondo. Certo è che, la fede da un lato, e la religione dall’altro, conobbero in questo secolo profonde crisi, che produssero il protestantesimo e la controriforma, l’inquisizione e la caccia alle streghe. Tutto ciò produsse i suoi riflessi anche sull’architettura, in particolare religiosa. Ma, prima che ciò avvenisse, il rinascimento italiano produsse un ultimo genio, che dette, dell’architettura classica, un’interpretazione sublime: Andrea Palladio. La corretta applicazione degli ordini architettonici era stata premura costante di tutti gli architetti rinascimentali. Essi, al pari di quanto avevano fatto gli antichi romani, riconoscevano negli ordini un principio di proporzionalità di garantita efficacia. E alla metà del Cinquecento, quando la nuova architettura era oramai universalmente applicata, numerosi furono i trattati scritti per meglio conoscere ed applicare gli ordini architettonici. Tra questi trattatisti vi fu il Vignola, il Serlio ed Andrea Palladio. Il Palladio non si limitò, tuttavia, a teorizzare. Egli realizzò numerose costruzioni, soprattutto a Vicenza, sua città natale, e a Venezia. Nei suoi edifici l’applicazione degli ordini architettonici era più rigorosa che in qualsiasi altro architetto rinascimentale, nonostante ciò, il risultato che otteneva era di un’assoluta originalità. Il suo segreto era soprattutto nei prospetti. Le varie parti che componevano l’esterno di un edificio, sia che giacevano sullo stesso piano, sia che giacevano su piani diversi, venivano trattate con assoluta chiarezza, dando ad esse un’«impaginazione» da designer. Ciò che quindi creò l’originalità di Palladio fu la sua capacità di compositore. Le sue erano creazioni in cui i singoli elementi perdevano la loro individualità, per dar luogo ad una nuova unità: la composizione. Pertanto, benché egli usasse porticati che erano delle perfette testate di templi greci, queste, inserite nel contesto dei suoi edifici, acquistavano un’immagine totalmente nuova ed inedita. E l’esempio potrebbe estendersi alle altre componenti classiche che egli usava. Questa sua capacità di separare ed omogeneizzare, nelle composizioni prospettiche, gli elementi classici, lo portò ad utilizzare soluzioni che dopo di lui divennero molto in voga, quale l’ordine gigante – era detto gigante l’ordine che si estendeva su due o più piani di un edificio – o il motivo che da egli prese il nome di «palladiana». Tra gli edifici suoi più noti vi fu la basilica di Vicenza, alcune chiese di Venezia – il Redentore e San Giorgio Maggiore – alcuni palazzi di Vicenza, ed il Teatro Olimpico realizzato nella stessa città. Ma soprattutto sono rimaste famose le ville che egli realizzò nella campagna veneta. Queste ville istituivano un rapporto molto suggestivo e poetico, tra edificio e campagna, tale che la loro fortuna non ha mai conosciuto cadute. E sono stati tra gli edifici più ammirati e copiati, soprattutto dagli inglesi, che dal XVII secolo in poi, hanno esportato questo stile in tutto il mondo, dall’America all’Australia, dall’India al Sud-Africa, divenendo l’immagine stessa dell’architettura coloniale inglese. Sul Manierismo E’ tipico del Manierismo, e contrasta con l’estetica e la logica dell’architettura rinascimentale, quel ripartir la facciata per mezzo di pilastri, posti ad intervalli del tutto eterodossi. E anche più eterodossa si presenta la facciata sul cortile, dove pure si accentua l’effetto del piano unico, ed intervengono altri mezzi ad irritare fino all’esasperazione il senso d’incertezza e d’inquietudine. Non sono uguali gli intervalli. fra le colonne troppo massicce, appoggiate alla parete; il bugnato qua e là viene arbitrariamente interrotto, come se si volesse suscitar l’impressione dell’improvvisato e del non finito, quasi di un quadro lasciato allo stato di abbozzo. Nella trabeazione, un triglifo su tre si prolunga fino a pender fra le colonne, scavalcando l’architrave: si ha così l’impressione che qualcosa sia andato fuor di posto, anche se è forse eccessivo dire che l’edificio sembra minacciar rovina. Il Manierismo è radicalmente arte: trasforma tutto quello che è naturale in qualcosa di artificioso, artificiale, artefatto. La voce della natura, l’informe materia prima della esistenza, tutto quanto è genuino, spontaneo, immediato, viene distrutto, e trasformato in prodotto d’arte, in manufatto, che - per quanto ancor vicino e familiare all’«homo faber» - è estraneo alla natura. L’architettura, che fra le arti visive è formalmente la più lontana dall’imitazione, ha già di per sé un carattere astratto, inerte, innaturale. Con il Manierismo aumentano ancora quest’astrattezza e questo distacco dalla natura. (Da Der Manierismus_ Múnchen 1964, edizione italiana (Il Manierismo. La crisi del Rinascimento e l’origine dell’arte moderna) trad. C. e A. Bovere, Einaudi, Torino 1965, pp. 256, 258-262). Manierismo, significato e architettura Il XVI secolo fu un’epoca in cui l’uomo sentiva come vivamente problematici tutti gli aspetti fondamentali della sua esistenza: i rapporti con il prossimo, con la natura, con la cultura, con Dio e persino con se stesso. All’uomo "divino" del Rinascimento, subentrò l’uomo "terribile", l’essere che dubita e teme, interiormente diviso dal dramma della scelta. La libertà di scelta introdotta dall’Umanesimo rinascimentale portava naturalmente a questa situazione, perché partiva dal presupposto che i valori eterni non erano rivelati direttamente all’uomo, ma dovevano essere conquistati dall’azione creativa. Ma la fiducia nelle capacità morali e intellettuali dell’uomo, tipica del Rinascimento, non durò a lungo. Erasmo e Lutero rappresentano il dubbio riguardo al fine della libertà e della "dignità dell’uomo", per usare l’espressione di Pico; e Copernico (1545) toglie la terra dal centro dell’universo. I fondamenti politici della civiltà rinascimentale si sgretolarono e la divisione della Chiesa confermò la disintegrazione del mondo unificato e assoluto. Il nuovo stato di cose fu sentito soprattutto come problema "psicologico". L’uomo moderno, che vuole sostituire all’autorità la coscienza e la responsabilità personale, nacque nel XVI secolo. Il suo è un mondo problematico e diviso, e l’uomo è un essere alienato e sofferente. Mai prima d’allora la ricerca di valori significativi era stata sentita con tanta intensità. Il problema fu risolto in maniera diversa dal Protestantesimo e dal Cattolicesimo. Il protestante dipende interamente dalla grazia divina; le sue azioni non possono essergli di aiuto, e anche la cultura diviene inutile e superflua. Perciò il Protestantesimo giunse quasi al punto di negare ogni valore all’arte religiosa e ridusse il simbolismo al minimo. Per il protestante il mondo non ha significato; non manifesta alcuna verità divina, e lo spazio è neutrale e privo di "qualità". Il Protestantesimo perciò risolse la crisi umana negando significati esistenziali di importanza tradizionale. t evidente che la società "tecnocratica" e l’uomo "secolarizzato" del nostro tempo sono una derivazione naturale dell’interpretazione protestante della realtà. Per il cattolico, la verità si rivela nel mondo, e la storia è il percorso umano verso la redenzione. Nel suo cammino, l’uomo è guidato dalla Chiesa. Perciò uno del primi intenti della Controriforma fu quello di abolire il diritto dell’individuo a risolvere i problemi personali per mezzo della ragione. La Controriforma voleva ristabilire l’autorità ecclesiastica, indebolita dall’Umanesimo rinascimentale. Si abbandonarono i concetti di forma perfetta e di bellezza, e l’arte religiosa divenne strumento di persuasione e di propaganda. Il generale processo di fenomenizzazione del secolo XVI ben si adattava agli scopi della Chiesa. Abbiamo già discusso il problema della persuasione in relazione con la chiesa del Gesù. La meta della persuasione è la "partecipazione". Perciò, oltre alle riforme introdotte dal Concilio di Trento, sorsero delle organizzazioni che cercavano di adattare la fede cattolica alle esigenze del tempo. Ebbero particolare importanza i Gesuiti, secondo i quali la religione doveva fare appello ai sentimenti umani. Si formò così un tipo di religione popolare, anti-intellettuale, che nei due secoli successivi si diffuse in tutto il mondo cattolico, e che si manifestò visualmente nell’enorme diffusione di elementi religiosi, come edicole, crocifissi, cappelle e santuari. Il pellegrinaggio tornò ad essere una pratica molto diffusa nella vita della chiesa, e i conventi riacquistarono una parte dell’importanza culturale che avevano avuto nel Medio Evo. La ragione essenziale del grande valore attribuito alla propaganda stava nel fatto che la Chiesa Cattolica non era più l’unico sistema di valori per l’uomo occidentale. Da quel momento, la Chiesa fu solo uno dei molti sistemi religiosi, politici e filosofici. Perciò la propaganda divenne essenziale, ed acquistò un carattere dinamico e centrifugo. Le forme inquiete del Manierismo si trasformarono nel rassicurante dinamismo del Barocco. La crisi fu superata con la rinuncia all’idea rinascimentale di libertà umana. (Da Significato nell’architettura occidentale. trad. Anna Maria Norberg.Schulz, Electa Editrice, Milano 1974, pp. 256267, 276-284).