Voto di povertà
Transcript
Voto di povertà
CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,70 SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/ BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158 ANNO XLI . N. 122 . MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 ITALIA IN GINOCCHIO Loris Campetti U n paese invecchiato, sfibrato e sfiduciato. Un paese in ginocchio. È questa la radiografia dell'Italia berlusconizzata in cui crollano le aspettative di lavoro, i giovani cervelli fuggono all'estero, quelli che restano conducono una vita precaria sostenuta dai genitori che però stanno impoverendo. Diminuisce il risparmio, persino la scolarizzazione è in caduta libera. Si lavora e si studia sempre di meno, non si fanno investimenti, si ammazza la ricerca. Ieri ce l'ha raccontato l'Istat, domenica l'abbiamo visto in una delle più efficaci puntate di Report, sabato è stata la volta del Censis. Altro che luci e ombre, come goffamente sostiene, arrampicandosi su specchi insaponati, qualche pierino in forza al governo: l'Italia è al collasso, sempre più diseguale tra nord e sud e tra ricchi e poveri, tra uomini e donne e tra lavoratori (o aspiranti tali) indigeni e migranti. Certo, lo sapevamo, ce l'ha raccontato qualche mese fa Marco Revelli nel suo ultimo libro Poveri noi. Il fatto grave è che non si vede inversione di tendenza; anzi la crisi, che ormai è anche sociale e culturale, si sta aggravando e il tunnel sembra sempre più lungo e scuro. Questa debacle che ci getta nel sottoscala dell'Europa non è tutto «merito» di Berlusconi, ma nessun altro sarebbe riuscito meglio del telepredicatore delle paure in questo miracolo al rovescio. Con una politica economica dissennata che ha distrutto risorse intellettuali e materiali. E viene ancora a raccontarci che dovremmo avere paura dei comunisti, dei rom, dei minareti, dei centri sociali, quando è proprio da Berlusconi, dal suo governo e dalle sue politiche che dobbiamo guardarci. Già parlare di politica economica – per non dire industriale – è un eufemismo: Berlusconi lo sfrontato e Tremonti il contabile non hanno progetti per il paese, sanno solo tagliare, tutto tranne i sottosegretari, i capital games e i loro interessi. Siamo rimasti uno dei pochi paesi in cui parlare di reddito di cittadinanza è una bestemmia, ci riempiono la testa con l'amore e la famiglia mentre sterilizzano l'amore (fare figli è un lusso per pochi) e immiseriscono l’ultimo ammortizzatore sociale per un paio di generazioni di giovani precarizzati o espulsi. Poi ci dicono che dobbiamo riprendere a consumare. Finalmente dal paese qualche segnale di vita è arrivato: dai giovani, dagli operai e dagli studenti che portano in piazza la loro dignità, e dalle urne, domenica prossima, potrebbe arrivare un secondo segnale generale: l'Italia ha paura, sì, ma di Berlusconi ed è pronta a libera rsene. EURO 1,30 Voto di povertà Nella settimana dei ballottaggi di Milano e Napoli, arrivano i dati dell’ultimo rapporto Istat sull’Italia: quindici milioni di persone «sperimentano il rischio di povertà o di esclusione sociale». Un valore del 23,1% superiore alla media dell’Unione europea. È la radiografia dell’Italia di Berlusconi, un paese invecchiato, degradato, impoverito. Un malgoverno che si accanisce sui giovani e le donne PAGINE 2, 3 MILANO BERLUSCONI La destra allo sbando si attacca a al Qaeda Con un videomessaggio ai suoi Silvio Berlusconi torna all’attacco di Giuliano Pisapia che «prende il caffè tutti i giorni con i rappresentanti dei centri sociali» e insiste con la «zingaropoli islamica assediata dagli stranieri». Borghezio tira fuori Al Quaeda che tifa Giuliano. Il segretario del Pd Bersani: «Il premier fa ridere». Il candidato del centrosinistra, preoccupato per il clima «instaurato dal centrodestra», incontra il questore. E stringe la mano a Letizia Moratti, «come faccio sempre con le persone che me la porgono, perché sono gentile». |PAGINA 5 PAR CONDICIO Maxi-multa dell’Agcom ai tg occupati dal premier Berlusconiani in rivolta Mediaset fa ricorso Micaela Bongi |PAGINA 4 In fondo al barile del Caro Leader Marco Rovelli «M ilano non può, alla vigilia dell’Expo 2015, diventare una città islamica, una zingaropoli piena di campi rom e assediata dagli stranieri a cui la sinistra dà anche il diritto di voto». Il Caro Leader - trovandosi d’un tratto di fronte alla catastrofe personale, frantumatosi lo specchio narcisista come per Dorian Gray - invoca gli spiriti, raschiando il barile. E in fondo al barile c’è un humus fatto appunto di fantasmi evocati per dar corpo a quello stato generalizzato di paura da sempre funzionale alla richiesta di ordine. CONTINUA |PAGINA 14 NUCLEARE | PAGINA 4 ELEZIONI AMMINISTRATIVE IN SPAGNA l PAGINE 8 E 9 Vincono i popolari. Anzi no, perdono i socialisti Il partito di Zapatero perde 9 punti rispetto all’ultima tornata elettorale. Clamoroso risultato di Bildu, la coalizione «abertzale», nei Paesi baschi: 25% Nella Puerta del Sol il Movimento M-15 degli «indignati» accoglie con circospezione il successo del Pp e decide di andare avanti con la «acampada» Non solo decreti legge, per silurare il referendum ora arriva la «fiducia» CALL CENTER | PAGINA 6 Lettere di licenziamento sotto dettatura alla Snai, il caso arriva in procura GERMANIA | PAGINA 9 Regionali, débâcle Merkel Avanzano i verdi, un voto contro le centrali atomiche GERMANIA | PAGINA 7 Assalto taleban a Karachi E a Kabul la tv annuncia la morte del mullah Omar FÚTBOL E LETTERATURA PALMA D’ORO 2011 In onore del Barça e di Vázquez Montalbán Malick e il festival di «Strauss-Cannes» EDUARDO GALEANO l PAGINA 8 ROBERTO SILVESTRI l PAGINA 12 pagina 2 il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 VOTO DI POVERTÀ Istat • Dal rapporto annuale la radiografia di un paese invecchiato, sfibrato, sfiduciato. Un paese a cui è stata sottratta la speranza di un futuro almeno decente Italia povera e degradata Quindici milioni di persone «sperimentano il rischio di povertà o di esclusione sociale». Un valore del 23,1% superiore alla media dell’Unione europea Galapagos P er un decennio - dimostra, numeri alla mano, l’Istat - l’Italia ha galleggiato con performance inferiori a quelle di tutti gli altri paesi della Ue, ma negli ultimi due anni non c’è più stato neanche il galleggiamento: il paese è andato a fondo. Non solo economicamente (il Pil ha fatto un balzo all’indietro di 35 trimestri) ma soprattuto socialmente: il 24,7% della popolazione - 15 milioni di persone - «sperimenta il rischio di povertà o di esclusione sociale». Si tratta di un valore del 23,1% superiore alla media Ue. Il rischio emarginazione sociale è conseguenza anche dell’aumento della disoccupazione: nel biennio 2009-2010 oltre 532 mila persone hanno perso il posto. E va peggio per gli immigrati: ogni 100 disoccupati in più, 20 erano stranieri. L’economia che affonda incide sui i fenomeni sociali: nel 2010, gli abbandoni scolastici prematuri sono stati il 18,8% con una punta del 22,0% dei ragazzi contro il 15,4% delle ragazze. L'obiettivo fissato dal piano del governo (15-16%) non appare particolarmente ambizioso e non consente un avvicinamento deciso rispetto agli obiettivi comunitari. E due milioni sono i «Neet 1», i giovani che non hanno un impiego, non studiano e non fanno alcun tipo di pratica professionale o apprendistato. E sono due milioni anche gli scoraggiati, coloro che nel 2010 non hanno più cercato un lavoro, o perché in attesa degli «esiti di passate azioni di ricerca», o più semplicemente perché convinti che non avrebbero trovato alcunché. Infine le donne: su di loro, causa i tagli sempre più profondi, viene scaricato il welfare in dosi massicce, un carico «sempre più insostenibile». E, sempre di più, il loro lavoro fuori casa è dequalificato. Nelle oltre 400 pagine del «Rapporto annuale» Istat presentato ieri si percepisce una senzazione di impotenza per un paese che sta precipitando, e al tempo stesso di rabbia per la mancanza di una politica economica e sociale - una violenza enorme che sta distruggendo il tessuto produttivo e soprattutto quello sociale. Sul fronte economico non ci sono molte novità, ma una preziosa opera di puntualizzazione. «Nel decennio 2001-2010 l’Italia ha realizzato la performance di crescita peggiore tra tutti i paesi dell'Unione europea». In numeri, quella italiana «è l'economia europea cresciuta di meno nell'intero decennio», con un tasso medio annuo pari allo 0,2%, contro l'1,1% dell'Ue. «Il ritmo di espansione dell’economia è stato inferiore di circa la metà a quello medio europeo nel periodo 2001-2007». Insomma, una «crescita dimezzata» e il divario «si è allargato nel corso della crisi e della ripresa attuale». Nella media dello scorso anno l'economia italiana è cresciuta dell'1,3%, contro l'1,8% dell'Ue. Nel primo trimestre del 2011, in Italia la cresci- LA GIORNALISTA «Dieci euro a pezzo ma cerco di tenere duro» Antonio Sciotto «I dati dell’Istat? Deprimenti. E dopo aver visto la puntata di Report di ieri sera, mi sento ancora più a terra». Valeria Calicchio è una giornalista precaria: ha 30 anni, viene da Camerota in provincia di Salerno, e dopo una laurea in Scienze della comunicazione con 110 e lode e una scuola di giornalismo («quella di Salerno, diretta da Biagio Agnes») è costretta a lavorare in nero. «La nostra è una generazione bloccata: oggi stanno male quelli che hanno 25-30 anni, ma domani staranno male tutti, perché noi non stiamo pagando contributi e non partecipiamo a una crescita sana del Paese». Valeria lavora per un piccolo giornale free press della capitale: un pezzo di 2000 battute le viene retribuito 10 euro, foto incluse, e così dopo svariate ore di lavoro ogni giorno alla fine del mese porta a casa tra i 200 e i 250 euro. «Me li dà in contanti lo stesso direttore. È giovane come me, e in realtà siamo un po’ tutti d’accordo con questo sistema, perché vogliamo lanciare il giornale, che oggi a fatica si regge solo sugli sponsor. E alla fine mi va "di lusso", se pensiamo che i principali quotidiani sportivi oggi pagano solo 4 euro una notizia». Ma certo con 250 euro a Roma si fa ben poco, e infatti Valeria deve «arrotondare» facendo la guida turistica, lavorando negli stabilimenti balneari in estate, o nella ristorazione. Sta pure scrivendo una serie di guide turistiche, «ma anche lì mi pagano in nero». E dire che Valeria è giornalista professionista e ha fatto tre stage in importanti testate: «Al Giornale di Milano, ma non mi interessava restarci. All’Adnokronos, ma ci ho litigato perché saltò fuori che dovevo fare i festivi senza la copertura assicurativa; e all’Unità, dove pareva si aprissero buone prospettive, ma poi Renato Soru ha perso le elezioni ed è cominciata la crisi». L’unico contratto «regolare», pochi mesi a prestazione come ufficio stampa al Consorzio ulivicultori: «1000 euro lordi, pagato l’affitto me ne restavano 400». «Però non voglio dare l’immagine della sfigata – ci tiene a dire Valeria – perché non mi sento tale. Credo nel mio lavoro, e con altri colleghi abbiamo fondato il primo coordinamento giornalisti precari di Roma: si chiama Errori di stampa, abbiamo un blog e siamo anche su Facebook». Valeria scrive articoli in nero per una «free press» romana. La paga il direttore in contanti ta è stata dello 0,1% e dell'1% in termini tendenziali, mentre nell'Uem la crescita è stata dello 0,8% su base trimestrale e del 2,5% rispetto ai primi tre mesi del 2010. E se ci sono circa 295.000 imprese che sono riuscite a prosperare persino nel biennio della crisi (tra il 2007 e il 2009), con conseguenze positive su occupazione, redditività e competitività, il ritorno ai valori precrisi della produzione appare lontanissimo: l'attività produttiva del settore industriale L’era del disagio: poca crescita, tanti disoccupati, donne sempre più sfruttate, sud al collasso si colloca su livelli inferiori di oltre il 19% rispetto ai massimi dell'estate 2007, il punto di svolta negativo del ciclo. La crisi ha prodotto una crescita della disoccupazione: «nel biennio 2009-2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità». I più colpiti sono stati i giovani tra i 15 e i 29 anni, fascia d'età in cui si registrano 501 mila occupati in meno; cresce, invece - di 291 mila unità - il numero degli occupati tra gli over 50 che appaiono come l’unica fascia garantita. Drammatico è il quadro della condizione femminile. Si sta assistendo a un peggioramento della qualità del lavoro acompagnato da una crescita della disparità salariale rispetto agli uomini del 20% (30% per le immigrate). La mancanza di protezione sociale delle donne è rappresentata da un dato: 800.000 donne, con l'arrivo di un figlio, sono state costrette a lasciare il lavoro, perchè licenziate o messe nelle condizioni di doversi dimettere. L'occupazione qualificata, tecnica e operaia, è scesa di 170 mila unitá, mentre è aumentata soprattutto quella non qualificata (+108 mila unità): si tratta soprattutto di «italiane impiegate nei servizi di pulizia a imprese ed enti e di collaboratrici domestiche e assistenti familiari straniere». Ma ciò che su tutto emerge è il ruolo di «ammortizzatore sociale» svolto dalle donne, un carico di cura e assistenza degli altri che si è fatto «insostenibile». Le famiglie che possono per salvaguardare il livello dei consumi, hanno progressivamente eroso il loro tasso di risparmio, «sceso per la prima volta al di sotto di quello delle altre grandi economie dell'eurozona». Lo scorso anno la propensione al risparmio delle famiglie si è attestata al 9,1%, «il valore più basso dal 1990». «Il tasso di crescita dell'economia italiana è del tutto insoddisfacente - secondo il presidente dell’Istat - e anche i segnali di recupero congiunturale dei livelli di attività e della domanda di lavoro non sembrano sufficientemente forti e diffusi per riassorbire la disoccupazione e l'inattività, rilanciando redditi e consumi». Risultato: «l'occupazione sta ora crescendo prevalentemente nei servizi a più basso contenuto professionale, a fronte della riduzione del numero delle posizioni più qualificate. Ciò implica, a parità di altre condizioni, un sottoutilizzo del capitale umano, guadagni più bassi, minori prospettive di sviluppo». Il danno peggiore si è prodotto nell'industria (404.000 posti di lavoro persi) e la cassa integrazione che ha fatto in parte da paracadute, ormai è in via di esaurimento: «circa un quarto di quanti erano in Cig nel 2009 lo sono anche un anno dopo; uno su due ritorna al lavoro, ma uno su cinque non è più occupato». L’OPERATRICE AL CALL CENTER «Teleperformance ci cestina e delocalizza in Albania» A ssunta Linza ha 32 anni, è calabrese – della provincia di Cosenza – ma vive a Roma ormai da diversi anni. Ha una laurea in Psicologia e due master, in Risorse umane e Psicosomatica. È dipendente della Teleperformance, azienda di call center un tempo giudicata tra le più virtuose, perché nel 2007 applicò la «circolare Damiano», stabilizzando non solo gli operatori inbound (quelli che ricevono le chiamate) ma pure quelli outbound (quelli che le fanno): «Ben 3 mila persone che uscirono dalla giungla dei contratti a progetto – spiega Assunta, Rsu Slc Cgil – Un sogno che si realizzava: non salari alti, ma almeno certi. Io sono riuscita a comprarmi un motorino con le rate, e mi sono pure sposata». Una storia a lieto fine, se si fosse conclusa allora. Ma poi nel 2010 sono arrivate le prime crepe: ben 847 esuberi, gestiti con la cassa integrazione. «I nostri salari – continua Assunta – sono crollati a precipizio: la mia busta paga è passata da 850 euro mensili a poco più di 400, e parlo del mese in cui non ho lavorato per nulla. Ma almeno abbiamo evitato i licenziamenti, e l’azienda ha messo da parte risorse che avrebbe dovuto reinvestire per noi». Avrebbe, sì il condizionale è d’obbligo. Infatti i sacrifici dei tremila dipendenti Teleperformance sembrano non essere serviti a nulla: il 14 aprile scorso, il gruppo annuncia a sorpresa un piano «lacrime e sangue», con nuovi esuberi, che addirittura raddoppiano, passando a 1464. «Una doccia gelata per noi – spiega la lavoratrice, ieri in protesta con i colleghi da- vanti a Montecitorio – Tra il mio centro, a Roma, e gli altri due di Fiumicino e Taranto avevamo pensato di aver già contribuito a risanare l’azienda. E invece, siamo beffati: è come se avessimo partecipato ai tagli, perché dal 2008 a oggi Teleperformance è passata da 50 postazioni a ben 700 in Albania, praticamente ci ha delocalizzato mentre eravamo in cassa». Il problema è che le aziende cercano costi sempre più «competitivi» e così Teleperformance, che proprio nel 2007 aveva accettato di sostenere un corretto costo del lavoro (anche favorita dal clima del governo di centrosinistra), adesso per restare sul mercato taglia: «Mi rendo conto – dice Assunta – che stiamo pagando quella regolarizzazione, anche perché il resto del settore è rimasto un far west e certo il governo Berlusconi non ha aiutato. Però è anche vero che oggi Teleperformance non solo ha delocalizzato in Albania, dove trovano operatori che parlano discretamente italiano, ma qui nel nostro Paese ha già assunto circa 200 lavoratori a progetto che paga 3 euro l’ora, quando a me, prima della stabilizzazione, ne dava 7. Insomma, è un taglio continuo, questa storia pare non finire mai». «Mi sento l’emblema della precarietà – conclude Assunta – Ero a progetto, poi ho avuto l’illusione del posto garantito, e dal 30 giugno potrei ritrovarmi in mezzo a una strada. Sto già mandando i curriculum, ma a differenza che in passato le aziende oggi non ti rispondono più neanche con il messaggio automatico». an. sci. Assunta lavora per il gruppo che stabilizzò 3 mila addetti. Ora 1400 sono a rischio il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 pagina 3 VOTO DI POVERTÀ 800 mila le donne licenziate o messe in condizione di doversi dimettere a causa di una gravidanza. Si tratta dell'8,7% delle madri che lavorano o che hanno lavorato in passato ESPLOSIONE AL PORTO DI AUGUSTA E' di un morto ed un ferito il bilancio di un incidente sul lavoro avvenuto ieri mattina alle 8 nel porto di Augusta. Secondo una prima ricostruzione, l'esplosione sarebbe avvenuta durante le fasi di pulizia degli idrocarburi di scarto da un deposito galleggiante. I vapori emanati, per cause ancora da chiarire, avrebbero subito un innesco avrebbero subito un innesco causando la deflagrazione che ha investito i lavoratori. METRO ROMA, UN INDAGATO Per la morte di Bruno Montaldi, avvenuta in un cantiere della metropolitana di Roma, la procura ha indagato per omicidio colposo il responsabile della sicurezza della Icotekne di Napoli, società per cui lavorava l'operaio, impegnata nei lavori per Metro B1. Tra gli accertamenti avviati dal magistrato anche la verifica se Montaldi fosse equipaggiato secondo quanto previsto dalle misure antinfortunistiche. DIARIO DELLA CRISI Cina in frenata e debito pubblico. Paura in Borsa Tommaso De Berlanga INTERVISTA · Il sociologo Franco Ferrarotti: «Fino a quando reggeranno le famiglie?» I nostri giovani azzerati Francesco Paternò I l sociologo Franco Ferrarotti ha anticipato la fotografia Istat della situazione del nostro paese - e dei suoi giovani in particolare - nel suo ultimo recente libro, dal titolo fin troppo eloquente: «La strage degli innocenti». Professore, che cosa lo ha più ha colpito dell'ultimo rapporto Istat sull'Italia? Quello che tutti sanno: che l'Italia è ferma, che non si produce ricchezza o se ne produce pochissima, più o meno quella fisiologica che producono anche i cadaveri. Siamo in una posizione grave, perché non producendo ricchezza non si amplia il ciclo economico e non ci sono nuovi posti di lavoro. E dunque cosa succede in un simile momento che prevedo per altro molto lungo, forse un lustro o due? Chi ha il posto se lo tiene, e giustamente dal loro punto di vista i sindacati proteggono questa fascia sociale. Però qui c'è un'intera generazione che cerca di entrare nel mercato del lavoro e non ce la fa. Tra i 18 e 25 la disoccupazione è del 30%, più di tre volte del dato nazionale. Stiamo per diventare l'unico paese tra quelli tecnicamente progrediti che sta azzerando una generazione di giovani da cui dipende il suo futuro. Cosa ci tiene ancora in piedi? Mi chiedo: come mai non si ribellano i giovani, quantomeno come stanno facendo in Spagna? Perché in Italia c'è un ammortizzatore segreto che si chiama famiglia allargata, fatta di zii e nonni oltre che di genitori. Ma è una situazione che sta in piedi fino a quando i risparmi familiari reggeranno. L'1% della popolazione possiede il 5% della ricchezza, la maggioranza della popolazione è sempre più povera. I dati ci dicono che c'è una proleta- L’INTERINALE ALLA PREVIDENZA «L’Inps non ci rinnova ma di noi ha bisogno» NELLA FOTO GRANDE, CERVELLI IN FUGA AD UNA MANIFESTAZIONE DI PRECARI/FOTO EIDON A DESTRA/FOTO EMBLEMA «S e in Spagna si definiscono indignati, noi come dovremmo chiamarci? Gli incazzati?». Pasquale Cesarano, 32 anni, napoletano, affronta con una battuta la lettura del rapporto Istat. Anche lui ha visto la puntata di domenica sera di Report, «e mi ci sono ritrovato in pieno»: «In Italia non puoi più vivere del tuo lavoro», dice amaro. Laurea in Scienze politiche a 25 anni e con 102 di voto, due corsi regionali di 160 ore sulla sicurezza sul lavoro e la gestione del personale, subito dopo gli studi Pasquale non ha trovato di meglio che un impiego come scaffalista all’Ipercoop di Afragola: «Prima con un’agenzia interinale, e poi alle dirette dipendenze: ma sempre a termine. Lavoravo solo a Pasqua, a Natale e in estate, quando il personale garantito era in ferie». Nel 2009, è arrivato finalmente il «colpaccio», ovvero l’occasione per emanciparsi dall’ipermercato e fare un lavoro adatto ai suoi studi: l’agenzia Tempor gli offre una «somministrazione» (il lavoro interinale ormai si chiama così) all’Inps. Come lui, altri 1800 interinali lavorano all’istituto di previdenza ormai dal 2006. Ma da quest’anno sono per strada. «Ho prestato servizio all’Inps per 25 mesi, acquisendo anche una certa professionalità – spiega Pasquale – Prima ero addetto all’inserimento dati nel reparto che gestisce le disoccupazioni, poi mi hanno spostato alle invalidità. Io dico: siamo 202 interinali solo in Campania, 1800 in tutta Italia, e rappresentiamo il 6% del personale Inps. Chi si occuperà di quelle pratioche adesso che noi abbiamo perso il nostro posto?». Alla fine del 2010 è arrivata una prima disdetta per 550 interinali, in aprile è toccato agli altri 1240: l’Inps sta applicando il blocco del turn over e i pesanti tagli ai contratti «flessibili» imposti dalla finanziaria. Sono così scattate le proteste, i sindacati hanno scritto al ministro del Lavoro Sacconi, al titolare dell’Economia Tremonti e della Funzione pubblica Brunetta, ma non hanno ricevuto risposte soddisfacenti: «Prima le priorità erano tutte su Ruby – dice Pasquale, che è Rsa del Nidil Cgil – Poi si è parlato solo di processo breve. Ma ai problemi del lavoro, in Italia, chi ci pensa?». I 1800 interinali adesso percepiscono il sussidio di disoccupazione, per 8 mesi: ironia della sorte, a erogarlo è proprio il loro istituto, l’Inps. an. sci. Pasquale è rimasto a spasso con 1800 colleghi. Seguivano pratiche delicate «Il paese è affetto da una crisi di orientamento. E basta col tabù del lavoro intellettuale-manuale» rizzazione del ceto medio, ceto che pur di non confondersi con l'inferno dell'egualitarismo socialista, continua a votare il centrodestra, un segno di analfabetismo politico che fa paura. Non ci sono nuovi investimenti, chi ha ricchezza la porta all'estero, le rendite finanziarie sono le meno tassate del mondo e nemmeno c'è obbligo di dichiararle. Insomma, tra i paesi sviluppati l’Italia è l'unico dove si può essere nullatententi ad altissimo reddito. E domani? Molti giovani cercano un posto a tempo indeterminato e trovano solo call center con contratti di tre mesi. Non si può vivere così. Ormai, di questi tre milioni di giovani disoccupati, più di un milione ha rinunciato a cercar lavoro. Io credo che ci sia un problema molto serio, non solo di coesione sociale immediata, ma anche di formazione del cittadino. Siamo in presenza di un governo che non governa, che mira a durare e non a dirigere. Sono d'accordo sull'importanza di tenere in ordine i conti pubblici, ma non si possono tenere a posto i conti di un povero cadavere, cioè di una intera popolazione. Abbiamo pure gli stipendi più bassi d'Europa. Pensi che l'altro giorno negli Stati Uniti il presidente Obama ha concesso una franchigia a 4 milioni di dollari per le eredità venture, cioè soldi non tassabili in modo che li diano ai figli. Significa che bisogna trovare un compromesso positivo fra la difesa dei conti pubblici, ma anche operare degli investimenti per dare speranze e lavoro ai giovani. Il paese è affetto da una crisi di orientamento. Lei ha insegnato per più di cinquant'anni: oggi consiglierebbe ai suoi studenti di andare all'estero? I miei sempre cari giovani devono in primo luogo capire che non ci sono più studenti italiani, greci, tedeschi. Siamo cittadini europei, bisogna sapere le lingue europee e capire che la vecchia frattura tipicamente italiana tra lavoro intellettuale e lavoro manuale non ha più senso. Ogni attività lavorativa è degna, il lavoro non è merce, qui invece siamo in qualche modo condizionati dalla qualità del lavoro. Bisogna far cadere questi tabù. E capire che casa e bottega non è più possibile, che bisogna andare là dove c'è lavoro. Essere nello stesso tempo abitanti del villaggio e cittadini del mondo. L'Istat segnala un peggioramento della «qualità dell'occupazione». Come legge questo dato? Oggi, evidentemente, il laureato non solo del Mezzogiorno è il morto in casa, aspetta di trovare chissà che lavoro. Mentre in realtà, grazie alla immigrazione del sommerso, l'economia italiana ha ancora un certo grado di mobilità di cui ha estremo bisogno. Esempi? Fonderie nel nord est, verniciature delle scocche di automobili al Lingotto, pomodori in Puglia, olive in Calabria. Chi li fa questi lavori? Conosco bene gli Stati Uniti: lì in estate i ragazzi di qualunque famiglia si guadagnano da mangiare facendo i lavori più strani. Come accadeva una volta, si riconosce dignità anche al lavoro qualunque. Questo nella struttura italiana non ha fatto breccia: mi chiedo se non ci sia anche una responsabilità sindacale. Certamente c'è una responsabilità culturale: vale a dire la mitizzazione della laurea, del pezzo di carta. Credo che in Italia si stia tornando a queste vecchie stratificazioni che non hanno più senso. L o schiaffo è arrivato. Violento, ma quasi uguale per tutti. Si attendeva la reazione dei mercati al declassamento del rating sul debito pubblico italiano da parte di Standard& Poor’s e si è visto un -3% abbondante in PiazzaAffari, oltre alla prevista caduta dei prezzi dei titoli di stato. Ma tutte le borse mondiali hanno vissuto una brutta giornata, a cominciare da quelle asiatiche. Timori per il debito sovrano di Eurolandia, si è detto. Ma Tokyo ci ha aggiunto di suo il bilancio negativo di Tepco (perdite per 10 miliardi di euro), la società che gestisce la centrale nucleare di Fukushima. E Shangai (-3%) e Hong Kong hanno diffuso nel mondo la buona novella (o il panico): la crescita cinese sta finalmente rallentando. Poco, ma rallenta; proprio come voleva il governo, per «raffreddare» l’inflazione. La scossa si è subito trasmessa alle materie prima, a cominciare dal petrolio, naturalmente; in base all’assioma «meno crescita uguale meno consumo». E quindi calo sia dei prezzi (per il petrolio, in serata, circa tre dollari al barile in meno), sia dei valori azionari delle multinazionali del settore. Continuava sullo stesso passo l’Europa, tutta impegnata a strangolare la derelitta Grecia. La «troika» (Ue, Fmi e Bce) aveva fatto credere nei giorni scorsi di aver abbandonato la missione; ma era solo un modo per «convincere» il governo Papandreou a privatizzare subito molte attività controllate dallo stato (persino la strategica energia elettrica) e approvare a tambur battente un piano di tagli straordinari da 6,5 miliardi (ancora stipendi, pensioni e sussidi sociali). Che serviranno soltanto a ottenere un’altra tranche di prestiti che aggraveranno il debito e così via. L’Italia, si diceva, ha pagato dazio al rating, nonostante sia Fitch che Moody’s abbiano spiegato ufficialmente che non intendono condividere il giudizio negativo di S&P. Ma ha pagato dazio anche alle banche private. Un report dell’Abi, infatti, spiega che hanno ricavi in calo e un boom della «sofferenze» (il modo elegante standard per indicare i crediti inesigibili). Se vi si dovessero aggiungere svalutazioni dei titoli pubblici o di grandi clienti privati – si guarda con terrore alle ipoteche iscritte su un patrimonio immobiliare vastissimo, sopravvalutato e pressoché invendibile ai prezzi ufficiali – le «sofferenze» potrebbero trasformarsi in grida di dolore. Sarà un caso, ma quando anche Wall Street ha aperto perdendo quota anche l’oro – zitto zitto – ha ripreso a guadagnare sopra quota 1.514 dollari l’oncia. L’euro, comprensibilmente, invece si deprimeva fino a sfiorare l’1,40 contro la divisa Usa. Non lo dice nessuno apertamente, ma l’impressione è che la fase di «ripresa» si sia già fermata. E in Italia un po’ di più. FINCANTIERI · Il piano dell’amministratore delegato Bono conferma chiusure e pesanti tagli La nave non va. Qui si licenzia, negli Usa si assume Riccardo Chiari U na rivolta, non solo operaia dalla Sicilia arriva alla Liguria passando per la Campania. È il primo effetto del piano industriale presentato da Fincantieri ai sindacati nella totale assenza del governo Berlusconi alla voce «politiche industriali»: inevasa la richiesta fatta mesi fa da Fiom, Fim e Uilm di un tavolo di discussione sul più importante gruppo navalmeccanico. Il piano prevede 2.551 esuberi, la chiusura dei cantieri di Castellamare di Stabia e Sestri Ponente e il ridimensionamento dell’altro cantiere ligure di Riva Trigoso. L’ad Giuseppe Bono lo definisce un «piano anticrisi» di cui il gruppo, pubblico, avrebbe bisogno. Intanto ha firmato una ricca commessa con il governo Usa, per la costruzione di navi militari. A condizione di assumere migliaia di lavoratori statunitensi. Dagli uffici centrali di Fincantieri ci si affretta a precisare: «Non è un piano prendere o lasciare. È la fotografia di una situazione drammatica, attuale e in prospettiva». Insomma c’è spazio per una trattativa con la pistola puntata alla tempia di sindacati e lavoratori. Quelli di Castellamare ieri hanno riempito sei pullman per arrivare a Roma, sotto la Confindustria. Avvertiti di quanto Bono ufficializzava, hanno risposto per le rime: «Buffone, vergognati». Lo hanno accusato di essersi venduto alla «politica del nord». Se il progetto del management, e soprattutto del governo, è la guerra fra poveri, tutto sta andando per il verso giusto. Da Palermo ecco l’analisi di Francesco Piastra della Fiom Cgil: «Si vuole ridurre drasticamente la capacità produttiva del settore in Italia. Sono inaccettabili le chiusure, con 1.500 esuberi. Ma bisogna aggiungere i 1.150 esuberi spalmati nei cantieri di Palermo, Muggiano, Marghera, Ancona e Monfalcone». Maurizio Landini guarda ancora più in là: «La proposta di Fincantieri, oltre alle chiusure di due cantieri e il taglio di 2.500 posti di lavoro e di altre migliaia nell’indotto, chiede in modo ingiustificato un peggioramento delle condizioni di lavoro e dei diritti». Fim e Uilm si limitano a parlare di «piano rinunciatario», comunque i confederali decidono insieme le prime otto ore di sciopero. Sia in Campania che in Liguria la protesta sta aumentando di ora in ora. il manifesto pagina 4 MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 LO SFACCIATO Record •260mila L’Authority impone la sanzione massima per le violazioni perché i condannati sono «recidivi» Multato il premier show Per la prima volta L’Agcom ci va pesante con Tg1 e Tg4. Penali anche per Tg2, Tg5 e Studio Aperto che avevano trasmesso Berlusconi a reti unificate. Confalonieri annuncia ricorso, Minzolini si indigna Micaela Bongi T ra le tante offerte last minute fatte agli elettori per ottenere il loro voto ai ballottaggi, Silvio Berlusconi ha infilato pure una tassa: la «tassa Minzolini», come la chiama il Pd. L’Agcom infatti ieri ha nuovamente multato il Tg1 e il Tg4 per violazione della legge sulla par condicio, infliggendo alle due testate il massimo della sanzione, perché recidive: 258.230 euro. Sanzioni da 100 mila euro ciascuno a Tg2, Tg5 e Studio Aperto. Chi paga? Gli abbonati, per quanto riguarda la tv pubblica. E dunque il sindacato dei giornalisti Usigrai chiede all’azienda di rivalersi sui direttori. Lo chiede anche Matteo Orfini, responsabile informazione del Partito democratico. Il «direttorissimo» Augusto Minzolini, che aveva già procurato a viale Mazzini una multa da 100 mila euro, è a dir poco «esterrefatto». Una sanzione per aver fatto il giornalista, riuscendo a procurarsi un’intervista al premier muto da cinque giorni? Certo, non si è trattato esattamente di uno scoop, visto che venerdì scorso l’uomo di Arcore era riapparso a reti unificate (Tg1, Tg2, Gr, Tg5, Tg4, Studio Aperto). E più che un’intervista l’apparizione ricordava molto uno spot preconfezionato. O meglio un «messaggio autogestito», per dirla con la legge sulla par condicio, infilato di straforo nei tg della sera: stesse domande e stesse risposte e un grande simbolo del Pdl. La violazione, scrive dunque l’Authority per le comunicazioni, si è determinata perché le «interviste» contenevano «opinioni e valutazioni politiche sui temi della campagna elettorale» ed erano «omologhe per modalità di esposizione mediatica». L’Agcom, intervenendo nuovamente dopo i ripetuti esposti dell’opposizione, ha però sferrato un duro colpo alla libertà d’informazione. Non è solo Minzolini a pensarla così, ma tutti i berlusconiani. Quelli dell’Agcom, ad esempio, i quattro commissari contrari alle sanzioni decise a maggioranza dall’organismo guidato da Corrado Calabrò, tuonano: «La decisione costituisce un precedente che vulnera la certezza del diritto e il principio di legalità». E, proseguono Antonio Martusciello, Stefano Mannoni, Ro- Governo/ CAMERA PERICOLOSA PER LA MAGGIORANZA Nucleare, ora anche la fiducia Voto blindato anti referendum ROMA N on bastava il decreto legge, per cercare di far saltare il referendum sul nucleare il governo ha bisogno anche della fiducia. Ieri pomeriggio alla camera il ministro per i rapporti con il parlamento Elio Vito ha immediatamente bloccato la discussione sugli emendamenti al decreto «omnibus» - quello che assieme ai fondi per la cultura, alle accise sulla benzina e alla proroga del divieto di incroci tra stampa e tv contiene le norme che sospendono il rilancio del nucleare nazionale. Il governo ha deciso di porre la questione di fiducia che sarà votata oggi pomeriggio. Il decreto sarà votato senza dibattito così da blindare la maggioranza. Le ultime prove dell’esecutivo alla camera, dopo la sconfitta del centrodestra nel primo turno delle elezioni amministrative, costringono Berlusconi alla massima prudenza. Lasciati liberi di votare, i deputati di maggioranza voltano le spalle al governo che la settimana scorsa è andato sotto cinque volte di fila nell’unico giorno di votazioni. Domani si ricomincia e per non rischiare scherzi dai deputati «responsabili» rimasti senza la ricompensa della poltrona da sottosegretario ecco la fiducia. Le opposizioni e i comitati per il sì ai referendum (oltre a quello sul nucleare ce ne sono altri due sull’acqua e uno sul legittimo impedimento) denunciano il «furto di democrazia». Ma persino questa manovra spericolata potrebbe non bastare a nascondere la crisi di un centrodestra ormai in rotta. Dopo il voto di fiducia infatti dovranno essere approvati alcuni ordini del giorno che potrebbero esporre l’esecutivo a qualche altra figuraccia. Non per nulla Berlusconi ha rimesso in circolo le voci sulle nuove nomine. In palio nell’ultima settimana di campagna elettorale c’è il boccone più grosso: il posto di ministro per le politiche comunitarie che manca da sei mesi. E che però giusto da ieri è tornato a essere indispensabile per il ministro degli esteri Frattini. Il decreto legge «omnibus» va approvato entro lunedì prossimo 30 maggio perché altrimenti decade. Ma non è affatto scontato che varrà a far saltare il referendum più temuto da Berlusconi, quello sul nucleare, il quesito che tutti i sondaggi indicano abbondantemente sopra il quorum di partecipazione e che dunque sarebbe in grado da solo di trascinare gli elettori alle urne nonostante l’esecutivo abbia indetto le consultazioni a giugno inoltrato (12 e 13). A decidere se la moratoria introdotta con il decreto automaticamente escluda la necessità del referendum infatti sarà la corte di Cassazione. Che la prossi12-13 GIUGNO ma settimana dovrà Sarà la Cassazione a valutare se il riferistabilire se la consulmento previsto nel tazione è superata decreto a quelle «uldalla nuova legge. teriori evidenze Proteste dei comitati scientifiche» in attecon l’ambientalista sa delle quali il gogiapponese verno ha deciso di sospendere la costruzione delle centrali nucleari non denuncia chiaramente l’intenzione di riprendere la scelta nucleare non appena l’emozione per il disastro di Fukushima si sarà calmato. Del resto è proprio quello che ha detto Berlusconi quando con Sarkozy accanto ha svelato il bluff del decreto al puro scopo di aggirare il referendum. Secondo i comitati contro il nucleare e per l’acqua bene comune, la fiducia sul decreto è «l’ennesima scelta antidemocratica dettata dalla paura di dare la parola ai cittadini e ricevere, come è avvenuto in Sardegna, una batosta». I comitati erano ieri in presidio davanti alla camera e ci torneranno ancora oggi e domani, quando è prevedibile che ci sarà il voto finale sul decreto. Oggi con il presidente dei verdi Angelo Bonelli ci sarà il leader dei verdi giapponesi Satoko Watanabe, protagonista di numerose mobilitazioni contro il nucleare in Giappone. Per decisione della maggioranza e contrariamente a quello che accade di solito, questa volta le dichiarazioni di voto sulla fiducia non saranno trasmesse in diretta tv. r. pol. berto Napoli e Enzo Savarese, «occorre ribadire che nel periodo elettorale gli equilibri tra le varie forze politiche nei notiziari devono essere garantiti su base settimanale», il che sarebbe ovviamente avvenuto. Perché l’intervista al presidente del consiglio andata in onda venerdì «non ha alcuna autonoma rilevanza». Con la sanzione invece si «limitano» e si «mortificano» le «legittime scelte editoriali agitando lo spettro di violazioni inesistenti o modificando in corso d’opera i criteri sulla base dei quali rilevarle». Conclusione: zelo a senso unico, perché per Annozero non si fa niente, e dunque Calabrò e gli altri commissari hanno deliberato per le «pressioni» politiche della sinistra (solo «valutazioni tecniche e giuridiche», risponde il presidente). Fin qui, i commissari di centrodestra dell’Authority «indipendente». Dal cda di viale Mazzini si fa invece sentire il berlusconiano Antonio Verro: la multa crea «senza dubbio un pericoloso precedente per la libertà di espressione delle testate giornalistiche». Inoltre «non è chiaro su quali basi giuridiche poggi tale decisione e aspetto di leggere le motivazioni dell’Autorità, che comunque ha alzato i toni di questa campagna politica». Forse Al Qaeda fa il tifo anche per Calabrò, oltre che per Pisapia. Della questione domani si occuperà anche il cda Rai, su decisione del presidente Paolo Garimberti. E Mediaset? Annuncia subito un ricorso contro le sanzioni (lo aveva anticipato Fedele Confalonieri prima che la decisione dell’Agcom venisse resa nota). L’Accusa all’Agcom: essere «parte del confronto politico anziché arbitro». I direttori tuonano contro la «pesante intimidazione» (Clemente Mimun, Tg5), la «palese disonestà politica» (Emilio Fede, Tg4), la «decisione lesiva della libertà di stampa» (Giovanni Toti, Studio Aperto). Ma i giornalisti del comitato di redazione del del Tg5 non si sentono per nulla intimiditi: ritengono che la decisione dell’Agcom, «organismo super partes che svolge una missione di garanzia a tutela dei cittadini», vada rispettata, «così come vanno rispettate le regole, da parte di tutti». I giornalisti della testata Mediaset si augurano dunque che il Tg5 «prenda atto concretamente delle regole della par condicio e delle indicazioni» fornite dal garante. E segnalano il problema dei problemi: la mancata soluzione del conflitto d’interessi. CALABRIA · Missione a Cosenza e Crotone per rimediare ai pasticci. Impossibile Bersani tra i cocci della sinistra Claudio Dionesalvi - Silvio Messinetti COSENZA C osenza alla rovescia. La città più rossa di Calabria pare volersi gettare nelle braccia di Casini e Berlusconi. Appoggiato da un’inedita grande alleanza di tutte le famiglie del feudalesimo locale, al ballottaggio Mario Occhiuto (Pdl-Udc), può contare sul cospicuo vantaggio di quasi 20 punti. Difficile la rimonta per il suo avversario Enzo Paolini, sostenuto da Sel, Verdi e Idv. Ora si accoda anche un imbarazzato Pd, nei mesi scorsi agitato dalle consuete faide interne: da una parte il presidente della provincia, Mario Oliverio e il consigliere regionale Carlo Guccione, decisi a giocare la carta Paolini. Dall’altra, il consigliere regionale iscritto al gruppo misto Nicola Adamo, e Enza Bruno Bossio della direzione nazionale, sponsor del sindaco uscente, Salvatore Perugini. All’inizio di aprile erano già pronti i manifesti per Paolini. Ma da Roma è scattato il contrordine: scommettere su Perugini. Che ha rimediato un misero 15%. Crollo del Pd: 3.332 voti, contro i 6.394 ottenuti dai Ds nel 2006. Sullo sfondo, l’eterno conflitto che a Cosenza oppone socialisti manciniani e radicali di sinistra ai democristiani e al vecchio gruppo dirigente del Pci. Situazione ingarbugliata anche dentro Sel. In contrasto col nuovo gruppo dirigente guidato da Ferdinando Aiello, qualche vendoliano della prima ora ha sostenuto la candidata a sindaco della Fds, Alessandra La Valle. Lei ora invita i suoi a battere le destre al ballottaggio, però al primo round ha rosicchiato un ulteriore 3,50%. Per correre ai ripari a Cosenza è calato ieri Pier Luigi Bersani, al Cinema Citrigno, in pieno centro. Si è tenuto alla larga da grandi di- scorsi sulla città. Sa bene che il contesto cosentino è un rompicapo. Un dato impressiona, l’enorme quantità di riempilista: degli oltre mille candidati consiglieri, ben 192 non hanno ottenuto neanche un voto. La dispersione è tattica. La fomentano i colonnelli di partito, che però sanno come e quando ricompattarsi. Al primo turno, ad esempio, il terzo polo ha viaggiato diviso. Al ballottaggio, invece, pende a destra. Anche i rutelliani dopo una piroetta sosterranno Occhiuto: vogliono sperimentare il governo della città in condominio con l’Udc. Solo i finiani si mantengono fuori dallo schieramento, ridotti nei consensi allo zero virgola. Sul versante opposto Paolini sta pagando la scappatella preelettorale a destra. Lui smentisce che, prima di gettarsi a sinistra, avrebbe tentato di farsi battezzare dal neosottosegretario Tonino Gentile pur di ottenere udienza dal presidente della regione, Peppe Scopelliti. Che s’è precipitato a confermare: «È venuto pure a trovarmi a Reggio. Voleva essere il nostro candidato». Non se ne fece nulla perché sarebbe prevalso l’accordo con l’Udc del plenipotenziario Franco Talarico. Dopo aver vinto il duello in casa con Perugini, Paolini è impegnato a studiare la normativa sull’attribuzione dei seggi. Ne esistono due interpretazioni: avendo superato il 50% dei voti di lista, il centrodestra potrebbe ottenere la maggioranza consiliare anche in caso di sconfitta al ballottaggio. Ma gli avversari citano una sentenza del Consiglio di Stato che dice il contrario: sarebbe lecito attribuire i seggi solo a ballottaggio avvenuto, premiando il risultato finale ottenuto dal sindaco, non quello della coalizione. La commissione elettorale si pronuncerà dopo il round finale. Frattanto nelle scuderie del centrodestra si delineano i destini di Katia Gentile e Luca Morrone, rampolli del notabilato locale. Erano illustri sconosciuti fino a un mese fa. Hanno fatto il pieno di voti, si apprestano a ricoprire ruoli importanti. Ne va degli equilibri futuri. L’aggiramento del rapporto poco idilliaco tra le famiglie Gentile e Occhiuto è stato possibile grazie a precisi patti di spartizione. In ballo, la gestione del bilancio da quasi un miliardo dell’azienda sanitaria. In settimana Scopelliti ha nominato Gianfranco Scarpelli, gradito a Gentile, commissario dell’Asp cosentina. Dunque nessuno dovrebbe tendere agguati. A meno che non resusciti il genius loci della città, non servirà invocare il «vento del nord». Qui spira uno scirocco che non promette nulla di buono. Bersani è convinto che, ricomposti i cocci della sinistra cosentina, «la vittoria di Paolini è certa». Ma in Calabria il campo progressista pare davvero minato. Pensiamo a Crotone, dove il segretario Pd arriva per sostenere la causa del sindaco uscente, Peppino Vallone (Pd) che, folgorato sulla via «fasciocomunista» di un’alleanza con Pasquale Senatore (Forza nuova + altri), ha intanto sfasciato la sua, di alleanza. La Fds e il movimento Slega la Calabria hanno salutato la carovana «perché coi fascisti nemmeno un caffè». E anche Senatore in 24 ore l’ha mollato, firmando in extremis l'apparentamento con Dorina Bianchi (Pdl-Udc) che ha, però, scatenato le ire di Casini che vede come il fumo negli occhi l’unione con l’estrema destra. Le avances di Senatore a Vallone erano chiaramente una mossa per alzare il prezzo. Il sindaco c’è cascato, si è screditato a sinistra e ora le probabilità di riconferma si son ridotte di molto. Un capolavoro tattico. E nemmeno Bersani ha potuto dare «un senso a questa storia». il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 pagina 5 LO SFACCIATO -5 A cinque giorni dal ballottaggio, Berlusconi continua ad attaccare a testa bassa dicendo che Milano diventerà «una zingaropoli islamica». Bersani: «Fa ridere» CEI: «POLITICA INGUARDABILE» Politica rissosa, elettorato disamorato, media fomentatori di tifo da stadio ma soprattutto pochi politici in grado di esibire il certificato di cattolico d.o.c. Di loro avremmo bisogno - dice Bagnasco all’assemblea dei vescovi - e non di chi corrompe i costumi e distrugge la famiglia. Il pensiero vola al «bunga bunga» ma quella di Bagnasco non è certo un’indicazione di voto. FOTO EMBLEMA Impossibile che appoggi Pisapia e improbabile che le gerarchie vaticane si abbassino alla misera ragioneria delle amministrative. Che fa, allora, Bagnasco? Aspetta. E nell’attesa lancia segnali ai politici di buona volontà - terzo polo? - che come lui hanno a cuore scuola, famiglia e fine vita. A tutti però chiede cambio di passo e immediato ricambio generazionale. Altrimenti saranno saldi di fine stagione. NAPOLITANO: «NON SIATE GELOSI» Al premier che chiede una revisione dei poteri del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano risponde con un’alzata di spalle. «In Italia c'è un eccesso di partigianeria politica ma penso che per i politici italiani non ci sia motivo di ingelosirsi. Viaggiamo su pianeti diversi. E non ci sono comparazioni possibili». MILANO · Il candidato del centrosinistra, preoccupato per il clima, incontra il questore Pisapia chiama la polizia SUPER SINDACO Luca Fazio MILANO In carcere il ladro bloccato da Giuliano Se non fosse per l’ansia di non spaventare i moderati, ci sarebbe un altro bel lavoretto da fare per Super Pisapia. Ieri è stato convalidato l’arresto per Domenico Montrone, l’uomo che sabato scorso avrebbe cercato di rubare un’automobile in via Vincenzo Monti. E ci sarebbe anche riuscito se non fosse intervenuto lo staff di Giuliano Pisapia ad impedire il furto, bloccando il ladro e chiamando la polizia. Ora, Montrone è un tossicodipendente in cura al Sert, ha già avuto problemi con la giustizia per casi analoghi e siccome il carcere non fa bene a nessun ladruncolo - l’avvocato Pisapia lo sa bene - bello sarebbe immaginare il «nostro» che sventola la toga per garantire il reinserimento del malcapitato. Vabbé, per ora deve accontentarsi di un avvocato d’ufficio: «Cercheremo di far derubricare il reato da tentata rapina a tentato furto». S ì, il vento sta cambiando. Qui a Milano tutti (almeno la metà, il 48,1%) per una volta la pensano come Pier Luigi Bersani: «Berlusconi fa ridere». Oddio, se non conoscessimo il personaggio non si potrebbe pensare altro di un tizio che per ribaltare un risultato elettorale disastroso invia messaggi video registrati per dire che «Milano diventerà una città islamica, una zingaropoli di campi rom assediata dagli stranieri», o che «Pisapia prende il caffé tutti i giorni con i rappresentanti dei centri sociali». Gli fa eco il leghista Borghezio, limitandosi a dire che Al Qaeda vota Pisapia. Invece di ridere, Giuliano Pisapia, tanto per mettere le mani avanti, ha preferito chiamare la polizia (con l’aria che tira, non si sa mai). Non proprio il 113, ma poco ci manca. «Ho ritenuto di incontrare il questore Marangoni – ha detto – perché sono particolarmente preoccupato del clima che si è instaurato in città, clima di cui a mio avviso è responsabile il centrodestra. Ho chiesto al questore di essere più presente sul territorio per quanto possibile». Di fronte alla comica disperazione della destra si fa davvero fatica ed evocare la strategia della tensione, però tutti – forse anche solo per esor- NAPOLI AL FOTOFINISH kbbbbbbbbbb Ultimi fuochi, si gioca sui rifiuti il voto degli indecisi Francesca Pilla NAPOLI U ltimi cinque giorni di campagna elettorale e lo scontro tra Luigi De Magistris e Gianni Lettieri si fa sempre più serrato. Instancabili, i candidati napoletani che vanno al ballottaggio domenica e lunedì, continuano a rintuzzarsi e a polemizzare. Ieri hanno passato parte della giornata a guardarsi negli occhi, per due ore nella redazione de Il mattino poi a Roma negli studi di Bruno Vespa, lanciandosi accuse al limite dell’insulto. «Se salisse De Magistris saremmo di fronte a un ritorno dei soviet nel nostro paese, con in consiglio molti iscritti al Partito dei comunisti italiani e rappresentanti dei centri sociali» attacca Lettieri che ha trascorso la domenica al fianco del cardinale Crescenzio Sepe annunciando un assessorato alla famiglia. «Sono favorevole alle unioni civili, che devono essere legalizzate perché di fatto esistono già» ha invece spiegato De Magistris, dopo aver intascato il tutto esaurito al fianco di Roberto Vecchioni in una piazza Dante gremita. Quindi risponde all’ex-presidente degli industriali: «La nuova giunta non avrà un carattere ideologico, visto che nel caso in cui io dovessi occupare la poltrona di sindaco, vi troverebbero posto anche riformisti, liberali del centrosinistra, esponenti dell’area moderata». Ma è sui rifiuti che si giocano i voti degli indecisi. E infatti a Porta a Porta lo scontro si accende, l’ex magistrato propone la raccolta al 70 per cento, il no all’inceneritore, i siti di compostaggio, Lettieri lo accusa di demagogia e rilancia l’export della spazzatura all’estero, pur con costi esorbitanti. Sostanziali le differenze. Il candidato del Pdl si fa portavoce di un programma che punta sul berlusconismo, ancora una volta per risolvere i problemi endemici della città invoca leggi speciali, poteri straordinari e interventi esterni («Bertolaso sarà mio consulente»). Il premier ieri ha anche registrato un messaggio web per tirare la volata a Lettieri, attaccando l’ex pm con gli stessi argomenti del metodo Pisapia: «È esponente di quella sinistra estrema, rivoluzionaria, inquisitoria, giustizialista, che rappresenta il peggio del sistema politico italiano». Ma le accuse a Napoli come a Milano si potrebbero trasformare in un boomerang politico. Qui De Magistris è riuscito a interpretare la voglia di cambiamento e lo scontento verso la classe dirigente che ha amministrato la città, ma che non è propensa a consegnarla alla destra. Il ragazzo del Vomero ha incarnato quello che lui stesso definisce un movimento popolare. Ha caratterizzato la sua ascesa oltre i partiti, si è fatto promotore di un programma ecologista, solidale e di rottura con il passato: «All’inizio - dice - ho trovato una città demoralizzata, ora invece c’è entusiasmo». Così il Pdl ha paura di perdere anche perché il Terzo polo si è smarcato da Lettieri. Il mantra dell’estremismo non tange i centristi dove prevale l’interesse a far cadere Berlusconi piuttosto che la preoccupazione dell’avanzata della sinistra. Ieri Italo Bocchino ha dato chiaramente un’indicazione di voto: «Siamo usciti dal partito perché volevamo l’allontanamento di Nicola Cosentino ora non possiamo stare con il suo candidato». D’altra parte i democratici e i vendoliani dopo il flop di consensi del prefetto Mario Morcone, sostengono il candidato di Idv e Fds. Non chiedono poltrone ma è probabile che il ruolo di vicesindaco andrà a un democratico non bassoliniano. E Umberto Ranieri si sta spendendo molto. LAZIO · Dopo la gaffe di Montino, Gasbarra: sfiducia a Alemanno e Polverini «Noi contro le destre». Il Pd torna in sé Daniela Preziosi ROMA L o scontro nel Pdl ha raggiunto toni così «violenti» che il Pd del Lazio deve tentare la carta di una «convocazione straordinaria» dei consigli di comune e regione «per presentare una mozione di sfiducia a Alemanno e a Polverini». Con questa proposta ieri il romano ex ppi Enrico Gasbarra ha provato a mettere un punto finale sulle polemiche scatenate dalla proposta di Esterino Montino, il potente capogruppo in regione, di votare le liste Polverini nei comuni dove sono andate al ballottaggio con- tro il Pdl. Coro di sì a Gasbarra da parte del commissario laziale Vannino Chiti, del segretario cittadino Marco Miccoli e del capogruppo al Campidoglio Umberto Marroni. A leggere bene, in realtà, i tre apprezzano l’appello all’unità del Pd e alla battaglia contro le destre. Quanto al voto, invece, sorvolano. La rottura fra Polverini e Pdl è evidente (lei nega), Alemanno ha tutta l’aria di voler tornare alla politica nazionale, dopo il tonfo romano. Ma nonostante il disastro del Pdl, le opposizioni non hanno né le firme né i voti per la sfiducia. Il coro di sì a Gasbarra tradisce soprattutto l’ansia di cancellare l’inspie- gabile gaffe di Montino. Che ha scatenato la rivolta nella base dei laziali, stanchi dei sofisticati giochi di palazzo. «Capisco l’idea di mandare in tilt il Pdl, ma dal voto viene un segnale chiaro: abbiamo ricostruito una ’piazza democratica’, siamo alternativi, marchiamo la differenza», spiega Gasbarra, che pure viene da un’area tutta moderazione e centrismo. Che quindi si riposiziona, con un occhio alle primarie regionali che saranno lanciate nell’assemblea del 24 giugno. Primarie in cui proprio Gasbarra è in pole position se, come sembra probabile, l’europarlamentare David Sassoli dovesse dare forfait. cizzare la paura – sono convinti che «prima o poi questi si inventeranno qualcosa». Cosa, non si sa. E non bisogna farsi impressionare dalla stretta di mano veloce che si sono scambiati i due avversari durante la commemorazione della strage di Capaci. «Le ho stretto la mano come faccio sempre con le persone che me la porgono, io sono gentile e cortese», ha chiuso il gustoso incidente Giuliano Pisapia. Certo, per vincere al ballottaggio alla Moratti non basterà una replica della farsa dell’altro giorno, con la finta aggressione alla madre di un assessore (la signora Rizzi), cavalcata senza ritegno da Berlusconi con una visitina quasi di stato in ospedale, il capo del governo al capezzale della scivolata autoprodotta: una testimone, Shirin Kieayed - «mi espongo con nome e cognome perché sono pronta a testimoniare in tribunale» - ieri ha detto a Radio Popolare che non c’è stata alcuna aggressione. Lei era lì, e nel caso potrà dire qualcosa al pm Armando Spataro, che sta ancora aspettando le «informative» del caso preparate dalla Digos. E nemmeno saranno sufficienti le promesse da quattro soldi, come se i milanesi fossero così straccioni da farsi comprare dalle multe condonate - operazione impossibile visto che sono già partite 600 mila cartelle esattoriali relative al periodo gennaio/aprile – o dall’Ecopass abolito o da altre promesse che risulterebbero incredibili, quand’anche fossero vere: appena aprono bocca perdono di credibilità. Resta insidiosa la questione dell’immigrazione. Una paranoia reiterata in ogni dove come un mantra. I berluscones infatti stanno battendo la città zona per zona per spaventare i residenti: «Lo sapete che Pisapia vuole fare la moschea nel vostro quartiere?», in questo modo si millantano una trentina di moschee al giorno. Tanto una vale l’altra. Sono così nel pallone che Letizia Moratti, su Twitter, ha addirittura socializzato lo sdegno di un certo Lucah vivamente preoccupato: «Il quartiere Sucate dice no alla moschea abusiva in via Giandomenico Puppa». Moratti prima gli ha promesso che non ci sarà alcuna moschea a Sucate, poi qualcuno deve aver fatto notare alla signora che a Milano non esiste un quartiere con questo nome – che a occhio sembra un poco elegante invito declinato all’imperativo presente. Meno male che c’è la Rete. Altrimenti dovremmo continuare a rincorrere il vice sindaco De Corato, che in questi giorni sta frustando la sua polizia locale perché pretende un surplus di accanimento contro i poveri. Vuole almeno uno sgombero di zingari al giorno, per raccontarci quanti ne arriveranno: «Il numero almeno si decuplicherà non appena si saprà che a Milano, anche se rubi, ti danno la casa gratis: e i nomadi accorreranno dalle altre province e dalle altre regioni, ma il tam tam arriverà in Romania, dove ci sono due milioni di rom richiamati dalle elargizioni di Pisapia». Milioni di zingari... e se non basta «Milano con Pisapia sarà graffittopoli». Ha ragione Bersani, fanno ridere. Se è davvero tutto qui, almeno si svelenisce il clima. OMOFOBIA La legge torna in aula, Pdl, Lega e Udc fanno muro C. L. ROMA P arolacce e pseudo ragionamenti in cui l’omosessualità viene paragonata alla pedofilia. Che non sarebbe stata una discussione semplice si sapeva ma Pdl, Lega e Udc ieri hanno trasformato l’esame della legge contro l’omofobia, cominciata a Montecitorio, in una rissa verbale che poco ha a che vedere con un dibattito parlamentare. E il cui esito, ancora una volta appare purtroppo scontato. Con la presentazione di tre pregiudiziali di costituzionalità, e grazie alla complicità dell’Udc, la maggioranza tenterà infatti ancora una volta di affossare la legge lasciando così l’Italia a fare da fanalino di coda tra i paesi che garantiscono i diritti delle persone omosessuali. «Abbiamo di fronte un muro di gomma», commenta alla fine Paola Concia, la deputata del Pd che la scorsa settimana, dopo che il testo era stato bocciato per l’ennesima volta in commissione, si è dimessa da relatrice del provvedimento. A poco è infatti servito il tentativo fatto dalla stessa Concia di trovare una mediazione facendo proprie alcune obiezioni della maggioranza con un emendamento (ripresentato anche ieri in aula) che estende l’applicazione dell’aggravante prevista inizialmente solo per i reati compiuti contro le persone omosessuali e transessuali, anche ai reati commessi contro persone anziane e disabili. Emendamento che recepisce quanto previsto dal Trattato di Lisbona, per altro ratificato dal parlamento italiano nel luglio del 2009. «Ho voluto fare questa aggiunta - spiega Concia nel suo intervento - non tanto perché vi sia un’oggettiva esigenza giuridica, quanto piuttosto per venire incontro per l’ennesima volta alle perplessità di natura costituzionale, che non condivido, suscitate da alcuni gruppi». Niente da fare. Il livello toccato ieri dall’aula non è certo di quelli per i quali si può andare fieri. A dar fuoco alle polveri ci hanno pensato il pidiellino Giorgio Stracquadanio e l’Udc Luisa Santolini. Il primo facendo arrabbiare la vicepresidente di turno Rosy Bindi ripetendo più volte che le donne del suo partito sarebbero state definite «puttane» dal movimento «Se non ora quando», al punto che dopo aver sentito l’ennesima parolaccia Bindi decide di togliergli la parola. La seconda elaborando una personalissima teoria in base alla quale anche la pedofilia potrebbe essere considerata come un orientamento sessuale, al pari dell’omosessualità. Ma non ha fatto mancare il suo contributo neanche Rocco Buttiglione. L’esponente Udc, che proprio alle sue frasi contro gli omosessuali deve la bocciatura della sua candidatura a commissario europeo, è tornato all’attacco: «Non crediamo che l’omosessualità come tale possa essere considerata come un bene giuridico meritevole di tutela, al di là delle persone che la esercitano», spiega all’aula. «L’effetto vero di questa legge è promuovere l’omosessualità come stile di vita». «L'omosessualità non è un detersivo, non una scelta, non è un capriccio ma è una condizione umana», è la replica secca di Concia. La legge tornerà in aula a giugno per il voto finale. Nel frattempo non manca chi ritiene un errore considerare gli omosessuali come una categoria da proteggere. «Penso che un Paese civile debba contrastare comportamenti di odio e violenza come quelli compiuti contro le persone omosessuali, altrimenti si rischia di mettere in discussione anche la legge Mancino», risponde Concia a chi la critica. «Chi picchia un nero lo fa perché mosso da un odio verso i diversi. Certo, occorre creare una cultura del rispetto fin dalla scuola, ma serve anche punire comportamenti che sono antisociali». pagina 6 il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 L’INCHIESTA Call center • Lavoratori costretti a firmare un accordo siglato da un fantomatico sindacalista della Cisl, pena il trasferimento in un’altra città, lettere di dimissioni scritte sotto dettatura Massimo Giannetti ROMA I dirigenti della Festa Srl, società del gruppo Snai, non si fermano davanti a nulla. Si sentono dei piccoli Marchionne e sulla scia del modello imposto dalla Fiat a Pomigliano ne stanno combinando di tutti i colori sulla pelle dei dipendenti dei due call center romani di Tor Pagnotta e della Bufalotta. Non si fanno scrupolo di niente. Sono stati perfino capaci di mettere in mezzo a questa storia gli affetti familiari delle lavoratrici in maternità per costringerle a rinunciare al Contratto collettivo nazionale (fanno riferimento a quello del Commercio) e ad accettare un «accordo sindacale», siglato tra l’azienda e un esponente esterno della Fistel Cisl, del quale hanno saputo dell’esistenza soltanto a cose a fatte. «O firmate la rinuncia del Contratto nazionale e accettate il nuovo accordo, o sarete trasferite nella sede di Lucca, lontane 350 chilometri da casa. Valutate voi quale sia l’interesse dei vostri figli e se vi conviene firmare o meno», così in sintesi il ricatto aziendale, poi messo in pratica nei confronti di una decina di dipendenti, tutti della Cgil, che non hanno piegato la testa. Una tecnica brutale, basata sull’intimidazione, che ha costretto una giovane dipendente, appena rientrata al lavoro dalla maternità, a firmare una lettera di dimissioni sotto dettatura dei dirigenti aziendali. Roba da codice penale. E infatti, questa «barbarie» come la definisce l’avvocato Pierluigi Panici, legale storico della Cgil, che difende i dipendenti della Festa sbattuti per ritorsione nella sede toscana - è ora finita sul tavolo della procura della repubblica di Roma, dove venerdì scorso è stata presentata una denuncia per estorsione nei confronti dei dirigenti aziendali Armando Antonelli e Luca Maria Petrini, rispettivamente direttore e responsabile del personale dei due call center. Per la stessa ipotesi di reato è stato querelato il sindacalista della Fistel Cisl, Salvatore Capone, firmatario del nuovo «accordo sindacale». «Questo signor Capone, che viene fatto passare come delegato della Cisl, noi in azienda non l’abbiamo mai visto - accusa Ilaria De Angelis, una delle lavoratrici trasferite in punizione a Lucca nonostante fosse in congedo per allattamento del figlio - Non conosciamo neanche come è fatto fisicamente. Perché dovrei sottoscrivere un accordo che fa schifo sotto ogni profilo, che azzera i miei diritti acquisiti in dieci anni di lavoro, e che per di più è stato firmato da un sindacato che non esiste, che non ha neanche un iscritto nel nostro posto di lavoro?». I «dissidenti», così li chiama ora l’azienda, sono infuriati. E ieri hanno partecipato, chiedendo udienza ai gruppi parlamentari, a una manifestazione di precari davanti a Montecitorio. Altre ne seguiranno. «In questa storia ci stupisce il silenzio della Snai (concessionaria dello Stato per i giochi e le scommesse legali, ndr), che è proprietaria al cento per cento della Festa Srl - aggiunge Igor Viglione, neodelegato Cgil nel call center di Tor Pagnotta - Dell’accordo che i GLI ALTRI OPERATORI IERI ALLA CAMERA Teleperformance, 1400 fuori mentre assume in Albania I lavoratori del call center Snai ieri erano a Roma per protestare insieme a quelli della Teleperformance, pure loro a rischio e in sciopero. Il gruppo francese gestisce tre sedi in Italia (Fiumicino, Roma e Taranto), ha 3 mila addetti ma ben 1464 sono stati dichiarati in esubero. Centinaia di lavoratori, arrivati anche dalla Puglia, hanno manifestato davanti a Montecitorio, in un presidio indetto da Cgil, Cisl e Uil. «Diritti, lavoro, stipendio, uguale dignità e futuro - No alla delocalizzazione», le scritte sui cartelli. «La multinazionale licenzia in Italia mentre in Albania assume dipendenti a 3 euro lordi l’ora che lavorano per il mercato italiano – spiega Luca Alessandrini, operatore e Rsu Cgil – Vogliamo sapere quali iniziative la politica intende prendere per garantire i 1464 lavoratori. Il governo italiano deve tutelarci, bisogna impedire alle multinazionali di speculare, riducendo i costi del lavoro e aumentando i profitti. I movimenti di borsa di Teleperformance parlano chiaro: il 14 aprile sono state aperte le procedure di licenziamento e pochi giorni dopo sono schizzati i titoli». UN CALL CENTER/FOTO EMBLEMA SOPRA, I LAVORATORI DI «TELEPERFORMANCE» Il ricatto della Snai fa la Festa ai dipendenti nostri datori di lavoro stavano facendo con la Fistel Cisl non sapevano nulla. Contrariamente a quanto sostiene l’azienda, non c’è stata nessuna consultazione, nessuna spiegazione dell’accordo da parte del sindacalista che stava trattando con i dirigenti. Hanno fatto tutto di nascosto, siamo stati informati a cose fatte e soltanto per ratificarlo». E forse non potevano fare altrimenti, i dirigenti della Festa, visto che nei due call center romani (diversamente da quello di Lucca dove invece i sindacati esistono da tempo e le relazioni con l’azienda sono ritenute buone) non hanno mai consentito la presenza delle organizzazioni dei lavoratori. Questo fino a marzo, quando si è saputo che l’azienda lavorava fitto con un esponente esterno della Cisl spuntato dal nulla, alcuni dipendenti, tutti giovani, si sono guardati intorno e hanno deciso di costituire le Rsa della Filcams Cgil in entrambi call center. «Abbiamo deciso di tutelarci e avere voce in capitolo - prosegue Viglione - Come Cgil abbiamo chiesto un con- fronto formale con l’azienda offrendo la nostra disponibilità a discutere del nuovo contratto. Ma la risposta è stata sempre negativa. Anzi, nei colloqui individuali avviati nel frattempo dalla Festa, l’azienda ha ripetuto a tutti lo stesso concetto, e cioè che ‘non c’era niente da discutere, che l’unica proposta in campo era la rinuncia al Contratto collettivo nazionale e l’adesione al nuovo accordo. La chiusura è stata totale. In ogni caso per noi questo accordo è nullo, anche perché la maggioranza dei dipendenti non lo ha firmato». «Abbiamo cento motivi per difendere le nostre ragioni e lo faremo in tutte le sedi in cui ci sarà consentito affinché questo accordo non venga applicato - riprende agguerrita Ilaria De Angelis, che proprio ieri è stata reintegrata nel call center di Roma con una sentenza urgente del giudice del lavoro - È un accordo penalizzante sotto ogni punto di vista. La nostra posizione viene retrocessa quasi allo stesso livello dei collaboratori a progetto. Se passa questo accordo non avremo mai uno stipendio dignitoso». L’accordo contestato prevede meno diritti, più flessibilità e retribuzioni più basse. I dipendenti a cui è rivolto sono una ventina, quelli assunti a tempo indeterminato e che fanno parte dello staff dell’azienda. Sono una piccola parte rispetto ai circa 150 collaboratori a progetto (cocopro) di cui si avvale Festa per vendere prodotti e servizi per conto di altre aziende (i maggiori committenti sono attualmente Seat Pagine gialle, la multinazionale assicurativa Aegon). A loro, ai precari, l’azienda ha promesso la stabilizzazione ma anche questa con ricatto: solo se accettano anche loro il nuovo accordo e «rinunciano al pregresso», non devono cioè rivendicare nulla del lavoro svolto in passato. Ma torniamo alla protesta dei dipendenti in pianta organica. Per la ratifica del nuovo modello contrattuale, l’azienda aveva escogitato una procedura singolarissima: li aveva invitati, attraverso una convocazione via email, a recarsi 19 aprile all’Ufficio vertenze della Fistel Cisl di via Palestro 30 - trasformato per l’occasione in una sorta di camera mortuaria del Contratto nazionale - dove avrebbero dovuto appunto firmare un cosiddetto «verbale di conciliazione» nel quale si affermava che il suddetto «accordo sindacale è stato spiegato con dovizia di particolari ai dipendenti dal rappresentante Cisl, Capone», e che «lo stesso atto diviene unica fonte regolatrice del rapporto di lavoro con la Festa srl con rinuncia a ogni pretesa connessa con il Contratto collettivo nazionale di lavoro del Commercio». Nella stessa missiva i dipendenti venivano inoltre informati «che per rendere più agevole» il loro ingresso nella sede della Cisl, l’azienda metteva a loro «disposizione dei taxi gratuiti». Una mezza presa in giro che non ha fatto altro che farli incavolare ancora di più. Su quei taxi ci sono comunque saliti soltanto sette dipendenti, tra cui la moglie di un dirigente e altre due persone di famiglia. I tredici ribelli Cgil, ottenuto il sostegno non scontato del loro sindaca- to di categoria, la Filcams di Roma, hanno fatto invece un altro percorso: hanno avviato una serie di azioni legali volte a difendere i loro diritti. Quindi una denuncia per comportamento antisindacale (articolo 28), un ricorso d’urgenza per violazione delle norme sul diritto alla maternità e alla ritorsione (articolo 700) - accolto ieri dal giudice nei confronti di Ilaria de Angelis - e infine la querela penale per estorsione, violenza privata e minacce contro i vertici aziendali e il sindacalista della Fistel Cisl. Denunce a raffica che però non hanno indotto i dirigenti Festa - difesi nelle cause dallo studio di Tiziano Treu, ex ministro del lavoro del primo governo Prodi e attuale vicepresidente Pd della commissione lavoro del senato - a più miti consigli. Sono infatti andati avanti con i loro metodi come se nulla fosse. Lo testimonia la denuncia di un’altra dipendente, ultima vittima in ordine di tempo. Si chiama Tiziana Ascenzi, I «dissidenti» si difendono, il caso finisce sul tavolo della procura di Roma 32 anni, e venerdì scorso avrebbe dovuto riprendere servizio nel call center della Bufalotta dopo un periodo di congedo per maternità. Non le è stato consentito ed è tornata a casa piangendo. I dirigenti di Festa l’hanno infatti convocata nel loro ufficio e le hanno ripetuto ciò che hanno detto a tutti gli altri. «Volevano che firmassi la rinuncia del Contratto nazionale - racconta - Ho risposto che non l’avrei fatto, che non volevo rinunciare ai miei diritti. Loro hanno insistito minacciando che se non l’avessi fatto sarei stata trasferita immediatamente e per sempre a Lucca. Ho risposto che non potevo lavorare lontano da Roma perché ho due bambini, uno di quattro anni e uno di nove mesi. Non hanno avuto pietà: mi hanno fatto prima uscire dalla stanza e dopo un po’ mi hanno richiamata per dirmi che avevo un’altra alternativa: dimettermi. Ho avuto paura, ero nel panico. Pensavo ai miei figli. Ero nella confusione più totale. Mi hanno fatto scrivere la lettera di dimissioni sotto dettatura e me l’hanno fatta firmare. Ma per me quelle dimissioni non sono valide. Le ho firmate perché ero sotto pressione, sono stata costretta a farlo». Le sue dimissioni saranno impugnate «perché illegali ed estorte con il ricatto», annuncia l’avvocato Pierluigi Panici. il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 pagina 7 INTERNAZIONALE PAKISTAN · Un commando armato irrompe in un compound della marina militare. Diciassette ore di combattimenti Assalto taleban in una base di Karachi AFGHANISTAN Che fine ha fatto il mullah Omar? G.B. A KARACHI, FORZE SPECIALI AFGHANE NELLA BATTAGLIA DELLA BASE/REUTERS A DESTRA, IL MULLAH OMAR Marina Forti U no spettacolare attacco armato, rivendicato dai Taleban pakistani, ha tenuto impegnate le forze di sicurezza per ben 17 ore in una base militare a Karachi, la metropoli affacciata sul mare arabico - e ha inferto una nuova umiliazione all’esercito, già investito dalle polemiche dopo il raid in cui le forze speciali Usa hanno ucciso Osama bin Laden il 2 maggio scorso. Di spettacolare nell’attacco di ieri c’è in primo luogo l’obiettivo: una base navale della Marina militare, Naval station Mehran, uno dei luoghi più protetti. Vi si trovano tra l’altro gli aerei da pattuglia P-C3 Orion (forniti all’esercito pakistano dagli Stati uniti) e missili antinave Harpoon: nell’attacco due di questi aerei sono stati distrutti e un terzo danneggiato. Spettacolare per i modi: secondo quanto dichiarato in serata dal ministro dell’in- L’operazione è stata rivendicata come una risposta all’uccisione di Osama bin Laden terno Rehman Malik, un commando di almeno 6 persone è penetrato nella base; quattro sono stati poi uccisi nella battaglia, uno si è fatto esplodere e un altro è riuscito a fuggire. Gli attaccanti avevano granate lanciate da razzi, due lanciarazzi e mitragliatori leggeri, ha detto ancora il ministro; vestivano di nero per non essere visibili nella notte («abiti occidentali», riferiscono le autorità, pantaloni e camicia e non il tradizionale camicione maschile); sono entrati da tre direzioni, tagliando i reticolati e scavalcando alti muri. Quando l’attacco è cominciato, alle 22,40 di domenica sera, all’interno della base navale si trovavano 17 stranieri che sono stati rapidamente portati al sicuro, riferiscono le autorità: erano 6 addestratori dell’esercito americano e 11 tecnici militari cinesi. Da quel momento, e fino a oltre le 15 di ieri, la base è stata circondata dai Pakistan Rangers (un corpo paramilitare) mentre all’interno avveniva una vera e propria battaglia: le tv hanno mostrato aerei in fiamme nella notte, crepitii di mitraglia sono proseguiti per ore. Non è la prima volta che ribelli armati attaccano installazioni militari in Pakistan - nel 2009 erano penetrati per qualche ora nel quartier generale dell’esercito a Rawalpindi - ma questa volta sono arrivati ben più in profondo. La stazione navale Mehran, a una decina di chilometri dall’aeroporto internazionale Ali Jinnah, era considerata tra i luoghi più sicuri ma non è tra le installazioni militari più strategiche: a 24 chilometri di distanza c’è la base aerea Masroor, con un sito in cui si pensa siano depositate testate ato- miche. Anche così però l’attacco rivela ancora una volta quanto sia vulnerabile il Pakistan. Il Tehrik-e Taleban Pakistan (Ttp, «movimento dei Taleban pakistani) ha rivendicato l’attacco di Karachi, che ha definito una risposta per l’uccisione di Osama bin Laden; il portavoce ha aggiunto che il commando aveva cibo e munizioni per tre giorni e non si aspettava di sopravvivere all’attacco. Attacchi per vendicare il leader di al Qaeda erano attesi; ieri il ministro Malik ha detto che le intercettazioni dell’intelligence pakistana segnalavano che i Taleban nella regione semiautonoma del Waziristan (presso la frontiera afghana) stavano preparando attacchi contro installazioni militari nel paese. Diversi esperti di antiterrorismo dicono che i Taleban pakistani non possono aver condotto un’operazione così complessa a Karachi senza l’aiuto di gruppi locali della galassia isla- mista armata. E a Karachi non manca il sostrato. La capitale economica del paese è un agglomerato che sfiora i 18 milioni di abitanti ed è cresciuta per stratificazioni: dai «rifugiati» musulmani venuti dall’India dopo la Spartizione del 1947 alle successive ondate di persone venute a cercare lavoro e fortuna dal gigantesco entroterra rurale e poi da tutto il paese, i profughi afghani (si dice che Karachi sia la più grande città afghana dopo Kabul), gli emigranti dalle province del nord. Spaccato del paese e di tutte le sue tensioni, Karachi è stata risparmiata dall’ondata di attentati che negli ultimi due anni hanno fatto centinaia di vittime civili nelle grandi città pakistane. Il motivo è che Karachi è il retroterra logistico dove anche i Taleban e gli alleati di al Qaeda fanno affari, riposano, si curano, riorganizzano le finanze. Ora hanno dimostrato che possono scendere in campo anche qui. chi dare retta, in una guerra, come quella afghana, in cui notizie vere o presunte contano più dei fatti, e in cui la propaganda è spesso più efficace di droni e attacchi suicidi? Dopo l’annuncio dell’uccisione di Osama bin Laden, che continua ad alimentare i sospetti dei complottisti, la posta in gioco ora è la sorte del mullah Omar, il leader dei Talebani e della shura di Quetta, l’organo politico degli studenti coranici. Secondo quanto riferito ieri all’emittente televisiva Tolo da un anonimo funzionario dell’Afghan National Directorate of Security (Nds), il servizio segreto afghano, il mullah Omar sarebbe stato fatto fuori. Ad ucciderlo, l’Isi, il servizio segreto pakistano, aiutato dal network di Jalaluddin Haqqani, un gruppo affiliato alla galassia taleban e accusato di alcuni dei crimini più efferati compiuti sul suolo afghano. La fonte anonima, non ha avuto per ora conferme: lo stesso portavoce dei servizi segreti afghani, Lutfullah Mashal, ieri ha detto di non poter certificare la morte del mullah Omar. Aggiungendo però che tre giorni fa l’Isi avrebbe trasferito il leader dei taleban da Quetta, nel Belucistan, nel Nord Waziristan, una delle zone in cui i gruppi jihadisti operano indisturbatamente. A guidare l’operazione, secondo Lutfullah Mashal, sarebbe stato il generale Hameed Gul, già a capo dei servizi pakistani, e uno degli uomini cardine nella promiscuità, costruita negli ultimi due decenni, tra l’intelligence del «paese dei puri» e i movimenti antigovernativi che turbano le notti del presidente Karzai e dei generali a stelle e strisce. Da parte sua, il generale Gul ha subito smentito, sostenendo di non aver mai incontrato in vita sua il mullah Omar. E lasciando intendere che a lasciar trapelare la notizia potrebbero essere stati gli americani, per chiudere il cerchio della partita – dopo l’annuncio della morte di bin Laden – e proseguire, con margini di manovra più ampi, nel graduale disimpegno militare previsto dal presidente Obama. Anche i Taleban, con un comunicato postato sul sito ufficiale dell’Emirato islamico d’Afghanistan, smentiscono: il mullah Omar, questo il messaggio del portavoce Zabihullah Mujahid, continua a guidare le operazioni dei mujahedin, e lo farà con una determinazione che non verrà compromessa «da mere bugie e propaganda», diffuse dai media per «sollevare il morale delle truppe internazionali» come antidoto rispetto al successo dell’offensiva di primavera lanciata dai turbanti neri il 2 maggio. Per ora, anche dall’Isaf fanno sapere di non poter confermare. Mentre gli analisti si interrogano sulle ragioni dell’annuncio: una polpetta avvelenata lanciata dai servizi afghani per screditare ulteriormente i loro omologhi pakistani? Oppure i pakistani sono rimasti col «cerino in mano», mentre stavano preparando un annuncio in grande stile dell’uccisione del mullah, concordata con gli americani in cambio di un posto in prima fila nel tavolo negoziale tra Stati uniti e taleban? Per ora, domande senza risposta. USA/M.O. · Obama all’Aipac, la potente lobby filo-Israele: «Il patto Hamas-Fatah contro la pace» Il presidente Usa cede a Netanyahu e gela le speranze dei palestinesi Michele Giorgio GERUSALEMME È un pugile a metà il presidente dell’Anp Abu Mazen. In attacco non riesce a combinare un granché ma, in compenso, è un buon incassatore. Pochi avrebbero assorbito, come ha fatto lui, i colpi bassi che gli ha sferrato tra giovedì e domenica Barack Obama. Il discorso pronunciato domenica dal presidente americano davanti all’Aipac, la più influente delle lobby statunitensi filo-Israele, lo ha messo alle corde ma non l’ha mandato ko. Così da due giorni Abu Mazen esorta il suo entourage a non criticare pubblicamente il discorso di Obama, in «attesa di capire». Riprendersi da una batosta del genere però non sarà semplice anche per il fin troppo accomodante leader dell’Anp. In giro si legge di «confronto acceso» e di «tensione» tra il presidente americano e il premier israeliano Netanyahu sulla questione del ritiro di Israele «alle linee del 1967». Ma alla Muqata di Ramallah sanno bene che Obama, più di ogni altra cosa, ha stroncato le velleità dei palestinesi di giocare ad armi pari una partita che il governo israeliano vuole vincere con un netto 5 a 0 e non con un sofferto 2 a 1, fidando sull’arbitraggio americano. No alla riconciliazione nazionale palestinese, no alla proclamazione dello Stato di Palestina il prossimo settembre all’Onu, sì all’annessione ad Israele di porzioni della Cisgiordania occupata, no al «diritto al ritorno» per i profughi palestinesi. Questo il succo del discorso di Obama che domenica non ha mai pronunciato la parola «occupazione», assai indigesta ai delegati dell’Aipac, e neppure «colonie». E se venerdì Netanyahu era apparso teso al termine dell’incontro alla Casa Bianca, ieri sera intervenendo a sua WASHINGTON, IL PRESIDENTE OBAMA ALL’AIPAC/FOTO REUTERS volta di fronte all’Aipac era sereno e tranquillo e ha calcato la mano solo per ribadire i punti fermi della sua linea contro l’Iran. Obama è apparso così soft con Israele che i coloni e i rappresentanti dell’estrema destra quasi ci sono rimasti male. Si preparavano a proteste, ad alzare la voce, a lanciare anatemi e invece hanno capito che possono starsene tranquilli nelle loro case nei Territori occupati. Ieri Tzvi Ben Gedalyahu, firma nota del giornalismo vicino all’estrema destra, ha sottolineato sul sito di Arutz7 (la radio dei coloni) che Israele ha approvato circa 2 mila nuovi alloggi per coloni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est (1.550 a Pisgat Zeev e Har Homa, 294 a Beitar Illit) proprio nei giorni della visita di Netanyahu negli Usa e Washington non ha fiatato. «L’autorizzazione di queste nuove costruzioni è un messaggio per il mondo intero», ha det- to alla radio statale Yair Gabai, della commissione del ministero dell’interno responsabile per le autorizzazioni per l’edilizia. Nel weekend il conservatore Wall Street Journal ha riportato il malumore che regna tra diversi «donatori» ebrei americani, generato dalle pressioni che il presidente aveva fatto su Israele per fermare la colonizzazione (illegale secondo le leggi internazioali) delle terre palestinesi. Prima del discorso all’Aipac uno dei democratici responsabili per la raccolta dei fondi, Michael Adler, aveva esortato il campaign manager di Obama, Jim Messina, a lavorare per eliminare l’immagine di un presidente «troppo critico» nei confronti di Israele. Robert Copeland, un ricco e storico finanziatore dei democratici, avrebbe deciso di non votare ancora per Obama nel 2012. «Mi ha deluso molto – ha spiegato Copeland al Wsj riferendosi al presidente – la sua Amministrazione è stata fallimentare nei rapporti con Israele». Da parte sua Malcolm I. Hoenlein, vice presidente della «Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations», prevedeva qualche giorno fa problemi per il finanziamento della campagna di Obama. «Non ho dubbi sull’impegno dell’Amministrazione verso (la sicurezza di) Israele ma la Casa Bianca deve migliorare la sua comunicazione», aveva spiegato. Obama ha rassicurato gli americani ebrei e Israele con il suo discorso all’Aipac? In parte sì, ma Netanyahu da lui vuole di più. Il vero test perciò sarà l’annuncio della visita, la prossima estate, del presidente americano a Gerusalemme. In quell’occasione potrebbe affermare un sostegno senza precedenti alle posizioni di Israele, isolando ancora di più il governo palestinese (forse) di unità nazionale. SIRIA Nuove sanzioni Ue contro Assad I ministri degli esteri dell'Unione europea hanno approvato ieri nuove sanzioni contro la Siria, estendendo il bando dei visti e il congelamento dei beni al presidente Bashar al Assad e ad altre nove personalità del regime, «alla luce della continua repressione contro la popolazione civile». La Ue ha esortato le autorità siriane «a rispondere alle legittime richieste del popolo», promuovendo «un dialogo nazionale inclusivo e sincero» e mettendo in atto «senza rinvii e attraverso un calendario concreto riforme politiche significative»: l'unico modo «per iniziare una transizione pacifica verso la democrazia e per dare stabilità alla Siria nel lungo periodo». In risposta, il governo siriano ha condannato le decisioni Ue, rivolte - ha dichiarato - «contro il popolo siriano proprio nel momento in cui si sta impegnando per salvaguardare la sicurezza del paese e per avviare un dialogo nazionale e inclusivo». Un dialoto - aggiunto - «che porti a conclusione i piani di riforme economiche, politiche e sociali secondo la tabella di marcia stabilita». Per la Siria, le sanzioni dell'Unione europea e quelle annunciate dagli Stati uniti, costituiscono una «ingerenza inaccettabile negli affari interni e un tentativo di mettere a rischio la sicurezza del paese». L'accusa viene rivolta in particolare alla Gran Bretagna e alla Francia, «due Paesi che hanno un noto passato colonialista», e che hanno «svolto un ruolo fondamentale per l'applicazione di queste sanzioni». La Siria ribadisce comunque «la propria intenzione a completare i piani di riforma» e a mantenere inalterata «la linea d’azione del governo». TURCHIA Scoperto attentato contro Erdogan La gendarmeria turca ha scoperto 36 kg di esplosivo piazzati sotto un ponte dell'autostrada per Sirnak (una provincia del sudest), nel tratto in cui avrebbe dovuto transitare il premier Recep Tayyip Erdogan. Una segnalazione anonima ha invece consentito ai gendarmi di trovare l'esplosivo collegato a un comando a distanza sotto il ponte Sogutcay. Secondo i media locali, l'ordigno avrebbe dovuto esplodere al passaggio del convoglio del primo ministro, che ieri sera doveva tenere due comizi elettorali a Sirnak e Batman in vista del voto del 12 giugno. Gli inquirenti hanno nuovamente attribuito il fallito attentato ai separatisti kurdi del Pkk. ARABIA SAUDITA Incriminata donna al volante La giovane femminista saudita Manal al-Charif, arrestata sabato a Khobar (nell’est del paese), è stata incriminata per aver «incitato le donne» a mettersi al volante. Manal, un'informatica di 32 anni, era stata arrestata dopo aver diffuso un video su Facebook e Youtube, che sfidava il divieto di guidare imposto alle donne. Liberata qualche ora più tardi, è stata arrestata di nuovo l’altroieri mattina all'alba, e secondo il suo avvocato, dovrebbe restare in carcere per cinque giorni, per permettere lo svolgimento delle indagini. Nel video diffuso su Youtube, Manal affermava che «nessuna legge islamica proibisce alle donne di guidare», aggiungendo che il divieto è frutto del regime ultraconservatore. Le femministe hanno chiesto al re Abdallah di intervenire in favore di Manal e dai social network hanno rivolto un appello a tutte le saudite a sfilare al volante delle loro auto il 17 giugno. pagina 8 il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 MADRID REAL Spagna • Non è stato il Pp di Riajoy a vincere le elezioni amministrative di domenica ma il Psoe di Zapatero a perderle per la sua sciagurata gestione delle crisi Indignati E ora che si fa? Il movimento M-15 della Puerta del sol accoglie con circospezione la notizia della valanga Pp e decide di andare avanti con la «acampada» almeno fino a domenica prossima Daniele Adornato MADRID I l 22-M (qui in Spagna si mette una sigla a tutto), il giorno delle elezioni amministrative, è piombato sul 15-M, il movimento degli indignati partito il 15 maggio, che ha ricevuto la notizia dello schiacciante trionfo del Partido popular con un certo distacco. Da una parte, domenica problemi e preoccupazioni sembravano essere altri. La logistica, da un lato, e le proposte politiche, dall’altro. Tutti sono d’accordo a continuare con la protesta e la acampada anche dopo il giorno del voto di domenica scorsa almeno fino a domenica prossima, ma temono un riflusso (fisiologico) dopo le elezioni – e in alcune zone, per il caldo feroce. Ci si chiede poi se le forze dell’ordine saranno ancora così concilianti come nella settimana prima dell’appuntamento elettorale, o di fronte a una diminuizione dei presenti, interverranno per far gomberare la piazza di Madrid e delle altre città. E poi, come dar corpo alle tante proposte partorite in questi giorni, o come snellire le procedure di decisione delle assemblee, aperte e orizzontali, quando in piazza si può arrivarea ad avere fino a 25 mila persone. Insomma, una forte preoccuapazione riguarda come si articolerà il movimento. Per molti poi, anche se non per tutti, i due partiti si equivalgono (e vengono uniti nella sigla «PPSOE»), la vittoria di uno piuttosto che dell’altro non fa quasi differenza. Però il movimento è abbastanza variegato (vi si incontrano anche scontenti di centro-destra), e proprio in nome della sua spontaneità e libertà, sabato e domenica in tutte le piazze di Spagna non si è fatto nessun appello a questo o a quel voto, ma volontari del movimento hanno spiegato ai manifestanti tutte le diverse opzioni: votare un partito, in bianco, nullo, o astenersi. In che modo quindi si possono valutare gli effetti del 15-M su queste elezioni? Se volessimo giudicarlo con il metro dell’astensione, l’opzione apparentemente più diffusa a Sol, anche se non la unica, questa è stata in linea con le precedenti amministrative di quattro anni fa, anzi, è diminuita leggermente (passando dal 36,1 al 33,8%). La protesta contro il bipartitismo potrebbe, ma appare difficile, aver favorito a Madrid il partito fondato da una transfuga del Psoe, Unión Pueblo y Democracia (UpyD), populista nella sua essenza, che ha raccolto l’8%, quadruplicando la media nazionale. Il risultato del Psoe lascia capire che molti, presenti o simpatizzanti, erano elettori delusi del partito di Zapatero. Izquierda unida ha beneficiato certo di questo, ottenenendo 200 mila voti in più rispetto alle ultime amministrative, passando da dal 5,5 al 6,3%. Ma è sempre poca roba, rispetto alla ondata popular. E la stessa Iu non ha molto di cui GLI INDIGNATI ALLA SAPIENZA Gli studenti spagnoli in Erasmus a Roma incontreranno i movimenti degli studenti italiani oggi alle 18 alla facoltà di Fisica della Sapienza. Il 29 maggio sfileranno insieme in corteo a piazza di Spagna, come hanno già fatto spontaneamente centinaia di ragazze e ragazzi iberici sabato e domenica scorsi in solidarietà con il movimento «Democracia Real Ya» che ha piantato le tende in piazza Puerta del Sol a Madrid ed è dilagato in pochissimi giorni in tutta la Spagna. LA DESTRA ULTRÀ XENOFOBA A Madrid, in Catalogna e Valencia partitini anti-immigrati crescono La destra xenofoba si è aperta un varco nelle elezioni di domenica. Un varco piccolo ma un varco, maggiore che nelle elezioni amministrative del 2007. Diversi partitini ultrà hanno eletto consiglieri in diversi municipi, specie nelle regioni di Madrid e della Catalogna. La «Falange española de las Jons» (FE) e «Alternativa Española» (AES) hanno avuto domenica 11.162 voti, lo 0.34%, «España 2000» ha avuto 4.400 voti nel municipio madrileno Alacalá de Henares, il terzo più popoloso della Comunidad di Madrid (e con un’alta presenza di immigrati). Lo slogan della campagna elettorale di questo partito era «Ni uno más. Los españoles primero» (ricorda qualcosa?). Il leader di «Democracia nacional», altro partito xenofobo, Rafael Ripoll, spiega che «siamo un gruppo di patrioti spagnoli che vogliamo ridare la città agli spagnoli, che si sentono assediati dall’immigrazione». A livello nazionale «España 2000» ha avuto una presenza preoccupante, soprattutto nella Comunidad valenciana (12.200 voti) divenendo la sesta forza politica della regione. Un’altro partito ultrà è «Plataforma Catalunya» che nei diversi municipi della regione è passata da 17 consiglieri comunali e 67.Vic, un Comune che si era già fatto una fama per aver deciso di negare l’iscrizione degli immigrati irregolari alle liste comunali per la scuola e l’assistenza medica (decisione poi revocata ma non per questo meno grave), è il posto in cui è più cresciuta «Plataforma x Catalunya»: era già la seconda forza politica municipale prima delle elezioni con 4 consiglieri comunali, ora ne ha 5. giore. La speranza di diventare un partito cerniera necessario per eventuali alleanze nei diversi municipi e regioni con il Psoe, si è sgretolata sotto l’onda d’urto della marea azzurra popular (a parte nella sola Extremadura). E con una nota particolarmente dolorosa: la perdita di Córdoba, l’unica capitale di provincia governata dal partito, nota come il califfato rosso, (in ricordo dello splendente califfato Omeiade) per la sua fedeltà a Iu e patria dello storico leader Julio Anguita. Iu non solo ha perso la città, ma è passata ad essere dalla prima alla terza forza. Dietro il Pp, e dietro la lista civica guidata dall’imprenditore Rafael Gómez, noto come Sandokán, al centro di un enorme scandalo di corruzione per il quale è stato multato dal proprio comune di Córdoba, ma che non sembra avere influito sugli elettori (come in altre parti del paese che non hanno affatto penalizzato i candidati sotto inchiesto o sotto processo). La presenza di vari imputati nelle liste elettorali, qualcosa di non così comune in Spagna come da noi in Italia, era stata uno dei detonanti della mobilitazione di questi giorni. Eppure, se è certo che c’è una parte del paese che si sdegna per tutto questo (le proposte presentate nelle assemblee degli indiganti in questi giorni per evitare che un imputato possa presentarsi a un’elezione sono tantissime), è evidente che a un’altra parte dell’opinione pubblica spagnola, in questo caso maggioritaria, non importa molto: l’altra faccia della medaglia di un paese che sembra avvicinarsi terribilmente al modello italiano. Francisco Paco Camps, riconfermato presidente della Comunidad di Valencia, coinvolto in un colossale caso di corruzione e concorsi truccati, noto come «caso Gürtel» (che ha riguardato addirittura la visita del papa a Valencia), non solo non ha pagato scotto, ma ha addirittura visto aumentare i suoi voti. E come lui, moltri altri candidati del Pp, a Madrid per esempio, o nella settentrionale regione delle Asturie. Tutto ciò sembra animare ancora di più il 15-M, è un nuovo stimolo alla lotta. Come canta il famoso cantautore Joaquín Sabina, idolo della sinistra, Nos sobran los motivos (abbiamo motivi in eccesso) per sdegnarsi, protestare, proporre, e per riprendersi la calle. Ma il momento più difficile per gli indignati viene adesso. Eduardo Galeano A Vázquez Montalbán e al Barça Questo è il discorso che Eduardo Galeano, grande scrittore e giornalista uruguayano, pronuncerà oggi quando il Fútbol Club Barcelona gli consegnerà il Premio Manuel Vázquez Montalbán, il grande scrittore e giornalista catalano morto all’improvviso nel 2003, a Barcellona nel palazzo delle Generalitat. ché non c’è da fidarsi dei solenni gentiluomini, né delle dame esemplari che non sono capaci di prendersi in giro: e né Manolo né io confondiamo la noia con la serietà, come capita anche ad altri colleghi di idee politiche analoghe alle nostre. E prego notare che non parlo al presente per errore né per distrazione, bensì perché fonti ben informate mi hanno assicurato che la morte non è altro che uno scherzo di cattivo gusto. Voglio dedicare questo premio alla memoria di Josep Sunyol, il presidente del Barça che nel 1936 fu assassinato dai nemici della democrazia. E un altro ambito condiviso, molto importanE voglio anche rendere omaggio agli sportivi te per entrambi: la rivendicazione della buona pellegrini, che un anno docucina come una celebraziopo, nel 1937, si fecero carico ne della diversità culturale. Il testo del discorso della dignità, ferita ma viva, Diceva bene Antonio Madi tutta la Spagna. Mi riferichado che adesso qualsiasi di Eduardo Galeano sco ai giocatori del Barça, sciocco confonde il valore insignito oggi che nel 1937, viaggiarono in con il prezzo, e quell’adesso lungo e in largo per gli Stati del poeta è anche il nostro a Barcellona uniti e il Messico, disputanto adesso, perché lo stesso capidel premio dedicato partite di calcio a beneficio ta nei nostri giorni. della repubblica, e alla seleLa miglior cucina non è la allo scrittore catalano zione di giocatori baschi che più cara, e ben ha detto Mamorto nel 2003 fece lo stesso in diversi paesi nolo che spesso accade che euriopei. la cucina più cara non è altro Per loro ricevere questo premio mi emozioche una trappola per gonzi. na, per loro e anche per i giocatori del Barça dei E anch’io credo, come lui, che il diritto all’aunostri giorni, degni eredi del Barça di quegli antodeterminazione dei popoli include il diritto alni: questo premio, se non bastasse, porta il nol’autodeterminazione dello stomaco. Ed è più me del mio carissimo amico Manolo Vázquez che mai necessario difendere questo diritto, soMontalbán. prattutto adesso, di questi tempi di macdonalizCon lui abbiamo condiviso diverse passioni. zazione coatta del mondo, ogni volta più difforCalciofili entrambi, ed entrambi mancini, me nelle opportunità che offre e ogni volta più mancini per pensare, credevamo che il miglior uniforme nelle abitudini che impone. modo di giocare a sinistra consistesse nel rivendicare la libertà di coloro hanno il coraggio di E qui mi fermo. Perché so che quando bevo giocare per il piacere di giocare in un mondo troppo corro il grave rischio di dire stupidaggiche obbliga a giocare per il dovere di vincere. E ni, e ho voluto alzare queste parole come fossesu quella strada abbiamo cercato di combattere ro calici di vino, un buon vino rosso dei vostri, i pregiudizi di molta gente di destra, che crede per brindare con Manolo e a Manolo: un modo che il popolo pensi con i piedi, e anche i pregiudi bere alla dignità umana e alla solidarietà, dizi di molti compagni di sinistra, che credono al piacere di giocare e alla allegria di vedere che sia il calcio il colpevole se molta gente non giocare quando si gioca pulito, pensa. all’allegria di ritrovarci insieme e al pane e vino condivisi, Siamo uguali, Manolo e io, anche nel piacere ai soli che ogni notte nasconde, dell’ironia e della risata franca e di tutte le fore a tutte le passioni, a volte dolorose, che indime di humor, nel nostro modo di dire quello cano la strada e il senso al viaggio umano, alche pensiamo e quello che sentiamo, negli artil’umano andare, coli e nei libri e nelle chiacchere da caffé. Peral vent del món, il vento del mondo. il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 pagina 9 MADRID REAL 25% Il clamoroso risultato di Bildu, la coalizione «abertzale» in Euskadi 9 i punti percentuali persi dai socialisti rispetto alle amministrative del 2007 ZAPATERO · Dice che arriverà alle politiche del 2012. Rajoy chiede il voto anticipato GERMANIA-REGIONALI Il giorno dopo lo tsunami A Brema volano i Verdi. Puniti Cdu e liberali Maurizio Matteuzzi L’ UN RISVEGLIO "ELETTORALE" A PUERTA DEL SOL: «I NOSTRI SOGNI NON C’ENTRANO NELLE VOSTRE URNE» /FOTO REUTERS immagine della (annunciata) debacle socialista del 22 maggio è quella di un uomo (Zapatero) che sa che sta per arrivare lo tsunami sulla spiaggia in cui vive ma sa di non poter fuggire, e quindi aspetta l’onda. L’onda, anomala se non altro per le sue dimensioni, è arrivata e ha spazzato via l’uomo e il suo partito. Il Partido socialista obrero español. Che ha subito la peggior batosta da quando la Spagna tornò alla democrazia, nel ’75, regalando al centro-destra fino a ieri d’opposizione, il Partido popular, oggi il controllo del paese a livello locale - i municipi e la comunidades, le regioni autonome - e domani (nel marzo 2012, elezioni politiche) quello delle Cortes, il parlamento. Il disastro dei socialisti era atteso - e meritato - ma è la sua dimensione che spaventa. Ieri Mariano Rajoy, lo squallidissimo leader del Pp, ha già chiesto di nuovo «elezioni anticipate», perché i «populares possano tirar fuori la Spagna dalla crisi» che ha affogato Zapatero. Balle, naturalmente, perché il Pp non ha proposte alternative credibili, di fronte alla crisi, al «mercato» che reclama altri aggiustamenti, a quelle accettate sciaguratamente da Zapatero. Ha solo «mas de lo mismo», più della stessa ricetta. La dimensione della batosta è resa ancora più drammatica dal fatto che non è il Pp ad aver vinto il voto di domenica ma il Psoe ad averle perse. Il Pp ha avuto il 37% e meno di due punti in più rispetto alle amministrative del 2007. E’ stato il Psoe a finire dietro di 9 punti (28%). L’unico vero risultato di Riajoy è stato essere riuscito a fare delle elezioni amministrative di domenica una sorta di primo turno delle politiche dell’anno prossimo (o prima, perché non è affatto detto che con un governo centrale così debole e una crisi economico-sociale così forte, Zapatero arrivi al marzo 2012, anche se ieri, the day after, ha ripetuto per l’ennesima volta di voler arrivare fino in fondo al suo Golgota). I socialisti hanno cercato invano di fermare la valanga in arrivo riportando il voto alle sue dimensioni «locali». I «baroni» regionali del Psoe, vedendo evaporare il loro potere in loco, hanno preteso che Zapatero annunciasse l’intenzione di non ripresentarsi per un terzo mandato nel 2012. Non è servito a nulla. Riajoy e compagnia bella (anzi brutta, perché il centro-destra spagnolo molto spesso è molto più destra, con punte cavernicole, che centro) bastava che chiedessero alla folla nei loro comizi: chi ha congelato le pensioni? Chi ha tagliato i salari del pubblico impiego? Chi ha portato ai quasi 5 milioni di disoccupati? Chi ha innalzato l’Iva? Chi ha cancellato il sussidio dei 400 euro per ogni figlio nato? La risposta era scontata: Zapatero. A Zapatero l’elettorato spagnolo, non solo quello di destra ma anche quello di sinistra, ha presentato domenica la fattura di una gestione sciagurata della crisi economica piombata in Spagna alla fine del 2008, solo pochi mesi dopo la sua riconferma alla guida del paese nelle elezioni di marzo. Ora Zapatero è bruciato e il Psoe ha perso tutto. Bastioni storici come Castilla-La Mancha, Barcellona (il sindaco da 32 anni era socialista), Siviglia, i Paesi baschi (dove la coalizione Bildu della sinistra abertzale, appena riammessa al consesso elettorale ha avuto un clamoroso 25%). Prima di domenica il Psoe governava in 9 delle 17 regioni spagnole. Ora gliene rimane (forse) solo una, la Extremadura, e le altre che aveva le ha mantenute solo perché non si è votato (la Catalogna l’ha persa in novembre, l’Andalusia la perderà in marzo). A parte Bildu, che ha beneficiato della tregua proclamata dall’Eta ma che sarà un fattore di ulteriore complicazione per il governo centrale, l’altra grande novità del 22 marzo era il movimento degli indignati. In apparenza non ha avuto molta influenza immediata sul voto: l’astensione è diminuita, i voti bianchi e nulli aumentati ma non in modo significativo. E il vincitore, il Pp, è quanto di più lontano ci possa essere dalle richieste della «repubblica della Puerta del sol». Neanche la Izquierda unida è riuscita a intercettare la protesta. E’ aumentata di 200 mila voti e di un punto (dal 5 al 6%), dando segni di vita, ma ha perso la sua città-simbolo - Cordoba, passata alla destra -, anche se spera di poter fungere da cerniera in certi municipi e regioni per tirare a sinistra il Psoe. Si vedrà cosa succede. Per ora lo tsunami ha travolto il Psoe, come annunciato, ma il naufrago Zapatero sembra deciso ad andare avanti con la sua ricetta neoliberista di risposta alla crisi. Masochista fino in fondo. Vieni a vivere nell’ &DVH HFRORJLFKH DG DOWD HI¿FLHQ]DHQHUJHWLFDPTGL WHUUHQR SHU RJQL DSSDUWDPHQWR VSD]L FRQGRPLQLDOL SLVFLQD VDOD IHVWH ODYDQGHULD SRVVLELOLWj GL DXWRFRVWUX]LRQH $SSDUWDPHQWLDSDUWLUHGDPT 8QD YDOOH LQFRQWDPLQDWD YLFLQR D 3HUXJLD XQPRGRGLYHUVR GLYLYHUH Per info:[email protected] www. ecovillaggiosolare .it 9DFDQ]HDG SHUEDPELQL FRQPDPPDHSDSj GIOCHIAMO INSIEME cavalli, piscina calda e fredda, claunerie, cibo biologico (recensito da Slow Food), ERVFKL ODERUDWRUL JLRFKL DYYHQWXUD H GLYHUWLPHQWR SHU JHQLWRUL H ¿JOL ,16,(0( Per scaricare il programma delle attività: www.alcatraz.it/bambini Per maggiori informazioni FRQWDWWDUHLOQXPHURRSSXUHLQYLDUHXQDHPDLODLQIR#DOFDWUD]LW /LEHUD8QLYHUVLWjGL$OFDWUD]$VVRFLD]LRQH&DFDR /RFDOLWj6DQWD&ULVWLQD*XEELR3HUXJLD Guido Ambrosino BERLINO L a regione di Brema, il Land più piccolo con meno di 700mila abitanti, non è rappresentativa della media federale. Sempre governata da borgomastri socialdemocratici, sin dal 1946, costituisce piuttosto un’anomalia. Ma, pur considerando le specificità di questa città anseatica, che come Amburgo non è mai stata soggetta a sovrani, il voto di domenica conferma due trend comuni a tutte le elezioni regionali del 2011: perde terreno lo schieramento di centro-destra della cancelliera Angela Merkel, e tra le forze d’opposizione avanzano alla grande i verdi. La chiusura delle centrali nucleari resta il tema che più appassiona gli elettori. A Brema, dove già governavano insieme ai socialdemocratici, i verdi sono balzati al 22,5% (+6 punti), affermandosi come secondo partito. Hanno infatti per la prima volta sorpassato la Cdu, scesa al 20,4% (-5,2). Al primo posto si confermano i socialdemocratici, con il 38,7% (+2): potevano contare sulla popolarità del borgomastro Jens Böhrnsen, politico «serio» e di poche parole. I liberali al 2,4% (-3,6) scompaiono dal Landtag. Il socialisti della Linke, bloccati da paralizzanti controversie tra le loro correnti, riescono a rimanere nel parlamento regionale col 5,7%, ma perdono 2,7 punti rispetto all’8,4% del 2007. I dati sono ancora una proiezione, aggiornata alle 16.30 di ieri, e la mancanza di un risultato definitivo dipende da un nuovo complicatissimo sistema elettorale. Ogni elettore può segnare cinque croci sulla scheda per il parlamento regionale e altre cinque su quella per le assemblee comunali. Può concentrare i cinque voti su una lista, se approva l’ordine di collocazione dei candidati, o assegnarli a singoli candidati, se vuole promuovere quelli agli ultimi posti. Può anche distribuire i voti su simboli diversi, e su candidati di diverse liste. La ripartizione proporzionale dei seggi vien fatta in base alla somma di tutti i voti di lista e delle preferenze personali (conteggiate come voti a favore delle liste). Per contare questo vero e proprio mare di croci occorrerà attendere fino a mercoledì, fino a venerdi per i municipi di quartiere. Di solito in Germania, dove i seggi si chiudono sempre alle 18, i risultati definitivi arrivano già intorno alla mezzanotte della domenica elettorale. Quest’anno si poteva votare a partire dai 16 anni. L’innovazione non è servita a migliorare la partecipazione al voto. Anzi, la percentuale dei votanti sui 494mila elettori si è ulteriormente abbassata dal 58,6 al 56,5%. Insieme all’astensione aumenta la quota di quanti, intervistati dagli istituti demoscopici, dichiarano di non identificarsi in nessun partito. Tra i giovanissimi che sono andati a votare l’opzione per i verdi sale al 34%. Il voto a Brema è il quinto test regionale del 2011. A settembre seguiranno altre due regioni, il Meckelenburg e Berlino. Le elezioni sono state una via crucis per Merkel, a cominciare da quella del 2 febbraio a Amburgo, dove la Cdu ha dovuto cedere alla Spd la poltrona del borgomastro e ha dimezzato i voti, fermandosi al 21,9% (-20,6). Nelle tre regioni dove si è votato a marzo, solo in Renania-Palatinato, passata da un governo a magioranza assoluta della Spd a una coalizione rosso-verde, la Cdu ha potuto migliorare di 2,4 punti il suo quoziente. Magra consolazione in confronto ai 3,7 punti persi in Sassonia-Anhalt e soprattutto alla storica debacle del 27 marzo in Baden-Württemberg, storica roccaforte democristiana, regione ora governata da un ministro-presidente verde in coalizione con la Spd. Quanto ai liberali, sono rimasti sotto la soglia di sbarramento, oltre a Brema, anche a Stoccarda e a Mainz. pagina 10 il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 CULTURA IL CAPITALE D’ITALIA Paolo Cantelli e Leonardo Paggi C risi della nazione o crisi della democrazia? È la domanda che ci si pone domanda a proposito dell’insorgere di una questione settentrionale, che continua ad improntare tutti gli sviluppi politici del paese. La nostra risposta è assai netta. All’inizio degli anni Novanta una parte importante e rappresentativa della storiografia italiana interpreta l’insorgere di spinte separatiste come segno di una crisi della identità nazionale riconducibile in ultima analisi alla Resistenza e alla scarsa rappresentatività politica dell’antifascismo. Il tema, rimasto da allora in vigore, ha influenzato notevolmente la stessa impostazione delle celebrazioni del 150esimo anniversiario dell’Unità d’Italia. Le divisioni e le fratture che squassano il paese vanno cercate altrove, ossia in una crisi profonda della democrazia repubblicana che prende inequivocabilmente le mosse dai primi anni Ottanta e che è tuttora in pieno svolgimento. L’attuale disagio, in altri termini, più che del risorgere di una carenza identitaria del paese, ci parla di una crisi profonda dell’unità nazionale, che non nasce da stagnazione, ma da un incalzante sviluppo del capitalismo internazionale che è venuto mutando tutte le regole del gioco su cui si era fondata la nostra democrazia repubblicana, e a cui il paese non è riuscito a dare risposte adeguate. Un lettore assai attento, Massimo D’Angelillo, ha felicemente riformulato per suo conto il tema parlando di una crisi del ruolo unitario svolto dall’asse Roma-Milano, inteso non solo come luogo di cooperazione attiva tra l’economia e la politica, ma anche come luogo di gravitazione delle più importanti realtà regionali del paese. La descrizione delle forme di crisi dell’unità nazionale non può non procedere se non attraverso una ricognizione dello stato della coesione territoriale che della coesione sociale. Per quanto riguarda il primo punto l’analisi intende mettere a fuoco una profonda metamorfosi del capitalismo italiano che rappresenta la variante nazionale di quella evoluzione internazionale che si è soliti definire con il termine convenzionale, anche se forse assai riduttivo ed improprio, di postfordismo La globalizzazione che avanza È noto che gli anni Ottanta vedono il tracollo della grande impresa italiana, che è stata la protagonista del nostro «miracolo economico». Forse minore attenzione è stata dedicata al fatto che il fenomeno si produce in un contesto evolutivo internazionale segnato da un eccezionale sviluppo della finanza d’impresa. Takeover e Leveraged buyout sono le due forme in cui, passando attraverso un enorme indebitamento societario, si procede ovunque, a partire dagli Usa, verso la concentrazione del potere di controllo delle imprese. Non è questo il risultato che viene conseguito dai grandi gruppi italiani, che non riescono a trasformare l’indebitamento in crescita. Il tentativo di procedere sulla strada della internazionalizzazione si scontra con una struttura proprietaria di tipo familiare. È questo il caso della Fiat, ma anche di De Benedetti, Montedison, Pirelli. Il fallito tentativo dei grandi gruppi di inserirsi in un trend evolutivo di tipo internazionale si rovescia per l’Italia in un perdita secca di capacità e di potenzialità produttiva. Il risultato è tanto più grave in quanto si accompagna al fenomeno coevo, questo invece essenzialmente italiano, di una progressiva perdita del ruolo strategico della impresa pubblica, fino al suo definitivo esautoramento, soprattutto in quanto soggetto di politica economica, con le privatizzazione degli anni Novanta. È tutta una fase dello sviluppo postbellico che si chiude. Sarebbe tuttavia errato dedurre da qui un quadro di deindustrializzazione del paese. Il prodotto manifatturiero cresce negli anni Ottanta. La piccola impresa, precedentemente concentrata in quella che fu chiamata già negli anni Settanta la «Terza Italia», si diffonde a macchia d’olio in aree sempre più vaste del territorio nazionale, sia a Nord che a Sud . Rispetto ad una letteratura sociologica di indubbio valore (per quanto riguarda l’Italia basti fare i nomi di Giacomo Becattini, Sebastiano Brusco, Arnaldo Bagnasco, Carlo Trigilia, Aldo Bonomi) il problema che ci appassiona, e per cui non abbiamo ancora una risposta esau- La crisi della coesione territoriale e della democrazia è fortemente intrecciata con il declino del capitalismo familiare, incapace di fronteggiare i problemi posti al sistema economico e politico dalla globalizzazione. Da domani un convegno a Roma Una Costituzione messa alla gogna riente, è quello di comprendere come un fenomeno di indubbia crescita si rovesci in una destabilizzazione degli equilibri democratici del paese e in una attenuazione della consapevolezza dei vincoli unitari, che ha nella insorgenza della questione settentrionale il suo epicentro maggiore. Per quanto riguarda la ricerca delle cause che stanno a monte di una abnorme proliferazione di piccola impresa, importante è la sottolineatura che è stata fatta nei commenti di Alberto Bruschini sul ruolo incentivante della evasione fiscale, intesa quest’ultima come tratto strutturale dell’economia italiana a partire dagli anni Cinquanta. Forse anche per questo il fenomeno della piccola impresa, in tempi non lontani vagheggiata da settori qualificati della teoria economica, e spesso assunta dallo stesso movimento operaio in chiave di politica di alleanze, finisce a partire dagli anni Novanta per fungere da pilastro di una politica di aperta e dichiarata rivolta fiscale. IMMAGINE TRATTA DA ALBUM TRA DUE SECOLI. 1750-1850 Sotto l’ombrello europeo Un benessere a rischio Con tutte le loro deformazioni, gli anni Ottanta sono ancora anni di crescita e tuttavia, nello stesso tempo, anche gli anni delle occasioni mancate. Esemplificativo è in questo senso il confronto con le vicende dei maggiori paesi europei nel corso dello stesso decennio. Dinanzi ai grandi mutamenti nella divisione internazionale del lavoro per il risveglio dell’Asia, da un lato la scelta conseguente di una economia di servizi all’impresa fatta dall’Inghilterra, dall’altro la risposta tedesca fondata su una qualificazione e una innovazione estrema del manifatturiero. L’Italia non sceglie la strada di una innovazione di prodotto e di processo, ma si limita a compiacersi del ruolo progressivo del Made in Italy. Proprio qui la manifestazione più evidente di una crisi ormai matura della nostra classe dirigente sia economica che politica. Ne sono una riprova gli svolgimenti degli anni Novanta. Nella nostra ricostruzione storica gli anni Ottanta sono il periodo di incubazione di una crisi economica e politica che esplode alla luce del sole nel decen- INCONTRI L’Italia repubblicana attraverso quattro seminari. Da domani a Roma «Lo sviluppo capitalistico e l’unità nazionale»: è il titolo di un incontro che inizia domani a Roma, presso La biblioteca della Camera dei Deputati (ore, Via del Seminario 76). Per tre giorni, saranno affrontati il rapporto tra l’Italia e l’Europa (Massimo Pivetti, Fabrizio Onida, Aldo Barba, Emiliano Brancaccio, Marta Cartabia, Luciana Castellina, Roberto Ciccone, Marcello De Cecco, Mario Esposito); la «Crisi della coesione territoriale» (Paolo Cantelli, leonardo Paggi, Mario Dogliani, franco Cassano, Gianfranco Viesti, Enzo Ciconte, Arnaldo Bagnasco, Giovanni Palombarini, Ricardo Realfonso), il rapporto tra politica e società (Gianni Toniolo, Paolo Favilli, Alberto Melloni, Francesco Pitocco, Salvatore Senese, Massimo Luciani, Giuseppe Bronzini, Guglielmo Epifani, Michela Manetti, Mario Tronti), «Scrittori, sviluppo econonomico e unità nazionale» e «Fare gli italiani. Le istituzioni della cultura». apre lo spazio nell’elettorato moderato per nuove formazioni politiche che improntano il loro messaggio alla protesta populista. Tra il 1992 e il 1993 la sparizione dei grandi partiti repubblicani sembra possa aprire la strada ad una normalizzazione e rifondazione del sistema democratico italiano sulla scorta di alternanza e bipolarismo. Ma le elezioni del 1994 testimoniano che il vero dato di novità sta nella formazione di una nuova destra di governo che trascrive nei propri programmi e nelle proprie bandiere tutte le rivendicazioni che animano la questione settentrionale: il rifiuto della responsabilità di uno sviluppo nazionale, lo sciopero fiscale, l’antistatalismo, il rigetto dell’Europa come possibile fonte di normative e vincoli all’agire economico. La domanda che ci siamo posti, senza riuscire a dare risposte perentorie, è la seguente: per quali ragioni la nuova coalizione di centrosinistra che nel corso degli anni Novanta occupa quasi ininterrottamente posizioni di governo, non riesce a conseguire una stabilizzazione democratica del paese dopo la grande rottura, l’apocalisse, del 1992, con politiche economiche e istituzionali capaci di ristabilire il quadro dell’unità nazionale? È Carlo Azeglio Ciampi l’uomo politico che propone un rilancio del riformismo inteso ora come «cultura della stabilità». L’importanza e la novità dell’accordo tra governo e parti sociali siglato nel luglio del 1993 consiste nel fatto che per la prima volta il sindacato nel quadro di una concertazione classicamente socialdemocratica, accetta di subordinare la dinamica del salario agli andamenti dell’inflazione. nio successivo. Nella prima metà degli anni Novanta la crescita s’interrompe bruscamente, aprendo quella lunga fase di vacche magre in cui stiamo ancora vivendo. Da una parte autorevole della nostra storiografia è stata avanzata la domanda se si sia aperta per il paese una fase di regressione e di vero e proprio declino. Una cosa è certa: si delinea allora nettamente un andamento negativo di quelle che Paul Krugman, parlando degli Stati uniti, considera essere le tre irrinunciabili «radici del benessere economico e del tenore di vita di un paese»: la produttività, che da allora conosce in Italia una caduta in picchiata, la distribuzione del reddito, che diventa sempre più diseguale, l’occupazione, che diminuisce per aumentare di nuovo, ma solo in parte, in ragione delle leggi Treu(1998) e Biagi (2003), che sanciscono una riforma radicale del mercato del lavoro fondata sulla flessibilità e sul precariato. È il passaggio ad una società in cui sparisce sostanzialmente qualsiasi pro- getto di politica economica, finendo lo stesso termine per risultare politicamente incorretto, e in cui si delinea un nuovo spirito pubblico caratterizzato da aspettative decrescenti, e disposto ad accettare un nuovo quadro economico che viene rimettendo in discussione gran parte dei diritti acquisiti nel decennio 1969 – 1979. Populisti e bipolari Sul terreno politico la ricaduta degli eventi internazionali non è meno pesante di quanto avvenga per gli andamenti economici. La caduta dell’Unione sovietica e la fine della guerra fredda portano definitivamente allo scoperto una crisi radicale dei due maggiori partiti di massa, che in realtà data dal tragico fallimento, con l’assassinio di Moro, del tentativo di superare la «democrazia bloccata». Mentre il Partito comunista viene colpito nella sua identità storica, alla Democrazia cristiana viene meno la sua non meno storica funzione di «argine». Si L’intenzione è quella di impiantare un meccanismo di governo dell’economia fondato sullo scambio tra moderazione salariale e uno sviluppo economico capace di garantire condizioni di benessere economico e sociale. Ma il tempo storico della socialdemocrazia è ormai scaduto. In ragione dei processi di globalizzazione economica e finanziaria, lo stato nazione ha perduto il controllo della moneta, del fisco e della spesa pubblica, mentre il movimento operaio italiano (ma il discorso vale per l’insieme dell’Europa) esce dagli anni Ottanta con la sua forza di contrattazione profondamente compromessa. A partire dagli shock petroliferi il problema della lotta all’inflazione ha progressivamente sostituito l’obbiettivo perseguito dopo la seconda guerra mondiale di uno sviluppo per l’occupazione. La crisi politica del Partito comunista, inoltre, si riverbera con pesanti effetti negativi sull’insieme del la capacità di contrattazione politica del movimento operaio organizzato. Ciampi è consapevole dei nuovi tempi, ossia del fatto che il consenso del sindacato vale in primo luogo per ristabilire la fiducia dei mercati internazionali e il conseguente circolo virtuoso: diminuzione dei tassi di interesse sul debito, diminuzione della spesa pubblica, e quindi possibile ripresa dello sviluppo. Con questo percorso viene conseguito l’obbiettivo di entrare nel pool dei paesi fondatori dell’euro. Il risultato ha anche un forte valore simbolico: il consenso dell’Europa viene interpretato non solo come protezione verso le debolezze strutturali dell’economia nazionale, ma anche e soprattutto come garanzia di stabilità democratica. E tuttavia questa politica che Ciampi imposta come presidente del consiglio e prosegue come ministro del tesoro dei governi di centrosinistra che si succedono dopo le elezioni del 1996 non vale a rilanciare la coesione territoriale e la coesione sociale. Nel corso degli anni 2000 la scena è dominata dalla continuità della stagnazione economica e da una politica che punta apertamente alla frammentazione e alla contrapposizione tra soggetti sociali e parti diverse del paese. È questa la matrice prima della frana che colpisce ora tutta l’architettura costituzionale della repubblica. il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 pagina 11 CULTURA UN ROMANZO DAL COMPUTER Dopo il romanzo su «L’isola dei pirati» ancora in fase di editing, il computer di Michael Crichton ha resitituito un altro manoscritto. Morto nel 2008, Crichton stava infatti lavorando a «Micro», thriller su una società bio-tech che utilizza giovani laureati per compiere ricerche sulle nanotecnologie. Il romanzo, completato da Richard Preston, uscirà in autunno negli Usa. SEQUESTRATI I COMPUTER DEL PARTITO PIRATA La polizia tedesca ha sequestrato alcuni computer del «Piraten Partei» perché messi a disposizione del gruppo hacker Anonymous che li avrebbe usati per attaccare la società francese Edf all’interno dell’«Operazione Payback» lanciata a sostegno di Wikileaks. Immediata la reazione del partito pirata: è un atto intimidatorio in vista della presenza della formazione politica alle prossime elezioni politiche. IMMAGINAZIONE · «Guida agli animali fantastici» di Ermanno Cavazzoni I fantasmi irriverenti di una ragione claudicante Ippocentauri, ircocervi sono figure di un atto conoscitivo che mette in relazione il visibile, l’enigmatico, l’inspiegabile Paolo Morelli S embra che Ermanno Cavazzoni abbia una missione nella vita, ricordarci nei suoi libri che non abbiamo un vero controllo su niente, dentro e fuori, neanche quel minimo che ci sembra di avere, e che i tentativi di darci un tono in questa ossessione al controllo non sono solo vani e ridicoli, ma la conseguenza più evidente di una specie di malattia mentale. È una malattia però, che siccome ce l’hanno quasi tutti più o meno, non se ne accorge nessuno che è una malattia e anzi, se a qualcuno accade di accorgersene ha lì bella spianata davanti la strada per l’emarginazione, la messa al bando. È sempre stato così più o meno, sembra dirci Cavazzoni nei suoi libri, ma la malattia ha i suoi picchi, e ora pare arrivata a un culmine, come una febbre che ha ormai superato i 40. Cure? Non se ne vedono, o almeno stanno talmente nascoste negli scaffali delle librerie che si fa fatica a scovarle. Anzi, sempre più spesso nemmeno ci arrivano in libreria, restano abbandonate nei cassetti. Un bestiario per poeti e scrittori In questo ultimo Guida agli animali fantastici (Guanda, pp. 168, euro 16,50), che persegue in qualche modo la fisima blandamente tassonomica di Storia naturale dei giganti, il narratore mette in moto il suo stile ad alta gradazione ieratica per stilare dei ritratti che parziali è dir poco, e inconcludenti non basta. Da sempre appassionato di manuali e manie classificatorie, Cavazzoni sembra riallacciarsi alla tradizione, anzi chiamarla a testimone, vengono citati o confutati o raffinati da Eliano a Platone, da Aristotele al Luciano de La storia vera. Dovrebbe trattarsi secondo il titolo di quegli animali che gli antichi hanno elaborato come ben orchestrata strategia di orientamento, difatti ci sono l’ippocentauro l’anfisbena e l’ircocervo ad esempio, ma tra l’uno e l’altro spuntano fuori non solo animali familiari e all’apparenza poco fantastici come il maiale il serpente e il lupo, ma le particelle grammaticali («un bestiario che ossessiona poeti e scrittori»), l’asino di Buridano che pascola nei campi della filosofia mentre fuori di lì «le cose sono già sempre decise indipendentemente da noi», e alla fine pure l’uomo che era per Platone «quell’essere senza piume a due gambe», o almeno lo sosteneva fi- ALLA BIENNALE Bestiario azteco dal Messico Alla Biennale arti visive di Venezia, nel percorso offerto dalla mostra «Illuminazioni» a cura di Bice Curiger (vernissage per il pubblico il 4 giugno), fra gli artisti invitati a partecipare c’è anche la messicana Mariana Castillo Deball, classe 1975 (vive e lavora fra Berlino e Amsterdam). È lei a portare all’Arsenale un bestiario fantastico prelevato e reinterpretato direttamente dai codici degli Aztechi e Maya. I suoi disegni sono un ibrido, animali e creature pre-umane in perenne metamorfosi, apparizioni fuoriuscite dai miti e dalle favole, «protagonisti» di cosmogonie antichissime. Le civiltà precolombiane così «rinascono» in Laguna grazie alla fantasia di Castillo Deball che - con i suoi animali in libertà riscrive una storia post-coloniale con tutte le sue contraddizioni. a 40 anni ci tiriamo su le maniche la nuoizvioa nt-eshliirmtitata in ed Potete acquistarla direttamente sul sito del manifesto al prezzo di 15 euro. Disponibile nelle taglie S, M, L, XL. Info 06-68719330 dal lunedì al venerdì dalle 10.30 alle 18.00 mail: [email protected] www.ilmanifesto.it no a che i cinici gli hanno portato un pollo spennato, perché allora ha cambiato idea. Ma scorrendo ci si trova perfino il fuoco che «anatomicamente è diverso da qualunque altro animale», o gli etiopi che rappresentano «l’attualità della razza umana» addirittura, quella che ha la fissazione del tutto nuova per la storia dell’umanità di abbrustolirsi sulle spiagge. Fantasmi dell’immaginazione L’intento cerimoniale di Cavazzoni però sta nel metodo. Nella sua prosa si sa appena dove si comincia, ma non si sa dove si va a finire, e palesemente non lo sa nemmeno bene il narratore, le frasi sono coordinate da un pensiero che si orienta nella nebbia, la via si traccia man mano che si va avanti, e questo dovrebbe essere di tutto godimento per il lettore se non lo avessero convinto che i libri sono roba molto seriosa e migliorativa. Del resto è sempre stato così in letteratura, era un navigamento a vista, un barcollare in giro offrendo pochi appigli al reale, al risaputo, allo scontato, fin quando ha subito il totale svuotamento come mezzo conoscitivo per diventare il modulo di adesione al ruolo di funzionario. La fantasia narrativa seguiva l’analogia che da sempre ha fatto da base per ogni atto conoscitivo come proporzione tra visibile e l’enigmatico, l’inspiegabile, pronta ad afferrare per poi subito dopo mollare la presa. Difatti da afferrare c’è poco in questo come negli altri libri di Cavazzoni, mettendo in forse la pretesa di conoscere, o di controllare o di censire le cose al mondo solo per il fatto di opprimerle, anche solo per attimo con la parola giusta. In preda a una specie di innamoramento, lo scrittore ha cura di staccarsi sempre prima, in levare, con la folle convinzione che a un certo punto della pagina ci sarà un mon- do che è tornato apposto, anzi era già al suo posto fin dall’inizio. È un fatto incontrovertibile, nessun libro si sposta mai di là, dal principio, spinta, desiderio, l’intento iniziale, è questo che rende la letteratura attuale talmente mortifera e noiosa, il principio unico, quello di mettersi in mostra e far carriera, mentre in questa guida ai fantasmi dell’immaginazione l’intento è impalpabile e lo scopo dichiaratamente inutile, forse più di tutti gli altri libri dello stesso autore (non dimentichiamo che la sua ossessione classificatoria ha toccato per primi gli scrittori, in quel gioiellino che è Gli scrittori inutili). Polli, elefanti e maiali Insomma qui ancora più che negli altri libri è venuta meno, in maniera stavolta dimessa e quasi disperata direi (il narratore appare qui e là stufo come qualcuno dei suoi animali), la presunzione che sottende alla serietà ostentata, la postura rigida dell’autore che rivendica nell’etimo la sua autorità, tutta la mediocrità accatastata in un pensiero unico ma inconsapevole. Si mette in forse quello che il filosofo Enzo Melandri chiamava «imperialismo della ragione», causa prima e inveterata della volontà di controllo sul mondo e le sue storie, volontà di cui oltretutto non è rimasto che uno spasmo, una coazione a ripetere. Come si potrebbe, oltretutto nelle attuali e sempre specialissime contingenze, prendere sul serio le indagini del maiale smarrito o l’elefante che impara a scrivere «Questo l’ho scritto io», il rivale di Konrad Lorenz per la faccenda dell’oca o il paragone tra un pollo e il cantante Farinelli? Per godersi e utilizzare i libri di Cavazzoni bisogna aver fiducia, lasciarsi andare alla vertiginosa prospettiva che forse esiste un ordine nella natura, l’unica cosa sicura è che non si tratta del nostro. INTERNET · Dai blog ai social network, una riflessione su come la Rete condiziona la «Politica 2.0» L’inganno dell’opinione pubblica Benedetto Vecchi M ai come negli ultimi anni le teorie di Jürgen Habermas sull’opinione pubblica hanno conosciuto un successo tra gli studiosi che hanno messo al centro della loro riflessione il potere performativo delle tecnologie della comunicazione nella formazione dell’opinione pubblica e nella decisione politica. Un testo che si colloca sul crinale della riflessione habermasiana è sicuramente Politica 2.0 di Antonio Tursi (Mimesis, pp. 199, euro 16). Tursi, giovane ricercatore , giovane ricercatore che ha curato recentemente, assieme a Antonio Caronia, la collettanea sulle Filosofie di Avatar, non nasconde il fatto che il debito verso il filosofo tedesco comporta dei rischi di aporia, perché la rete è un medium molto diverso da quelli che Habermas poneva come gli strumenti della sua opinione pubblica. La radio, la tv, i giornali prevedono infatti sempre una fonte di informazione e un pubblico che la rielabora per acquisire un giudizio informato sul comportamento del sovrano di turno. Negli anni Sessanta oltre a questi strumenti Habermas ne aveva aggiunti altri: i partiti, i sindacati, le organizzazione degli imprenditori che fornivano, tutti, materiali su cui poteva formarsi un’opinione pubblica. Ma in ogni caso, lo schema non veniva modificato un granché. Le informazioni avevano produttori «istituzionali» la cui credibilità poteva essere messa sì in discussione, ma mai delegittimata completamente. Con la Rete le informazioni sono prodotte e diffuse da soggetti non istituzionali e si diffondono indipendentemente dall'esistenza di media «certificati». È quindi ovvio che l’opinione pubblica ha un modo di produzione molto diverso. Di questo ne è consapevole l’autore, che rimane tuttavia prigioniero del limite maggiore della riflessione di Habermas. Il filosofo tedesco, infatti, ha come centro della sua riflessione la figura dell’individuo disincarnato delle relazioni sociali in cui è inserito. Il passag- gio all’opinione pubblica, nella griglia analitica di Habermas, avviene sempre all’interno di una comunicazione a «bassa intensità» dove l’individuo non può che rimanere tale. Da qui la difficoltà per il filosofo tedesco di fare i conti fino in fondo con la tecniche di manipolazione messe in campo dai media. laddove si manifestano è la ricorsività della comunicazione pubblica che rende il singolo immune e resistente al potere performativo di tv, radio, giornali. Questo schema applicato alla rete conduce in un vicolo cieco. In primo luogo, ma di questo è convinto anche l’autore di questo saggio, viene meno il carattere elitario che il concetto di opinione pubblica ha sempre avuto. La persona informata dei fatti è un artificio retorico che copre come la produzione di informazione si inserisce sempre in una rapporto di potere asimmetrico nella società. Chi detiene i mezzi di produzione è interessato a trarre profitti dalla sua attività. E quindi organizza il processo produttivo di informazione affinché il valore di scambio dell’informazione abbia la meglio sul suo valore d’uso. Su Internet la proprietà sui mezzi di produzione dell’informazione ha però uno statuto incerto. E l’informazione viene prodotta e diffusa tanto da media che da singoli. Salta cioè un elemento indispensabile alla formazione dell’opinione pubblica:: una fonte certa dell’informazione. Da qui la centralità, per l’autore, della «rimediazione», cioè quella particolarissima operazione attraverso il quale gli internauti colmano il vuoto derivante dall’incapacità dei media di selezionare e presentare informazioni «rilevanti» nella formazione dell’opinione pubblica. Ma anche in questo caso, siamo sempre in presenza di un individuo disincarnato dei rapporti sociali in cui è immerso. Neppure l’esistenza di social network - il titolo Politica 2.0 fa il verso alla formula web 2.0 - mette in discussione questo assunto liberale sull’opinione pubblica. La rappresentazione che emerge dal volume rimane cioè sempre incar- dinata sulla possibilità che l’accesso alle informazioni consenta di produrre, per chi sa quale misterioso meccanismo, un individuo che può scegliere con cognizione di causa la posizione giusta, il punto di vista adeguato, quasi che l’opinione pubblica abbia più a che fare con la pubblicità che non col giudizio e e l’analisi sulla gestione della res publica. Significativo è, a questo punto, il tema del flusso, che Antonio Tursi introduce. Il flusso è una generazione, consumo e arricchimento dell’acquisizione acquisita. Ha logiche attinenti al funzionamento della Rete. Ma è proprio sul governo del flusso che si inserisce Un concetto prigioniero della figura liberale dell’individuo proprietario che giudica l’operato del sovrano il «nuovo» modo di produzione dell’opinione pubblica.. Gli intermediari, cioè le imprese che fanno business su Internet non pretendono di incanalare il flusso, bensì di organizzarlo. La produzione dell’opinione pubblica è cioè il modo per fare profitti in Rete. Questo non significa che i nodi problematici posti dell’autore del saggio non abbiano un valore euristico. La privacy, così come i meccanismi di «captazione» capitalistica sono sì posti come nodi problematici,, ma come se fossero un rischio a venire e non la concreta realtà della produzione dell’opinione pubblica. La politica 2.0, se mai questa espressione riuscisse a far dimenticare l’afflato glamour che pretende di avere, deve prendere congedo proprio dal concetto di opinione pubblica. Meglio sostituire al vecchio sogno liberale di chi controlla, ma mai sovverte l’operato del sovrano, l’ambizioso progetto di «fare movimento», cioè quella scommessa politica di organizzare la critica dell’economia politica dell’opinione pubblica. pagina 12 il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 VISIONI Cannes 64 Trionfa «L’albero della vita», la libertà delle immagini come antidoto contro la violenza e l’autoritarismo dell’ipnosi televisiva I «CONQUISTATORI» DELLA CROISETTE 2011 STRAUSS-CANNES Terrence Malick e il festival del «caso DSK» Roberto Silvestri L’ albero della vita di Terrence Malick è la Palma d’oro. Perfetta la scelta di Cannes 64. Film impegnato con la storia del presente, per rovesciarne letture correnti, violento e pieno di «grazia», sconvolgente e misterioso, «aperto» a mille interpretazioni, tutte coraggiosamente critiche dell’esistente e delle radici di questo esistente in antiche tradizioni da superare. Le vecchie idee, il patriarcato, per esempio. Film di sostanza conoscitiva, figurativa e passionale profonda e inquietante, come ha riconosciuto il popolo della Croisette e il pubblico italiano che lo sta ammirando in tempo reale nelle sale, perché la Rai, in parte coproduttrice, ne ha per fortuna scovato anche profondi significati religiosi. Chi poteva poi davvero contrapporsi all’imbattible serial poliziesco D.S.K che ha dominato il festival con le sue immagini possenti e «insostenibili»? Oxfordiano filosofo, mai «autore», perché interessato alla polvere quanto all’individuo e al potere, Malick (meno ambizioso e scostante del solito, qui quasi umile cinefilo) non usa questa volta la pratica artistica, dall’alto in basso, non visualizza tesi preconcette, per esempio che bisogna «pensare altrimenti», ma fabbrica cinema di avvenimenti, interiori e cosmici, subumani e sovrumani, non sottomessi alla linearità di una narrazione biblica (l’albero della vita, appunto) perché le sue immagini fuoriescono continuamente dai bordi del presente e del visibile. Come nei film di Corman, quando era in grande forma, o di Brakhage, il cinema e la filosofia reinventano assieme il proprio montaggio comune attraverso cortocircuiti che vicendevolmente ci lanciano là dove non pensavamo di arrivare. Il resto dei premi, performance degli attori a parte, è invece sbagliato e sintomo di una edizione meno riuscita e coraggiosa del solito. Kaurismaki (premio Fipresci), Kawase, Almodovar, Moretti e Sleeping beauty probabilmente non escono in Francia nei prossimi giorni, meglio riempire di palmette i poster degli stilisticamente corretti, e dunque euro-autoriali Ragazzo con la bicicletta, Drive, C’era una volta in Anatolia, Melancholia e Poliss, mentre Footnote completa questo omaggio a un cinema di parodia (di neorealismo, Walter Hill, Guney, Armageddon, I ragazzi del coro e Shalom Aleichem), con strizzatine d’occhio alla buona coscienza scandalizzata da pedofilia, maltrattamenti e uccisioni accidentale dei nostri figli. Ovvio che Moretti in questo clima non sia stato notato. Non credo che una giuria di «tutti cineasti», a parte Olivier Assayas (un regista ex critico), anche se scelta con charme, come quasi sempre a Cannes, possa far altro che l’educata apologia dell’esistente. Un po’ come succede nella serata degli Oscar (coi colleghi che premiano i colleghi, cioé se stessi), i rapporti di forza vigenti anche nell’immaginario, non è fine metterli in discussione. Disinteressanti in genere, dunque, questi verdetti di festival, a meno che non si cominci a inserire nel corpus giudicante più Jonathan Rosenbaun, più Pascale Bonitzer, più Bernard Eisencshitz e più Bill Kronh. Lo sforzo industriale della Francia, poi, sintetizzatore culturale delle ossessioni e delle fobie di un’Europa in profonda deformazione sessuale e crisi di civiltà (dal silenzio di Moretti allo sgarbismo di von Treir), per mantenere la leadership nel mercato alter-mainstream, trova poi in Cannes il suo apogeo, sia nello sfarzo della vetrina, che nella scelta nei film (Gus Van Sant messo fuori competizione, Cronenberg, Wang Xiaoshuai, Chantal Akerman neanche selezionati), che nella costruzione del palinsesto con meticolose gerarchia di proiezioni. Per esempio inserire astutamente un divertimento commerciale di primaria piacevolezza, da applausi a scena aperta, come The artist, in un’unica proiezione mista critici-pubblico, aiuta molto a stabilire quale film sia un grande successo. PALMA D’ORO All’americano Terrence Malick per «The Tree of life». Nella foto (Reuters), Robert De Niro, presidente di giuria, il produttore Bill Pohland (Malick non si presenta mai in pubblico) e Pablo Giorgelli, Camera d’or opera prima «Las acacias» MIGLIORE REGIA Il premio se lo è aggiudicato il danese Nicolas Winding Refn, qui con Ryan Gosling, per il film adrenalinico «Drive», storia di un autista a noleggio per rapinatori, disarmato e veloce su è giù per le strade di San Francisco MIGLIOR ATTORE È Jean Dujardin, protagonista della pellicola «The Artist» di Michel Hazanavicius, incursione nel «silent movie» dove l’interprete da una prima imitazione atletica di Douglas Fairbanks approda a quella danzante di Gene Kelly MIGLIOR ATTRICE È Kirsten Dunst per «Melancholia» del danese Lars Von Trier. Il regista è stato al centro di un caso «diplomatico»: era stato cacciato dal festival di Cannes a causa delle sue dichiarazioni simpatizzanti verso il nazismo, ma il suo film era rimasto in gara Corman, il moto perpetuo Un’intervista con Alex Stapleton, cineasta esordiente che ha portato in Francia un documentario sull’autore di culto Giulia D’Agnolo Vallan CANNES I l suo cinema - veloce, ironico, avventuroso, poverissimo, politicamente folgorante, capace di infinite manifestazioni di se stesso e incapace di prendersi sul serio - è l’opposto di tanto cinema «monumentale» e magniloquente, visto a Cannes negli scorsi giorni. Roger Corman era al festival, un po’ nascosto nella sezione Cinema Classics, con un documentario girato su di lui dall’esordiente trentunenne di Houston Alex Stapleton. Corman’s World: Exploits of a Hollywood Rebel è il primo film «autorizzato», un collage densissimo di immagini dei suoi film, di Corman stesso, dei filmakers che ha formato e di quelli che continua a ispirare – da Monte Hellman, Jack Nicholson, Ron Howard, Scorsese, Dante e Demme… a James Wan o Eli Roth. Abbiamo incontrato la regista. Perché proprio Roger Corman? Sono una figlia degli anni 80, ma non sono cresciuta guardando film alla Sixteen Candles. I miei genitori mi portavano a vedere cinema da arthouse, che spesso significava grindhouse. Roger era già un autore di culto. Credo che la mia passione sia nata lì. Ho sempre avuto gusti strani per una teenager - Bollywood, Fassbinder, John Waters…E ero ossessionata da Pam Grier. A diciotto anni ho letto l’autobiografia di Roger e ho trovato sorprendente che ci fosse un uomo solo dietro a quei film così diversi. Mi era venuto in mente di farci un programma tv. Quando mi sono trasferita a New York, scrivevo per la rivista Tokion e li ho convinti a mandarmi a intervistare Roger. Subito dopo l’incontro gli ho chiesto se potevo fare un documentario su di lui. Mi ha detto subito sì. Non ci credevo. Penso che stiamo vivendo una riscoperta del cinema di Roger. E penso che l’attuale situazione economica e le svolte tecnologiche più recenti rendano il suo cinema indipendente un modello ancora più necessario oggi. Roger è un maestro della capacità di unire la cultura «alta» a quella «bassa». I registi che lui ha lanciato negli anni della New World sono degli intellettuali. Come dice Alan Arkush nel documentario, «conoscevamo tutte le note di cui non si può fare a meno in un film. Tra una e l’altra, però, potevamo mettere quello che volevamo». Roger è un maestro di quello spazio intermedio. Che tipo di conversazioni avete avuto sul tuo film? All’inizio lui pensava a un film in cui io seguivo un po’ quello che faceva. Gli avevo mandato anche una lista di persone che volevo intervistare - Roger non usa email, gli scrivi una lettera e poi ti richiama - ma diceva che di lui avevano già parlato troppo. Roger vive nel presente. Il suo imput era: vieni e guarda cosa sto facendo. Per quello sono andata anche in Messico, sul set di Dinoshark. Ero felice che avesse accettato perché è una persona molto riservata. L’idea che qualcuno lo riprendesse al lavoro gli era aliena. Così ipotizzavo un film-verité, essere con lui il più possibile. Peccato che quando sono arrivata sul set, in 5 minuti stavo già lavorando per lui. Mi ha fatto fare la comparsa, registrare il suono, girare la seconda unità… Tutto mentre cercavo di realizzare il mio film. Quindi ho cominciato ad avere dei dubbi sull’idea del «verité». Allora ho pensato a un documentario in stile exploitation, un po’ come i film di Roger. Ma quando Jack Nicholson e Martin Scorsese hanno acconsentito a farsi intervistare, il film è cambiato di nuovo. Una scena come quella in cuiNicholson si commuove (parlando di Dennis Hopper, n.d.r.) ci ho messo mesi ad assorbirla organicamente nel tessuto del documentario. Corman ti dava suggermenti? Spessissimo, consigli preziosi. C’è una parte dell’intervista fatta in una stanza di casa sua in cui la luce cambiava molto in fretta. Roger sceglieva il timing delle sue risposte per spostare il set up al momento giusto. È molto sensibile a cose del genere. E poi mi ha dato consigli importanti sul montaggio, dopo la prima a Sundance. Sapeva esattamente dove si poteva tagliare. E il film scorre molto meglio. Quali sono i tuoi Corman preferiti? Penso che The Intruder sia un capolavoro. È anche uno dei film più forti sul razzismo realizzato in quegli anni, cosa che in quanto donna afroamericana apprezzo molto. Ho un debole per Machine Gun Kelly. Solo Roger avrebbe potuto fare un film di gangster in cui Charles Bronson, il protagonista macho, ha paura di tut- GLI ALTRI PREMI Dall’Anatolia di Ceylan all’Argentina di Giorgelli «Si è discusso molto e si sono spesso adottate soluzioni di mediazione. Abbiamo privilegiato le emozioni, le ambizioni, l’impianto narrativo... Speriamo di non aver sbagliato troppo», ha detto il presidente Robert De Niro. Ecco gli altri premi. Grand Prix: ex aequo a «Il ragazzo con la bicicletta» di Jean Pierre e Luc Dardenne (Belgio) e a «Once upon a time in Anatolia» di Nuri Bilge Ceylan (Turchia). Sceneggiatura: Joseph Cedar per «Footnote» (Israele). Giuria: «Polisse» di Maïwenn Le Besco (Francia). Camera d’oro opera prima: «Las Acacias» di Pablo Giorgelli (Argentina/Spagna) Miglior corto: «Cross» di Maryna Vroda. Premio della giuria corto: «Badpakje 46» di Wannes Destoop. to…ed è la sua fidanzata (Susan Cabot) a decidere ogni cosa. Se penso a Roger produttore, adoro i film di Joe Dante e di Alan Arkush. Mask of the Red Death è il migliore dei film tratti da Poe, molto ispirato a Bergman. Mi piacciono anche i suoi i lavori più camp - lui non ama Wasp Woman, invece io lo trovo divertentisismo. O Apache Woman, un western ma con una protagonista indiana più forte gli uomini. Ti ha dato libertà totale sui clip? I clip sono stati una sfida, perché Roger non conserva nulla. Pensavo che fosse reticente, poi ho scoperto che aveva buttato via quasi tutto, persino le copie. Sono stata fortunate che Julie avesse conservato una foto del loro matrimonio. È una questione psicologica: è così che riesce a fare tutto quello che fa. Continuando a muoversi. A cosa stai lavorando adesso? Ho finito un documentario sulla mostra dedicata alla street art organizzata dal Moca d Los Angeles. E sto iniziando un film di fiction, molto cormaniano – una storia d’amore intergalattica, ambientata in una notte su Hollywood Boulevard. il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 pagina 13 VISIONI WILLIAM KENTRIDGE AL MAXXI L’artista e filmaker sudafricano (Johannesburg, 1955) incontrerà il pubblico al Maxxi, venerdì 27 maggio (ingresso 4 euro), alle ore 19. Intervistato dal curatore per le arti visive Carlos Basualdo racconterà la genesi di alcune sue opere e illustrerà la sua poetica. Nel museo sono presenti sei lavori di Kentridge, fra cui l’arazzo «North Pole Map» e Zeno writing» MUSICA, HEINER GOEBBELS Il regista e compositore tedesco Heiner Goebbels torna con il suo teatro musicale in Italia, a Modena domani e il 27 maggio. Presenterà «Songs of wars I have seen» (da Gertrude Stein) al teatro comunale Pavarotti e «Stifters Dinge», un'installazione con due performance serali: un lavoro senza attori né musicisti, che fa parlare gli oggetti. TEATRO · Motus, la ricerca del contemporaneo CERTAIN REGARD · «Arirang», Kim Ki Duk racconta il suo «esilio» Il regista, la sua ombra, la pistola. Filmare come un grido di dolore Cristina Piccino CANNES R egista quasi bulimico, capace di girare anche due film in un anno, e «ragazzo» viziato delle nuove onde coreane, all’improvviso Kim Ki Duk è scomparso. Era il 2008, l’anno di Dream, un sogno (incubo) d’amore che stravolge la «logica» del sonno e della veglia, della realtà e dell’immaginazione. Ora è tornato ma Arirang, vincitore del Certain Regard, è un titolo «band à part» nella sua filmografia, o forse una nuova partenza, un capitolo di passaggio nella ricerca del cineasta. Declinato alla prima persona quasi esasperata, mette in scena la dolorosa impotenza di un regista rispetto al fare-cinema, al suo universo poetico, alle sue immagini nell’inquietudine di un gioco di ombre che hanno attraversato nel tempo i suoi film, e che ora appaiono e scompaiono tra tagli netti e zoom improvvisi. Tutto comincia sul set di Dream dove l’attrice protagonista girando una scena di impiccagione aveva rischiato di morire soffocata. Kim Ki Duk era stato attaccato da tutti, accusato, ridicolizzato (ci sono pure film horror in Corea che citano questo fatto), un peso tanto insopportabile che lo ha spinto a fuggire in un villaggio sperduto tra le montagne dove vive da tre anni come un eremita, senza acqua e senza riscaldamento. Nella sua baracca in mezzo alla nave Kim Ki Duk ha solo un computer con cui monta affrontando il campo controcampo con se stesso e con un’esistenza che è stata fino a quel momento il cinema (quindici film in tredici anni). Il titolo, Arirang, rimanda a un’ antica canzone coreana, è il nome di un passo montano pieno di insidie per i viaggiatori ma è anche un luogo ideale per gli amanti, in cui si ricorrono leggende di amori infelici, ragazze disperate, desideri impossibili. Come è divenuto impossibile il desiderio di filmare del regista. Cosa racconta Arirang? Una ferita personale, giorni di solitudine, un uomo e i suoi fantasmi (le sue immagini) che cerca di uccidere fabbricandosi una pistola con cui entra e esce da un miraggio di cinema. Un po’ come la bomba che può diventare una macchinetta per fare il caffé... Capelli lunghi e abiti da samurai stracciati, i piedi nudi rovinati, Kim Ki Duk filma con una piccola digitale questo suo quotidiano che scorre senza un piano preciso, seguendo la scrittura della sua solitudine. Lo vediamo piangere di fronte alle immagini dei suoi film, Primavera, estate autunno inverno ... L’uomo parla con la sua ombra, il suo doppio che è come un sogno. Arirang è un diario, e una confessione, un grido di aiuto e un sentimento del tragico. Potrebbe essere solo un gesto di narcisismo, ridicolo, o sublime, ma c’è una potente verità in questa immagini, una vita (e una follia) che spiazzano lo sguardo. È strano ma questo dell’impotenza di fronte alle (proprie?) immagini è un sentimento che ritorna nel cinema contemporaneo, con forme diverse, e diverse possono esserne le cause, e che però diventa un costante interrogare la natura del cinema. Il film di Kim Ki Duk porta a quello, magnifico, di Jafar Panahi presentato fuori concorso: Ceci n’est pas un film, Questo non è un film, il regista iraniano mette in scena un’impotenza che deriva da qualcosa di esterno, la censura, la violenza del regime, il tabù iconoclasta: filmare. Ma lui non filma, un altro regista lo filma nel quotidiano prigioniero del suo appartamento senza una macchina da presa con cui dare vita alle sue immagini. Può solo raccontarle, cioè suggerirle, suggerire allo spettatore il film svelando il meccanismo della messinscena e del suo cinema. Un’esperienza di fortissima «verità». SEZIONI COLLATERALI · C’è spazio per Kaurismaki Sono stati due film ad aggiudicarsi, ex aequo, il riconoscimento più importante assegnato dalla giuria di Un Certain Regard: Arirand del coreano Kim Ki-Duk e Stopped on Track del tedesco Andreas Dresen. La sezione del Festival, che ha presentato quest’anno 22 film provenienti da 19 paesi, ha anche assegnato il premio della giuria a Elena del russo Andrey Zvyagintsev e il riconoscimento per la miglior regia è andato a Goodbye di Mohammad Rasoulof. Il cineasta iraniano però non ha potuto ritirare il premio perché è agli arresti domiciliari. La giuria di Un Certain Regard era presieduta dal regista Emir Kusturica. Nella sezione Quinzaine des Réalizateurs, il premio Cicae, deciso dagli esercenti, e quello Sacd, della Siae francese, sono andati a Les Géants del belga Bouli Lanners. Il Label Europa Cinemas è stato invece assegnato a Atmen dell’austriaco Karl Markovics. La Fipresci ha «incoronato» il finlandese Aki Kaurismaki per il suo Le Havre (concorso), L’exercice de l’état di Pierre Schoeller (Certain Regard), Take Shelter di Jeff Nichols (Semaine de la Critique). Per Cinéfondation, ha vinto il corto tedesco Der Brief di Doroteya Droumeva (giuria presieduta da Michel Gondry). Il secondo premio è andato al francese Drari di Kamal Lazraq, il terzo al sudcoreano Ya-Gan-Bi-Hang di Son Tae-gyum. Rai1 Rai2 Rai3 Rete4 Canale5 16:10 LA VITA IN DIRETTA Attualità Con Mara Venier 18:50 L’EREDITÀ Gioco 20:00 TG1 Notiziario 20:30 QUI RADIO LONDRA Attualità Conduce Giuliano Ferrara 20:35 AFFARI TUOI Gioco Conduce Max Giusti 17:48 METEO2 - RAI TG SPORT - TG2 Notiziario 18:45 MAURIZIO COSTANZO TALK Talk show Conduce Maurizio Costanzo 19:30 SQUADRA SPECIALE COBRA 11 Telefilm Con Erdogan Atalay, Tom Beck, Charlotte Schwab 20:25 ESTRAZIONI DEL LOTTO 20:30 TG2 - 20.30 Notiziario 18:20 GEO & GEO Documentario Conduce Sveva Sagramola 19:00 TG3 Notiziario 19:30 TG REGIONE - METEO Notiziario 20:00 BLOB Varietà 20:10 SABRINA VITA DA STREGA Telefilm 20:35 UN POSTO AL SOLE Soap opera Con Patrizio Rispo 18:55 TG4 - METEO Notiziario 19:35 TEMPESTA D’AMORE Soap opera Con Martin Gruber, Lorenzo Patané, Dirk Galuba 20:30 WALKER TEXAS RANGER Telefilm Con Chuck Norris, Clarence Gilyard, Sheree J. Wilson 14:45 UOMINI E DONNE Talk show Con Maria De Filippi 16:15 POMERIGGIO CINQUE Attualità Conduce Barbara D’Urso 18:50 CHI VUOL ESSERE MILIONARIO Gioco Conduce Gerry Scotti 20:00 TG5 - METEO 5 Notiziario 20:30 STRISCIA LA NOTIZIA - LA VOCE DELL’IMPROVVIDENZA Attualità 21:10 NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI ‘82 Fiction Con Francesco Mistichelli, Giulia Lippi, Alan Cappelli, Matteo Ripaldi, Francesca Chillemi, Andrea Montovoli, Giorgio Marchesi, Gledis Cinque, Letizia Ciampa 23:20 PORTA A PORTA Attualità Conduce Bruno Vespa 00:55 TG1 NOTTE - TG1 FOCUS Notiziario 01:25 CHE TEMPO FA Previsioni del tempo 01:30 QUI RADIO LONDRA Attualità Conduce Giuliano Ferrara 21:05 I LOVE ITALY Varietà Conduce Massimiliano Ossini. Con l’Orchestra diretta da Demo Morselli 23:10 TG2 Notiziario 23:25 THE MANCHURIAN CANDIDATE FILM Con Denzel Washington, Meryl Streep, Liev Schreiber, Kimberly Elise, Vera Farmiga, Jon Voight, David Keeley, Jeffrey Wright, Sakina Jaffrey, Bruno Ganz 01:25 TG PARLAMENTO Attualità 21:05 BALLARÒ Attualità Conduce Giovanni Floris. Regia di Maurizio Fusco 23:15 PARLA CON ME Varietà Conduce Serena Dandini 00:00 TG3 LINEA NOTTE Attualità 00:10 TG REGIONE - METEO 3 Notiziario 01:00 APPUNTAMENTO AL CINEMA Rubrica 01:10 94º GIRO D’ITALIA - GIRO NOTTE Rubrica sportiva 01:40 RAI EDUCATIONAL GATE C Rubrica 21:10 ... CONTINUA– VANO A CHIAMARLO TRINITÀ FILM Con Terence Hill, Bud Spencer, Yanti Somer, Enzo Tarascio, Harry Carey Jr., Pupo De Luca, Jessica Dublin, Dana Ghia 23:35 I BELLISSIMI DI R4 Rubrica 23:40 BOOGIE NIGHTS FILM Con Luis Guzmán, Burt Reynolds, Julianne Moore, Rico Bueno, John C. Reilly, Nicole Ari Parker, Don Cheadle, Heather Graham 01:10 TG4 NIGHT NEWS METEO Notiziario 21:10 R.I.S. ROMA 2 - DELITTI IMPERFETTI Telefilm Con Fabio Troiano, Euridice Axen, Jun Ichikawa, Marco Rossetti, Mary Petruolo, Primo Reggiani 23:45 MATRIX Attualità Conduce Alessio Vinci 01:30 TG5 NOTTE Notiziario 02:00 STRISCIA LA NOTIZIA - LA VOCE DELL’IMPROVVIDENZA Attualità Arriva domani a Roma, al Teatro India (fino al 29 maggio), «Alexis, una tragedia greca» dei Motus, regia di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, spettacolo ispirato alla figura del quindicenne greco, Alexandros-Andreas Grirgoropoulos, Alexis, ucciso il 6 dicembre 2008 nel quartiere di Exarchia, cuore della rivolta studentesca, dall’agente trentasettenne Epaminondas Korkeneas con una pallottola nel petto. Alexis diventa subito l’icona della protesta: «Un nuovo Polinice?» si chiedono gli autori, il fratello di Antigone con la t-shirt dei Sex Pistols... Lo spettacolo nasce da un progetto articolato in più capitoli e con diversi attori, il filo rosso è la presenza di Silvia Calderoli, figura androgina e scattante, che nel corso del tempo libera la voce nella sua fisicità. Bravissima come tutti gli altri. Ma soprattutto «Alexis» vuole interrogare il senso del teatro oggi, come mettere in relazione i classici - «Antigone» - con il contemporaneo. Non è questione solo di tecnologie, i Motus usano video, corpo, parola, poesia, prosa tutto però con l’obiettivo di fare un teatro vivo, pulsante, che sia dentro al suo tempo e ai suoi conflitti. Il 26 presentazione del libro «Un colpo. Disegni e parole dal teatro di Fanny Alexander, Motus, Chiara Guidi/Societas Raffaello Sanzio, Teatrino Clandestino», un volume che apre una riflessione sul percorso dei quattro gruppi (Longo Editore, Ravenna). Nello spazio di Indiateca ci sarà anche la mostra tratta dal libro con opere orginali di Andrea Bruno su Motus, Magda Guidi, Sergio Gutierrez, Beatrice Pasquali, Andrea Petrucci, Marco Smacchia c.pi. CINEFONDATION 14 · Il campionato «Primavera» del festival Palme d’oro del futuro ta, ma almeno un’ipotesi di amore unidirezionale, e si attacca a un cliente estemporaneo, mentre il l cortometraggio della bulgara fratello convivente, «custode» di Doroteya Droumeva, Der antiche virtù sepolte, non aiuta. brief, prodotto dalla scuola di In una edizione cannoise che cinema di Berlino, ha vinto Cineha rivelato anche una promessa fondation 14, una sezione di Canitaliana (Alice Rorhwacher, al venes che ha il compito di scoprire, triolo la sua dolce analisi, in Corpo celeste, delle deturpazioni psicofisiprima dei festival concorrenti, i che e delle deviazioni sessuali pronuovi talenti, i registi del futuro advocate da inculcazioni religiose andestrati dalle scuole di cinema di che se delicate) abbiamo scoperto tutto il mondo. In selezione 16 corcon piacere anche la presenza, ti (da 8’ a 44’, quasi tutti narrativi e per la prima volta a Cinefondation «lunghi» in potenza, poca speridi un corto italiano, del Centro mentazione e cartoon) scelti da DiSperimentale di cinematografia di mitra Karya (al secondo anno di diRoma, un tempo all’avanguardia rezione, dopo il passaggio di Laue ora arrancante rispetto a altre rerent Jacob al comitato di selezione altà anche europee (Femis di Parimaggiore), coprodotti per lo più gi, Famu di Praga). Ma L’estate che dalla scuole assieme a partner dinon viene , di Pasquale Marino, nostributivi, pubblici o privati, e giunostante una prepotenza visuale dicate da una giuria d’eccellenza: inedita rovescia il senso originale Michel Gondry, antichi vincitori I nuovi talenti e i molti della storia (una professoressa sedi Cinefondation, il rumeno Corquestra alcuni suoi alunni) e la traneliu Porumboiu e l’austriaca Jesfilmaker addestrati sforma in un più banale tentato sica Hausner, e il regista portoghedalle scuole del mondo. stupro della stessa prof, pescata a se radicale João Pedro Rodrigues. Ostia, al mare, da tre allievi post Il film che ha vinto (15000 euro) Vince la bulgara pasoliniani che le vogliono far paè la storia, raccontata in mezz’ora, Doroteya Droumeva gare la bocciatura (annunciata) di di una berlinese incinta, Maja, che uno di loro. Il più truce si chiama radiografa con sensibilità e spietacon il corto «Der brief» pure Lollo. Tanti sono stati i talentezza il mondo emotivo che la cirti scoperti da Cinefondation in conda prima di decidere, tutta da questi anni: Eduardo Valente e Antonio Campos (Brasisola, se partorire o abortire. Anche gli altri due premi le), Dover Koshasvili (Georgia Istraele), Peter Sollett raccontano il mondo dei giovani, con toni drammatici e (Usa), Alicia Duffy, Yang Chao, Nikolaj Khomeriki (Rusesistenzialmente allarmati. Il secondo premio (11.250 sia), Fredrikke Aspock (Danimarca), Emmanuelle Bereuro) è stato assegnato a Drari del marocchino Kamal cot, Adam Guzinski (Polonia) e Agnes Kocis (Ungheria) Lazraq, e mette in forma di road movie, piuttosto dispeche sono stati poi promossi con le loro opere prime al rato (per le complicazioni anche poliziesche, di viabilità Certain Regard. L’Italia (ma anche la Francia) non ha interrotta e dignità calpestata, che rendono i ragazzi di mai vinto il primo premio, mentre finora Polonia, Gb, Casablanca così simili a quelli del Cairo, San’a, Tripoli e Usa, Russia, Brasile, Argentina (due volte), Serbia, DaniTunisi) l’amicizia quasi gay e quasi impossibile tra due marca, Israele, Repubblica Ceca e Finlandia, hanno diragazzi, Ghali, rampollo di un ricco borghese, e Mohamostranto l’eccellenza delle loro. A proposito, il migliomed, il suo giardiniere, a un certo punto messa in crisi, re corto mi è sembrato Casey Tigers, di Aramisova (Faoltre che dalla diffidenza sociale verso il più povero (che mu), un allievo slovacco di Vera Chitylova (come si vede è nero e viene pure dal Sahara orientale), da una bella tutte le scuole sono fertilmente cosmopolite) che riesce compagna d’università di Ghali che decidendo di fare a innestare con più libertà e humor dei 16 corti visionauna bella scampagnata con i due suscita le gelosie «mati, quelli che erano i principi della «nuova onda praghecho» del fidanzato. Atmosfera gay molto più esplicita se» anni 60 con le arditezze e «disintegrazioni sessuali» nel film sudcoreano Volare di notte di Son Tae-gyum dei post-gay Usa (Kalin, Gregg Araki, etc...) raccontando (terzo premio, 7500 euro): uno sprovveduto marchettale prime esperienze erotiche di due margheritine non ro per sopravvivere nella Seul dark e senza speranza, tanto in cerca di amore ma di passione e nuovo eros. vuol trovare, non dico un barlume di passione per la vi- R.S. CANNES I Italia1 17:50 LOVE BUGS Sit com 18:30 STUDIO APERTO - METEO Notiziario 19:00 STUDIO SPORT Notiziario sportivo 19:30 C.S.I. MIAMI Telefilm Con David Caruso, Emily Procter, Adam Rodriguez 20:30 TRASFORMAT Gioco Conduce Enrico Papi 21:10 30 ANNI IN 1 SECONDO FILM Con Jennifer Garner, Mark Ruffalo, Judy Greer, Andy Serkis, Kathy Baker, Phil Reeves, Samuel Ball, Marcia DeBonis 23:10 SUPERHERO - IL PIÙ DOTATO FRA I SUPEREROI FILM Con Drake Bell, Sara Paxton, Christopher McDonald, Leslie Nielsen, Kevin Hart, Marion Ross 00:40 POKER1MANIA Rubrica sportiva La7 17:40 J.A.G. - AVVOCATI IN DIVISA Telefilm Con David James Elliott, Catherine Bell, Patrick Labyorteaux, John M. Jackson, Chuck Carrington 18:35 CUOCHI E FIAMME Real Tv Conduce Simone Rugiati 19:40 G’ DAY Varietà Conduce Geppi Cucciari 20:00 TG LA7 Notiziario 20:30 OTTO E MEZZO Attualità Conduce Lilli Gruber 21:10 CROSSING JORDAN Telefilm Con Jill Hennessy, Miguel Ferrer, Steve Valentine, Ravi Kapoor, Kathryn Hahn, Jerry O’Connell 23:50 LE VITE DEGLI ALTRI Real Tv Conduce Angela Rafanelli 00:50 TG LA7 Notiziario 01:05 OTTO E MEZZO Attualità Conduce Lilli Gruber 01:45 G’ DAY Varietà Conduce Geppi Cucciari Rainews 19:03 IL PUNTO SETTIMANALE Attualità 19:27 AGRIMETEO Notiziario 19:30 TG3 Notiziario 20:00 IPPOCRATE Rubrica 20:30 TEMPI SUPPLEMENTARI Rubrica 20:57 METEO Previsioni del tempo 21:00 NEWS LUNGHE DA 24 Notiziario 21:27 METEO Previsioni del tempo 21:30 MERIDIANA - SCIENZA 1 Rubrica 21:57 METEO Previsioni del tempo 22:00 INCHIESTA 3 Attualità 22:30 NEWS LUNGHE DA 24 Notiziario 22:57 METEO Previsioni del tempo 23:00 CONSUMI E CONSUMI Rubrica 23:27 METEO Previsioni del tempo Su Rai5, il primo Crialese Ha partecipato a festival internazionali come il Sundance Film Festival, il Brussels Film Festival e l’Avignon/New York Film Festival (dove ha ricevuto il premio per la migliore sceneggiatura): è Once We Where Strangers, in onda su Rai5 oggi alle 21. Il film è preceduto da «cinque buoni motivi» per essere visto, che sono quelli di Annamaria Granatello, direttrice del premio Solinas. Il primo film di Emanuele Crialese, il regista di «Respiro» e «Nuovo Mondo», non è mai stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane e racconta la storia di un «sogno americano» ambientato in una New York dai toni brumosi. Protagonisti Vincenzo Amato, Ajay Naidu, Jessica Whitney Gould e Anjalee Deshpande. Antonio è un cuoco che viene licenziato per essersi rifiutato di cucinare una carbonara con l’aglio; Apu, il suo amico indiano, fa da cavia in un laboratorio. I loro tentativi di integrarsi nella logica americana assumono per entrambi risvolti grotteschi, che rivelano la spietatezza della società che li circonda. La ricerca di un’identità per Antonio passerà attraverso l’incontro con Ellen, mentre per Apu l’arrivo di Devi, sradicata dall’India, rappresenterà lo spettro di antiche tradizioni rinnegate. pagina 14 il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 COMMUNITY DALLA PRIMA terraterra Marco Rovelli Paola Desai Cile, il presidente e le dighe L’ annuale «discorso alla nazione» del presidente cileno Sebastian Pinera, sabato 21 maggio, è stato accompagnato dalla più forte protesta di piazza finora avvenuta contro il progetto di costruire cinque mega dighe nella Patagonia cilena. È successo a Valparaiso, nel Cile meridionale, dove migliaia di persone hanno partecipato a una marcia di protesta finita in scontri con la polizia. Per la verità non si trattava solo delle dighe, perché la manifestazione organizzata dalla Central Unica de Trabajadores - la maggiore confederazione sindacale del paese - intendeva opporsi al governo Pinera per le politiche economiche, del lavoro, sociali, dell’istruzione, ambientali, e gli slogan chiedevano di mantenere le numerose promesse elettorali. C’erano organizzazioni studentesche e di vecinos, comitati di quartiere. E c’erano gruppi ambientalisti e tutta la rete di forze sociali che da anni ormai si oppone a quel progetto di dighe che se realizzato stravolgerà la geografia dell’Aysen, regione della Patagonia cilena. Il progetto prevede una serie di 5 dighe sui fiumi Pascua e Baker, con centrali idroelettriche per un totale di 2.750 megawatt; l’energia sarà poi trasportata verso nord nella regione di Santiago del Cile e del suo distretto industriale, 2.300 chilometri più a nord. Per questo il progetto prevede di costruire una linea di trasmissione composta da 6mila torri alte 70 metri che attraverserà i territori Mapuche, tagliando nove regioni (metà del Cile), sei parchi nazionali e 67 comuni e che nei prossimi mesi dovrà passare il vaglio delle competenti autorità ambientali. Le dighe sommergeranno ben 5.600 ettari di un raro ecosistema forestale, con impatti socio-ambientali enormi. Contro le dighe dell’Aysen in Cile tre anni fa è stato fondato il «Consiglio della difesa della Patagonia», che comprende una sessantina di organizzazioni sociali, culturali, religiose, ambientali e studentesche. E la questione è giunta a un momento decisivo: un paio di settimane fa la Commissione ambientale della regione dell’Aysen ha approvato il progetto a maggioranza schiacciante (ne riferiva terraterra del 11 maggio). Da allora si sono levare nuove voci, anche molto autorevoli, per chiedere al presidente Pinera di ripensarci, riesaminare il progetto e il suo impatto complessivo - sull’ambiente, sociale, umano. Pinera ha parlato anche del progetto nell’Aysen, durante il suo discorso alla nazione. Più volte interrotto dalle contestazioni - deputati dell’opposizione avevano portato uno striscione «Patagonia senza dighe» fin dentro la sede del Congresso a Valparaiso - il presidente ha detto che quelle dighe sono necessarie per produrre l’energia di cui il cile ha bisogno; che è ben cosciente delle sue responsabilità verso l’ambiente ma è responsabile anche dello sviluppo del paese. Ha promesso che una commissione di esperti valuterà il progetto prendendo in considerazione anche le istanze dei cittadini - ma «non possiamo volere energia e consumarla in abbondanza, e allo stesso tempo opporci a tutte le fonti per produrla». A sostegno delle forze sociali cilene che si oppongono alle dighe del Aysen si è formata anche una «Campagna italiana Patagonia senza dighe». La mobilitazione italiana ha un motivo preciso. Infatti il consorzio HidroAysen, che promuove il progetto, è per il 51% di proprietà di Endesa, che ne è anche capofila (l’altro 49% è della cilena Colbun). E la compagnia Endesa è controllata proprio dall’Enel, controllata per il 32% dallo Stato italiano tramite il ministero dell’Economia e delle Finanze. Così un progetto che provoca polemiche e opposizioni in Cile chiama in causa anche l’Italia. il manifesto CAPOREDATTORI marco boccitto, micaela bongi, michelangelo cocco, sara farolfi, massimo giannetti, giulia sbarigia, roberto zanini, giuliana poletto (ufficio grafico) il manifesto coop editrice a r.l. REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00153 roma via A. Bargoni 8 FAX 06 68719573, TEL. 06 687191 E-MAIL REDAZIONE [email protected] E-MAIL AMMINISTRAZIONE [email protected] SITO WEB: www.ilmanifesto.it TELEFONI INTERNI SEGRETERIA 576, 579 - LETTERE 578 AMMINISTRAZIONE 690 - ARCHIVIO 310 POLITICA 530- MONDO 520 - CULTURE 540 TALPALIBRI 549 - VISIONI 550 - SOCIETÀ 590 ECONOMIA 580 SEDE MILANO REDAZIONE: via ollearo, 5 20155 REDAZIONE: 0245072105 024521071406 [email protected] AMMINISTRAZIONE-ABBONAMENTI: 02 45071452 SEDE FIRENZE via maragliano, 31a TEL. 055 363263, FAX 055 354634 iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di roma n.13812 ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 07-08-1990 n.250 ABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA annuo 260€ semestrale 135€ i versamenti c/c n.00708016 intestato a “il manifesto” via A. Bargoni 8, 00153 roma EMILIA-ROMAGNA Mercoledì 25 maggio ore 17,30 CONVERSAZIONE CON MARGHERITA HACK Andrea Battistini, professore di Letteratura italiana e conoscitore dei rapporti tra letteratura e scienza, converserà con Margherita Hack. L’incontro sarà presieduto da Flavio Fusi Pecci, Direttore dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna. ■ Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Piazza Galvani 1 - Bologna Martedì 24 maggio alle 17.30 TAVOLA ROTONDA “QUARTO CONTO ENERGIA” Per approfondire gli aspetti tecnici ed economici e valutare le ricadute, per i cittadini, le aziende e sul mercato in generale, dell’installazione di impianti fotovoltaici. ■ Sede regionale di Legambiente, Piazza XX settembre 7 - Bologna LAZIO Martedì 24 maggio ore 17.30 AMARA TERRA Documentario sulle brigantesse di Giovanni Di Marco. Saranno presenti il regista, parte del cast, e gli storici curatori del documentario. Si Inizia alle 19,30 con apericena, seguirà la proiezione e successivamente eventuale dibattito a sottoscrizione libera. ■ PIRATERIA, Circonvallazione Ostiense, 9 - Roma Mercoledì 25 maggio ore 18.00 CRONACA DI UN'ATTESA Presentazione del libro Cronaca di un'attesa di Barbara Balzerani (Ed. Derive Approdi). Ne discute con l'autrice Tano D'amico. A seguire Reading di Tamara Bartolini, Michele Baronio, Carmen Iovine ■ Casetta Rossa, Via Magnaghi 14 Roma LOMBARDIA Martedì 24 maggio ore 21.00 PERCORSI SBARRATI: QUANDO LA MIGRAZIONE DIVENTA DETENZIONE Intervengono: Salvatore Palidda, Sociologo, Professore Associato Università di Genova Fabio Quassoli, Sociologo, Professore Associato Università di Milano. Introduce e modera Alessandra Melloni, volontaria Naga ■ NAGA, Via Zamenhof 7/a - Milano SARDEGNA Dal 23 maggio INCONTRI DI FOTOGRAFIA Le associazioni 4Cani per strada e Piccolo Formato presentano un corso rivolto a chi vuole incontrarsi per approfondire e conoscere a fondo la fotografia e scoprire le tecniche di stampa manuale e di sviluppo del negativo B/N nel laboratorio di Camera Oscura ■ Spazio liberato della EX-Q, corso Angioy - Sassari TOSCANA Martedì 24 maggio ore 21.30 CHUECATOWN Il cineforum cult di Azione Gay e Lesbica, presenta "Chuecatown" (regia di Juan Flahn -Spagna 2007). Ingresso libero e aperto a tutti/e/. Nell'occasione sarà possibile acquistare il biglietto del pullman per partecipare all'Europride di Roma (sabato 11 giugno, 10 €andata e ritorno, partenze da Firenze e da Prato) ■ Azione Gay e Lesbica, Via Pisana 32 r - Firenze Segnalazioni: [email protected] Clandestini, islamici, zingari, comunisti ad abbeverare i cavalli in piazza Duomo: un esercito di fantasmi in fitta schiera. Troppo fitta per essere credibile, viene da pensare, come di un giocatore che si gioca tutte le sue carte in una mano sola non facendo che rivelare la propria oscena nudità. Perché l’evocazione dell’Altro come nemico funziona, lo sappiamo bene, ma non è sufficiente per sé sola. Può essere – ed è – un elemento catalizzatore: ma ci deve pur essere qualche cosa da catalizzare. La costruzione della paura è un vettore fondamentale per l’acquisizione del consenso politico, Hobbes ce l’ha spiegato bene, e per la «servitù volontaria» degli uomini. Ma quando suona la ritirata ci vuole ben altro per rinserrare le fila: e invece il Caro Leader è lì ad enunciare il proprio assedio, e risulta palese la sua richiesta di soccorso, come fosse un prestigiatore che, di fronte al pubblico che abbandona il teatro, in stato confusionario apre la valigia e mostra a tutti i trucchi del mestiere. Certo, questa extrema ratio potrebbe ancora funzionare: del resto il popolo italiano è stato così a lungo abbagliato dai miraggi di questo illusionista che davvero non sappiamo quanto sia stato antropologicamente modificato e pronto a credere a ogni bubbola. Ci hanno provato con la signora Rizzi che ha gridato all’aggressione (ma era costruita male, di fretta, anch’essa frutto di un evidente stato confusionale: «Mi prendeva a calci gridando Viva Pisapia», e già solo questo è talmente ridicolo che nel momento di risveglio uno si rende conto che è solo un sogno di pessima qualità). E figuriamoci se in questi ultimi giorni accadesse uno di quei fatti di cronaca nera così clamorosi che non si potrebbe non pensare anch’essi costruiti ad arte. Ma davvero forse stavolta siamo arrivati allo smascheramento finale. Perché – ed è questo il cuore della questione – l’armamentario retorico di una barbarie (islamici, zingari, stranieri) che assedia una città moderna e tecnologica - «alla vigilia dell’Expo» fa certo leva su un immaginario di lunga durata, un immaginario razziale che percorre la storia della nostra modernità europea, ed è su questo che puntano il Caro Leader e i suoi spin doctors. Ma quando la barbarie (etica, sociale, economica) è qualcosa che si percepisce come inerente al cuore stesso della propria società, si smette di preoccuparsi della barbarie dell’Altro, e la priorità diventa quella di risanare la propria. Ecco, forse a questo punto ci siamo, o quantomeno questa vicenda di Milano è un sintomo che ci potremmo arrivare. copie arretrate 06/39745482 [email protected] STAMPA litosud Srl via Carlo Pesenti 130, Roma - litosud Srl via aldo moro 4, 20060 Pessano Con Bornago (MI) CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster pubblicità srl SEDE LEGALE, DIR. GEN. 00153 roma via A. Bargoni 8, tel. 06 68896911 fax 06 58179764, E-MAIL [email protected] TARIFFE DELLE INSERZIONI pubblicità commerciale: 368 € a modulo (mm44x20), edizione locale: 184 € a modulo cinema edizione locale: 134 € a modulo pubblicità finanziaria/legale: edizione nazionale: 450€ a modulo, edizione locale: 225€ a modulo, finestra di prima pagina: formato mm 65 x 88, colore: 4.550 €, b/n: euro 3.780 posizione di rigore più 15%, pagina intera:mm 320 x 455 doppia pagina: mm 660x455. DIFFUSIONE, CONTABILITÀ. RIVENDITE, ABBONAMENTI: reds, rete europea distribuzione e servizi, viale bastioni michelangelo 5/a 00192 roma tel 06 39745482 fax 0639762130 certificato n. 6946 del 21-12-2010 chiuso in redazione ore 21.30 tiratura prevista 70.300 A prima vista sembrano missionari comboniani. Sono invece i militari dell’Africom, il Comando Africa degli Stati uniti. A Gibuti curano i poveri, mentre in Etiopia costruiscono scuole e pozzi e, nel Malawi, affrontano un’emergenza umanitaria. Queste e molte altre opere di bene realizza l’Africom. «L’America ha la responsabilità di lavorare con voi come partner», ha detto il presidente Obama nello «storico» discorso dell’11 luglio 2009 in Ghana, garantendo che il Comando Africa avrebbe contribuito anzitutto a «risolvere pacificamente i conflitti». E assicurando che «l’America non cercherà di imporre alcun sistema di governo a nessun’altra nazione», poiché «la verità essenziale della democrazia è che ogni nazione determini il proprio destino». Venti mesi dopo, il 19 marzo 2011, l’Afri- gnados" , la calorosa intenzione ad «....iniziative, azioni, impegno personale...». Delle due l’una: o si va al mare o ci si impegna personalmente, magari andando civilmente a votare per un quesito referendario, ovvero o si scende in piazza a partecipare oppure si può rimanere attaccati ad una tastiera di pc a dichiarare la propria pochezza civile! Ma dico io, lettore del manifesto da anni, mi devo pure sorbire le sciocchezze del tuttologo di turno, ma soprattutto mi spiegate, a questo punto, perché pubblicate le "lettere" di questo Vivian e cestinate le mie? Vincenzo Galluccio Il potere e l’impunità ____________________________________________ POSTA Prioritaria Repulsione e rabbia Tutte le analisi della maggioranza in merito alla sconfitta milanese della Moratti, sono prive di fondamento e di quella capacità critica e obiettività, che esulino da tornaconti psicologici e dalle attenuanti addotte a giustificarne la causa. I motivi di un tale capovolgimento, non sono stati i toni da guerra civile adottati come armi improprie, da Silvio Berlusconi e accoliti, allo scopo di delegittimare Giuliano Pisapia; No, la verità è un’altra! L’evidente disaffezione dei cittadini italiani verso questi “signori”, é relativa al fatto che, dopo quasi un ventennio, anche i più caproni e rintronati (...), cominciano ad avvertire nausea, conati vomito e una sorta di repulsione fisica ed estetica verso una classe politica che, non solo li ha illusi ma, per anni li ha usati e abbindolati, a fronte di privilegi, impunità e potere. Questa destra fasulla al governo del paese, si è sempre rivolta ai suoi elettori come ad un branco di asini ammaestrati, incapaci (a loro vedere) di un benché minimo personalismo e sussulto di dignità. (...). Ed è per questi motivi che la rabbia degli ingannati, dei raggirati e dei traditi, esploderà in tutta la sua ferocia, montando oltre ogni più rosea aspettativa e previsione. Il vaso era colmo da tempo, e se pur fuori tempo massimo, le elezioni amministrative sono state il pretesto ideale, per liberare e rendere palese una frustrazione al limite del sopportabile. Pisapia stravincerà il ballottaggio con un consenso quasi univoco, rendendo così vano, il prevedibile battage di delegittimazione “a tambur battente” contro la sua persona, e sancire così, la fine di uno fra i periodi più torbidi e inquietanti della nostra Repubblica. Gianni Tirelli ___________________________________________ caso di vittoria: siamo all'abuso d'ufficio. al voto di scambio e per di più con danno erariale. Avv. Felice Besostri Le destre a foruncolo I recenti casi di convulsioni e demenza verificatisi nella destra a Milano hanno acceso il dibattito tra sociologi e politologi per stabilire se essa abbia prevalentemente le caratteristiche del foruncolo (destra foruncoloide, detta anche destra del Berlusconi) o del favo (destra favoide detta anche destra Marcegaglia). La destra a foruncolo si manifesta all'inizio come un rigonfiamento doloroso, circondato da un'area molto infiammata che, soprattutto se sottoposta a pressione com'è avvenuto nel capoluogo lombardo, può rompersi liberando la destra necrotica, una sostanza purulenta dall'odore nauseabondo. La lesione non guarisce ma si riduce trasformandosi in una cicatrice essudativa infettante che dopo un lungo periodo di tempo tende a riallargarsi. La destra a favo o di Marcegaglia è invece un insieme di destre a foruncolo più piccole ma concentrate nel medesimo spazio, con un’intensa azione infiammatoria ed infettiva. Anche in questo caso, sottoponendo l'area a pressione, il pus che si forma nelle destre a foruncolo componenti del favo, fuoriesce in parecchi punti della società contaminando un'area abbastanza vasta. In ogni caso il pus e gli altri essudati dei due tipi di destra quella a foruncolo del Berlusconi o quella a favo di Marcegaglia - sono talmente ammorbanti da mandare in cancrena la società in cui siano stati lasciati troppo liberi di diffondersi. Renzo Butazzi Il pc e la pochezza civile Sempre pagato le multe Sono esterefatto da cittadino che ha sempre pagato le multe, anche quando sono stato multato per essere entrato nella zona Ecopass alle 19.25, dalla promessa di condono delle multe in Qualche settimana fa leggevo una lettera a firma di Fabio Vivian e sulle pagine del manifesto l'accorato invito ad andare al mare nel giorni dei referendum, oggi leggo, ancora a firma di Fabio Vivian ed a proposito degli "indi- L’arte della guerra DIR. RESPONSABILE norma rangeri VICEDIRETTORE angelo mastrandrea CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE PRESIDENTE valentino parlato CONSIGLIERI miriam ricci, emanuele bevilacqua, ugo mattei, gabriele polo (dir. editoriale) ❚ I missionari dell’Africom com ha lanciato l’operazione Odyssey Dawn, la prima fase della guerra il cui reale scopo è rovesciare il governo di Tripoli per imporre alla Libia (paese con le maggiori riserve petrolifere dell’Africa) un governo gradito a Washington. Obama ha anche detto che gli Stati uniti sono impegnati a sostenere in Africa «forti e durature democrazie», poiché «lo sviluppo dipende dal buon governo». Compito che l’Africom attua formando in Africa «forze militari partner, professionali e capaci, per creare una situazione stabile e sicura a sostegno della politica estera Usa». Contribuisce cioè al Manlio Dinucci buon governo in Africa, facendo leva su quei vertici militari che Washington ritiene affidabili o conquistabili. Molti ufficiali vengono formati nel Centro di studi strategici per l’Africa e in vari programmi, soprattutto l’Acota attraverso cui sono stati addestrati circa 50mila istruttori e soldati africani. Stesso scopo hanno le esercitazioni militari congiunte, come l’Africa Lion attualmente in corso in Marocco, dove sono sbarcati 2mila marines. L’esercitazione, cui partecipano 900 militari marocchini, è diretta da un comando congiunto mobile (Djc2) inviato dallo U.S. Army Africa, il quartier generale di Vicenza delle forze terrestri AfriCom, collegato a quello delle forze navali con sede a Napoli. Il Djc2, spiega un ufficiale, può essere dispiegato «in qualsiasi condizione, in qualsiasi parte del continente». Anche se il quartier generale del Comando Africa resta a Stoccarda, data la riluttanza di quasi tutti i paesi africani ad ospitarlo, e Obama assicura che esso «non mira ad avere un punto d’appoggio in Africa», l’Africom ha già qui una forza permanente: la Task Il direttore di «Oggi», Umberto Brindani, riguardo a Strauss-Kahn, accusato di violenza carnale (preferisco questa espressione al termine di norma usato), scrive: «Come può un uomo ricco, potente, colto, raffinato, in ascesa, andarsi a ficcare in un disastro simile? Certo, non è il primo, e non sarà l'ultimo, a confondere il potere con l'impunità». A me pare che non si tratti di potere e neppure di confusione tra questo e l'impunità. Si tratta semplicemente dell'incapacità di dominare i propri bassissimi istinti bestiali. E questo, infatti, accade anche a uomini non ricchi, non potenti, non colti, che davvero non possono fare confusione tra il potere che non hanno e l'impunità. Che si tratti di tale incapacità è provato ancor più dal fatto che, nel caso specifico, l'uomo potente non solo avrebbe avuto tutto l'interesse a non mettersi nei guai, ma avrebbe anche la possibilità, essendo appunto ricco e potente, di avere facilmente relazioni con donne. Superfluo ricordare che Strauss-Kahn è da considerarsi innocente sino alla conclusione del processo. Francesca Ribeiro La storia di De Luca L’enorme successo ottenuto da Vincenzo De Luca alle recenti elezioni amministrative di Salerno (il 74,42% dei voti, percentuale più alta d’Italia) induce a riflettere sul rapporto, non sempre chiaro e lineare, tra politica e amministrazione. È indubbio che De Luca sia un ottimo amministratore, un Sindaco che è stato capace di cambiare radicalmente il volto della città di Salerno. E questo dato spicca ancora di più se esso viene confrontato con i pessimi risultati amministrativi ottenuti in città vicine come Napoli. Ma De Luca può anche essere definito un ottimo politico, una persona cioè dotata di un pensiero politico chiaro e lineare, adeguato a un leader di un partito progressista come il Partito Democratico? Non sembrerebbe alla luce delle numerose gaffe commesse nel corso della sua storia politica (le ultime sono la mancata rinuncia alla prescrizione in un processo che lo riguardava, dopo aver promesso di rinunciare; l’affermazione che se avesse abitato a Napoli avrebbe votato il candidato della destra Lettieri e la critica a Gianfranco Fini di abusare del suo ruolo di Presidente della Camera. Quindi la storia di De Luca è la dimostrazione che non sempre la buona amministrazione e la buona politica vanno d’accordo. Del resto si pensi ai tanti buoni amministratori leghisti che ci sono al Nord (...). Questo è il motivo per cui, secondo me, gli aderenti al Pd e a SeL che hanno votato per De Luca hanno sbagliato. Speriamo che Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris vincano i prossimi ballottaggi e che dimostrino, successivamente, di essere anche buoni amministratori. Franco Pelella Pagani (Sa) force congiunta del Corno d’Africa, circa 2mila uomini con base a Gibuti, che conduce operazioni (in gran parte segrete) in diversi paesi. L’Africom ha anche diverse «Stazioni per la partnership in Africa»: navi da guerra che vanno di porto in porto, funzionando da basi mobili in cui vengono addestrati i militari africani. Scali preferiti quelli dell’Africa occidentale, regione ricca di petrolio e altre preziose risorse, dove la fregata lanciamissili Robert G. Bradley ha visitato in aprile Capo Verde e Senegal. Per l’addestramento (e per operazioni segrete), l’Africom si avvale anche di compagnie militari private, come le famigerate DynCorp e Xe Services, pagate con il fondo di un miliardo di dollari istituito dal Dipartimento di stato per «il mantenimento della pace in Africa». il manifesto MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011 pagina 15 next COMMUNITY Come reagire per attenuare l’offensiva mediatica della mummia Il ritorno della mummia televisiva ha lo scopo di chiamare al voto gli elettori che a Milano gli hanno voltato le spalle lasciandolo a secco di preferenze. E la televisione è lo strumento più efficace per parlare all'elettorato di riferimento. Pochi voti bastano nel maggioritario a fare la differenza tra chi perde e chi vince. Abbiamo imparato che la forza mediatica di Berlusconi è un'arma capace di far risalire i sondaggi e i voti (vedi la campagna sulla sicurezza nelle elezioni del 2008), cambiando l'agenda, imponendo i temi di campagna elettorale sui quali deformare il dibattito pubblico. Come si può, se non neutralizzare, almeno attenuare la potenza di fuoco del conflitto di interessi?Cosa si può mettere in campo per far rispettare le regole della par condicio? La campagna elettorale di Pisapia sta assumendo forme creative: tormentoni con tutto quello che fa rima con Pisapia, nastrini arancione di cui parliamo nell'articolo di oggi, contestazioni ai mercati durante le passerelle di Moratti. Una controffensiva nella comunicazione e una riattivazione della partecipazione delle persone. Che però deve fermarsi al contesto locale. La comunicazione creativa della campagna elettorale di Pisapia può attenuare lo scempio della televisione? INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: www.ilmanifesto.it [email protected] – ❚ La sinistra va in città CODICI ELETTORALI PERCHÉ SOLO IL VOTO NON BASTA PIÙ Enzo Mazzi A ncora una volta la competizione elettorale coinvolge con una tale carica emotiva «apocalittica» che si rischia di perdere il senso della sua relatività. Le elezioni, così come vengono vissute, appaiono come un «buco nero siderale» che ingoia energia, senso della vita, ricchezza di rapporti, e crea il vuoto di reale partecipazione democratica. Perché insinua e diffonde nella convivenza civile il veleno mortifero della cultura della contrapposizione. Non per nulla si usa un codice espressivo spietatamente binario, sì/no, bianco/nero, di qua/di là, vinti/vincitori. E questo dover tagliare col coltello è impietoso per chi ama la complessità dell’esistenza sia personale che sociale e su tale complessità fonda il senso della politica. C’è in vista una reale alternativa alle elezioni? Ritengo di no. Ma la società civile dei diritti di tutti e della solidarietà, l’associazionismo di base, l’area del volontariato, dell’autonomia e della responsabilità, è confermata nella sua convinzione che il mondo della politica, sempre più lontano dalla vita, deve tornare a intrecciarsi con i sentieri della trasformazione dal basso della società intera e delle singole coscienze. È una nuova cultura che deve svilupparsi, per guidare i processi del cambiamento invece di esserne dominati. Serve conoscenza, razionalità, fiducia, collaborazione. E non la paura che è sempre più lo strumento per attirare consensi. Strumentalizzare e fomentare a scopo di potere e di dominio lo sconcerto e anche la paura del parto sociale che sta avvenendo nel grembo fecondo della realtà attuale è una forma grave di criminalità politica. E purtroppo è proprio questo che sta avvenendo. Di fronte a questa mobilità planetaria si alimenta la paura del diverso che attenta alla nostra identità, la paura dell’immigrazione che viene a rubarci lavoro, benessere, tranquillità, la paura del terrorismo che incendia il mondo. Di fronte a conquiste scientifiche e tecnologiche che penetrano nel sacrario più intimo della vita, si enfatizzano in modo esasperato i pericoli in campo genetico e riproduttivo, si colpevolizza la responsabilità della donna nel campo riproduttivo fino ad accusarla di assassinio non solo per l’aborto ma per lo stesso uso della pillola abortiva. Di fronte a prese di coscienza e scoperte nel campo della psiche che rivelano profondità e pluralità di modi di essere finora ignorati, che impongono l’affermazione di diritti negati di parità della donna, che aprono orizzonti di dignità per le persone dall’orientamento sessuale finora represso, si demonizzano nuovi modi di impostare i rapporti umani come attentati alla natura. Un grande compito di formazione culturale sta davanti alla politica e alla società civile e una grande alleanza s’impone fra istituzioni, organizzazioni sociali e movimenti per guarire dalla paura e ritrovare fiducia. La delega democratica usata come sedativo addormenta il senso critico e consente al cosiddetto berlusconismo di covare sotto la cenere. La partecipazione critica della società, possibile solo se la politica fa un passo indietro e si allea di nuovo con la vita, è essenziale per non trasformare l’elezione in un affidamento irresponsabile che esorcizza la paura ma non la guarisce. VUOTI DI MEMORIA – Stalingrado Alberto Piccinini Soltanto tre settimane or sono (...) nel pieno della gravi sventure che la Nazione affrontava nella battaglia sul Volga, ci siamo raccolti in un raduno di massa, il 30 di gennaio, per mostrare la nostra unità, la nostra unanimità e la nostra ferma volontà di vincere le difficoltà che fronteggiavamo nel quarto anno di guerra. Fu per me un’esperienza commovente e probabilmente lo fu per tutti voi, essere collegati via radio con gli ultimi, eroici combattenti a Stalingrado durante il nostro possente raduno, qui allo Sportpalast. Essi ci comunicarono che avevano ascoltato il proclama del Führer e forse per l’ultima volta nella vita si univano a noi colle braccia tese per intonare gli inni nazionali. Quale esempio hanno rappresentato i soldati tedeschi in questa grande epoca! E che obblighi ciò impone a noi tutti, in particolare all’intera madrepatria tedesca! Stalingrado è stata ed è il grande monito del destino alla Nazione tedesca! Una Nazione che ha la forza di sopravvivere ad un tale disastro e vincere, ed in più trarne forza ulteriore, è imbattibile. Nel mio discorso a voi e al popolo tedesco io ricorderò gli eroi di Stalingrado, che hanno lasciato a me e a voi tutti un immenso dovere da compiere. Io non so quanti milioni di persone mi stanno ascoltando stanotte alla radio, a casa e al fronte. Voglio parlare a tutti voi dal profondo del mio cuore ai vostri cuori. (Joseph Goebbels, discorso allo Sportpalast di Berlino dopo la sconfitta di Stalingrado; 18 febbraio 1943) P er tanto tempo, di fronrisponde al proprio benessete al crollo dell’ideolore reale; e non sempre è innogia e ai tanti comportacente, lui stesso portatore e menti dissidenti di vecchi miartefice della propria e altrui litanti delusi e disincantati infelicità privata e pubblica. che nemmeno più si recavaTuttavia, a ben vedere ciò no a votare, ci siamo chiesti che sta accadendo in questi cosa significasse oggi essere giorni a Milano, così come a di sinistra, in una realtà semNapoli, ma anche nei paesi pre più complessa e sempre arabi o nella piazza del Sol, si meno classificabile nei vecdirebbe che alla fine prevalchi e rassicuranti schemi di ga la sua natura conviviale ripensiero. Un dibattito che si spetto a quella individualistiè svolto silente per molti anca, perfino la sua parte gentini e che cercava di individuale. Se approfittassimo di quere un significato nuovo da sosto squarcio di sole per celestituire al vecchio; che fosse brarne solo la sua parte buocondiviso dai molti senza dona, quella inevitabilmente sover ricorrere, appunto, alciale e solidale, dimentichel’ideologia dei o del Partito o remmo le tante e grandi tracomunque alla tradizione pogedie che hanno costellato la litica. nostra storia e il secolo passaCome spesso accade, la vito. Ci sarebbe perfino da ta reale mostrava fenomeni e chiederci, nella nostra piccocomportamenti dei singoli, la patria, perché siamo stati soprattutto giovani, che non governati da un berlusconipotevano che essere considesmo che ha dato fiato (ed è rati di sinistra, seppure destato accolto) solo alle pulsiovianti o anomali rispetto a ni più profonde e perverse ciò che abbiamo sempre credell’animo umano. Enzo Scandurra duto fosse la sinistra. Negli Giuliano Pisapia, sopratultimi anni questi fenomeni tutto, è un fenomeno nuovo e comportamenti sono divenche va osservato, indagato, tati più evidenti e perfino egemoni sul piano culforse è la figura nuova della sinistra che si aspetturale ma anche politico. Le proteste degli stutava da tanto tempo: un uomo mite, intransidenti, le espressioni della società civile e, da ultigente nei suoi principi (ma questa intransigenmi ma non per ultimo, le proteste del mondo za è un merito non una miopia o un difetto), arabo e degli indignatos spagnoli. Proteste ma capace di pensare, come invece fanno non spiazzanti, imprevedibili perfino ai politologi solo i suoi avversari ma anche molti della sinipiù avveduti ma che mirano al cuore dell’ingiustra, che non ci sono, e non ci saranno mai, fini stizia e della mancanza di libertà reale di paesi i meritori che possano giustificare mezzi illeciti. più diversi: dalle dittature arabe, ai governi deUn insegnamento che la sinistra ufficiale non mocratici dell’Europa (che strano accoppiaha mai compreso, che anzi ha snobbato come mento!). Questo essere nuovo della sinistra non appartenente alle anime belle fuori della micorrisponde affatto ai modelli che vecchi milischia. tanti del Pd, in odore di nuovismo, ci avevano E’ presto e azzardato dire tutto questo? Direi propagandato (il riformismo veltroniano, l’astudi no ad osservare non già e non solo i risultati zia tattica di dalemiana sempre utile a far perdeelettorali del primo turno, quanto piuttosto lo re le battaglie) e neppure a spettacolo di città che pensaquelli della sinistra più radivamo socialmente decadenComportamenti cale. Era (è) qualcosa che va ti, proiettate: Milano nella fiee fenomeni oltre questi recinti e che pora delle global city tanto care trebbe essere riassunto nella ai celebratori della globalizzache in passato formula (di Arrigoni): essere zione e Napoli nel folklorinon erano considerati smo romantico e guappesco umani. L’essere umano, ce lo ha tante volte ripetuto Indei munnezzari e amanti deldi sinistra, in questi grao, è qualcosa di indicibile, la pommarola. Da queste citultimi anni sono stati tà, dalle loro piazze creative, difficile da definire con una sola parola e tanto meno riasinvece riparte una speranza. corpo e anima sumibile in quel termine conLeggendo ciò che sta accadel cambiamento. testato dalla Arendt di generidendo, guardandolo (stupeco appartenente all’umanifatti) dagli schermi della tv La sinistra di Pisapia tà. Essere umano si diventa, come uno spettacolo inaspetne è un bell’esempio non ci si nasce, diceva la filotato, viene la voglia, a chi in sofa ebrea. Ma l’essere umaquelle città non abita e non no, a differenza delle altre specie viventi del piarisiede, di prendere il treno per unirsi a loro, o neta, è innanzi tutto essere sociale, conviviale; prendere un aereo per andare a Madrid o in vive bene in compagnia; da solo è condannato una delle tante piazze delle tante città della alla pazzia e al delirio delle proprie fantasie e ossponda sud del nostro mediterraneo dove la sessioni. gente è uscita nelle strade a riguardar le stelle. I Non è, l’essere umano, però solo conviviale, saggi, i politologi, gli interpreti di ciò che sta acsolo pacifico, solo desideroso della propria e alcadendo (e che quasi mai ne azzeccano una), ci trui felicità. Franco Cassano in un suo libro remettono in guardia, ci invitano alla moderaziocente, che ha suscitato un grande e liberatorio ne, quasi quasi dispiaciuti che la storia non li abdibattito L’umiltà del male, ci ricorda la sua parbia consultati prima evitando loro la solita brutte oscura. Non sempre sa far buono uso della lita figura di essere stati spiazzati o smentiti nelle bertà che pure invoca e, talvolta neppure semloro previsioni. I giovani non sono sorpresi, il brerebbe desidera; non sempre ha presente a nuovo sanno accoglierlo e non sempre la loro è se stesso i propri limiti, spesso confonde desideingenuità destinata a ritornare nel cono d’omrio e realtà, non sempre sa scegliere ciò che corbra. SINISTRA, NAPOLI E MILANO ILCAMPOLARGO DELVOTO:NÉESTREMI NÉ MODERATI Carmine Fotia L’ elettorato del centrosinistra è più coeso di quanto siano i partiti che, bene o male, lo rappresentano. E anche molto più saggio dei suoi gruppi dirigenti, a cominciare da quelli del Pd, i cui errori a Milano, a Cagliari, soprattutto a Napoli, sono stati corretti dai suoi stessi elettori. I quali hanno anche chiaramente indicato alla sinistra più radicale la necessità di un’assunzione di responsabilità di governo (voto a Sel e alla Fds) senza però perdere di vista la necessità di incrociare la nuova protesta civile che anima le piazze italiane (il travaso di voti dall’Idv al Movimento cinque stelle onestamente ammesso da Di Pietro). L’idea che il Pd avrebbe dovuto rompere con Sel, Idv e Fds, per andare all’abbraccio con il centro moderato è stata bocciata dagli elettori che hanno invece indicato una strada diversa: scegliere le persone che rappresentino valori diversi rispetto agli avversari e sceglierli con un metodo, quello delle primarie che (come annotava su Il Riformista di giovedì scorso Claudio Petruccioli) restituisce potere ai cittadini e lo sottrae alle oligarchie di partito. In questo senso, non si deve avere nessuna paura delle parole: si tratta di scelte "radicali", che non vuol dire affatto "estremiste". Difatti, tali scelte, se sostenute da persone giuste e da idee forti, non sono affatto prive di appeal per l’elettorato moderato. Pisapia ha saputo compiere un gesto ghandiano, rifiutandosi di stringere la mano a chi l’aveva appena calunniato, con la mitezza di chi non ha bisogno di urlare perché ha con sé la forza delle sue idee. A dispetto dei predicatori del moderatismo, tale appeal sembra averlo anche De Magistris a Napoli, la cui vittoria al primo turno non va letta per nulla sull’asse estremismo/ moderazione piuttosto su quello illegalità/legalità. Su De Magistris si è riversato un sentimento civico, un bisogno di rottura non solo con un centrodestra colluso con la camorra ma anche con un centrosinistra che lì come in Sicilia e in Calabria, aveva espresso il peggio. Non si spiegherebbe perché, altrimenti, Umberto Ranieri, l’esponente del Pd più vicino a Giorgio Napolitano (non solo straordinario Presidente, ma anche padre spirituale dei riformisti italiani) si sia apertamente schierato per De Magistris e il moderato Pasquino abbia fatto chiaramente capire che s’intende più con lui che con Lettieri. Sono segnali importanti, ci dicono che dal berlusconismo non si esce con una proposta sbiadita e neomoderata, bensì con una proposto di alternativa, credibile proprio perché radicale. A tal proposito, vorrei concludere segnalando due fatti che, secondo me, possono contribuire alla necessità di uscire dalla «cultura del berlusconismo», che indicava Norma Rangeri. La prossima uscita, per i tipi di Marsilio di un denso volume di Goffredo Bettini nel quale si lancia l’idea del Pd come campo largo e inclusivo, aperto a Sel e Idv, liberato attraverso le primarie dagli inamovibili oligarchi: non un semplice cambiamento ma una vera e propria rifondazione che rimetta al centro le parole chiave in grado di costruire una nuova narrazione della sinistra. Su un piano del tutto diverso, di «lievito culturale per il centrosinistra del terzo millennio», si muove la riapertura del cantiere della Rete, che ho promosso insieme a Leoluca Orlando e a tanti altri, con l’obiettivo primario di lavorare anzitutto sul linguaggio, perché siamo convinti che senza riconquistare l’autonomia delle nostre parole non potremo mai essere realmente alternativi non tanto a Berlusconi, quanto al berlusconismo. Diario dal bunker anti-nucleare O ggi abbiamo avuto il piacere di ricevere un ospite nel nostro rifugio, un’ospite speciale che si fermerà per un po’ con noi. Si tratta di Janette, una delle tipe più toste che abbiamo mai conosciuto. Ma lasciamo che sia lei stessa a presentarsi, come si è presentata a noi. «Sono nata il 22 settembre 1920 a Varsavia, dove mi sono diplomata e iscritta alla facoltà di giurisprudenza, ma la guerra ha interrotto i miei studi. Ho vissuto i cinque terribili anni dell’occupazione tedesca, sono stata testimone delle atrocità inflitte alla popolazione polacca e in particolare agli ebrei. Ho poi preso parte alla rivolta di Varsavia contro i nazisti. Dopo la quasi completa distruzione della capitale e la strage dei suoi abitanti, sono stata deportata Janette è con noi con gli altri giovani sopravvissuti in un campo di lavoro in Germania. Lì ho conosciuto un prigioniero italiano – «un traditore» – è diventato mio marito. Quando nel maggio del 1945 i tedeschi si sono arresi, Piero Levratto è tornato a Vado Ligure, portandomi con sé. Ci siamo costruiti una bella famiglia e fra pochi mesi arriverà anche il secondo pronipotino. Da quando mio marito è morto diciotto anni fa faccio volontariato insegnando all’Università della terza età. Da anziana ho scoperto una forte passione per la letteratura: ho scritto racconti e ora sto provando con il mio primo romanzo. Sono orgogliosa di avere contatti con Greenpeace e di dare un contributo alla battaglia per la difesa dell’ambiente». Janette è una signora minuta, piena di racconti da condividere e di vi- vacità. Ci eravamo preparati a doverle spiegare gli aspetti più complessi della nostra protesta, ma è stata lei stessa a chiederci i dettagli, informandosi su ogni particolare. Anche noi l’abbiamo subito subissata di domande sulla sua vita, sulla guerra. Janette, che è nata in Polonia, ha vissuto la storia del nostro paese come noi ragazzi della generazione 2.0 non possiamo neanche immaginare. È per questo che il suo appoggio alla nostra protesta è ancora più importante. Sapere che non sono solo i più giovani a credere in un futuro migliore ci rende più forti. E a tutti quelli che ci accusano di essere solo dei ragazzi fricchettoni senza esperienza vorremmo presentare questa giovane. A novantuno anni guarda al futuro almeno quanto noi.