del metaforico e intertestualità folkloriche. Un

Transcript

del metaforico e intertestualità folkloriche. Un
‘DOMINIO’
DEL
FOLKLORICHE.
UN ESEMPIO PIEMONTESE (*)
METAFORICO
E
INTERTESTUALITÀ
ALBERTO BORGHINI
Fra le diverse caratteristiche-e-capacità attibuite in area piemontese
alle c.d. masche (streghe cioè), si racconta della loro prerogativa di –
poniamo – “far vedere una capra” o addirittura “dei mucchi di capre”.
L’attestazione che segue riguarda la zona di Albaretto della Torre, in
provincia di Cuneo: (1)
“(…) Quelle lì (le masche cioè) comunque hanno dei “libri” (2), le
fanno vedere… e adesso non ce n’è più nessuno in giro… o che li
hanno bruciati o che qualcuno ce l’ha ancora ma non fanno più ‘ste
stupidaggini lì, come andare a far vedere una capra ad uno che va a
casa… Che mio suocero diceva: “Lì qualcuno mi ha fatto vedere ‘sta
capra… mi ha accompagnato (la capra cioè) lassù dal “bricco” (3) fino
a casa”… C’è qualcosa con cui loro ti fanno vedere…”.
In effetti il suocero dell’informatrice (4) aveva a suo tempo – e più
volte - raccontato di una misteriosa capra che una notte (anzi, più
esattamente, proprio verso mezzanotte) gli era comparsa e gli era stata
“sempre appresso”, fino a casa per l’appunto; poi “non l’ha più vista”.
Così, ancora, la medesima informatrice: (5)
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
“Mio suocero… lui diceva che era andato a Lequio (Lequio Berria
cioè), e dopo era andato a fare la partita… è andato all’osteria… dopo
diceva che veniva a casa che era mezzanotte, è passato lassù dal
“bricco”… dal “bricco” a venire avanti… diceva che aveva una capra
sempre appresso… sono le masche… sempre una capra appresso… le
volte che l’ha raccontato… diceva: “Ma sai… le facevo così (cenno di
avvicinarsi cioè)… e lei era sempre solo lì dietro”. E poi diceva:
“Bene, se viene a casa la chiudo nella stalla”… ha detto che l’ha
accompagnato (la capra cioè) fino a casa… quando è arrivato a casa
non l’ha più vista… Eh, una volta le raccontavano ‘ste cose lì”.
Di un consimile ‘effetto operazionale’ da parte delle masche ci dice
un’altra informatrice, anch’essa cuneese, di Cerretto Langhe: (6)
“(…) Dopo ne so un’altra, ma questa… questa io non so… di
Fortunata qui del paese… ne hai già sentito parlare?… della
Fortunata… stava ai “Duecento”… stava qui a Cerretto… Ebbene,
mio papà è andato a caricare la legna con il bue, c’era mio fratello
davanti… e sono venuti su tranquilli con ‘sto carico di legna fino a…
fino a quando c’era solo più due metri o un “trabucco”… una volta
dicevano un “trabucco”… un “trabucco” per arrivare alla strada… e
‘sto bue si è messo… per terra… e a raspare, a fare dei versi… e poi
non andava più su… per un po’… dopo mio padre era forte, mio
fratello era davanti, ma era ancora piccolo, aveva paura che ‘sto bue lo
tirasse per terra… Ha preso il bastone mio padre, ha dato due o tre
130
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
botte a ‘sto bue… niente da fare… ‘sto bue tirava dei soffi e non
andava più avanti… allora mio padre è stato un po’ ed un po’, dopo ha
detto: “Lo stacco… lo stacco ‘sto bue, per vedere quello che fa”. Solo
che per staccarlo… c’era ancora la salita… non andava mica su… E
allora hanno… c’era una che dicevano la Fortunata… a mio padre è
venuta in mente… raccontava che ha detto… si è messo a dire:
“Cristu, se prendo ‘sta Fortunata… se ti prendo ti strangolo!”… Dopo
sono ancora stati un bel po’ lì… dopo si vede che lei è scappata… si
era nascosta, si era nascosta nella cunetta… mio papà diceva che si era
nascosta nella cunetta… lei si era nascosta… mio padre ha fatto ‘ste
due urla così e il bue ha fatto che alzarsi e andare via come niente
fosse… E lì era la masca… perché ‘sta Fortunata era una masca… per
me è verità, poi non so se… ‘sta Fortunata lì… la chiamavano la
Fortunata… stava alla Cerretta… sempre Cerretto, ma alla Cerretta…
era una vecchia che stava alla Cerretta… e faceva anche vedere le
capre… e lei pure aveva sempre una capretta assieme… sì sì, ti faceva
vedere dei mucchi di capre attraversare la strada…Buon’anima di mio
papà diceva che stava alla Cerretta… e quando tornavano da là dietro
con ‘sta legna, stavano per arrivare proprio alla Cerretta, e lei si era
nascosta in ‘sta cunetta… si era nascosta in ‘sta cunetta e non lasciava
più andare su ‘sto bue… sono stati un bel po’ lì fermi… quando gli è
venuto in mente di ‘sta Fortunata, allora si è messo a litigare: “Se ti
prendo ti ammazzo”, e così ‘sto bue si è incamminato per andare”.
131
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
Da sottolineare, in questa attestazione, il particolare per cui la masca
che “faceva vedere” le capre – e a “mucchi” – aveva “lei pure (…)
sempre una capretta assieme”.
Sulla base di una serie piuttosto ricca ed articolata di dati, ritengo di
poter interpretare la combinazione ‘vecchia con la capretta’, in quanto
(sul piano immaginario) masca con la capretta, alla stregua di una
proiezione sintattica (complemento di compagnia, si potrebbe dire), a
partire da una correlazione forte (nucleare) che il sèma ‘capra’ risulta
folkloricamente suscettibile di intrattenere - lo si sa – con la sfera del
negativo (piano simbolico). (7)
Sebbene si tratti – come accennavo – di cosa assai nota, riporto un
paio di attestazioni, ‘selezionate’ (anche) secondo una certa coerenza e
contestualità, nonché costruibilità, del senso. La prima proviene –
ancora una volta – dal Cuneese (Alberghetti di Mombasiglio):
“C’è una fontana, no, e vedevano sempre una capra, dicevano quello,
che era una masca. C’era una fontana laggiù, c’è ancora adesso, eh,
quella fontana, e c’era sempre una capra lì dentro; era una masca. Per
quello io, quando ero giovane, avevo otto o nove anni, andavo al
paese a far la spesa, quando passavo di lì avevo sempre paura di quella
capra, di vederla”. (8)
La seconda attestazione, raccolta in provincia di Torino (Balangero (9)
), prospetta – fra l’altro – un decorso ‘evenemenziale’ per certi versi
132
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
piuttosto simile – ma la conclusione sarà differente - rispetto a quello
configurato nel racconto dell’uomo di Albaretto della Torre;
dell’uomo cioè (il suocero dell’anziana informatrice) che una
misteriosa capra – comparsa attorno alla mezzanotte – aveva seguito
sino a casa (poi non si era più vista).
Riferisce l’informatore di Balangero Torinese: (10)
“Questa storia è una storia della zona di Locana, e si diceva che fuori
dal paese di Locana c’era una fontana, ma una fontana… una
sorgente… praticamente non proprio una fontana di quelle che si
intendono adesso, e un giorno un pastore che abitava sugli alpeggi si è
fermato per bere a quella fontana e a un certo punto, dopo aver
bevuto, si volta e vede che dietro c’erano due capre, fa finta di niente,
continua, e queste capre lo seguono, lo seguono, lo seguono sempre,
ad un certo punto lui arriva a casa sua sull’alpeggio. E allora cosa fa?
Prende queste due capre e le chiude nella stalla e poi va a dormire. Al
mattino dopo, quando scende, sente delle risate nella stalla, apre la
stalla e scappano fuori due masche… Praticamente queste facevano
questi scherzi alla gente, si trasformavano in animali e poi facevano
questi scherzi. Quindi sono scappate via urlando e ridendo. E ha preso
(l’uomo cioè) un grosso spavento”. (11)
Se l’uomo di Albaretto della Torre non era riuscito a rinchiudere nella
stalla la misteriosa capra che l’aveva nottetempo seguito, il pastore di
Locana effettivamente chiude nella stalla dell’alpeggio le due capre
133
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
che – allo stesso modo – l’avevano seguito fino a casa; ed in
quest’ultimo caso le due capre risulteranno essere – lo abbiamo
constatato – nient’altro che due masche così trasformate.
Il raffronto fra i due racconti suggerirà alcune considerazioni.
Anzitutto, la constatazione che all’interpretazione – diciamo –
illusionistica o allucinatoria (Albaretto della Torre, Cerretto Langhe)
può corrispondere quella che si propone come lettura metamorfica. In
altre parole, alla capra e alle capre ‘fatte vedere’ dalla masca (effetto
illusionistico o allucinatorio che dir si voglia) non sarà estraneo il
tema – ampiamente e contestualmente riscontrabile – della ‘capra’ in
quanto forma metamorfica degli esseri del negativo (e, nello specifico,
delle masche piemontesi).
Gli effetti illusionistici, o allucinatori che dir si voglia, trovano o
possono talora trovare – cioè – riscontri ben precisi sul terreno delle
‘interpretazioni’ e delle ‘esperienze’ metamorfiche (capra/capre che
è/sono masche). E’ quel che i racconti di folklore ci pongono dinanzi
con sufficiente chiarezza.
Torniamo, comunque, per un attimo indietro. Di contro al tema della
capra/capre in quanto forma metamorfica della masca (degli esseri del
negativo più in generale), un motivo qual è quello della vecchia masca
che “aveva sempre una capretta assieme” – in certo modo funzionante,
parrebbe di capire, come tratto di riconoscibilità o, ad ogni buon
conto, come tratto caratterizzante della strega stessa – verrà a
134
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
configurarsi alla stregua di un effetto di ricaduta metonimica
(complemento di compagnia, contiguità strega-e-capra) (12), alla
stregua di un effetto di ‘slacciamento’ (capra distinta dalla masca,
seppur sempre assieme) rispetto ad un polo (‘polo di amalgama’ direi)
che è quello della identità/identificabilità (capra che è senz’altro la
masca stessa). (13)
Saremmo di fronte, insomma, ad un momento
di ‘derivazione’
(metonimica) rispetto ad un nucleo logicamente e semioticamente
primario (‘generante’) costituito dall’effetto di identificazione
metamorfica (masca sotto forma di capra, capra in quanto forma della
masca).
In altri termini, il nesso sintattico rappresentato – nel caso in questione
- dal complemento di compagnia (un soggetto ‘vecchia masca’ cui è
associato un attributo caratterizzante o comunque un attributo ‘capra’)
risulterà leggibile sullo sfondo intertestuale, di ‘contesto non
immediato’, in cui il momento cardine è dato dall’elemento attributivo
corrispondente (sèma ‘capra’) in quanto suscettibile di occupare
senz’altro la posizione del soggetto (soggetto del negativo, nel caso in
questione ‘masca’).
Dunque, e riassumendo, il sèma-attributo ‘capra’ (giudizio di
attribuzione) può occupare la posizione sintattica dello stesso soggetto
‘masca’ (giudizio di esistenza), identificandosi con esso (capra che è
una /la masca); oppure il sèma-attributo ‘capra’ (giudizio di
attribuzione) può occupare, rispetto al medesimo soggetto, o rispetto
135
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
al medesimo tipo di soggetto (giudizio di esistenza), la posizione
sintattica del complemento (di più complementi); nell’esempio qui
prospettato, del complemento di compagnia (masca con la capra). Le
valenze e il valore caratterizzanti di tali complementi potranno
acquisire evidenza soprattutto se considerati nel gioco delle
intertestualità: per il fatto che si presentano come costante ma non
solo per questo; anche, intendo, per il fatto che si presentano,
‘differenzialmente’, come volta a volta variazione sintattica nel
quadro di una rete, appunto, di variazioni sintattico-posizionali di (a
partire da) un medesimo elemento semantico, di (a partire da) un
medesimo sèma-attributo. Vale a dire, in fin dei conti, a partire dal
significante: dal sèma come significante nell’accezione attiva,
dinamicamente attiva, di ‘in grado di significare’ (e di significare
differenzialmente).
Sarà opportuno tener presente che, sul terreno delle intertestualità
folkloriche, ciò si verifica per diversi sèmi-attributo, ciascuno dei
quali va – effettivamente – ad occupare, in differenti racconti (per lo
più in differenti racconti), posizioni sintattiche differenziate.
Si tratta di racconti che su tali basi – di unità/unificazione semantica,
semantico-attributiva – appariranno analogicamente coordinabili; e il
tipo di analogia(/differenzialità) che ne risulta sarà – da questo punto
di vista - di ordine sintattico.
La descrizione del singolo racconto passa attraverso (gli) altri racconti
analogicamente coordinabili; è il ‘racconto attraverso il racconto’,
136
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
lungo le orizzontalità – per così esprimermi – di ogni singolo e
concreto racconto. (14)
Ancora.
Assumendo
il
metaforico
come
sfera
delle
identificazioni/identificabilità, la metamorfosi verrà ad essere il
corrispettivo mitologico e folklorico della metafora stessa. Ed è in
rapporto ad un siffatto nucleo che è di identità/identificazione
metamorfica (ovverosia metaforica) che la connessione ‘masca-concapra’ (complemento di compagnia) assumerà la configurazione
propriamente intertestuale di una risultante per contiguità (15)
(derivazione metonimica per ‘slacciamento’ del metaforico, per
‘spostamento’ dal metaforico; ovverosia, realizzazione sintatticamente
metonimica del sèma o attributo significante).
In una prospettiva del genere si inscriverà altresì l’effetto che
chiamerei causativo, rappresentato dalla masca che ‘fa vedere’ una
capra o “dei mucchi di capre (attraversare la strada)”: l’effetto
causativo rappresentato cioè dalla masca che ‘fa vedere’ secondo –
tale la mia proposta di lettura interpretativa - quella che è una forma
metamorfica – e metaforica – della sua stessa identità; che ‘fa
vedere’, aggiungerei, secondo quella che è la(/una) forma attributiva,
o semantico-attributiva se si preferisce, della sua stessa identità (della
sua stessa identità sul piano del giudizio di attribuzione). (16) Forma
dell’identità a sua volta narratologicamente (e folkloricamente)
‘ricostruibile’, in un modo non di rado piuttosto consistente anche dal
punto di vista documentario, qualora si adotti per l’appunto una
137
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
prospettiva intertestuale, sulla lunghezza d’onda – fondamentalmente
– di quel che chiamerei contesto non immediato.
Sarebbe - per concludere - la metaforicità potenziale di un
sèma/attributo significante (‘capra’ in quanto forma metamorfica,
effettivamente attestata, della masca) che è in grado di ‘generare’ altri
possibili dispiegamenti sintattici (per metonimie differentemente
‘derivate’, e l’una in rapporto all’altra differenzialmente ‘derivata’).
Le differenti risultanze metonimiche, per contiguità ‘reale’ o ‘logica’
con il ‘soggetto del negativo’ (nel caso in questione ‘masca con la
capra’ nonchè ‘masca che fa vedere le capre’) (17), appariranno, da
parte loro, riconducibili al sèma-attributo significante (‘capra’) che ne
costituisce il ‘significante di sostrato’.
Il coordinamento intertestuale dei racconti non è in sostanza
separabile dal rinvio ad una unità semantico-attributiva (pros hen).
Analogia sintattica (differenziazione sintattico-posizionale) e unità
semantica sono nozioni solidali: la prima configura un(/il) campo
di(/dei) dispiegamenti metonimici ‘orientati’ e ‘congruenti’; la
seconda trova il suo momento più marcato proponendosi senz’altro
come soggetto, nella posizione sintattica del soggetto (forma
metamorfica, forma metaforica). Si tratta, allora, di una ‘totale’
convergenza di attributo e soggetto; di giudizio di attribuzione e
giudizio di esistenza.
Alberto Borghini
Note
138
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
(*)Le ricerche nonché le tesi di laurea da me progettate e dirette, cui si
fa riferimento nel presente intervento, sono disponbibili presso il
Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio
(LU), impegnato alla costruzione di un archivio folklorico nazionale.
L’età (approssimativa) degli informatori - quando non indicato, più
precisamente, l’anno di nascita – si riferisce al momento
dell’intervista.
(1)Informatrice Palmina Pressenda, nata nel 1915, intervistata in data
16 febbraio 2007 da Alessandro Fenocchio nell’ambito di un lavoro di
tesi, da me progettato e diretto, sul folklore di alcune località del
Piemonte.
(2)Si tratta del c.d. “libro del comando”.
Circa il “libro”, mi limito qui a proporre – solo proporre – alcune
attestazioni, accennando comunque al fatto che in esse appaiono
riconoscibili nuclei di svolgibilità tematico-narratologiche piuttosto
ricchi e complessi (di cui mi sono almeno in parte già occupato o di
cui mi occuperò in altre sedi): “(…) Da piccola, quando abitavamo
ancora tutti nel casolare dei miei nonni, si sentiva molto parlare di
queste masche, sì, mi ricordo… che avevano dei poteri particolari, e
usavano questi libri dove avevano scritte le loro formule magiche che
poi passavano agli eredi… e non morivano in pace se non avevano
nessuno a cui passarli (…)” (informatrice Marisa Ortalda, 78 anni
circa, di Aramengo, in provincia di Asti, intervistata verso gli inizi
139
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
2007 da Elena Scripelliti, mia allieva presso il Politecnico di Torino,
nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di
alcune località del Piemonte); “La nonna di una persona che conosco
dicevano che era una masca… questa aveva il “libro del comando”…
quando è morta lo ha nascosto in un camino, e dicevano che la prima
persona a trovarlo e a leggerlo avrebbe avuto sfortuna per tutta la vita”
(informatrice Caterina Rossano, 58 anni circa, di Canale, in provincia
di Cuneo, intervistata durante l’ottobre 2005 da Paolo Sibona, mio
allievo presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di una ricerca, da
me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte);
“Dice che per avere il potere avevano un libro… e loro attingevano a
questo libro, facevano quel che facevano con ‘sto libro. Poi, quando
dovevano morire, che poi magari si sentivano… dovevano lasciare il
potere a un’altra persona… a volte l’altra persona poteva essere sua
figlia… più che altro le donne… la figlia… se la figlia non accettava
dovevano disfarsene… dice che altrimenti la loro paura… la loro
leggenda era che morivano male, insomma soffrivano molto, e allora
se non riuscivano a darlo a nessuno dice che lo buttavano via… dice
che… raccontava appunto quella… dice che l’ha buttato su una pianta,
questa pianta è seccata all’istante” (informatrice Giuseppina
Bongiovanni, 79 anni circa, di Caselle Torinese, intervistata verso gli
inizi 2006 da Silvia Petrosino, mia allieva presso il Politecnico di
Torino, nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul
folklore di alcune località del Piemonte); “In questo paesino abitavano
i Giacoletto “Papèss”, e si dice che uno di loro aveva il libro del
140
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
potere, da dove usciva il fuoco o la testa del diavolo… ora non so
più… non mi ricordo… e quando questo signore qui è morto, il prete è
andato dalla moglie a farselo dare” (informatore anonimo, 80 anni
circa, di Castelnuovo Nigra, in provincia di Torino, intervistato verso
gli inizi 2007 da Chiara Pisci nell’ambito di una ricerca, da me
organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte);
“C’era lì mia zia che lo contava, magari di inverno, così, che ci
radunavamo in casa… magari si mangiava le castagne… così… e
contavano delle cose… che avevano trovato il “libro di comando”… il
“libro di comando”… che trovavano dei fogli… adesso magari… non
so… come delle volte si sente quelli che fanno delle magie nere… che
ne so… Hanno… delle volte lì dove c’erano quei casotti… magari
nelle vigne… diceva che trovavano dei fogli di quelle cose lì… un
libro magari può darsi che qualcuno ce l’avesse perché sentivo lei che
lo diceva che qualcuno… che qualche persona ce l’aveva quel libro…
però hanno trovato anche dei fogli magari nelle campagne, così… sai,
una volta andavano tanto nelle viti… sparpagliati… così…”
(informatrice Silvia, 72 anni circa, di Calosso, in provincia di Asti,
intervistata in data 13 novembre 2005 da Mario Scagliola, mio allievo
presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di un lavoro di tesi, da me
progettato e diretto, sul folklore di alcune località dell’Italia); “Un
gruppo di ragazzi che, andando a passeggio per il bosco un giorno,
nella rocca sotto al Castello hanno trovato un libro, in un buco, in una
specie di piccola grotta. L’hanno sfogliato ma era scritto in un modo
poco leggibile per loro, ma l’unica cosa che si leggeva bene era
141
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
“Michelina”. Allora di lì si presumeva che fosse stato il suo “libro del
comando”. / Questi ragazzi lo hanno poi preso e portato al parroco,
che poi lo ha portato in curia. / Si dice oggi che portandolo avrebbero
letto, avrebbero capito due o tre cose che rimandavano in un altro
posto, anche quello misterioso, il Bricco Milleocchi, che si dice che
sia tra le due rocche verso l’America dei Boschi, dove ci sono dei
buchi, e se butti giù qualcosa non lo senti atterrare. Molti dicono che
qui sia sotterrato un famoso carro d’oro… nella rocca… questi ragazzi
ci sono andati e hanno trovato nella cavità di una grossa pianta un
affare avvolto… aprendolo c’era scritto sopra qualche cosa ma non
più comprensibile, poteva essere qualche pozione che probabilmente
serviva per il sabba o per qualche cosa del genere… si capiva che
sopra c’era scritto di non portare via, sennò succedevano delle
disgrazie, a chi lo portava via… che dovevano lasciarlo lì… / Loro
sono ritornati, hanno detto tutto al parroco… quando sono andati di
nuovo indietro non hanno più trovato il posto… non c’era più questa
grossa quercia… c’erano solo più dei rovi ed un castagno enorme…
ma non riconoscevano più il posto… / Adesso ancora ce ne sono di
quelle donne lì, perché sappiamo tutti che questo dono si tramanda…”
(informatore Giusto Dallorto, 45 anni circa, di Pocapaglia, in
provincia di Cuneo, intervistato durante l’agosto 2005 da Franca
Miretti, mia allieva presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di una
ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del
Piemonte; “Michelina” fa di tutta evidenza riferimento ad una assai
nota strega della tradizione locale, la “masca Micilina”); “Mio fratello,
142
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
no, era andato a servo da un signore, e allora quello lì è andato al
mercato, no, e ha lasciato un libro là… Lui ha aperto ‘sto libro e
legge: “Comanda, comanda…”. Comanda di pulire la stalla, di
togliere il letame… lui ha detto… e “batà”, gli è arrivata una bella
sberla!… Eh, sì, perché una volta c’erano i libri che leggevano, ma
non tutti erano in grado di leggerli… se uno li sa leggere, eh… bene…
ma chi è che non sa leggerli gli fa del male, via…” (informatrice
Teresina Candela, 81 anni circa, di Baldissero Torinese, intervistata
durante il luglio 2005 da Elena Capone, mia allieva presso il
Politecnico di Torino, nell’ambito di un lavoro di tesi, da me
progettato e diretto, sul folklore di alcune località del Piemonte); “Qui
a Villanova le masche non c’erano perché eravamo vicini… siamo
vicini a Ferrere, e Ferrere è terra di masche. C’è proprio la “valle delle
masche” a Ferrere, ed è quella che parte da Ferrere per arrivare a
Cisterna. / Mentre alla Martinetta, che è una borgata di Ferrere, ci
sono tanti piloni votivi ad uguale distanza e rappresentavano
nell’antichità la “via crucis”. / Ora, molti si sono rovinati nel tempo,
ma narrano le persone anziane che essendo stato nascosto un “libro
del comando” delle masche in uno di quei piloni, l’allora vicario del
posto li fece abbattere per trovarlo. / Che poi sia stato trovato e
nascosto attualmente nella Curia di Cuneo è ancora tutto da verificare.
/ La leggenda narra questo" (informatrice Margherita Amerio, 50 anni
circa, di Dusino San Michele, in provincia di Asti, intervistata durante
il giugno 2005 da Valeria Tralli nell’ambito di una ricerca, da me
organizzata e diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte). Per
143
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
quanto concerne la ‘vigna’ come luogo del negativo (“fogli di quelle
cose lì” nelle vigne) cfr. A. Borghini – Fr. de Carlo, Esseri del
negativo e sfera del vino nelle Valli Ossolane e altrove. Alcuni
esempi, in “Le Apuane”, XXIII, 44, 2002. Riguardo al “libro” che
càpita nelle mani di un ‘inesperto’ rinvio ai miei: Don Gaspare e gli
spiriti maligni: simbolica e strategia di un racconto popolare, in
“Annuario della Biblioteca Civica “Stefano Giampaoli” di Massa”
1987-88
(tradizione
massese);
Due
note
di
folklore,
in
“L’EcoApuano”, 11, 4-5, 2000, p. 31 (prima parte: Una leggenda di
Gorfigliano e una di Massa); nonché il mio Il gomitolo e l’eredità
della strega in una tradizione biellese, in Borghini, Semiosi nel
folklore III. Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’, Piazza al
Serchio (LU), Centro di documentazione della tradizione orale 2003,
pp. 187 sgg., in part. nota 32, pp. 209 sgg.. Relativamente al pilone
votivo - ma non solo - come ‘punto della paura’ (diciamo così) si veda
il mio Le mappe del simbolico-immaginario fra località esistenziale e
globalità predicativa. Il luogo-icona: specificità deittica e funzione
deittica; specificità locale e funzione locale, in Centro di
documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio (LU), a
cura di, Rappresentazioni e mappe del simbolico-immaginario:
Minucciano in Garfagnana, Lucca, Pacini Fazzi 2007.
Sempre per il “libro del comando” di area piemontese si consulti D.
Bosca – Br. Murialdo, Masche. Voci, luoghi e personaggi di un
“Piemonte altro” attraverso ricerche, racconti e testimonianze
autentiche, Pavone Canavese (TO), Priuli e Verlucca 1999; già D.
144
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
Bosca – Br. Murialdo – L. Carbone, Racconti di masche (incontri
ritrovati nel tempo), Alba (CN), Famija Albeisa 1979, in part. cap.
XIV, pp. 155 sgg.. Si veda altresì G. L. Bravo, Feste, masche,
contadini. Racconto storico-etnografico sul Basso Piemonte, Roma,
Carocci 2005, Racconti di masche (6.5), pp. 127 sgg..
Anche, più in basso, nota 13.
(3)Con questo termine si designa un’altura, una collinetta, o simili.
(4)Cfr. nota 1.
(5)Cfr. nota 1.
(6)Secondina Bordizzo, nata nel 1926, intervistata in data 3 febbraio
2007 da A. Fenocchio, tesi di laurea, cit.; cfr. nota 1.
(7)Allo stesso modo – poniamo – la strega viene talora descritta
mentre tiene del fieno sotto il braccio (tratto caratterizzante); e, in
termini corrispondenti, la strega può assumere la forma metamorfica
di un mucchio di fieno. Cfr. il mio Il “primo nodo del mattino”: la
scopa, la paglia. La “sposa di fieno” e l’astuta “servetta” di Quart.
Verso il modello analogico, negli Atti del convegno “Immaginario,
territorio, Paesaggio”, tenuto in data 9 dicembre 2000 presso il Centro
di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio (LU), in
“Tradizioni popolari”, I, 1, giugno 2002 (Experiences Verlag di Koeln
145
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
e Tipolito di Lucca), pp. 35 sgg.; nonché il mio La strega e il mucchio
di fieno. Una identificazione, in “L’EcoApuano”, 13, 1, 2002, p. 30.
Né si tratta degli unici casi.
Per un analogo meccanismo si tenga anche presente, più in basso, nota
15 (gatto e prete, gatto-prete).
(8)Informatrice anonima, 88 anni circa, intervistata durante il
settembre 2004 da Rochi Luigi Venezia ed Elisa Zuppichini
nell’ambito di un lavoro di tesi, di cui ho diretto il versante di ricerca
folklorica, relativa ad alcune località dell’Italia.
Per un’altra direzione di lettura si consulti il mio La fontana e la
capra. Alcune estensioni, in Borghini, Varia Historia. Narrazione,
territorio, paesaggio: il folklore come mitologia, Roma, Aracne 2005,
pp. 205 sgg..
(9)Testimonianza che riguarda la zona di Locana: cfr. qui sotto.
(10)Fulvio Ferrari, 56 anni circa, intervistato durante l’ottobre 2004 da
Giulia Maria Facchetti nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e
diretta, sul folklore di alcune località del Piemonte.
Cfr. anche nota 8.
(11)Di una ‘sostituzione della capra’ (per così esprimermi) ci racconta
un informatore di Castelnuovo Nigra (prov. Torino): “Una signora che
abitava in quella cascina che si vede prima di entrare in paese… avete
146
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
presente no?… Quella era la signora Maddalena, di novantacinque
anni, aveva le capre, e l’estate, come si faceva, le portavano su… un
giorno le porta al pascolo e la sera tornando a casa vede che gliene
manca una… che non c’è più una capra… così la chiama e la chiama,
ma niente… la chiama ancora, ma ancora niente…Alla fine la sente, la
capra, che viene verso casa, ma quando la vede arrivare si accorge che
è un po’ diversa dalla sua, che non è la sua capra, e le viene un po’ di
paura… perché vede che quella cercava di salire su per la scala, no…
voleva entrare in casa, e si capisce che razza di capra era quella lì…
una masca!… Allora lei fa per difendersi e prende da terra un ramo
d’ulivo, così quella scappa e il giorno dopo ritrova la sua capra”
(anonimo, 65 anni circa, intervistato verso gli inizi 2007 da Ch. Pisci,
cit.; cfr. nota 2). Il tema della ‘capra-sostituto’ fa in qualche modo da
pendant a quello, ben conosciuto ed assai diffuso, del ‘bambinosostituto’.
Si tenga altresì conto di una realizzazione del tipo ‘masca vestita da
capra’. E si consideri questa attestazione - al proposito del tutto
esplicita - di un informatore di Alice Castello, in provincia di Vercelli:
“(…) E perché allora avevano fame e vedevano tutte quelle cose lì…
Questa “crava bianca” era… era una capra bianca… che quando
andavano in giro per il paese di notte… d’inverno che c’era la
nebbia… tutti vedevano ‘sta capra bianca… e tutti avevano paura di
‘sta capra bianca… era… una cosa… che non sapevano che cos’era,
no… era una capra… con le corna… una capra… finchè un uomo di
Alice… che lui non aveva paura… ha aspettato ‘sta capra bianca, e
147
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
quando l’ha vista che quella lì è andata nella strada per fargli paura…
lui l’ha presa per le corna… gli ha spezzato le corna, e sotto la capra
bianca c’era una donna… vestita da capra… bianca… le ha ficcato tre
calci nel culo e la storia della capra bianca è finita lì… quella là… si è
presa talmente paura… che non è mai più andata a spaventare
nessuno… spaventava la gente, perché avevano fame… erano
denutriti… e vedevano i maghi… vedevano quelle cose lì… avevano
paura… e quello lì che ha detto: “Che io paura della capra bianca
proprio non ne ho”… è andato finchè è riuscito a incontrarla…”
(Pietro Savio, 53 anni circa, intervistato in data 30 gennaio 2005 da
Elisa Brunero, mia allieva presso il Politecnico di Torino, nell’ambito
di una ricerca, da me organizzata e diretta, sul folklore di alcune
località del Piemonte). Il motivo del ‘travestimento animalesco’
sembrerebbe
risultare,
in
realtà,
non
troppo
distante
dalla
‘realizzazione metamorfica’ (è un argomento sul quale varrà la pena
tornare). Su streghe che, per es., indossano un vello ovino – e ballano
– si tramanda in Valle Intrasca (prov. Verbania): cfr. P. Chiaberta,
Non è vera ma è così. Racconti e favole della Valle Intrasca,
Verbania, Tararà Ed. 2000, La danza delle quattro pecore, p. 71.
Sempre sul tema del ‘travestimento’, si riferisce alle “basure” liguri
l’attestazione che segue, proveniente – presumibilmente – dalla zona
di Albenga-Colle San Bernardo: “(…) Poi nei boschi le “basure”
(streghe cioè) diventavano maiali, diventavano pecore. Si mettevano
‘ste pelli e diventavano animali, però uno con un bastone ne ha date ad
una di queste” (informatrice Rina, intervistata ad Isola Perosa in data
148
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
17 marzo 2007 da Roberto Maggi nell’ambito di una ricerca, da me
organizzata e diretta, sul folklore di alcune località dell’Italia).
Mettersi le pelli animalesche e ‘diventare’ animali si fa in certo modo
equipollente; o, meglio, il ‘diventare animale’ tende a configurarsi
come la ‘conseguenza’ del ‘mettersi le pelli’.
(12)Si tratta di una contiguità che possiamo chiamare ‘fissa’
(caratterizzante).
(13)Su “libro dei comandi” e ‘capra’ (‘capra che balla’) –
sembrerebbe anche qui trattarsi, tout court, di una masca così
trasformata – presento altresì questa testimonianza, raccolta a Lequio
Berria, in provincia di Cuneo: “Sì, si raccontava di un uomo che aveva
il “libro dei comandi”, che faceva vedere cose fantastiche alla gente.
Un altro uomo stava andando al mulino in Belbo, con un sacco di
meliga in spalle, e vedeva sempre una capra che gli ballava davanti, in
qua e in là, e lui non poteva liberarsene perché era svelta, e non
riusciva a darle dei calci… Ad un certo punto, stufo, ha posato il sacco
in terra e gli ha gridato di andarsene e le ha dato il nome della persona
che si diceva che avesse il “libro dei comandi”…” (informatrice Rosa
Sibona, nata nel 1925, intervistata durante il 2004 da Enea Travaglio
nell’ambito di una ricerca coordinata e diretta da A. Borghini e M. L.
De Bernardi; il fascicolo relativo è disponibile presso il Centro di
documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio). Riguardo
al ‘mulino’ si consulti il mio A proposito di una strega piemontese:
149
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
“(…) grossa come la ruota di un mulino”, in Borghini, Semiosi nel
folklore II. Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’, Piazza al Serchio
(LU), Centro di documentazione della tradizione orale 2001, pp. 165
sgg..
(14)Si vedano i miei: Semiosi nel folklore II…, cit. ; Zonodrakontis.
Momenti di una mitologia, Roma, Meltemi 2003; Semiosi nel folklore
III…, cit.; Varia Historia…, cit..
(15)In una attestazione raccolta ad Agliè (prov. Torino), un prete, che
ha dei gatti, “tra cui uno nero” etc., si trasforma lui stesso in un (nel)
gatto nero. Realizzazione per contiguità e forma metamorfica attorno
ad uno stesso sèma-attributo significante (‘gatto’) intervengono e si
condensano, nel quadro – in questo caso - di una medesima
testimonianza, nel quadro di una medesima ‘situazione’ (con le
’vicende’ che ne conseguono): “(…) Poi c’era la storia del gatto
parlante del prete… allora, c’era il prete di… questo ai tempi di mio
nonno… che era uno un po’ strano (il prete cioè), che faceva la
“fisica”… insomma dovevi stare molto attento con lui, perché se
voleva te ne combinava di tutti i colori… Un amico di mio nonno, che
non lo sopportava tanto, una sera tardi stava passando lungo la
stradina che c'era a fianco dell'abitazione del prete, che aveva un cane
e aveva anche dei gatti, tra cui uno nero, bruttissimo, spelacchiato…
comunque era tardi e stava tornando (l’amico del nonno cioè) a casa
dopo una partita a carte con gli amici… e sopra il muretto che divide
150
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
la strada dall’abitazione ha incominciato a vedere questo gatto nero, e
sapeva che era del prete, che ha iniziato a seguirlo, per tutto il
muretto… a un certo punto il gatto piomba in strada e gli impedisce di
andare avanti… e poi si è messo a parlare… l’amico di mio nonno non
ci credeva… è impossibile che un gatto parlasse… e gli ha detto
qualcosa del tipo: “Tu non passi di qua perché tu non mi sopporti”…
era il prete che parlava e si era trasformato in un gatto!… Poi un’altra
volta ancora questo gatto si era intrufolato a casa di questo suo amico
una volta che lui non c’era e c’era solo la moglie, allora la moglie ha
cercato di buttarlo fuori perché non lo voleva in casa, visto che c’era
questo sospetto, e quando è arrivato a casa il marito l’ha colpito con
un bastone per farlo uscire, e qualche giorno dopo il prete non ha
potuto dire la messa perché, guarda caso, era nel letto che si diceva
fosse ammalato… eh sì, ma questa gente qui aveva davvero dei
poteri…
chissà come facevano… bisognava stare attenti…”
(informatore Mario Rua, 80 anni circa, intervistato verso gli inizi 2007
da E. Scripelliti, cit.; cfr. nota 2). Effetto di metafora (metamorfosi
prete-gatto) e connessione metonimica (prete che ha dei gatti, “tra cui
uno nero, bruttissimo, spelacchiato”) vanno di pari passo: si
‘amalgamano’ e si ‘con-fondono’.
La raccordabilità fra complemento (di compagnia) e forma
metamorfica (sèma-attributo nel posto del soggetto) non potrebbe
risultare più esplicita ed eloquente. L’effetto che chiamerei ‘di
sintassi’
(complemento
di
compagnia)
è
logicamente
e
semioticamente un ‘derivato’ dell’effetto di metafora (forma
151
Studi Linguistici e Filologici Online 5.1
Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa
www.humnet.unipi.it/slifo
metamorfica): si consulti in part. il mio A mo’ di introduzione:
metafora, metamorfosi e il posto del soggetto, in Borghini, Varia
Historia…, cit., cap. 1, pp. 11 sgg..
Per un analogo meccanismo si tenga anche presente, più in alto, nota 7
(sèma ‘fieno’ e strega).
(16)Per analoghi effetti – sintatticamente analogici – di quel che ho
definito ‘causativo d’identità’ rinvio al mio Causativo d’identità. Il
‘dominio semantico’ nei racconti di folklore: a proposito di alcune
risultanze sintattiche, in “Quaderni della Sezione di Glottologia e
Linguistica del Dipartimento di Studi Medievali e Moderni
dell’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti”, 15-16, 20034, a cura di L. Mucciante, pp. 17 sgg..
(17)Ho parlato di contiguità ‘logica’ nel senso che la responsabilità
del fatto che qualcuno ‘vede le capre’ viene riferita ad un soggettomasca.
Alberto Borghini
Via SS. Grato e Lazzaro, 21/A
14040 Vigliano d’Asti (AT)
tel 0141/953745
152