il racconto integrale

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Navigando sul mare dei ricordi
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NAVIGANDO SUL MARE DEI RICORDI
La mia fanciullezza a Sturla
Sono nato a Sturla Bagni1 in via del Tritone, nello stesso appartamento dove due anni
prima era nato mio fratello Angelo. Era un alloggio su due piani, piano terra e primo
piano: da ormai molti anni al piano terra c’è una tabaccheria. Poi, non ricordo
quando, andammo ad abitare a Sestri Ponente, in via Molfino, per essere più vicini al
posto di lavoro di mio padre che era capo reparto all’Ansaldo Fossati. Dei primi sette
anni di vita ho ricordi abbastanza confusi: mi rivedo in vacanza con i nonni a
Castelletto d’Orba nell’albergo il “Cannone”,2 nome veramente insolito, situato
vicino alle Terme dove la nonna faceva la cura delle acque. Certamente era il mese di
Settembre e quindi della vendemmia perchè ricordo bene i filari carichi di uva, la
gente che raccoglieva i grappoli in grosse ceste che venivano poi versate in un
apposito carro cilindrico che aveva una grossa apertura nella parte superiore. Quando
il carro era quasi pieno di uva, per mezzo di una corta scaletta alcune persone
salivano dentro iniziando a pigiare i grappoli. Cantavano e ridevano divertendosi
molto a vedere le donne con la gonna ripiegata in cintura. Ricordo che il nonno volle
far provare a mio fratello e a me; naturalmente dopo averci tolto scarpe e calze. Ci
unimmo agli altri e fu un grande divertimento.
Ho un ricordo molto chiaro del nonno Mario che veniva a prendere il nipote
convalescente da qualche malattia per portarlo a Sturla allo scopo di rimetterlo in
forma e respirare, come soleva dire, “l’aia buna de Sturla” l’aria buona di Sturla.
Angelo ed io eravamo, come tutti i maschietti a quell’età, un po’ discoli e perciò
quando era il mio turno di andare a Sturla, avevo sempre il timore che mi portassero
in collegio, come la mamma ogni tanto minacciava di fare. Solo quando il tram n.54
Cornigliano - Sturla imboccava la prima curva di via Francesco Pozzo e scorgevo gli
archivolti del muro, solo allora riconoscendoli ero sicuro che la destinazione era
quella tanto attesa.
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Sturla Bagni è una precisa località attigua al mare di un quartirere di Genova, già antico borgo di pescatori.
L’albergo il “Cannone” , situato nella cittadina alessandribna di Castelletto d’Orba, traeva il suo nome da una delle
numerose sorgenti di acque curative: Lavagello, Cannone, Sovrana, Molino Albedosa, Feja.
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Prima della guerra la famiglia Vaccaro aveva due imbarcazioni: un 4.50 provvisto del
bompresso e con una imponente velatura alla quale avevano dato il nome della nonna
Ida. La seconda imbarcazione era una piccola lancetta di circa 3 metri e che avevano
chiamato “Topolina”. Spesso, durante i mesi estivi, il nonno organizzava la raccolta
dei ricci di mare che abbondavano sulla scogliera prospiciente la Sportiva Sturla3. I
preparativi per la spedizione erano sempre entusiasmanti: veniva comperata una bella
fetta di focaccia e del vino bianco e poi era necessario un attrezzo speciale per
prendere i ricci situati ad una profondità di qualche metro. Il nonno ci aveva
insegnato a distinguere tra il maschio di colore nero e la femmina di un colore bruno
rossastro iridescente. Erano proprio quelle che venivano staccate dagli scogli e, dopo
che il nonno le aveva aperte e lavate in mare, si potevano gustare i buoni spicchi
arancioni, il tutto accompagnato dalla focaccia e da un sorso di vino bianco.
Appena partiti dalla spiaggia, uno di noi due a turno, veniva aiutato dal nonno a
calarsi in mare attaccato allo specchio di poppa, mentre l’altro aiutava a remare e così
fino ad arrivare sul posto stabilito. Certamente il nonno teneva d’occhio le mani
attaccate allo specchio di poppa anche perché non sapevamo ancora nuotare, però la
paura dell’acqua era ormai superata.
Prima di rientrare il nonno ci portava su uno scoglio alto un paio di metri: ci prendeva
in braccio e dopo avere gridato “tenete il respiro!” si tuffava. Un sistema un po’
drastico, ma che ci permise di imparare a nuotare molto presto.
Il nonno Mario era una roccia ed anche un esperto nuotatore aveva partecipato ad
alcune gare di fondo ed era famoso a Sturla per avere salvato una bimba e catturato il
pescecane che stava per azzannarla. Un evento non tanto insolito per quei tempi,
perché i pescicane seguivano le navi dirette a Genova, cibandosi dei rifiuti gettati in
mare e soprattutto non erano disturbati dalle rare barche a motore che circolavano
allora.
Della prima elementare frequentata a Sestri4 non ricordo quasi nulla. Invece ricordo
molto bene il 10 Giugno 1940; ero in casa dei nonni quando fu dichiarata la guerra e
da quel giorno sia mio fratello che io non saremmo più ritornati a Sestri Ponente. Per
evidenti motivi di sicurezza i miei genitori ed i nonni materni Mario e Ida decisero
che dovessimo rimanere a Sturla mentre papà e mamma avrebbero continuato a
vivere a Sestri vicino al posto di lavoro.
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La Sportiva Sturla è un’Associazione Sportiva Dilettantistica fondata nel 1920, Stella d'oro C.O.N.I al merito sportivo.
Sestri Ponente è uno dei centri urbani del ponente genovese, situato tra Cornigliano e Pegli, fa parte dei Municipi di
Genova come Municipio VI Medio Ponente.
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Penso oggi che la decisione dei miei genitori di rimanere a Sestri fosse dovuta a più
ragioni; i motivi logistici, già accennati e poi perché con i nonni vivevano ancora gli
zii Pippo ed Armando (che presto si sarebbero entrambi sposati), ma anche per il non
sempre facile rapporto di mio padre con il nonno.
I nonni abitavano in un appartamento all’ultimo piano di via del Tritone 6/45, una
posizione bellissima proprio davanti alla spiaggia, ricordo che dalla mia stanza
potevo vedere il fondo almeno sino alla boa dei bagni Stella Polare. In
quell’appartamento ho vissuto fino a 26 anni, finché mi sono sposato.
Frequentai la seconda elementare nella scuola “Ettore Vernazza” di Sturla. Gli esiti
della guerra stavano mostrando quanto grande fosse la nostra impreparazione, che si
concretizzò il 9 Febbraio 19416 quando la flotta inglese bombardò Genova.
Poco dopo l’inizio della guerra furono distribuite le tessere annonarie7 per ritirare le
quantità di cibo permesso e per la nonna cominciarono le difficoltà a preparare i pasti
per tutta la famiglia.
A questi problemi si aggiunsero i pericoli dei bombardamenti che ci obbligavano a
rifugiarci, al suono della sirena di allarme, dapprima nell’officina del nonno, dove io
e mio fratello dormivamo in una specie di forno a due piani che era stato ideato dal
nonno per seccare i funghi; e poi aumentando il pericolo dovemmo andare a rifugiarci
nella galleria del treno adibita a rifugio antiaereo.
Una notte anche Sturla fu bombardata con spezzoni incendiari e il nonno e lo zio
Pippo, con molto coraggio, riuscirono a spegnere molti focolai che avrebbero messo
in grave pericolo alcune case.
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Via del Tritone è situata nel quartiere di Genova Sturla in una posizione strategica e panoramica rispetto al mare ed
alla spiaggia antistante.
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Il bombardamento navale di Genova (nome in codice operazione Grog, in inglese operation Grog) ebbe luogo la
mattina del 9 febbraio 1941 ad opera della Royal Navy; questo fu il secondo e ultimo attacco via mare che subì il
capoluogo ligure dopo quello francese avvenuto il 14 giugno dell'anno precedente. Anche se l'obiettivo principale era
Genova, l'operazione militare britannica fu però più ampia e riguardò anche un leggero bombardamento aereo dei porti
di Pisa, Livorno e La Spezia per mano degli aerosiluranti Fairey Swordfish imbarcati sulla portaerei HMS Ark Royal.
Da quel giorno, fino alla fine del conflitto in Italia, la città subì altri pesanti attacchi, ma esclusivamente aerei.
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In epoca fascista le “tessere annonarie” erano delle schede strettamente personali contenenti un certo numero di
"bollini" prestampati. Ogni tessera era valida per un determinato gruppo di generi alimentari, ogni bollino aveva un
determinato valore, che era fissato di volta in volta dall'Annona, secondo quanto arrivava nei suoi magazzini e veniva
distribuito presso i singoli commercianti a cui il cittadino era iscritto.
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Nel 1942 i bombardamenti si intensificarono e perciò in casa decisero che la nonna
Ida con noi due nipoti si partisse per Scazzolino un paesino nella zona di Stradella
dove abitava la famiglia della zia Alba, sposata da poco con lo zio Pippo.
Un mattino di Ottobre, accompagnati dal nonno e dallo zio Pippo, prendemmo il
treno per Voghera per poi proseguire per Stradella, con qualche difficoltà a causa dei
continui allarmi aerei. Come Dio volle nel tardo pomeriggio potemmo prendere un
trenino a scartamento ridotto che ci portò a Santa Maria della Versa8, dove un parente
della zia ci stava aspettando con un carro a cavalli. Alcune ore dopo (nel frattempo
era venuta l’oscurità), morti di freddo per una imprevista nevicata, finalmente
raggiungemmo l’agognata meta.
Naturalmente il sistema scolastico era completamente disastrato con molte scuole
bombardate e le lezioni interrotte da continui allarmi aerei.
Fummo ospitati in una grossa cascina, quasi una villa attorniata da un vasto terreno
dove vi era un fienile, un grosso pollaio ed una sorta di capanna dove era rinchiuso un
enorme maiale nero. Per noi bambini il divertimento non mancava; potevamo guidare
i carri con i buoi, dare da mangiare agli animali da cortile ecc. Meno contenta era la
nonna, sempre in ansia che ci facessimo male, ma anche a disagio per le abitudini di
cucina e di igiene molto diversi da quelli cui era abituata; in compenso certo non si
soffriva la fame, c’era ogni ben di Dio. Le sue preoccupazioni erano giustificate dalle
nostre marachelle. Una volta mio fratello rimase con una mano sotto la ruota di un
carro, per fortuna senza gravi conseguenze, ed io, poco tempo dopo mi presentai
sanguinante con la testa rotta a causa di una tegola del recinto del maiale che mi
cadde sulla testa mentre inseguivo le oche.
Nella sala da pranzo vi era una grossa stufa e si stava bene al caldo. Nella nostra
stanza da letto non c’era riscaldamento, dormivamo tutti e tre insieme, noi due e la
nonna, in un grande letto e per riscaldare le gelide lenzuola veniva usato uno scaldino
chiamato “prete”, una specie di doppia slitta al centro del quale vi era un recipiente
che veniva riempito di brace ben rossa.
La nonna resistette una ventina di giorni poi scrisse al nonno di venire a prenderci e
così una mattina all’alba ricaricati sul carretto, rifacemmo la strada inversa per
tornare a casa.
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Santa Maria della Versa è un comune della provincia di Pavia in Lombardia. Si trova nella collina dell'Oltrepò Pavese,
nella media vallata del torrente Versa.
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Trovammo il centro di Genova distrutta dai bombardamenti e in paragone Sturla ci
sembrò un oasi di pace. Poiché le scuole pubbliche funzionavano poco e male i miei
genitore pensarono che sarebbe stato meglio farci frequentare il Collegio dei Fratelli
Maristi, situato in cima alla salita di via Caprera.
Allora non potevo rendermi conto del dramma che la gente stava vivendo né potevo
capire il pericolo. Quando l’esercito decise di far costruire lungo tutta la spiaggia un
muro antisbarco, aiutavo volentieri gli operai a caricare la sabbia sul carretto
chiamato “tombarello”9 al quale veniva attaccato un secondo cavallo di aiuto
necessario per superare la salita che porta sull’Aurelia e per ricompensa potevo
montare il cavallo che ritornava sulla spiaggia. Per me era un bel gioco divertente.
Verso la fine del 1942 al largo del Mar Ligure fu affondata una nave che
probabilmente era adibita a portare soldati e rifornimenti nelle zone di guerra.
Dopo una forte sciroccata durata alcuni giorni cominciarono ad arrivare sulla spiaggia
di Sturla moltissime grosse mortadelle che emanavano un fetore tremendo; furono
avvisati i netturbini che iniziarono a ripulire la spiaggia letteralmente invasa da quel
putridume caricandole sul loro camioncino.
Non ricordo come, ma qualcuno si accorse che, tolta la parte esterna in putrefazione
per la lunga permanenza in mare, nella parte centrale una buona quantità della
mortadella risultava commestibile. Era un periodo di grande penuria alimentare che le
tessere annonarie non riuscivano a soddisfare e come si sparse la voce, ci fu una corsa
alle mortadelle. Allora io ero un bambino di circa 9 anni e giocavo sempre con degli
amici più grandi di me sulla spiaggia davanti alla casa dei nonni affacciata sul mare
quindi vicinissima. Mi recai subito dalla nonna per convincerla a darmi un coltello
per prendere anch’io la mia parte. La nonna non sapeva come comportarsi, il nonno
era al lavoro, capo reparto alla S. Giorgio a Rivarolo e sarebbe rientrato la sera, le
dissi che io avrei preso una mortadella e poi avremmo aspettato il ritorno del nonno
per decidere se mangiarla o meno.
Qualche tempo dopo purtroppo invece delle mortadelle iniziarono ad arrivare i corpi
dei soldati annegati per il siluramento della nave che li stava portando verso i campi
di battaglia. Un giorno ne furono avvistati alcuni non distanti dalla spiaggia di Sturla;
come di consueto furono avvisate le autorità e i volontari prepararono le barche per
andare a ricuperarli. Io aiutavo a spingere in mare le barche, ma non avevo mai
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Il tombarello è un carro a trazione animale in cui i piani di carico sono inclinabili lateralmente e posteriormente.
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partecipato direttamente a ricuperare i corpi quel giorno però mi fu chiesto di dare
una mano per vogare. Ci avvicinammo ad un corpo che galleggiava con il viso in
acqua tenuto a galla dal giubbotto di salvataggio. Giunti vicino il corpo fu agganciato
per mezzo di un “mezzo marinaio”10 e lentamente vogammo verso la spiaggia dove
nel frattempo erano arrivate le vetture del cimitero. Pur vogando molto lentamente ad
un certo momento il corpo si spezzò e con costernazione e disgusto, vedemmo
fuoriuscire dal suo interno molte seppioline. Posso assicurare che da allora e per
molto tempo non sono più riuscito a mangiarle.
I continui bombardamenti rendevano la vita molto dura. Spesso l’allarme suonava
due o tre volte durante la notte e ora posso capire la fatica dei nonni per convincerci a
rivestirci per rifugiarsi nelle gallerie; non vidi mai il nonno perdere la calma o
mostrarsi spaventato. Il ricordo del suo comportamento anche quando le esplosioni
erano vicine mi ha accompagnato per tutta vita e mi ha aiutato a superare certi
momenti difficili che negli anni a venire ho dovuto affrontare.
Anche la nonna faceva del suo meglio per non farsi pendere dalla paura: ricordo che
si era cucita una speciale custodia per gli ori di famiglia che riponeva sul seno sotto
l’abito. Inoltre aveva una borsa con un po’ di cibo per un minimo di sopravvivenza e
che cercava di difendere, con molta fatica, dalle nostre richieste di intaccare quel
“tesoro”.
Prese dalla paura molte famiglie avevano deciso di trasferirsi in galleria dove
vivevano miseramente. Il nonno non volle mai fare quella scelta umiliante, per tutti
noi era importante sentire di avere ancora una casa.
Le comunicazioni erano stravolte e la mamma aveva molte difficoltà per venire da
Sestri Ponente. Una volta si mise d’accordo con la nonna per incontrarci a Piazza
Dante il giorno dopo alle ore 10.00, era riuscita a trovare del cibo, una vera rarità!
Sentivo i nonni che commentavano che da qualche mese si poteva trovare del cibo
alla “borsa nera”11 naturalmente pagandolo ad alto prezzo. Quei trafficanti, senza
scrupolo, preferivano essere pagati con l’oro e molte famiglie dovettero barattare i
gioielli rimasti per potere sopravvivere.
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Il mezzo marinaio, mezzomarinaio, mezzo marinaro, mezzomarinaro, gaffa, gancio d'accosto o alighiero, è uno
strumento della navigazione marittima formato da una lunga asta uncinata, utilizzato per avvicinare il natante alla costa
(o molo) durante la manovra di ormeggio, oppure per recuperare cime od oggetti ad esse collegati. Con l'uncino si
agganciano le cime o gli appigli (ad esempio un corpo morto) utili a far forza per avvicinare o allontanare
l'imbarcazione, specialmente in direzione laterale.
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Il mercato nero, anche detto “borsa nera”, è la definizione attraverso la quale si definisce il commercio clandestino
di beni di prima necessità, spesso collegato a contingenze belliche o di prodotti di altro tipo per cui lo scambio sia
regolamentato o vietato da politiche di limitazione e controllo.
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La galleria di piazza Dante, pur permettendo il passaggio dei tram, era stata
trasformata in un rifugio.
Fortunatamente ci eravamo appena incontrati con la mamma quando suonò l’allarme
e subito dopo si sentirono delle fortissime esplosioni; ci fu un fuggi fuggi generale e
di corsa entrammo in galleria.
Lo stato d’allarme durò molto tempo e solo nelle prime ore del pomeriggio potemmo
uscire dalla galleria. La mamma si diresse verso Sestri e noi verso Sturla. A causa dei
bombardamenti i tram non funzionavano e quindi dovemmo ritornare a piedi.
Passando da Albaro trovammo tutta distrutta la zona della Bocchella con la strada
ingombra di macerie.
La vita procedeva alla meno peggio e per procurarci il cibo anche con le tessere era
necessario fare delle interminabili code. Quello era compito mio e quando il nonno
usciva per andare in fabbrica, uscivo anch’io per mettermi in coda. Poiché alcune
persone avevano la brutta abitudine di passare avanti nella fila il nonno veniva con
me e guardando i presenti con un piglio severo diceva: “guardate bene di non
passare avanti a mio nipote”.
Il nonno era molto rispettato e l’avevano sopranominato “Gran Sultano”, questo
bastava a capire la sua forte personalità.
Ho un ricordo molto vivo dell’8 Settembre 194312: quel mattino mio fratello ed io
eravamo affacciati alla finestra che guardava il mare e il nonno ci stava spiegando
cosa stava succedendo. Vedemmo arrivare alcuni soldati tedeschi che piazzarono un
cannone rivolto verso il mare. Il nonno prese il binocolo per vedere se era in arrivo
qualche nave; infatti scorgemmo due grossi motoscafi che stavano arrivando a tutta
velocità, certamente erano angloamericani perché il cannone cominciò a sparare.
Vedemmo i colpi arrivare molto vicino ai due motoscafi che, con una velocissima
accostata, ritornarono verso il largo.
Dopo quel giorno si instaurò la situazione politica che tutti conosciamo: una terribile
tempesta e la fine della guerra appariva ancora lontana. Molte persone si
organizzarono per cercare di procurarsi del denaro o del cibo. Alcuni amici molto più
grandi di me ebbero l’idea di fare il sale con acqua di mare, per poi portarlo
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Il proclama Badoglio dell’8 settembre 1943, che fece seguito a quello del generale Dwight D. Eisenhower delle
18.30, trasmesso dai microfoni di radio Algeri, fu il discorso letto alle 19.42 dai microfoni dell’EIAR da parte del Capo
del Governo, maresciallo d’Italia Pietro Badoglio con il quale si annunciava l'entrata in vigore dell’armistizio di
Cassibile firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese.
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nell’entroterra dove i contadini, che ne avevano un gran bisogno per la conservazione
delle carni specialmente di maiale, erano pronti a comperarlo. Questi ragazzi si
organizzarono molto bene dividendo tutti i partecipanti in squadre, ognuna delle quali
aveva un compito ben preciso: Riuscirono, non so come, a costruire una grandissima
teglia che venne posata su una specie di forno di mattoni. Posizionato nel giardino di
uno di loro che era in cima a vico del Bragone.
In totale le squadre erano tre: la prima addetta al fuoco e a controllare l’andamento
dell’evaporazione dell’acqua di mare; la seconda a trovare il combustibile per
mantenere il fuoco sempre vivo. Razziavano tutto il legno che trovavano andandolo a
prelevare nelle ville e sulle colline di Sturla ormai disabitate. La terza, della quale
facevo parte, portava l’acqua di mare presa dalla spiaggia sottostante.
Il momento difficile era la sera quando si raccoglieva il sale prodotto nella giornata:
qui ci voleva più attenzione perché se il sale era troppo umido non sarebbe stato
commerciabile, d’altro canto se lo lasciavano troppo sul fuoco si anneriva e quindi
era da scartare. Dovevano stare molto attenti a questa fase finale per non sprecare il
lavoro di una intera giornata.
L’organizzazione comprendeva anche quelli che portavano il sale in Piemonte per
venderlo o fare scambio merce.
Intanto il tempo passava e mio fratello ed io continuavamo a frequentare la scuola dai
Maristi per poi correre a perdifiato verso casa ogni volta che suonava l’allarme.
Una sera arrivarono alcuni camion carichi di mine che i tedeschi sotterrarono lungo
tutta la spiaggia e divenne molto pericoloso andare a prendere l’acqua di mare.
Nel frattempo arrivò il 1945 ed il 25 Aprile13 i tedeschi si arresero ai partigiani e da
casa vedemmo arrivare gli Americani.
Finalmente la guerra era finita, mio fratello aveva finito le scuole Medie che io avrei
finito due anni dopo.
Ma per noi il peggio doveva ancora arrivare.
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Per commemorare la Liberazione d’Italia fu scelta la data del 25 aprile 1945 poiché questo fu il giorno della
liberazione di Milano e Torino. Entro il 1º maggio, poi, tutta l’Italia settentrionale fu liberata: Bologna (il 21 aprile),
Genova (il 26 aprile), Venezia (il 28 aprile). La Liberazione mette così fine a venti anni di dittatura fascista ed a cinque
anni di guerra; simbolicamente rappresenta l’inizio di un percorso storico che porterà al referendum del 2 giugno 1946
per la scelta fra monarchia e repubblica, quindi alla nascita della Repubblica Italiana, fino alla stesura definitiva della
Costituzione.
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Una gravissima disgrazia colpì la mia famiglia: mio padre che l’Ansaldo Fossati14
aveva inviato nello stabilimento di Novara, era rientrato a Genova verso la metà di
Maggio con alcuni documenti e una somma di denari che lo stabilimento gli aveva
affidata da portare nella Sede Centrale. Appena arrivato a casa dove la mamma lo
stava aspettando, venne prelevato da alcuni pseudo partigiani, tutti giovanissimi. che
presero tutti i documenti ed il denaro.
Malgrado le ricerche fatte da mia madre, dal nonno e da zio Guido, fratello di papà,
nessuno del Comando partigiani sapeva dove mio padre fosse finito. Dopo aver
chiesto dappertutto, viste le uccisioni ed i processi sommari tipici delle guerre civili,
iniziarono a visitare i cimiteri dove il 13 Giugno15 fu ritrovato in una fossa comune a
Sestri Ponente.
Da sempre mio padre era stato fascista tra l’altro, a vent’anni, aveva partecipato alla
Marcia su Roma del 192216, ma non aveva mai fatto nulla contro le persone. Tutti lo
conoscevano per una persona per bene. Probabilmente quando i delinquenti che lo
prelevarono trovarono tutti quei soldi lo eliminarono per derubarlo, approfittando
della grande confusione senza regole e della totale mancanza di controllo.
La situazione economica divenne tragica; la mamma si ritrovò con sole 350 lire e
d’accordo con i nonni vendette i mobili della casa di Sestri e venne a vivere a Sturla.
La mamma era forte e determinata quindi pensò subito come fare per guadagnare e
non pesare completamente sul menage dei nonni. Dapprima fece un po’ di baratto
portando olio di oliva in Piemonte, scambiandolo con farina che poi rivendeva a
Genova; in seguito tramite un amico di famiglia riuscì a prendere l’appalto di portare
le brioches nella caserma di Sturla. Il nonno conosceva un fornaio a Rivarolo per cui
prima di andare a scuola mio fratello ed io andavamo con la mamma da quel fornaio
per poi portare le valige con le brioches in caserma prima delle otto del mattino
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Lo Stabilimento Ansaldo Fossati, sito in Sestri Ponente (GE), si occupava di costruzioni meccaniche. Da quella
struttura nacque poi, mediante numerose vicende, lo Stabilimento Ansaldo attuale.
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Baffo Umberto - Professione: Perito industriale - Data di nascita: 03/08/1902 - Luogo di nascita: Sestri P. (GE) - Data
di morte: 13/06/1945 - Luogo di morte: Ge-Sestri Ponente - Nota: Ne fu rinvenuto il cadavere in una fossa comune, nel
cimitero dei Pini Storti, insieme al militare della X^ MAS Buzzetti (vedi II vol. pag.274) e ad altre 16 salme non
identificate. Aveva prestato servizio nella M.V.S.N. raggiungendo il grado di capo manipolo. Lavorava presso lo
Stabilimento "Ansaldo Fossati" e risiedeva in via Molfino n. 4/9. - Cfr.: S.C.; F.M.; CLN 71; "Il Lavoro nuovo" e
"Corriere del Popolo" del 15/12/1945 - Categoria: Civili assassinati
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Il 28 ottobre 1922, alcune decine di migliaia di militanti fascisti si diressero sulla capitale rivendicando dal sovrano la
guida politica del Regno d'Italia e minacciando, in caso contrario, la presa del potere con la violenza. La manifestazione
eversiva si concluse con successo quando, il 30 ottobre, il re Vittorio Emanuele III cedette alle pressioni dei fascisti e
decise di incaricare Mussolini di formare un nuovo governo.
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Contemporaneamente riforniva di cravatte rosse il nuovo 42esimo fanteria di stanza
nella stessa caserma.
Come Dio volle, il Col. Gaudioso, nel 1947, riuscì a farla entrare come impiegata
nell’Ospedale Militare di Bolzaneto, posto che tenne per molti anni per poi passare
come Archivista Capo nel Distretto Militare di Carignano.
Per noi ragazzi iniziò un periodo veramente pericoloso: armi da tutte le parti, la
spiaggia minata ed anche il palazzo rosso, chiamato così dagli sturlesi per il colore, e
il bunker costruito alla base del molo, entrambi posizionati nella zona confinante con
la piccola spiaggia chiamata “ciappeletta”, una deliziosa spiaggetta dove andavamo a
giocare e a fare le regate con le barchette di sughero.
Fu in quel periodo che il mio Angelo Custode dovette impegnarsi molto e prendermi
sotto le sue ali; infatti, insieme ai ragazzi più grandi, entrai nel palazzo rosso
scavalcando il filo di ferro che collegava tutte le mine; sarebbe bastato un piccolo
passo falso per fare saltare tutto.
Le nostre prodezze non finivano mai: eravamo decisi ad entrare e sminare il bunker
costruito vicino al palazzo rosso. Passammo all’interno e scoprimmo che collegato al
coperchio, messo a chiusura della postazione della mitragliatrice, era collegata una
enorme mina che sarebbe esplosa se qualcuno avesse tentato di sollevarlo. Dopo aver
tolto il detonatore la portammo in cima al molo per farla saltare. Dopo averla
collegata ad una lunga fune la mettemmo in acqua, ma non avevano calcolato che il
mare da scirocco avrebbe spinto la grossa mina dentro il tubo di scarico della fogna e
quando esplose distrusse mezzo molo.
Un giorno trovammo una valigetta piena di bombe a mano tedesche, quelle con il
manico, il cui meccanismo era semplice: si svitava il tappo in fondo al manico da
dove fuoriusciva una cordicella che una volta tirata dopo sette secondi sarebbe
esplosa. Stavamo studiando come fare quando arrivò uno che aveva fatto il partigiano
e disse che ci avrebbe fatto vedere lui come si lanciava. Prese una bomba tirò la
cordicella e si mise a farla roteare, ma poi sbagliò il momento del lancio e la bomba
andò non verso il mare, ma direttamente sopra le nostre teste.
Ci fu un fuggi fuggi generale e la bomba piombò esattamente sul punto di lancio
facendo un bel buco sull’asfalto e ci andò bene che nessuno rimase ferito.
Sulla scogliera a levante dell’ospedale Gaslini i tedeschi avevano costruito un bunker
a protezione di un cannone, il ben noto calibro 88, in una posizione strategica per
fronteggiare un eventuale sbarco nella spiaggia di Sturla. Durante la ritirata i tedeschi
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lo avevano fatto saltare; qualcuno vi entrò e vide che vi erano ancora molti proiettili.
La voce si sparse rapidamente, tutto portava a diventare una fonte di guadagno: infatti
il bossolo del proiettile era di ottone e una volta liberato dal proiettile e dalla carica
poteva essere venduto a peso ai rigattieri. Così i grandi del gruppo organizzarono una
spedizione; imparammo subito a togliere il proiettile e vuotare la carica che era
formata da bacchette di balistite e da un sacchetto di polvere nera messo a contatto
della capsula fulminante. Io andai forse un paio di volte, ma gli altri rinunciarono
quando malauguratamente due del gruppo Cicci Rocca e Dino Rossi, nel giocare a
tirarsi le bombe da mortaio rimasero feriti; Cicci in modo grave, rimanendo
leggermente sfigurato in viso.
Contemporaneamente ci fu una terribile disgrazia nel Forte di San Martino dove era
stata sistemata una batteria contraerea; anche lì avevano smontato i proiettili e la
balistite aveva formato un grande spessore che per qualche ragione prese fuoco
incenerendo una trentina di persone: la guerra faceva ancora le sue vittime.
Dalla fine di Aprile e per tutta l’estate del 1945 chi trovava qualche bomba a mano
subito la faceva esplodere in mare anche solo per divertimento; fu veramente un
periodo molto pericoloso.
Ma il peggio doveva ancora venire: una improvvisa libecciata imperversò per un paio
di giorni e portando via buona parte della spiaggia di Sturla scoprendo così tutte le
mine del tipo anticarro con le quali i tedeschi avevano minato la spiaggia. Ve ne
erano molte tutte collegate tra loro con filo di ferro.
Qualcuno, molto più pratico di noi, aveva iniziato a sminarle togliendo il detonatore a
strappo per renderle innocue. Chi ne stava facendo incetta era un ex militare che con
la famiglia abitava in un piccolo appartamento in cima alla prima rampa del vicolo
del Bragone (uno dei due vicoli che dalla spiaggia portano a Sturla Alta.
Solo più tardi capimmo il perché. Le mine anticarro avevano la forma di grosse
padelle e riscaldandole si poteva sciogliere il tritolo della carica: una volta uscito dal
buco del detonatore e raccolto in piccoli recipienti prendeva la forma di saponette di
tritolo.
Con tutta probabilità l’ex militare le vendeva ai pescatori bombaroli che le usavano
come piccole bombe di profondità per poi raccogliere il pesce che morendo veniva a
galla spesso in grande quantità.
Gino e Toio (due amici del gruppo di 5 o 6 anni più grandi di me) decisero di fare lo
stesso con una mina, seguendo la procedura, riempimmo con il tritolo una latta di
conserva vuota per portarla al largo e farla esplodere. Gino e Toio mi chiesero di
Aldo Baffo
Navigando sul mare dei ricordi
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andare con loro come rematore. La latta però non fu completamente riempita e, come
coperchio fu chiusa con un pezzo di stoffa; sistemato il detonatore con una miccia di
una certa lunghezza partimmo per l’avventura.
Vogai verso il largo sino ad arrivare a circa mezzo miglio dalla spiaggia. Nel
frattempo si era levato un leggero vento da sud. Quando dettero fuoco alla miccia e
gettarono la latta in mare contrariamente a quanto pensavamo, la “latta” non solo
non affondò, ma rimase mezza fuori mentre la miccia continuava a bruciare. Presi dal
panico mi gridarono di vogare a tutta forza per allontanarci il più possibili, ma
avevamo fatto solo una ventina di metri quando improvvisamente si ruppe lo stroppo
di un remo: io caddi indietro ed il remo volò in mare. Rimanemmo impietriti mentre
la barca, perduto l’abbrivo, veniva inesorabilmente spinta dal vento leggero verso la
bomba. Furono momenti terribili anche perché non sapevamo cosa fare, gettarci in
mare e nuotare per allontanarci sarebbe stato molto rischioso perché avremmo potuto
fare la fine dei pesci che volevamo bombardare. Ci gettammo sui paglioli17 in fondo
alla barca in attesa dell’esplosione. Dopo pochi minuti sbirciammo oltre il bordo della
barca, ma la bomba non c’era più. Grazie a Dio era affondata e non era esplosa!
Se fosse accaduto, con tutto il tritolo che c’era dentro la latta non sarei qui a
raccontare.
Una sera sentimmo una fortissima esplosione e del povero ex militare ritrovarono
solo un pezzo. L’eccesso di confidenza nel trattare le mine gli era stato fatale.
Finalmente la situazione stava migliorando: non vi erano quasi più ordigni esplosivi
sparsi nei campi e nelle spiagge ed anche la scuola aveva ripreso un ritmo quasi
regolare.
In effetti non facevamo più solo quei “giochi” pericolosi; eravamo un bel gruppetto
di monelli ed i più grandi organizzavamo sempre cose molto divertenti almeno per
noi. I giuochi più gettonati erano: la trottola “giuarda”, la “lippa” una specie di
baseball nostrano, la corsa con le carette a cuscinetti ed il massimo era venire giù a
tutta velocità da via Redipuglia o da via Tabarca (la strada che dall’Aurelia porta
verso il mare). Una volta con mio fratello nell’affrontare l’ultima curva siamo finiti
dentro la farmacia del Dr. Ardoino, che ci vide piombare dentro a tutta velocità.
Un altro gioco era quello di fabbricare dei piccolo botti usando zolfo e potassio la
polvere di zolfo si otteneva pestando il cannello che vendevano in farmacia per
togliere i colpi d’aria nel collo e mescolarla al potassio delle pastiglie per il mal di
17
Il pagliolo è un piano di camminamento del pozzetto di una imbarcazione o delle cabine, formato dall'insieme di più
pannelli, detti appunto paglioli.
Aldo Baffo
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gola; la polverina veniva messa tra due pietre e poi fatta scoppiare, dentro ai portoni,
con un colpo di tacco per poi scappare inseguiti dagli improperi dei condomini.
A quel tempo soltanto le case più moderne avevano i citofoni e quello era un altro
bersaglio.
Uno dei passatempi più divertenti era riempire il negozio della ricevitoria del lotto
con tutto quello che le mareggiate lasciavano sulla spiaggia: scarpe vecchie, latte e
quant’altro ci pareva adatto allo scopo; il locale era sull’angolo di via Tabarca e
aveva due porte ad angolo una d’entrata e l’altre per uscita. Il giuoco era semplice; al
comando quello che fa l’uno fa l’altro entravamo in colonna e quando l’ultimo usciva
il negozio era pieno di “rumenta”18.
Un pomeriggio mentre girovagavo sottocasa vidi un conoscente che stava riparando
una barca; mi avvicinai e con interesse seguivo quello che stava facendo. La barca
aveva il fasciame alquanto malandato, ma sopratutto molte ordinate erano rotte e
quindi da cambiare. Mi chiese se avevo voglia di dargli una mano e così nel
pomeriggio, dopo la scuola, iniziò il mio “apprendistato”. Le costole (stamanee)
erano di acacia (un legno adatto per essere piegato); le liste venivano scaldate dentro
un tubo pieno d’acqua e quando erano bollenti allora facilmente venivano tagliate e
piegate nella misura desiderata.
Non ricordo come, ma fu in quel periodo che conobbi il Sig. Pippo Reggio (una
famiglia di Sturla conosciuta dal nonno) con il quale, come racconterò in seguito,
andai a pescare con i tremagli ed il Marchese Emilio Reggio, che mi insegnò ad
andare in barca a vela.
Ormai più nessuno gettava bombe per catturare i pesci; in effetti ne era rimasto uno di
Vernazzola un tipo da prendere con le molle, un certo Felix, che era abilissimo a
trovare i branchi di pesci e sui cui gettava almeno tre bombe in rapida successione.
Una mattina mentre ero sulla spiaggia insieme agli amici sentimmo le tre esplosioni e
vedemmo che Felix era sulla sua piccola barca intento a raccogliere moltissimi pesci
che galleggiavano: erano mormore. Sapevamo che non permetteva a nessuno di
raccogliere i pesci uccisi.
La maggior parte dei pesci investiti dalle esplosioni che spezzano loro la spina
dorsale vengono a galla, ma una buona parte rimane sul fondo e spesso è difficile
18
La parola rumenta è usata in alcune zone del nord Italia (principalmente in Liguria e Piemonte) per indicare la
spazzatura, ma anche ammassi indistinti di oggetti usati, rotti o logori, di nessuna utilità o valore.
Aldo Baffo
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ricuperarli. Noi lo sapevamo e quando il “bombarolo” dovette andare a terra perché
la barca era piena di pesci, decidemmo di andare a prendere quelle magnifiche
mormore rimaste sul fondo.
Con una barca andammo sul posto ed io mi preparai a tuffarmi: la profondità non era
molta, 3-4 metri, l’acqua non era limpida e non avevo la maschera per cui avevo una
visibilità scarsa. Ogni tuffo riuscivo a prendere due o tre pesci che infilavo nel
costume per avere le mani libere. Ad un tratto mentre ero sul fondo e continuavo la
raccolta mi sentii come osservato e girandomi vidi un mostro che si stava
avvicinando. Mi pareva gigantesco e aveva intorno enormi bolle di schiuma; provai
uno spavento pazzesco, lascia i pesci e con tutte le forze mi spinsi verso la superficie.
Gli amici sulla barca mi videro letteralmente schizzare fuori dall’acqua. Chi era il
terribile mostro? Era il palombaro che aveva ricominciato, dopo la pausa pranzo, a
riparare la conduttura della fogna distrutta durante la guerra: anche lui era venuto a
raccogliere le mormore rimaste sul fondo.
Qualche tempo dopo fui coinvolto in un’ altra “avventura”. Gli amici “grandi”
decisero di andare a raccogliere muscoli sulle navi affondate dai tedeschi all’ingresso
del porto; mi chiesero di andare con loro sapendo che avevo una buona apnea.
Dopo una lunga vogata da Sturla fino al porto arrivammo sopra la prima nave
parzialmente affondata; gli amici iniziarono le immersioni con ottimi risultati. Al
momento del mio turno mi indicarono dove andare dicendomi di entrare nella prima
parte del relitto e di fare attenzione che l’acqua era molto torbida. Come maschera
avevo una parte di una maschera antigas perciò la visione era molto scarsa; presi un
bel respiro ed entrai nel relitto, raccolsi un po’ di muscoli, ma nel girarmi persi
l’orientamento. Fui preso da un panico tremendo e cercando l’uscita diedi due forti
zuccate poi intravidi finalmente il chiarore che mi guidò fuori.
Appena risalito in barca dissi agli amici che la mia esperienza sui relitti era finita e
quindi non mi sarei più immerso.
Credo di poter dire che non avendo amici della mia età con i quali giocare io mi ero
aggregato (con piacere) al gruppo di ragazzi che avevano tre o quattro anni più di me
che non sono pochi nell’età dell’adolescenza ed è per questo che ho vissuto episodi
pericolosi e ho corso tanti rischi.
Un giorno il Sig. Pippo Reggio mi chiese se volevo andare a pescare con lui e con
suo figlio Gian che era un avvocato e che nel tempo libero amava pescare.
Aldo Baffo
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Nei mesi primaverili calavamo, nel tardo pomeriggio, i tremagli per poi ricuperarli al
mattino prima delle sette: facevo quindi in tempo a prendere la cartella per entrare a
scuola alle otto.
Finito l’anno scolastico naturalmente tutto era più semplice; mi ero procurato alcuni
lavoretti e aiutavo anche a riparare le barche.
Un giorno mentre ero in spiaggia vidi arrivare una bellissima barca a vela19 con a
bordo un signore anziano: era il Marchese Emilio Reggio (fratello del Sig. Pippo), mi
parve in leggera difficoltà nel tirare la barca sulla spiaggia. Mi sembrò normale
aiutarlo; dopo avere sistemato la barca mi chiese se volevo imparare ad andare a vela
cosa che desideravo da tempo.
Allora nacque in me una fortissima simpatia che con l’andare degli anni si tramutò in
una grande amicizia, naturalmente nel rispetto della differenza di età.
La pesca mi impegnava molto perché a volte andavamo a pescare con i “tremagli”
anche di giorno. Spesso la sera calavamo i palamiti per la pesca delle murene. Come
si sa sono pesci simili a serpenti, con una fortissima vitalità. Per non correre il rischio
di essere morsi il Sig. Pippo appena issati a bordo spezzava loro la spina dorsale con
un duro bastone.
Il problema era venderle perché la loro carne è gustosa, ma il loro aspetto non è
allettante. Il Sig. Pippo mi insegno a togliere loro la pelle e dopo, per mezzo di due
pezzi di manici di scopa a far scendere tutte le lische verso la coda. Mi specializzai in
quel lavoretto molto richiesto dalle signore e le vendite furono assicurate.
In quel periodo si erano verificati alcuni furti delle reti calate in mare che venivano
nottetempo salpate dai ladri che si portavano via non solo i pesci, ma anche la rete.
Per questa ragione il Sig. Pippo decise che occorreva fare la sorveglianza notturna,
ogniqualvolta avessimo calate le reti per la pesca notturna. Poiché il Sig. Pippo era
anziano e l’avvocato Gian impegnato con il lavoro la scelta cadde su di me e su un
loro nipote.
Ottenuto il permesso di mia madre per passare la notte fuori iniziò l’avventura
notturna. Avevamo calato i “tremagli”20 nel tratto di mare tra Sturla e Vernazzola;
19
L’imbarcazione a cui si fa riferimento è la “Dinghy I-1”, di proprietà del Marchese Emilio Reggio. Inglese di nascita,
ligure di adozione. Perché il Dinghy 12 piedi, progettato nel 1913 da George Cokshott, approdò nel Golfo di Sturla nel
1929 (il marchese Emilio Niccolò Reggio intitolò il primo scafo, I-1, visibile ancora oggi allo Yacht Club Italiano, a suo
figlio Pierino) e da lì conobbe una rapida diffusione.
20
Il tremaglio (vulgo ligure - tramaglio in italiano) è una rete formata da 3 panni sovrapposti: i 2 esterni (armature)
hanno maglie più grosse, quello interno (redina) è di altezza maggiore. Le imbarcazioni utilizzate per la pesca vagantiva
sono normalmente barchini di legno con motori fuoribordo e remi, lunghezza di circa 6 m, strette e con il fondo piatto.
Aldo Baffo
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dopo cena prendemmo la barca e andammo ad ancorarci in prossimità di uno dei due
segnali che delimitano i due capi della rete e che sono indispensabili per ritrovarla.
Non avevamo alcuna esperienza di guardia notturna e quindi non pensammo che
sarebbe stato necessario fare i turni. Infatti dopo alcune ore ci addormentammo tutti e
due e fummo svegliati dai fischi di Gian che, dagli scogli di Vernazzola. prima di
andare in ufficio e quindi con il sole già alto, era venuto controllare che tutto fosse
andato bene. Non vedendo la barca a terra era venuto a cercarci.
Fortunatamente i “pirati” non si erano fatti vivi! Dormivamo così sodo che
avrebbero potuto rubare le rete senza che noi ce ne accorgessimo.
Andavo spesso in barca a vela con il Sig. Emilio, la barca era uno “snipe”
(beccaccino) bellissimo. Dopo alcune lezioni teoriche e pratiche, visto il mio
progresso, il Sig. Emilio mi propose, per evitare di tirare la barca sulla spiaggia, di
rimanere a bordeggiare mentre lui andava a pranzo. Accettai con piacere anche
perché così potevo imbarcare qualche ragazzina interessata a veleggiare. Per nulla
contenta era la nonna che mi vedeva arrivare a casa verso le tre.
Dopo qualche tempo mi disse se volevo andare a partecipare con lui ad una regata di
“snipe” a S. Margherita. Avremmo dovuto presentarci in quel porto ad una certa ora
e perciò saremmo dovuti partire da Sturla molto presto per sfruttare il vento di terra
ed arrivare a S. Margherita prima che montasse la brezza di mare (Sud Est) cioè circa
verso le 10 ed evitare così di dovere bordeggiare.
Fu una traversata bellissima durante la quale imparai come sfruttare ogni singola
raffica di vento. Mi ricordo che facemmo colazione con focaccia, carne in scatola (la
famosa Simmenthal) e vino bianco e debbo dire che arrivammo molto “carburati”.
La regata non fu un gran che; vi erano barche molto più leggere e probabilmente con
vele più adatte per il vento che era molto leggero. Quando il distacco diventava
troppo il Marchese barava un poco e aiutandosi con una stecca da vele remava senza
farsi vedere e riguadagnava cosi qualche posizione.
La famiglia di Toio che aveva un negozio di merceria proprio all’angolo di via
Tabarca, decise di adottare un cucciolo un bastardino nero piccolo, ma con delle
zampotte piuttosto grosse. Sei mesi dopo era diventato un bestione molto affettuoso e
giocherellone che purtroppo con la sua mole procurava molti danni nel negozio. Mi
aveva preso in simpatia ed ogni volta che dal tram venivo in discesa verso casa mi
correva incontro saltandomi addosso e qualche volta mi faceva finire lungo disteso.
Decisero che non potevano più tenerlo. Un giorno approfittando di una gita tutta la
combriccola aveva deciso di fare in Lomellina a caccia di allodole, decisero di
portarlo là per lasciarlo in qualche cascina. Mi dissero se volevo andare insieme a
Aldo Baffo
Navigando sul mare dei ricordi
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loro e così con il benestare della mamma anch’io partii con loro in treno. Arrivati in
stazione il cagnone ne fece subito una delle sue: porto via la focaccia del
Capostazione che incautamente la teneva in mano dietro la schiena e se la mangiò in
un baleno.
Arrivati in zona di caccia montarono il richiamo; era un facsimile di civetta sistemata
su un palo e, e tirando un cavetto poteva farle sbattere le ali; tirare il cavetto sarebbe
stato il mio compito. Se ben ricordo la caccia non fu un granché ed era anche salita
una densa nebbia. Rimaneva il problema del cane: già avevamo chiesto a due cascine
se lo volevano, ma senza un risultato.
Il padrone del cane decise di lasciarlo comunque alla prossima cascina e così fu. Lo
legarono vicino al fienile senza avvisare i contadini. Fu un momento molto triste, ma
io pensavo che in campagna sarebbe stato bene.
La caccia era stata deludente, i cacciatori non avevano neppure sparato un colpo ed
erano smaniosi di farlo. L’occasione si presentò quando videro una gallina che,
incautamente, si era allontanata dal suo recinto; due rapidi colpi e la gallina fu ferita.
A questo punto mi dissero di correre a penderla e di tirarle il collo per farla smettere
di starnazzare.
Agguantata la gallina mi misi a tirarle il collo, ma non riuscivo allora aumentai la
forza e tira che ti tira lo strappai. Nessuno mi aveva detto che avrei dovuto
semplicemente torcerlo. Questa fu la seconda malefatta di quel giorno.
All’inizio della guerra in ogni caseggiato era stato nominato un capo fabbricato,
scelto tra i più anziani della casa. Questa persona doveva controllare che dalle
finestre non filtrasse alcuna luce ed era responsabile del buon andamento dello
stabile; doveva anche accertarsi che, quando fosse suonato l’allarme, tutti si
rifugiassero nel posto assegnato senza fare troppa confusione. Naturalmente il nonno
fu nominato Capo Fabbricato, compito che eseguì con molto scrupolo. Come la
maggior parte degli italiani era iscritto al Partito Fascista.
Fu per queste cose, io penso, che alla fine della guerra un paio di sturlesi
minacciarono di bruciarci la casa; il nonno non aveva nulla da nascondere e malgrado
ciò ad ogni incontro sprizzavano scintille.
Uno dei due aveva avuto un fratello ucciso dai tedeschi e il suo rancore poteva essere
in parte capito, anche se noi non c’entravamo per niente.
Aldo Baffo
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Il secondo, Chechin Vaccaro, era un ubriacone che traeva tutto il suo coraggio dal
vino. Una sera tutta la combriccola dei grandi gli fece uno scherzo pesante: eravamo
tutti ai bagni Maristella. Chechin era già ubriaco e voleva fare il torero: in effetti
aveva navigato e probabilmente aveva visto qualche corrida per cui faceva finta di
incornare tutti. Per levarselo di torno decisero di toglierli la voglia di fare il matador.
Sul tetto dello stabilimento era conservato un bidone pieno di pesci marci che serviva
da “appanno”21. Versato in mare era indispensabile per la pesca delle occhiate.
Fecero toreare Chechin fin sotto il bidone e quando era a tiro gli fu rovesciato sopra.
Tutti scoppiammo a ridere, sembrava una puzzolente caricatura con le lische dei pesci
marci sulla testa. Ma non fini lì, perché al suo ritorno a casa (abitava nella casa sopra
il bar Nettuno), sentimmo le urla e gli improperi della moglie.
Il tempo era passato: io frequentavo la Prima Nautico e mio fratello aveva iniziato a
lavorare in porto. Eravamo ormai grandi e un giorno mio fratello Angelo mi disse che
dovevamo affrontare quei due individui per farla finita con le loro angherie.
Senza dire niente in casa, soprattutto al nonno, andammo a cercare il più incattivito,
si chiamava Girelli ed era un venditore di pesci.
Appena lo vedemmo mio fratello mi disse di stare in disparte che l’avrebbe affrontato
lui. Fu una discussione molto accesa e per poco non arrivarono alle mani, ma da quel
momento chiariti gli equivoci tutto finì.
Con l’ubriacone me la vidi io: ero sbarcato da un viaggio estivo, quando già mio
fratello era indebolito dalla malattia, un giorno Chechin, abbastanza bevuto, mi venne
incontro prendendo la posa di un pugilatore e sfidandomi a boxare. Io lo mandai al
diavolo, ma lui insisteva e alla fine persi la pazienza e gli diedi un gran pugno
stendendolo per terra. Francamente, dato che era un uomo sulla cinquantina, fui un
po’ dispiaciuto, ma veramente avevo fatto il possibile per evitarlo.
Da allora, fino a che ho vissuto a Sturla, non ci furono più episodi spiacevoli.
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L’appanno è un metodo di pasturazione, utilizzato dai pescatori, che prevede un'immissione in acqua di piccoli pesci
o altra esca per incrementare la presenza di pesci nello specchio acqueo ove avviene la pesca.
Aldo Baffo
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Terminando di scrivere questi ricordi mi assale un grande rammarico. Mi rendo
conto di avere il vuoto per la mancanza di un rapporto che, per vari motivi, non ho
avuto con papà. È triste constatare che nessun avvenimento mi lega al suo ricordo e
gli assassini di mio padre, oltre ad avergli tolto la vita a soli 43 anni, mi hanno
negato la possibilità di conoscerlo. Infatti ho di lui un vago ricordo fisico, ma
nessuna conoscenza del suo pensiero, del suo carattere e del suo modo di vivere e di
quello che avrebbe potuto insegnarmi.
Il destino ha voluto darmi due figli maschi: il più grande, Umberto, nato lo stesso
giorno di mio padre, porta il suo nome. Il più piccolo, Stefano come mio suocero.
Per questo li ho sempre avuti vicini e anche ora che sono uomini, li sento sempre
vicini e dividiamo ogni cosa, dai problemi alle gioie di famiglia.
Un po’ di compenso per la triste sorte di quando ero bambino.
Aldo Baffo
Genova, 9 Novembre 2011
Aldo Baffo
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Galleria fotografica
Aldo a 9 mesi a Castelletto d’Orba
Aldo (2 anni) e Angelo (4 anni) a Sturla nei pressi dell’abitazione della nonna
Aldo Baffo
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Aldo (4 anni) e Angelo (6 anni) nel 1937 - foto di studio
Il giorno prima di andare a Sestri Ponente
Aldo il primo giorno di scuola a Sestri Ponente
Aldo Baffo
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Aldo (5 anni) e Angelo (7 anni) sullo scoglio nei pressi di Quarto
Aldo (4 anni) al mare nei pressi dello scoglio di Quarto
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Aldo a 10 anni - foto di studio PrestoFoto, Genova
Aldo Baffo