Il suicidio dei poliziotti in italia

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Il suicidio dei poliziotti in italia
di Graziano Lori
Il suicidio dei poliziotti
in italia
Quel gesto estremo
L’ennesima notizia del suicidio di un appartenente alle forze di polizia colpisce sempre l’opinione pubblica e i mass media, successivamente molti si
interrogano sulla necessità di verificare meglio lo stato psicologico degli
operatori di polizia e la loro idoneità di gestire l’arma d’ordinanza.
Il suicidio di un poliziotto è altresì vissuto dai colleghi come un’esperienza
dolorosa che lascia dietro di sé molte domande e sensi di colpa per la convinzione di non aver colto in tempo quei segnali di disagio lanciati da chi
meditava il suicidio.
E’ altrettanto vero che il suicidio s’innesta in un percorso interiore di pensieri dilanianti sul porre in essere o meno questa scelta definitiva, comprese le
motivazioni che possono essere le più varie e non necessariamente riconducibili ad un'unica molla scatenante.
Quando a suicidarsi è un operatore di polizia le riflessioni sono maggiori,
visto il numero consistente e l’allarme che questo genera sia nei colleghi sia
nell’opinione pubblica.
E’ risaputo che un poliziotto riesce maggiormente a mascherare le proprie
emozioni e molto spesso gli indizi che possono essere colti in altri soggetti è
molto difficile captarli in un operatore di polizia.
In molti paesi anglosassoni esistono ormai da molti anni dei programmi
specifici di prevenzione del suicidio dei poliziotti, nati anche dalla consapevolezza che si tratti di un fenomeno da studiare e da monitorare costantemente.
In Italia solo negli ultimi anni è aumentata l’attenzione verso il suicidio degli
appartenenti alle forze di polizia con iniziative da parte dei comandi che
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Analisi del fenomeno e primi risultati
della ricerca sulla percezione del
suicidio in polizia
vanno tutte nell’ottica del sostegno psicologico – clinico.
Il problema della reperibilità dei dati sul suicidio dei poliziotti
I dati concernenti i suicidi e i tentativi di suicidio in Italia sono presentati
annualmente da ISTAT che li rileva attraverso due fonti: la prima di ordine
sanitario (decessi e cause di morte), la seconda di ordine giudiziario (Suicidi
e tentativi di suicidio). Come la stessa ISTAT precisa, i dati estratti
dall’indagine sanitaria hanno una maggiore copertura del fenomeno, con un
il 20 – 25% di casi in più rispetto ai dati estratti dalle fonti giudiziarie.
Già in passato in altri articoli ci eravamo occupati di questa discordanza.
Così come precisato da ISTAT, i dati concernenti i suicidi riconducibili
all’indagine giudiziaria “Suicidi e tentativi di suicidio” sottostima il fenomeno
rispetto a quanto misurato dall’indagine sanitaria “Decessi e cause di morte”,
ma per capire il perché spieghiamo brevemente le differenze tra le due fonti
di raccolta dati sui suicidi e tentativi di suicidio.
La fonte “Decessi e cause di morte” è un’indagine totale che rileva informa-
zioni di carattere sanitario, demografico e sociale per tutti i decessi verificatisi sul territorio nazionale ed è effettuata attraverso la redazione di speciali
modelli (“Istat D4” e “Istat D4bis”) redatti dal medico o il necroscopo. Nella
scheda deve essere indicata la sequenza che ha condotto alla morte del
soggetto e gli altri eventuali stati sanitari rilevanti, per i dati riguardanti i
suicidi si fa riferimento ai casi per i quali la modalità della lesione che ha
causato la morte sia riconducibile ad un “autolesione intenzionale”.
L’acquisizione dei dati di ordine giudiziario relativa all’indagine “Suicidi e
tentativi di suicidio”, si basa sui dati raccolti attraverso la compilazione del
modello ISTAT 173 (alquanto vetusto e poco utile) da parte della Polizia di
Stato, dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.
Le forze dell’ordine compilano questo modello inserendo delle informazioni
emerse dalla comunicazione che devono trasmettere all'Autorità giudiziaria
in caso di intervento per suicidio.
Questi dati sono inviati mensilmente all’ISTAT per la successiva elaborazione.
La mancanza d’indicatori concernenti la professione svolta
Una delle lacune importanti per analizzare il fenomeno dei suicidi tra le
forze dell’ordine è la mancata possibilità di poter sapere quanti operatori di
polizia si tolgono la vita.
In Italia il dato concernente la professione svolta dalla persona che si è
suicidata o ha tentato il suicidio non è acquisito all’atto dell’accertamento,
sia dai sanitari sia dalla forza di polizia che interviene.
Analizzando le schede di rilevazione ISTAT (sia la 173 sia la D4), la professione svolta non è presente, generando una carenza di informazioni importate per quantificare ed analizzare il fenomeno dei suicidi correlato alla professione.
Nelle schede ISTAT, e di conseguenza nei dati pubblicati da ISTAT sul fenomeno del suicidio in Italia, è indicata solo la “condizione professionale” (occupato, casalinga, militare di leva (?), studente, inabile al lavoro,
ecc..), non prevedendo un indicatore relativo alla professione svolta.
Questi dati risultano inutili per comprendere il fenomeno del suicidio tra gli
appartenenti alle forze dell’ordine.
Risulta indirettamente utile l’indicazione della modalità definita “mezzo o
modo di autolesione” in relazione all’arma da fuoco, mentre risulta singolare
l’avventurarsi nei cosiddetti moventi, classificandoli a loro volta in: malattie
(fisiche o psichiche) motivi affettivi, motivi d’onore, motivi economici, motivi
ignoti o non indicati.
E’ inutile soffermarci sulla diatriba che da sempre circonda gli studi sul
fenomeno del suicidio che i vari approcci sociologici, psichiatrici o biologici
che ormai ne riconoscono la natura multi fattoriale, accennando solo alla
necessità di un’indagine approfondita caso per caso per definire alcuni
aspetti motivazionali che sottendono il suicidio, una tra queste l’autopsia
psicologica per esempio.
Le scarse ricerche sul suicidio dei poliziotti
In Italia non esistono ricerche in quest’ambito, forse sono ancora molto forti
i tabù culturali che ostacolano l’analisi del problema, tanto che ancora oggi
è difficile quantificare il numero dei suicidi e dei tentati suicidi tra gli appartenenti a tutte le forze di polizia e compararne i dati con la popolazione
di riferimento.
Sono invece numerose le ricerche internazionali, per lo più anglosassoni, sul
fenomeno dei suicidi dei poliziotti, che hanno dimostrato in alcuni casi una
correlazione con lo stress lavorativo.
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A solo titolo di esempio sono da citare la meta analisi di Loo R. ed altri
(2003) che ha comparato numerose ricerche effettuate in 30 diversi paesi
Americani ed Europei tra i quali gli Stati Uniti, il Canada, la Germania e la
Gran Bretagna, dalla quale è emerso che esistono tassi differenti di suicidio
tra forze di polizia federali, regionali nazionali e municipali. Da uno studio
famoso che ha interessato la polizia di New York, svolto da Marzuk e collaboratori, compiuto nel periodo di riferimento 1977 – 1996, è emerso che i
tassi di suicidio dei poliziotti sono uguali se non più bassi rispetto alla popolazione di riferimento della città di New York.
Così come uno studio effettuato da John M. Violanti (1996) non ha rivelato
tassi di suicidio maggiori tra gli appartenenti delle forze di polizia. Un altro
studio del 1999, (Michael G. Aamodt e Nicole A. Stalnaker della Radford
University) ha evidenziato che i media hanno una percezione maggiore del
fenomeno dei suicidi in polizia, stimando 22 suicidi di poliziotti ogni 100.000
agenti rispetto al dato effettivo emerso, cioè 18,1 ogni 100.000 agenti.
E’ da tener presente che se andiamo a distinguere gli elementi epidemiologici
del suicidio nei diversi Stati, emerge ad esempio che la Scandinavia ha un
tasso di suicidi di 25 casi ogni 100.000 persone, mentre l’Italia si attesta a
9 suicidi ogni 100.000 persone.
Quest’ultimo dato ci consente di affermare che il fenomeno dei suicidi tra gli
appartenenti alle forze dell’ordine italiane è da considerarsi degno di approfondita valutazione.
A nostro parere per approcciarsi in modo più approfondito allo studio del
fenomeno del suicidio nelle forze di polizia in Italia, il metodo non deve
essere esclusivamente quello della comparazione tra l’indice di mortalità degli
operatori di polizia rispetto alla popolazione in generale.
Potrebbe essere interessante comparare ed incrociare altri dati, come ad
esempio i dati sui suicidi con l’utilizzo di arma da fuoco da parte dei poliziotti e il numero dei suicidi con armi da fuoco da parte della popolazione
di riferimento, oppure comparare la fascia di età maggiormente esposta ai
suicidi dei poliziotti suicidi e quella della popolazione di riferimento, altri
dati interessanti potrebbero essere quelli relativi agli indici di sopravvivenza
aseguito di tentato suicidio, tra quelli della popolazione di riferimento (voce
tentativi di suicidio) e quella dei poliziotti.
Un'altra area molto importante per studiare il fenomeno del suicidio dei
poliziotti in Italia è quella della eventuale correlazione con il disagio professionale o lo stress lavorativo (sia legato al contenuto dle lavoro sia legato al
contesto lavorativo) come ad esempio “l’esposizione ad eventi traumatici di
servizio” ripetuti da parte dei poliziotti e suicidio, rispetto alla stessa problematica in altre professioni o nella popolazione di riferimento.
I primi risultati della ricerca CerchioBlu sul fenomeno del suicidio degli operatori di polizia
La piattaforma scientifica CERCHIOBLU che da anni si occupa del disagio
psicosociale degli operatori di polizia e del soccorso, nel 2011 ha sviluppato
la prima ricerca online sul fenomeno del suicidio dei poliziotti.
Attraverso un questionario anonimo composto da 12 domande al quale è
stato possibile rispondere sul sito internet dell’associazione
www.cerchioblu.org.
Al sondaggio hanno risposto in 280 persone, di queste l’86% è composto
da operatori di polizia, seguito dal 3% di psicologi, 3% di studenti universitari e 8% altri non indicati.
I primi risultati, hanno indicato una forte sensibilità al fenomeno facendo
emergere la necessità di organizzare un “osservatorio
osservatorio sui suicidi degli appar-
tenenti alle forze di polizia”,
sviluppare dei programmi di
polizia l’urgenza di “sviluppare
sostegno psicologico”
rafforzare il
psicologico dedicati in modo specifico ai poliziotti e “rafforzare
sostegno sociale”
sociale tra colleghi all’interno delle organizzazioni di polizia attraverso alcune azioni specifiche di supporto.
Dall’analisi dei primi risultati, rispetto alla percezione del suicidio degli appartenenti ai corpi di polizia la maggior parte del campione (87%) lo ritiene
un “fenomeno
fenomeno preoccupante”
fare subito
preoccupante che obbliga a occuparsene e a “fare
qualcosa”.
Rispetto all’esperienza diretta di un suicidio di un conoscente,
conoscente un significativo
30% del campione ha avuto una persona a lui vicino che aveva tentato il
suicidio,
suicidio ed il 50% del campione ha avuto una persona a lui vicino che si è
suicidato,
suicidato con un significativo 26% di intervistati che ha riferito che a suicidarsi è stato un collega della polizia.
Di questi ultimi il 95% ha risposto che il collega suicida ha usato come
mezzo per porre fine alla propria vita l’arma d’ordinanza.
Rispetto ai “segnali predittori del suicidio”, per la metà circa degli intervistati chi si toglie la vita lancia prima dei segnali premonitori,
premonitori nonostante che
per il 79% del campione i poliziotti non parlano apertamente del suicidio.
Molto importante è la “correlazione” emersa dalle risposte tra “suicidio e
disagio lavorativo”.
Il 22% del campione ritiene che la motivazione al suicidio sia riconducibile
allo stress lavorativo,
lavorativo sommato al 10% che lo ritiene da ricondursi a problemi lavorativi in generale,
generale fa ritenere che la correlazione con l’attività professionale sia ritenuta fortemente responsabile da circa un terzo del campione.
Prevedere dei programmi di sostegno psicologico e sociale tra colleghi, come
ad esempio dei peer support;
Introdurre delle figure professionali all’interno delle organizzazioni di polizia
anche attraverso delle convenzioni con psicologi adeguatamente formati,
meglio con esperienza diretta nei corpi di polizia, finalizzate al supporto
psicologico e non solo alla selezione del personale in fase di assunzione.
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Conclusioni
Apprezzando le timide iniziative da parte di alcune organizzazioni di polizia
italiane per fronteggiare il disagio professionale dei poliziotti, è auspicabile
una maggiore attenzione allo studio del fenomeno del suicidio ed una maggiore incisività in ambito preventivo.
Dalla ricerca sulla percezione del suicidio dei poliziotti in Italia, emergono a
tal fine dei suggerimenti di alcune azioni potrebbero essere intraprese, quali
ad esempio:
Analizzare la portata del problema del suicidio all'interno delle organizzazioni di polizia attraverso la raccolta dei dati in modo puntuale
e specifico;
Coinvolgere ISTAT nell’esatta rilevazione del fenomeno, attraverso un
primo inserimento della voce “professione svolta”, definendola
“poliziotto”;
Monitorare lo stato attuale della valutazione di rischio di suicidio degli
operatori di polizia in Italia attraverso delle ricerche, dei focus
group e dei self report, protetti da patti di confidenzialità e
riservatezza, coinvolgendo a tal fine le strutture pubbliche di base,
le Università e le associazioni di categorie e sindacali;
Intraprendere subito delle azioni per la prevenzione del rischio suicidio
nei corpi di polizia;
Riguardo alle possibili azioni da lanciare subito,
subito si potrebbero creare dei
programmi specifici finalizzati a:
Individuare quali possono essere i fattori di rischio del suicidio dei poliziotti;
Determinare il rischio immediato di suicidio nei poliziotti;
Documentare una valutazione del rischio di suicidio nei corpi di polizia;
Progettare delle azioni preventive, come ad esempio delle attività formative
interne alle organizzazioni di polizia per sensibilizzare la lettura degli indizi
di potenziale suicidio;
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Teresa Tate “The Law enforcement Wellness”, Survivors of Law Enforcement Suicide.
Il 18 maggio 2009 è stato firmato a Roma dal Comandante Generale della Guardia di
Finanza, Gen. C.A. Cosimo D’Arrigo e dal Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine
degli Psicologi (CNOP), Giuseppe Luigi Palma, un Protocollo d’Intesa per accrescere la
cultura del benessere e lo sviluppo della qualità della vita in ambito militare.
Michael G. Aamodt & Nicole A. Stalnaker “Police Officer Suicide: Frequency and
officer profiles” (1999), Radford University.
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Chiunque per lavoro porta ogni giorno un’arma al fianco ne conosce l’alto valore
simbolico, oltre a rappresentare un immediato strumento di morte facilmente utilizzabile.
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Altre riflessioni che giungono dall’analisi dei dati relativi ai suicidi dei poliziotti che
meriterebbero di essere analizzati e comparati a quelli della popolazione in generale,
sono quelli relativi all’età ed al genere.
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E’ conosciuto che la fascia di età esposta maggiormente al rischio suicidio della
popolazione in generale è quella oltre i 65 anni, con il 34% dei suicidi in totale, con
una ratio maschi - femmine di 4 ad 1.
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Questo dato confrontato con quello dei poliziotti suicidi, rileva che gli operatori di
polizia (uomini e donne) che scelgono di suicidarsi sono per lo più in una fascia
d’età che va dai 25 ai 45 anni, quindi in controtendenza con i dati relativi alla
popolazione in generale.
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Altro dato, che presenta notevoli problemi di reperibilità statistica, è quello concernente i tentati suicidi, con le armi da fuoco, spiegato proprio dall’alto grado di
letalità del mezzo utilizzato.Se in alcuni casi possiamo attenderci una possibilità di
sopravvivenza, come ad esempio nella precipitazione, nell’impiccagione o
nell’avvelenamento, nel caso dei suicidi con l’uso dell’arma da fuoco, il gesto, anche
se accompagnato ad un basso intento, non lascia quasi mai scampo ed il tentativo di
suicidio nei poliziotti si riduce quasi a zero.
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Sono molte le ricerche scientifiche internazionali sulla correlazione tra stress da
esposizione a eventi critici di servizio e aumento del rischio suicidio tra i poliziotti.
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I risultati totali della ricerca sono pubblicati su www.cerchioblu.org
Associazione CerchioBlu
Sito web: www.cerchioblu.org
Email: [email protected]
Telefono: 3421666581