MUSICA - Edizioni Helicon

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MUSICA - Edizioni Helicon
SILVIA ROSIELLO
Il potere della
MUSICA
Prefazione di
Neuro Bonifazi
Edizioni
Helicon
La contea di Sonas
Secoli fa, in una bellissima valle verde, circondata da uno splendido ed enorme giardino, che contava milioni di fiori colorati
tra rose, margherite, narcisi, ginestre, papaveri, gigli, ciclamini e
fiori di loto, esisteva un castello, realizzato per volere del sovrano
Carlo terzo, e ceduto al figlio adottivo Guido, conosciuto da tutti
come “barba-bianca” appunto per la sua lunga barba bianca che
secondo antiche leggende era arrivata fino ai tre metri. Barbabianca regnava sulla contea di Sonas nell’Irlanda del nord, che
aveva ereditato dalla madre Caroline. Sonas significava felicità
ed era proprio questa la caratteristica fondamentale della contea. Nessun abitante del luogo aveva infatti mai conosciuto una
guerra, anzi ci si chiedeva come si potesse vivere sotto le bombe
dell’odio che non permettevano una vita fatta di sogni e speranze. Sotto il potere di Barba-bianca si viveva tranquilli; non vi
erano infatti dispute tra i cavalieri e i membri del consiglio reale
per il possesso del potere. Non esisteva la totale povertà, poiché
il sovrano concedeva a tutti gli stessi diritti, dava opportunità di
lavoro ai capi delle famiglie più numerose, e talora ci fossero
condizioni di estrema povertà dovute ai molti debiti, costoro non
pagavano le ingenti tasse in cambio di servigi reali.
Tuttavia a volte vi erano dei piccoli diverbi e pesanti discussioni,
che però venivano risolti nell’arco di pochi giorni e non sfociavano mai in ribellioni. Questa condizione di pace e serenità non
era determinata solo dalla bontà del re, ma anche da un magnifico
fiore di cristallo, che Barba-bianca aveva ereditato dalla madre
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Caroline alla sua morte.
“Non devi mai perderlo” aveva detto Caroline in punto di morte
“È fondamentale per la salvezza del regno” Barba bianca allora
aveva accettato il dono e l’aveva conservato in una cupola di
vetro in una stanza attigua all’enorme biblioteca che era raggiungibile solamente conoscendo una formula segreta. Nessuno nel
regno era a consapevolezza di ciò. Il sovrano ne aveva parlato
solamente con sua nipote che era l’erede al trono dal momento
che il sovrano non aveva voluto saperne di sposarsi.
I giorni trascorrevano lieti nella contea di Sonas, un bellissimo
territorio caratterizzato non solo dal giardino pieno di fiori, ma
anche da grandi piazze adibite al mercato cittadino, un antichissimo anfiteatro che ospitava i maggiori artisti di strada delle altre
contee, un viale costeggiato da alberi secolari che portavano a
limpide cascate dove le donne lavavano il bucato e dove le giovani correvano a farsi il bagno lontane, almeno secondo loro,
dagli indiscreti occhi maschili. Vi erano inoltre zone destinate
agli esercizi militari per coloro che volevano entrare a far parte
dei cavalieri reali detti “i paladini di Sonas”. Il castello del sovrano risiedeva su un altura, che era raggiungibile percorrendo una
stradina che si inerpicava per vie diroccate, ed era visibile dalla
parte bassa della città come una costruzione contrassegnata da
figure allegoriche come il leone, simbolo di coraggio presente
sulla torre di sinistra, e sulla torre di destra l’unicorno, simbolo
di saggezza. Il castello era inoltre caratterizzato da enormi finestroni rettangolari realizzati con del mosaico colorato ai piani superiori dove vi erano la sala da pranzo, le sale per il ricevimento
degli ospiti e quelle che il sovrano utilizzava per lavorare, oltre
alle camere reali. Al piano inferiore vi erano invece le cucine, le
camere dei servi ed un enorme cortile caratterizzato da una bellissima fontana che rappresentava la leggenda di Amore e Psiche.
Vi erano inoltre due altissime torri a completare il tutto.
La contea inoltre ogni giorno vedeva nascere nuovi amori, come
la storia sbocciata tra il figlio del capo dei paladini di Sonas, Ma12
ximilan e la nipote di Barba-bianca Rosalinde, figlia del defunto
fratello del re. Rose era una bellissima fanciulla dai capelli neri
come una notte senza stelle, gli occhi verdi come le chiome degli
alberi che circondavano la contea, le labbra piccole e carnose, un
collo che come diceva il suo innamorato Max profumava di petali di lavanda, mani sottili e morbide che suonavano il flauto dolcemente come nessun altro sapeva fare. Era capace di restare ore
ed ore ad intonare meravigliose melodie che si ripetevano nelle
bocche di tutti coloro che le conoscevano. Quando suonava tutti
rimanevano estasiati a sentire la potenza del flauto, il cui suono
aveva incantato anche Max, un giovane alto dal portamento fiero
con i capelli nero corvino e gli occhi di un marrone pallido, che
era appena entrato a far parte dei paladini di Sonas, pronunciando
il giuramento che brevemente diceva “Giuro solennemente di restare a fianco del mio regno per garantire sicurezza nei momenti
di lotta con gli altri popoli, ma anche per assicurare la pace, la
serenità, la concordia e l’amore fra noi cittadini di Sonas. Giuro
solennemente di mantenere fede al mio patto e di non rinunciare
mai al dovere per i piaceri futili, e di non essere vigliacco nei
momenti di maggiore pericolo. Io sono pronto ad entrare nella
schiera dei paladini di Sonas, portando alto il valore e il coraggio della contea”. Rose e Max si amavano moltissimo e anche
se la loro storia d’amore era risaputa all’interno della contea, i
due giovani preferivano rifugiarsi verso la valle della fantasia,
un posticino bellissimo in una parte del bosco, che i due giovani conoscevano da quando erano poco più che bambini: era
una parte del bosco raggiungibile attraverso una stradina di rovi
e cespugli difficilmente attraversabili, che terminava appunto
nella valle della fantasia chiamata così perché secondo antiche
leggende vi vivevano le fate, ma nessuno le aveva mai viste. I
due giovani vi tornavano spesso incuriositi da questa leggenda.
“Forse non esistono le fate” disse poi una sera Max sfiduciato,
“non ripeterlo mai più! Non lo sai che ogni volta che qualcuno
dice ciò che hai detto una fata scompare?” Si lamentò Rose, ma
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Max iniziò a ridere “sciocchezze amore mio.” “Allora cosa ci
fai qui se non credi nelle fate?” “Non ho detto che non ci credo”
rispose imbronciato il ragazzo. “Forse le fate hanno paura di noi.
Ci vorrebbe qualcosa di magico per attrarle” iniziò a fantasticare
Rose; “Si... la tua musica” ci scherzò su Max “perché no!” esclamò Rose che estrasse dalla borsetta il flauto ed iniziò ad intonare
una bellissima melodia. Ma nulla si mosse, tutto rimase uguale
e Rose abbassò lo sguardo triste. “Amore mio, se le fate non apprezzano questo... beh sono completamente pazze” disse allora
il ragazzo prima di accarezzare lentamente il viso di lei. Poi le
si avvicinò e delicatamente le dette un bacio sulla bocca. Rose
arrossì, sorrise e gli restituì un soffice bacio.
La leggenda del fiore di cristallo
Rose si abbandonò all’abbraccio dell’amato. Quella era stata
una giornata faticosa. Aveva dovuto fare le veci di suo zio che si
era sentito poco bene, e sebbene avesse solo diciott’anni, aveva
dovuto risolvere i problemi che emergevano nelle varie classi
sociali, come una disputa tra due contadini per il possesso di un
pezzo di terreno coltivabile, l’elargizione di grano ad una famiglia povera, una disputa amorosa tra due cavalieri che non volevano rinunciare ad un duello di sangue, e aveva anche dovuto respingere richieste di molti consiglieri del re che volevano poteri
più ampi. “A parte questo è andata bene” disse quella sera Rose a
Max “sarai una bravissima regina lo sai?” Disse allora il ragazzo
che poi cinse in un caldo e confortante abbraccio l’amata.
I due ragazzi erano nella valle della fantasia e contemplavano la
magnifica atmosfera: cielo blu notte pieno di stelle, brezza leggera che soffiava lentamente sul prato, il buio che donava strane
sfumature agli alberi circostanti, profumo delle more dei cespugli, canto lontano di un grillo solitario. I ragazzi erano abbracciati
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e fantasticavano su cosa avrebbero potuto fare se fossero stati al
potere. “Preferire rimanere ragazzina per sempre e continuare a
venire con te qui, nel nostro posto segreto” disse poi ad un certo punto Rose “potrai farlo lo stesso amore” “avrò sicuramente
meno libertà, e la sera avrò solo voglia di dormire dopo una giornata piena di impegni.” Il ragazzo rimase allora zitto a pensare,
poi per alleggerire l’atmosfera le chiese di suonare qualcosa. La
ragazza sfilò il flauto dalla borsetta e compose una dolce ninna
nanna che si diffuse in tutto l’ambiente rendendolo magico. Ad
un certo punto smise e guardandosi intorno disse “Max, la conosci la leggenda del fiore di cristallo?” Max fece segno di no
con la testa. Allora Rose posò il flauto ed iniziò a raccontare “
Cinquant’anni fa nell’Irlanda del nord, in una contea dal nome
sconosciuto, viveva un mago che si dilettava a preparare pozioni
di ogni tipo, dai filtri d’amore, ai filtri per conciliare il sonno.
Utilizzava solamente gli elementi della natura, in particolare i
fiori che secondo il mago avevano poteri speciali. Ma un giorno
ci fu una terribile tempesta che distrusse il laboratorio del vecchio mago che era partito per un lungo viaggio in Francia. Al suo
ritorno, disperato dovette riordinare il suo laboratorio, e quando
si mise di nuovo all’opera per creare le sue pozioni, successe
qualcosa di miracoloso: il mago stava preparando una pozione
per la felicità da donare ad un regno che viveva facendo la guerra
sin dalle sue origini. Non appena finì la pozione, la lasciò raffreddare su un tavolino come era solito fare. Ma dalla finestra
lasciata aperta entrò un petalo blu a lui sconosciuto che si posò
sulla pozione. Si creò così un magnifico fiore di cristallo, che
aveva le fattezze di una rosa ma non era proprio simile ad essa.
Il mago allora non sapendo le proprietà di ciò che aveva creato,
conservò il fiore e svolse anni di indagini per capire a quale fiore
appartenesse quel petalo blu. Così morì, e per molti anni nessuno seppe più nulla di questo fiore, finché in una contea del sud
dell’Irlanda, il fiore finì nelle mani di un ladro che lo donò alla
sua amata prima di essere condannato a morte. La fanciulla era la
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figlia di William il conquistatore, che sequestrò il fiore alla figlia
conservandolo, finché esso non venne preso da una bambina che
aveva trovato quest’oggetto sulle rovine del castello distrutto da
un incendio. La bambina era Caroline, la madre di Barba-bianca.
Caroline regnò su questa contea pensando che il fiore la proteggesse da tutti i mali. E forse così fu dal momento che dal suo
regno non vi sono state più guerre...” “oh dio! È una storia fantastica” esclamò Max incredulo. “È soltanto una lunga leggenda
amore” gli ricordò Rose. “Voglio vederlo” chiese allora Max ma
la ragazza negò fermamente con la testa. “Questa storia non deve
saperla nessuno, altrimenti sono guai, per me e per tutti. Pensa
se lo rubassero” “e allora? Non dirmi che credi all’idea che sia
il fiore a mantenere la pace? È solamente una vecchia leggenda.
L’hai detto tu stessa.” Rose alzò le spalle e rimase a lungo in
silenzio. Poi riprese a suonare il flauto mentre la luna illuminava con la sua chiara luce il prato. “C’è un’atmosfera perfetta...”
iniziò Max “per cosa?” Chiese Rose “oh, nulla” disse Max, che
ringraziò l’oscurità per avergli coperto l’imbarazzo. Il suo cuore
in quel momento batteva fortissimo e il ragazzo tentò di tenerlo
a freno concentrandosi sulla tenue melodia del flauto che aveva
davvero poteri magici.
La festa in maschera
Tutti i nobili della contea si stavano preparando per la festa in
maschera che era stata organizzata da Barba-bianca per brindare
al matrimonio di sua cugina con un principe russo. Erano quindi stati invitati i maggiori esponenti della classe nobiliare. Tutti
erano vestiti con incantevoli abiti. In particolar modo le donne
che sfoggiavano le migliori acconciature e le migliori idee di
travestimenti. Rose era ancora nelle sue stanze e continuava a
guardarsi allo specchio, lamentandosi con la balia di avere un
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vestito troppo stretto. “Ma signorina lei deve mettere in risalto le
sue forme” la rimproverò teneramente la balia. Rose sbuffò ma
poco dopo s’affacciò dalle scale per controllare che non vi fosse nessuno. Incerta scese, mantenendosi in equilibrio su delicati
tacchi rosa, intonati con un abito rosa pallido,ed una maschera bianca che le copriva il volto. I capelli erano raccolti in una
lunga treccia. Rose si guardò intorno, poi piano scese le scale.
“Le serve una mano signorina?” Disse una voce. Rose si voltò
ed immediatamente riconobbe Max sebbene avesse fatto di tutto
per sembrare un pirata: cappello a punta, benda sull’occhio, baffi
lunghi, giacca rossa con un cinturone nero al quale era legato
uno spadaccino, e stivali neri con il tacco. “Sei buffo!” rise allora
Rose “e tu incantevole” rispose serio Max, che le prese la maschera dalle mani, gliela tolse, la guardò negli occhi perdendosi
nel suo verde, e poi la bacio. “Pronta?” Disse poi. Rose annuì ed
insieme entrarono nell’enorme salone affollato. Erano tutti vestiti in maschera, ma nonostante ciò Rose riconobbe molta gente,
primo fra tutti suo zio che si era vestito da bandito. Vennero organizzati balli, spettacoli di artisti di strada, poi la sorellina di Max
si esibì in passi di danza leggiadri, come la malinconica melodia
che suonò Rose. Fu un momento di religioso silenzio. Quasi che
anche i cuori si erano fermati davanti alla bellezza della melodia.
Non si sentiva nessun bisbiglio, solamente tanto amore nell’aria.
Le luci dell’enorme lampadario riscaldavano l’ambiente rendendolo accogliente, e anni più tardi tutti avrebbero potuto ricordare questa musica che entrava nell’anima di ognuno. Avrebbero
detto che in quella notte la musica con il suo potere aveva rapito
le emozioni di tutti traducendole in sentimenti puri, come l’innocenza. A nessuno in quel momento sarebbe venuto in mente di
commettere azioni immorali. La musica ipnotizzava. Era come
un canto bellissimo che ti faceva chiudere gli occhi, portandoti
lontano dalla realtà. Nessuno dimenticò quella melodia, perché
segnò anche l’inizio della guerra. Nessuno si spiegava come ciò
fosse possibile, eppure accadde all’improvviso che nella stanza
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irruppe un cavaliere della contea di Kairos “voglio questo regno.
Deve essere mio. Sono disposto a sfidare tutti” disse freddamente. Il re si fece avanti e con lui tutta la schiera dei paladini di
Sonas. “Siamo pronti a combattere” dissero in coro. Rose rimase
incredula. Non poteva credere che suo zio avesse preso questa
decisione, senza pensarci un istante. Max avanzò verso i cavalieri ma Rose lo trattenne “lasciami” disse Max senza espressione. Rose lasciò la presa solo perché rimase incredula da ciò
che vide negli occhi dell’amato, e negli occhi di tutto il popolo
della contea: odio profondo. Improvvisamente tutti le sembravano estranei; così impaurita s’avvicinò a tutti quelli che conosceva
per farli ragionare, ma tutti sembravano presi da un incantesimo.
Rose in preda al panico riusciva a sentire solamente un aria di
tensione. Nella folla cercò Max e l’intravide abbracciato ad una
cortigiana. Rose sgranò gli occhi. Sembrava che tutti avessero dimenticato l’amore vero, l’amicizia, la lealtà e tutti gli altri valori,
come il coraggio, la dignità, e anche l’arte diplomatica. Nessuno
parlava a bassa voce, tutti gridavano, alcuni iniziarono a spintonarsi, i cavalieri già dettavano le condizioni del conflitto. Rose si
trovò immersa in un disordine tale che non riuscì a far nulla se
non correre via disperata. Cosa poteva essere successo? Era stata
forse la sua musica a produrre questo strano effetto?.
Scappò via, verso quel luogo dove nessuno l’avrebbe trovata: la
valle della fantasia. Restò lì, s’addormentò sul prato freddo mentre gocce di lacrime amare le scioglievano il cuore.
Solo un immenso odio
La fanciulla si svegliò di soprassalto. Aveva fatto un brutto sogno: aveva sognato che tutti gli abitanti della contea si facevano
la guerra. Scosse la testa, si stropicciò gli occhi e guardandosi intorno non riconobbe il posto dove si trovava. Poi si ricordò di ciò
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che era successo la sera prima. Non era un sogno, ma una triste
realtà. Si alzò, inciampò nel vestito sgualcito, si guardò ancora
intorno e poi decise di tornare verso casa, con il terrore di non
sapere cosa avrebbe trovato. Dopo aver attraversato i rovi che
le graffiarono le mani, si ritrovò ad attraversare la contea e ciò
che vide fu spaventoso: c’erano già i primi morti sanguinanti per
terra. In lontananza vide un gruppo di soldati che si recavano dal
sovrano;vide due contadini litigare perché si accusavano a vicenda di essersi rubati della frutta che vendevano; rimase sorpresa
nel vedere come due giovani fratelli si urlavano contro perché
nessuno dei due voleva badare la vecchia madre che giaceva malata nel letto. Questa non era solo una guerra civile, era qualcosa
di più. Doveva essere successo qualcosa che aveva sconvolto gli
animi di tutti, portando via l’amore e immettendovi solamente
odio. Rose non si capacitava di come la situazione fosse precipitata, così decise di andare da suo zio. Sperava in una soluzione. Ma prima volle trovare Max; aveva bisogno di vederlo.
Così, lentamente e ancora turbata si incamminò verso il castello
e quando giunse nel cortile ciò che vide le spezzò il cuore. Un
gruppo di soldati dei paladini di Sonas, alcuni sposati ed altri
fidanzati baciavano con violenza donne sconosciute a Rose. La
ragazza intravide anche Max che tirava verso di se una donna
dai capelli biondi, che era vestita con un abito succinto, che le
scopriva il seno e le cosce. Max la stava toccando dappertutto.
Poi ad un certo punto si fermò vedendo che la donna guardava
Rose. “Chi è lei la tua sorellina?” Disse ad alta voce deridendo
Rose, che fuggì seguita da un coro di insulti da tutti i soldati. La
ragazza corse da suo zio implorandogli di ragionare, ma il re non
stette a sentirla. Era circondato dai suoi consiglieri e dai capi dei
paladini di Sonas e stavano consultando la cartina del regno “va
in camera tua” le disse senza neanche alzare lo sguardo. Ma vedendo che Rose gli gridava contro parole incomprensibili per lui
in quel momento, la spinse verso il suo primo consigliere che la
trascinò verso le sue stanze e lì la chiuse.
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Rose si rifugiò in camera sua e per riprendersi dallo shock le occorse molto tempo. Aveva pianto tutte le sue lacrime e si sentiva
il cuore svuotato. Era sola. Suo zio non si era degnato di guardarla come se avesse avuto ancora cinque anni e Max... rivide
la scena e per poco non vomitò. Era come se milioni di piccole
fiamme le bruciassero il cuore, come se decine e decine di lame
di spade appuntite scavassero per cercare qualcosa da distruggere nella sua anima, ma tutto era vuoto. C’era solo buio, buio
e ancora buio. Così, non sapendo cos’altro fare suonò. Suonò a
lungo, intonando una melodia che non aveva mai composto, di
una dolcezza che si univa alla tristezza che le stava consumando
il cuore, una melodia che inconsapevolmente gettò le basi per la
salvezza del regno.
La valle della fantasia
Nella valle della fantasia come raccontavano milioni di leggende
esistevano le fate, ma nessuno le aveva mai viste. Questo perché
le fate, delle creature piccole e docili, non amavano uscire allo
scoperto in presenza degli umani, poiché non sapevano come
questi avrebbero reagito. Avrebbero anche potuto catturarle per
studiarle come esperimenti da laboratorio. Per questo, durante il
giorno si rifugiavano nei tronchi degli alberi che erano per loro
delle piccole case, e di notte uscivano per danzare tutte insieme,
unite in cerchi di solidarietà. Erano tutte vestite con abiti colorati
e avevano ali luminose che a volte erano guida per coloro che
avevano smarrito la via. Non solo per le piante e per gli animali,
con i quali loro comunicavano perfettamente, ma anche per uomini che si perdevano nei boschi o nelle acque del mare. Era un
lavoro faticoso quello delle fate, che esse affrontavano però con
grande armonia.
Si amavano tutte. Esme, la fata regina, era colei che di solito edu20
cava le fate più giovani insegnando loro l’amore, la solidarietà,
l’amicizia ma soprattutto ad essere generose con le altre fate ed
essere pronte ad aiutarle nei momenti di pericolo. Le fate osservavano da lontano i comportamenti degli umani e a volte diffondevano la loro polvere per salvare le situazioni più complicate.
Erano capaci di sentire la disperazione e la tristezza dei cuori
delle fanciulle, e fu così che sentirono la dolce melodia del flauto
di Rose. “Esme, l’hai sentita anche tu?” Disse una fredda mattina
Kara, la fatina al servizio di Esme. “Si, ma dobbiamo solo aspettare. Noi non possiamo intervenire quando sono le forze del male
ad attaccare un regno” “ma noi aiutiamo sempre tutti gli umani in
difficoltà...” disse mesta Kara “ti sbagli, noi aiutiamo gli umani
che si fanno guerre per problemi come il possesso di un territorio, o guerre civili per il possesso del potere perché spetta a noi
intervenire... ma nel caso di quella fanciulla, lei proviene dalla
contea di Sonas, che in tutti questi anni non ha avuto bisogno del
nostro aiuto. Ora la felicità è stata rubata al regno dal male...”
“che ha rubato il fiore di cristallo...” aggiunse Kara. “Capisci,
non possiamo combattere contro il male” “tu sai chi ha rubato il
fiore di cristallo regina?” Esme annuì ma non volle aggiungere
altro, così volò via nel suo tronco. Kara non era soddisfatta della
risposta, così si diresse dalla sua mamma per chiedere spiegazioni. “Non so chi abbia rubato il fiore Kara” rispose questa. Ma
Kara capì che sua madre le stava mentendo. “Puoi dirmi almeno
perché c’è tutta quella violenza a Sonas?” Pazientemente la madre le disse “devi sapere che quel fiore garantiva la stabilità del
regno. Ora che è scomparso è come se una grande nuvola nera si
fosse abbattuta sulla contea. È come se il sole fosse stato portato
via da un ombra malvagia...” “un ombra malvagia...” ripeté fra sé
Kara, pensando che forse era questa l’entità malvagia che Esme e
sua madre le nascondevano. “Sono scomparsi tutti i valori come
quello del coraggio, del rispetto, della dignità. Per questo vedi
uomini che tradiscono le proprie donne, cavalieri che non rispettano il patto della loro città e sono disposti a combattere con le
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altre contee senza valutare bene le situazioni per proteggere il
regno. Il male si è impossessato della contea, nessuno prova più
amore per l’altro. Il male si è impossessato della luminosità, lasciando solo tenebre....” “non possiamo far nulla?” La madre di
Kara negò con la testa “il male, quel male è troppo grande per
noi” Kara restò ancora un po’ a riflettere su queste parole, poi
tornò dalla regina ad adempiere al suo dovere.
Era stata incaricata di occuparsi della festa notturna, dove lei
stessa avrebbe dovuto introdurre le danze. Ma Kara si domandava come fosse possibile occuparsi di balli che venivano fatti per
sancire la solidarietà e lasciare in balìa del vento le sorti di Sonas,
e di quella povera fanciulla che suonava così meravigliosamente.
Un ti amo rubato
Rose vagava solitaria per le stanze del suo castello. Non poteva
sopportare l’idea di uscire fuori dalle mura della sua casa. Aveva
paura dell’orrore che c’era, ma aveva soprattutto paura di vedere
Max che fino a pochi giorni prima era il suo principe azzurro...
come nelle favole. Fantasticò sul loro amore prima di ricordare
che Max l’aveva tradita. Risvegliandosi dai suoi pensieri, la fanciulla s’accorse di trovarsi nella magnifica ed enorme biblioteca
che conteneva tutti i grandi volumi antichi, le leggende mitologiche, le storie della contea di Sonas nel passato, libri di favole per
bambini, pozioni magiche di antichi stregoni e così via. I libri
erano tutti posizionati negli scaffali perfettamente lucidati, così
alti che a stento si intravedeva il soffitto che era caratterizzato
da bellissimi ghirigori che si intrecciavano formando una spirale
all’interno della quale erano riconoscibili diverse figure, come
angeli nudi. Improvvisamente si ricordò che percorrendo il corridoio destro, dove c’erano tutti i documenti che raccontavano la
storia di Sonas, poteva raggiungere la porta segreta che portava
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nella stanza del fiore di cristallo.
Rose si trovò davanti ad una piccola porta di legno scuro. Vide
che non c’erano maniglie per aprire la porta. Poi ricordò: aveva
bisogno della parola magica. “Sonas” disse senza indugi. Con un
piccolo scatto, la porta iniziò a scorrerle davanti. La ragazza timorosamente entrò nella stanza: si ritrovò in una stanza circolare
in cui il colore dominante era il rosso bordò. Si ritrovava questo
colore infatti nelle pareti e nel pesante tendaggio che oscurava
una finestra che dava sul giardino. Vi erano inoltre degli scaffali addossati alle pareti marroni dai bordi rossastri e un piccolo
scrittoio vuoto affiancato da due sedie con cuscini rosso corallo.
I muri erano caratterizzati da una serie di fotografie che Rose
sapeva raffiguravano gli antenati di suo zio Guido. Ma tra tutti
i quadri ne spiccava uno più grande di tutti. Rose si avvicinò ad
osservarlo: il quadro ritraeva una bellissima fanciulla dai capelli
rosso rame che come lei sapeva, era la ragazza amata da suo zio
nella gioventù. Jenny era il suo nome. Rose restò a guardare il
volto della donna, perdendosi negli occhi azzurri che lasciavano
intravedere un’immensa tristezza accentuata anche dal debole
sorriso che le affiorava dalle labbra. “La mia Jenny.... questo è
l’ultimo ritratto che fece poco prima di lasciarmi qui....” le aveva detto tempo fa suo zio, ricordando di come la sua amata era
stata portata via da una brutale malattia. Rose staccò gli occhi
dal quadro per posarli sulla cupola di vetro, che come temeva...
era vuota. Qualcuno aveva rubato il fiore di cristallo.... Ma chi?
Si chiese Rose. L’unica persona a cui aveva accennato del fiore
era Max ma negli ultimi tempi i due avevano passato moltissimo tempo insieme. Rose era fiduciosa sul fatto che non era stato
lui a rubare il fiore. Restò a lungo meditabonda, poi improvvisamente scoppiò in lacrime sentendosi un piccolo frammento in un
universo così grande. Tutti erano così lontani da lei in quel momento, lei che sembrava essere l’unica a non essere stata toccata
da quell’incantesimo di odio. Desiderò allora essere una fata per
poter scappare da quella realtà che non riconosceva più.
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Quella sera decise di andare nella valle della fantasia, almeno
lì sarebbe stata protetta dalle grida, dai tafferugli, dagli insulti,
dall’odio che leggeva negli occhi di tutti, da tutto quel sangue
che ormai sembrava essere presente in ogni vicolo della sua città.
La guerra vera e propria era sul punto di iniziare, ma tutto faceva pensare che quella sarebbe stata una dura battaglia. Rose non
riusciva ancora a capacitarsi di come la situazione era precipitata.
Eppure soltanto qualche giorno prima era tutto così.... diverso:
c’era il sole che splendeva sul suo giardino, c’erano gli uccellini che cinguettavano allegri, le farfalle che si posavano sui fiori
appena sbocciati, le campane che suonavano a festa, l’armonia
nelle famiglie, la voglia di imparare nuove cose.... poteva sentire
l’amore nell’aria. Quello per la vita in generale, ma anche quello
per suo zio che l’aveva cresciuta come un padre, per gli abitanti
della contea, suoi sudditi quando sarebbe diventata regina, ma
adesso semplici compagni delle giornate quotidiane, c’era l’amore.... quello per Max.... che l’aveva lasciata sola, in un mondo
dove neanche la musica del suo dolce flauto poteva consolarle
la ferita che si era creata. Max... al quale avrebbe voluto dire un
ti amo che era ormai stato rubato da qualcosa di davvero oscuro
che non sapeva quanto potesse essere importante l’amore. Un
ti amo che non era riuscita a pronunciare, e che adesso avrebbe
gridato al mondo intero per far capire a tutti, persino al sole, alle
stelle e alla luna che la sua storia non era semplicemente l’avventura di una ragazzina. Lei desiderava vivere con lui tutti gli
istanti della sua vita. Sarebbe stata disposta a rinunciare al suo
regno e vivere in povertà piuttosto che lasciarlo andare via come
polvere al vento. E adesso, quel ti amo le era stato rubato. Non le
restava altro che sedersi in un angolo.... e aspettare che tutto quel
dolore passasse.... fu questo ciò che fece. Si sedette accanto ad
un tronco.... quel tronco dove era solita poggiarsi in compagnia
di Max. Ma non ebbe il tempo di guardarsi intorno o di fare altre
riflessioni amare. Cadde in un sonno profondo interrotto soltanto
da flebili lamenti che chiamavano in realtà a gran voce Max.
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Per la salvezza del regno
“La guerra non è ancora iniziata ma tutto questo è gia la base
per un bellissimo combattimento che ci porterà alla vittoria”
Rose sentiva spesso ripetere queste parole dai paladini di Sonas.
La popolazione non era divisa. Tutti volevano la guerra. I nobili erano convinti che ciò avrebbe portato ad un loro arricchimento personale, e la parte bassa della popolazione vedeva nella
guerra una rivoluzione che dava voce ai loro problemi. Rose era
incredula perché fino ad allora le dispute di ogni tipo erano state risolte diplomaticamente, e nessuno aveva mai pensato alla
guerra. Era stato deciso di combattere alle porte della città in
una pianura verdeggiante, a metà strada tra le due contee. Rose
aveva raccolto queste informazioni dalle voci sentire in giro e da
comizi che i paladini di Sonas avevano preso a pronunciare. Inizialmente aveva cercato di avvicinarsi a suo zio per dissuaderlo
ma non vi era stata alcuna occasione per parlare. Anzi, appena
veniva riconosciuta dal capo dei paladini di Sonas, nonché padre di Max, veniva cacciata violentemente. Aveva quindi preso
l’abitudine di rifugiarsi sempre più spesso nella valle della fantasia, anche se quel posto le faceva male perché le ricordava gli
splendidi momenti passati con Max. Come quella volta che da
bambini avevano litigato per qualcosa che adesso le sfuggiva e
lui per farsi perdonare l’aveva portata per la prima volta in quel
posto. “Adesso che siamo lontani da tutti voglio chiederti scusa
Rose... mi perdoni? Aveva detto lui allora con una voce tenera.
Rose l’aveva abbracciato e gli aveva dato un bacio sulla guancia.
Sapeva che lui era segretamente innamorato di lei. Anni dopo,
quando entrambi iniziavano a capirci qualcosa di più sull’amore,
si giurarono di non lasciarsi per nessuna ragione al mondo. Quel
ti amo ancora non se l’erano detto, ma più volte si era presentata
l’occasione per entrambi. Lei avrebbe voluto dirglielo le infinite
volte che lui le accarezzava il viso o che la baciava. Sapeva che
anche lui era stato sul punto di farlo. Ricordò quando da bambini
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