Il Governo Renzi e la lotta alla povertà in Italia

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Il Governo Renzi e la lotta alla povertà in Italia
 Il Governo Renzi e la lotta alla povertà in Italia Premessa Già nel 1992 la Comunità Europea raccomandava di “riconoscere, nell'ambito di un dispositivo globale e coerente di lotta all'emarginazione sociale, il diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana e di adeguare di conseguenza, se e per quanto occorra, i propri sistemi di protezione sociale ai principi e agli orientamenti”1 e sollecitava gli Stati a introdurre un reddito minimo garantito, inteso quale fattore d’inserimento dei cittadini più poveri nella società. In Italia si deve tuttavia attendere la fine degli anni Novanta per ottenere uno schema organico di misure volte al contrasto della povertà a livello nazionale, al quale si giunge grazie ai lavori della “Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale”, istituita dal Governo Prodi e passata alla storia come Commissione Onofri, i cui lavori si sono conclusi nel 19972 con una proposta di riforma organica dello Stato sociale italiano. Ridisegnando un sistema organico di assistenza sociale, accompagnato da sperimentazioni e introduzioni di nuovi programmi, la Commissione aveva formulato un progetto universalistico di protezione dei lavoratori in caso di sospensione temporanea del lavoro e perdita del posto. La proposta includeva l’istituzione di un reddito minimo vitale e gettava le basi per un nuovo metodo per valutare la situazione economica equivalente, l'ISEE3, ovvero lo strumento che tutt’ora che viene utilizzato in Italia per misurare la condizione economica delle famiglie. Nel 1998 il primo Governo D'Alema. inserisce nel nostro ordinamento il Reddito Minimo di Inserimento (RMI)4Sebbene sia stato istituito solamente in via sperimentale in 39 Comuni, l’introduzione di questo strumento costituì uno dei punti cardine di una serie di iniziative volte a rinnovare il sistema di welfare del nostro Paese5. Il Reddito Minimo combinava l’erogazione monetaria, per fare fronte alle situazioni di grave povertà economica, a progetti di reinserimento sociale e lavorativo finalizzati a superare la situazione di non autosufficienza economica. In pratica, consisteva in un’integrazione monetaria variabile a seconda delle condizioni economiche dei beneficiari6 a carico dello Stato, mentre i progetti di accompagnamento dei beneficiari spettavano ai Comuni, per i quali erano stabiliti impegni nell’organizzazione del servizio di gestione del RMI e nella predisposizione e realizzazione dei programmi di integrazione sociale. Inoltre, gli interventi dovevano essere progettati in modo specifico per far fronte alle esigenze del singolo beneficiario. Un ampliamento dell’applicazione del RMI c’è stato nel 2001, con un aumento dei Comuni coinvolti a 3067, ma si è arrivati al suo definitivo abbandono nel 2004, dopo che il secondo Governo Berlusconi ha stabilito l’evoluzione del RMI nel Reddito di Ultima Istanza con la Finanziaria 2004, mai attuato e dichiarato “illegittimo” dalla Corte Costituzionale8. Mentre l’ Unione Europea ribadisce l’esigenza di attuare, a livello nazionale, misure di contrasto alla povertà -­‐ nella basti pensare alla Comunicazione della Commissione del 20069 o alla Risoluzione del Parlamento del 2010 che parlavano esplicitamente di reddito minimo nella lotta contro la povertà e di promozione di una società inclusiva in Europa10 -­‐ l’Italia stenta a perseguire un progetto a livello nazionale. Un ultimo tentativo viene annunciato dal secondo Governo Prodi nel Documento di Programmazione Economico Finanziaria (DPEF) per gli anni 2008 – 201111, nel quale si legge l’intenzione di reintrodurre il Reddito Minimo di Inserimento, che però non è stato mai finanziato. In pratica, a parte alcune esperienze 1
92/441/CEE: Raccomandazione del Consiglio, del 24 giugno 1992, in cui si definiscono i criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale. Gazzetta ufficiale n. L 245 del 26/08/1992 pag. 0046 -­‐ 0048 2
Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale, Relazione finale, 28 febbraio 1997. 3
Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 109 4
Introdotto nella Legge 23 dicembre 1998, n. 449 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1999). 5
Pierangelo Spano, Ugo Trivellato, Nadir Zannini, Le esperienze italiane di misure di contrasto alla povertà: cosa possiamo imparare (paper tecnico n. 1/2013), Trento e Venezia, 2013 6
Il trasferimento era pari alla differenza tra la situazione economica famigliare e una soglia di povertà fissata inizialmente a 500.000 lire mensili a persona 7
Legge 328/2000, "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali". 8
Sentenza n. 423 del 2004. 9
COM (2006)44, comunicazione della commissione al consiglio, al parlamento europeo, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni. concernente una consultazione su un’azione da realizzare a livello comunitario per promuovere il coinvolgimento attivo delle persone più lontane dal mercato del lavoro. Bruxelles, 8.2.2006. 10
(2010/2039(INI)) Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010. 11
Consiglio dei Ministri, Documento di Programmazione Economico Finanziaria (2008 – 2011), 28 giugno 2007. significative a livello locale12, l’Italia non ha mai più attuato una legge nazionale sul reddito minimo, ripiegando, dal 2008, su sistemi meno ambiziosi sul modello del food stamps13 statunitense, quali la Carta Acquisti (Social Card) e la nuova Social Card Sperimentale. Nel frattempo la situazione nel nostro Paese peggiora: nel 2013 sperimentavano la povertà assoluta14 6 milioni di persone residenti in Italia, pari all’9,9% del totale, mentre nel 2007 erano 2,4 milioni, cioè il 4,1%. I poveri, dunque, sono più che raddoppiati in soli sei anni. L’Italia e la Grecia sono le uniche due nazioni dell’Europa a 15 prive di una misura nazionale contro la povertà assoluta15. Per questo da un paio d’anni L’Alleanza Contro la Povertà16 sta elaborando una soluzione. La proposta consiste in una misura composta da un contributo monetario e da servizi alla persona, e basata su un mix tra diritti e doveri, secondo linee d’intervento condivise a livello europeo. Tale misura è il Reddito d'Inclusione Sociale (Reis)17. BOX 1 -­‐ Perché ActionAid Italia ha aderito all’Alleanza Contro la Povertà? Le risorse per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale tanto in Italia quanto all’estero sono in diminuzione. Su entrambi i fronti ci sono dati che hanno raggiunto livelli sconfortanti e la speranza che il trend si inverta in tempi rapidi è poca. Si impone dunque a tutti i livelli una razionalizzazione ulteriore delle risorse cercando di ottenere una maggiore efficacia nell’allocazione. Per questi motivi nel 2012 ActionAid Italia ha inaugurato la strategia “Italia sveglia!”18 scegliendo di costruire le proprie azioni presente sulla base di due principi guida: giustizia sociale e accountability. Il cammino che ActionAid ha intrapreso è volto ad ottenere dalle istituzioni trasparenza e responsabilità nella gestione delle risorse che possano contribuire al raggiungimento della giustizia sociale nelle sue dimensioni di protezione sociale, equo accesso a reddito e risorse e partecipazione democratica. Per questi motivi AA oggi aderisce, insieme ad altri soggetti, sociali all’Alleanza contro la Povertà in Italia, per contribuire alla costruzione di adeguate politiche pubbliche contro la povertà nel nostro Paese. Le misure di contrasto alla povertà del Governo Renzi Martedì 8 aprile 2014 il governo Renzi ha approvato e presentato il DEF, Documento di Economia e Finanza. Il documento rappresenta il principale strumento di programmazione della politica economica e di bilancio italiana e traccia -­‐ in una prospettiva di medio-­‐lungo termine -­‐ gli impegni, sul piano del consolidamento delle finanze pubbliche, e gli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, adottati dall’Italia per il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita europeo e il conseguimento degli obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e solidale definiti nella Strategia Europa 2020. questo Passando al documento, sul fronte della lotta alla povertà e quindi dell’impianto delle politiche sociali, la prima considerazione da fare è che ancora una volta si rimanda a data da destinarsi una delle raccomandazioni europee più ignorate, cioè l’introduzione di un reddito minimo. In realtà, nella legge delega del Jobs Act (nella sua versione originaria) si faceva riferimento ad “un’eventuale introduzione, dopo 12
Si veda ad esempio il Reddito di Base di Cittadinanza del Friuli Venezia Giulia o il Reddito di Garanzia nella Provincia autonoma di Trento. Lo SNAP, meglio conosciuto come Food Stamp Program, fornisce assistenza finanziaria per l’acquisto di cibo per coloro che hanno un reddito basso e che vivono negli Stati Uniti. Si tratta di un programma di aiuto federale, amministrato dal Dip. dell’Agricoltura, sebbene gli aiuti vengano distribuiti dai singoli stati. Le risorse che vengono trasferite possono essere usate per l’acquisto di tutti gli alimenti preconfezionati, cibi caldi, cibi da fast food e simili. Alla fine degli Anni ‘90, il Food Stamp Program è stato rivisitato a favore di un sistema di carte di “debito” specializzate conosciute come Electronic Benefit Transfer (EBT), fornite da appaltatori privati. A partire da settembre 2012, 47,7 milioni di americani ricevevano in media 134,29 dollari al mese in assistenza alimentare. Più del 15% della popolazione degli Stati Uniti ricevono assistenza alimentare. 14
La più dura condizione di povertà, nella quale non si dispone -­‐ o si dispone con grande difficoltà o intermittenza -­‐ delle primarie necessità per il sostentamento umano, come l’acqua, il cibo, il vestiario e l’abitazione. 15
intesa come condizione di chi non è in grado sostenere la spesa mensile necessaria ad acquistare il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano, è considerato essenziale alperseguimento di uno standard di vita minimamente accettabile. 16
Iniziativa promossa da ACLI e CARITAS, che vede la partecipazione di molte realtà del Terzo Settore tra le quali: Acli, Anci, Action Aid, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-­‐Cisl-­‐ Uil, Cnca, Comunità di S. Egidio, Confcooperative, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano ONLUS, Fio-­‐PSD, Fondazione Banco Alimentare, Forum Nazionale del Terzo Settore, Lega delle Autonomie, Movimento dei Focolari, Save the Children, Jesuit Social Network. 17
http://www.redditoinclusione.it/ 18
La strategia di ActionAid Italia “Italia, sveglia!” per il periodo 2012-­‐2017 persegue i seguenti obiettivi: -­‐Contribuire al cambiamento delle ingiustizie nel mondo attraverso un paese che affronti in modo rilevante e quantificabile il problema della povertà e dell’esclusione sociale -­‐Essere un’organizzazione che agisce secondo criteri di efficienza, efficacia, nel rispetto dei propri valori, capace di sostenere il cambiamento desiderato. Per approfondimenti consultare il sito: http://www.actionaid.it/chi-siamo/strategia 13
la fruizione dell’Aspi19, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsioni di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti”. Come si evince si tratta di una misura categoriale, ovvero pensata solo per coloro che hanno perso il diritto all’Aspi e sono poveri. Coloro che non sono mai entrati nel mondo del lavoro, quindi coloro che non sono riusciti a trovare un’occupazione che facesse maturare il diritto a ricevere l’Aspi, ne sono invece esclusi Per quanto riguarda le misure di sostegno al reddito effettive e previste, il DEF rimanda all’estensione della Nuova Social Card su tutto il territorio nazionale entro la fine del 2014, facendo riferimento all’attuale sperimentazione nelle 12 maggiori città italiane. L ‘obiettivo è favorire la reintroduzione nel mercato del lavoro delle persone che ne restano escluse, mediante la combinazione di tre pilastri: -­‐ Un adeguato sostegno al reddito; -­‐ Lo sviluppo di mercati del lavoro inclusivi; -­‐ L’accesso a servizi sociali di qualità. Per le risorse necessarie, il DEF sottolinea che la sperimentazione è stata avviata nelle 12 città più grandi con un finanziamento pari a 50 milioni di euro e che verrà poi estesa a tutti i Comuni del Mezzogiorno20 Il programma beneficerà della riprogrammazione del Fondo di Rotazione nonché della rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo, già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione, nei limiti di 140 milioni per l’anno 2014 e di 27 milioni per l’anno 2015. La Legge di Stabilità per il 2014 ha destinato risorse per un ammontare di 40 milioni l’anno per un triennio ai fini della progressiva estensione su tutto il territorio nazionale della medesima sperimentazione (Programma di Sostegno per l’inclusione attiva-­‐SIA21). A tal fine potranno essere utili anche risorse derivanti dal finanziamento, previsto dalla medesima disposizione, della “carta acquisti ordinaria”, prorogata al 2014 con l’allocazione di 250 milioni, laddove un aggiornamento dei requisiti e un coordinamento con l’evoluzione del Sia lo permettano. Inoltre, nella Legge di Stabilità per il 2014 è stata prevista una seconda riprogrammazione di risorse volta al contrasto alla povertà, a valere sulla programmazione dei Fondi strutturali 2007-­‐2013. In tal modo ulteriori 300 milioni potranno essere spesi solo nelle Regioni meridionali, sia per ampliare la platea dei beneficiari sia per estendere la durata temporale dell’intervento a tutto il 2015, creando le condizioni per un suo progressivo consolidamento. Principali criticità La prima criticità riguarda la terminologia utilizzata: il DEF equipara la nuova social card al SIA. In realtà i due strumenti hanno caratteristiche diverse, innanzitutto la nuova social card è una carta acquisti finanziata dall’INPS, con un importo fino a 404 euro, rivolta a nuclei familiari con minori in situazione di povertà, dunque presenta un aspetto “categoriale” che costituisce l’elemento che lo distingue dal SIA. Infatti, nel Rapporto del Gruppo di Lavoro sul reddito minimo istituito dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali22, con Decreto del 13 giugno 2013, si legge:”il Sia è una misura universale perché non condiziona l’intervento al sussistere di una qualche caratteristica individuale o familiare, salvo l’insufficienza di risorse economiche. Questa caratteristica di universalità accomuna il Sia più al sistema sanitario nazionale o all’istruzione primaria e secondaria che agli altri trasferimenti economici esistenti nel sistema di protezione sociale italiano…”. Nel DEF quindi non si evince questa differenza sostanziale tra i due strumenti di sostegno al reddito, ma soprattutto non è chiaro se l’obiettivo di estendere la misura all’intero territorio nazionale venga realizzato seguendo le caratteristiche dell’uno o dell’altro. L’impressione è che lo strumento per la lotta alla povertà in Italia sia ancora una volta usato come uno strumento categoriale a cui manca una visione organica e che aumenta la frammentarietà degli interventi,. 19
L’Assicurazione Sociale per l'Impiego è una prestazione economica istituita per gli eventi di disoccupazione che si verificano a partire dal 1° gennaio 2013 e che sostituisce l’indennità di disoccupazione ordinaria. 20
Con il Decreto Lavoro (D.L. 76/2013) è prevista l’estensione della sperimentazione a tutti i territori del Mezzogiorno che non siano stati già interessati dall’intervento. 21
Si fa così riferimento al nome della misura nazionale contro la povertà assoluta, il Sostegno Inclusione Attiva (Sia, appunto), proposta dal “Gruppo di studio sul Reddito Minimo”, presieduto dal Viceministro Guerra, che ha lavorato presso il Ministero del Lavoro nel 2013, durante il Governo Letta. 22
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Verso la costruzione di un istituto nazionale di contrasto alla povertà, Gruppo di lavoro sul reddito minimo. Le raccomandazioni “europee”sulle Politiche Sociali italiane del 2014 Il Regolamento 1175/201123 detta i tempi agli Stati membri con riferimento ai programmi di stabilità presentati dagli Stati membri appartenenti all'area Euro e ai programmi di convergenza,presentati dagli Stati membri non appartenenti all'area Euro. Entrambe le tipologie di programmi devono essere sottoposte annualmente alla Commissione e al Consiglio tra il 1° ed il 30 aprile ed il Consiglio provvede ad esaminarli entro tre mesi dal loro recepimento. Nel paragrafo “Le raccomandazioni della Commissione sulle Politiche Sociali italiane” vengono riportate -­‐ sinteticamente -­‐ le valutazioni della Commissione sul DEF 2014 dell’Italia del giugno 2014 per quanto riguarda le politiche sociali. Nel paragrafo “La risposta del Governo Renzi nell’aggiornamento del DEF 2014” presentato il 1° ottobre 2014 al Consiglio dei Ministri, invece, è riportata in sintesi la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e finanza 2014, deliberata dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2014. Nei due paragrafi dedicati alle politiche sociali la Commissione e il Consiglio europeo24 fanno inizialmente una sintesi sulla situazione della povertà in Italia evidenziando che la percentuale di persone a rischio di povertà e di esclusione sociale è in rapida crescita e il sistema di protezione sociale non riesce a far fronte al problema. In Italia il numero di persone a rischio di povertà e di esclusione sociale ha registrato uno dei maggiori incrementi nell’UE salendo da 17,1 milioni nel 2011 a 18,2 milioni nel 2012, livello molto superiore ai 12,9 milioni dell’obiettivo di Europa 2020. Inoltre si sottolinea come in Italia la spesa sociale sia largamente orientata a favore degli anziani e dominata dalla spesa per le pensioni che, con il 17% del PIL nel 2012, rappresentava una delle quote più elevate in Europa. Resta poco margine per le altre funzioni di protezione sociale, vale a dire il sostegno alle famiglie e ai minori e per affrontare il rischio di esclusione sociale e povertà. La spesa per l’assistenza sociale è frammentata e non esiste alcun sistema nazionale di reddito minimo garantito. Di conseguenza, l’Italia ha la terza percentuale più elevata di persone che vivono in famiglie povere o senza lavoro o che non beneficiano di trasferimenti sociali e ha inoltre un’elevata percentuale di popolazione in età lavorativa che dipende dal reddito pensionistico di un membro della famiglia. La Commissione constata che nel nostro Paese è stato introdotto un nuovo programma sperimentale di “sostegno per l’inclusione attiva” per le persone che si trovano in situazioni più svantaggiate, sottolineando, però, che si basa essenzialmente sulla nuova “Social Card”, già in uso nelle 12 maggiori città e nelle regioni meridionali. “Il nuovo sistema rappresenta un passo importante nella giusta direzione – scrive nella nota la Commissione -­‐ tuttavia i rigorosi requisiti di ammissibilità, che lo limitano ai nuclei familiari con figli e con un componente che abbia svolto una recente attività lavorativa, e la qualità non omogenea dei servizi prestati dai servizi pubblici per l’impiego e dai servizi sociali in diverse regioni ne limitano l’efficacia come rete di sicurezza sociale e strumento di attivazione.” Infine, la Commissione conclude che, dati i forti vincoli di bilancio dell’Italia, l’estensione di questa misura a tutto il territorio italiano, annunciata nel programma nazionale di riforma, richiede un’adeguata ed efficiente allocazione delle risorse finanziarie disponibili attraverso una ricalibrazione della spesa sociale e l’appropriata selezione dei beneficiari, in particolare le famiglie con bambini. La raccomandazione europea su questo punto è: “Per far fronte al rischio di povertà e di esclusione sociale, estendere gradualmente il nuovo regime pilota di assistenza sociale, in conformità degli obiettivi di bilancio, assicurando un’assegnazione mirata, una condizionalità rigorosa e un’applicazione uniforme su tutto il territorio e rafforzandone la correlazione con le misure di attivazione; migliorare l’efficacia dei regimi di sostegno alla famiglia e la qualità dei servizi a favore dei nuclei familiari a basso reddito con figli.” 23
REGOLAMENTO (UE) N. 1175/2011 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 16 novembre 2011. Che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche 24
Tratto da: Commissione Europea, DOCUMENTO DI LAVORO DEI SERVIZI DELLA COMMISSIONE. Valutazione del programma nazionale di riforma e del programma di stabilità 2014 dell’ITALIA che accompagna il documento Raccomandazione di RACCOMANDAZIONE DEL CONSIGLIO sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2014 dell’Italia, Bruxelles, 2.6.2014 La risposta del Governo Renzi nell’aggiornamento del DEF 201425 La trasmissione al Consiglio dei Ministri dell’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza quest’anno è stato posticipato dal 20 settembre al 1° ottobre (15 giorni prima della presentazione della Legge di Stabilità 2015), in modo da potervi inserire i dati ricalcolati con il nuovo sistema europeo di contabilità pubblica, con l’intento di far “alzare” il Pil fino al 2% con effetti positivi sul rispetto dei parametri del patto di Stabilità. Nel capitolo “La strategia nazionale e le raccomandazioni del Consiglio Europeo” in particolare nella sezione intitolata “Le risposte alle raccomandazioni” il Governo Italiano propone solo tre bullet points: • Nel primo ribadisce che è stata avviata la sperimentazione del “sostegno all’inclusione attiva” in 12 grandi città. Sottolinea che ad aprile 2012 sono iniziate le erogazioni a un primo gruppo di beneficiari, in attesa della pubblicazione della graduatoria ufficiale. Evidenzia inoltre che su quasi 18.000 domande presentate oltre il 60% non è stata ammessa per il mancato possesso dei requisiti auto-­‐dichiarati. Oltre all’efficacia nel contrastare le frodi, vi è stato un basso take-­‐up della misura in diverse città. Per quanto riguarda la valutazione d’impatto il Governo lo rimanda a metà 2015. • Nel secondo bullet preannuncia che la prossima estensione riguarderà il Mezzogiorno, con criteri simili a quelli delle 12 città in sperimentazione, sulla base delle risorse già stanziate nel PAC (ovvero 167 milioni). • Al terzo punto il Governo ricorda semplicemente che ad aprile 2014 è stata estesa la Carta Acquisti (Social Card) anche ai cittadini comunitari e stranieri e ai loro familiari, nonché agli stranieri in possesso di permesso di soggiorno CE per soggiornati di lungo periodo. La sperimentazione della “Nuova Social Card” nell’esperienza di Actionaid Italia L’introduzione di una misura come la Nuova Social Card, il cui potenziale come detto deve essere ancora verificato, ha comunque presentato delle innovazioni rispetto alla versione del 2008 della prima carta acquisti. SI tratta di modifiche che sono state accolte con favore da esponenti del terzo settore e studiosi impegnati nella lotta alla povertà. Diverse le novità: un cambiamento nei criteri di ammissione; un mix tra trasferimento in denaro e servizi sociali di accompagnamento; un ammontare significativamente superiore; un maggiore ruolo per le amministrazioni locali; elementi di condizionalità dell’aiuto; un forte accento sulla valutazione dell’impatto della misura. La sperimentazione ha mosso i suoi primi passi nell’aprile 2013 in 12 città italiane: Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona. Nel corso del 2013 è stata prevista un’estensione a tutto il Mezzogiorno attraverso un finanziamento aggiuntivo di 167 milioni di euro (la cui erogazione è prevista per marzo 2014) e di 40 milioni di euro (stabilita con legge di stabilità a dicembre 2013). BOX -­‐ La Nuova Social Card in sintesi Dove Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona. Quando Un anno (2014). Chi Famiglie con almeno un figlio minorenne in grave povertà e in disagio lavorativo. Quante famiglie la ricevono Circa 15.000. Contributo economico Importo variabile secondo la dimensione della famiglia (da 231 euro per due componenti a 404 euro per cinque o più). Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Inps 25
Consiglio dei Ministri, Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e finanza 2014, deliberata dal Consiglio dei ministri il 30 settembre 2014 Dalla primavera del 2013 ActionAid ha realizzato una serie di interviste condotte dai suoi referenti territoriali nelle città di Torino, Bologna, Firenze, Napoli, Milano e Bari e ha partecipato ai tavoli tecnici istituiti da alcune di queste municipalità. In occasione delle interviste, tutte le amministrazioni si sono dette disponibili a fornire aggiornamenti sulla sperimentazione in atto e in alcune città è già in corso un secondo confronto con ActionAid. Di seguito vengono presentati gli aspetti principali emersi sinora. I criteri di accesso I requisiti relativi ad un ISEE ridottissimo (inferiore a 3000 Euro, con l’aggiunta di requisiti patrimoniali aggiuntivi molto stringenti) e alla condizione lavorativa pregressa hanno comportato l’esclusione dalla misura di molti potenziali beneficiari. Oltre ai requisiti economici, è richiesta la verifica della condizione lavorativa dei membri del nucleo familiare e la precarietà lavorativa viene assunta quale requisito essenziale. Si può dunque concordare con chi ritiene che il criterio della condizione lavorativa pregressa abbia esercitato un ruolo cruciale nell’escludere molti potenziali beneficiari, in particolare nel suo incrocio con i criteri reddituali e patrimoniali di accesso. I poveri non conosciuti dai servizi Sulla capacità della misura di intercettare le “zone d’ombra” della povertà, ovvero quelle situazioni poco note ai servizi sociali e alle amministrazioni, le evidenze sono contraddittorie: in alcuni casi pare che abbiano fatto domanda famiglie per la maggior parte non “conosciute” dai servizi; in altri, invece, il dato sembrerebbe completamente ribaltato con una minima percentuale di utenti “nuovi” rispetto alle categorie di utenti dei servizi sociali. Complessivamente, si può concordare con chi afferma che “sembra esserci un problema di take-­‐up, per cui non tutti i potenziali beneficiari sono venuti a conoscenza della misura, forse anche per una ‘timidezza’ nazionale e locale nella diffusione dell’informazione, stanti i rischi di un eccessivo razionamento rispetto bisogno potenziale”26 La presa in carico In relazione ai progetti di presa in carico, le attività sono ancora limitate e le esperienze molto diverse. Il Comune di Napoli attiverà i percorsi previsti attraverso i Programmi di Accompagnamento Sociale (PAS), affidati al terzo settore del territorio, che erano sospesi per assenza di risorse e che saranno riattivati tramite bandi e collegati alla social card attraverso risorse ad hoc. Ad eccezione di quello di Napoli, gli altri Comuni interpellati nel monitoraggio hanno già avviato percorsi di collaborazione e consultazione con le realtà territoriali del terzo settore. In particolare, il Comune di Bari ha istituito una commissione mista composta dall’Ufficio di Piano del Comune e dai servizi territoriali, che include altri enti territoriali governativi, al fine di definire meglio i progetti di presa in carico. Il Comune di Torino ha istituito un tavolo di confronto al quale sono state invitate a partecipare attivamente anche le organizzazioni del terzo settore, tra le quali ActionAid: a tutte le associazioni è stato chiesto di “offrire” progetti personalizzati di presa in carico. In nessun caso, stando a quanto è emerso dalle interviste, è stata manifestata la volontà di “spronare” i diversi attori coinvolti a costruire progettazioni comuni, trasversali e innovative. La promozione dei servizi Un altro aspetto critico riguarda la scelta dello Stato di finanziare esclusivamente la componente monetaria della Nuova Social Card. Sebbene quest’ultima preveda progetti di presa in carico e integrazione con servizi alla persona, lo stanziamento garantito dal governo centrale si riferisce solamente all’erogazione del contributo in denaro, mentre la parte di presa in carico/erogazioni dei servizi deve essere finanziata dai Comuni con fondi propri. Come già con la sperimentazione del reddito minimo di inserimento alla fine degli anni Novanta, anche in questo caso il sostegno ai servizi è di fatto più dichiarato che praticato: oggi come allora, infatti, l’intervento statale garantisce la copertura delle erogazioni monetarie, mentre resta sostanzialmente inevasa la 26
Guerra, MC e Tangorra, R, 2014, Le difficoltà della Nuova Social Card? Una sperimentazione che insegna molto, in www.lavoce.info, 6 aprile 2014. questione del finanziamento dei servizi. In più, in questa fase in cui i Comuni sono sottoposti a consistenti processi di contrazione dei bilanci: è piuttosto velleitario immaginare che sia possibile reperire risorse a livello locale per finanziare i servizi aggiuntivi previsti. La struttura amministrativa Dalla nostra rilevazione è emerso un panorama differenziato per quanto riguarda la presa in carico della NSC da parte delle strutture amministrative: in alcuni casi è stato prontamente individuato un settore e un responsabile a cui affidarne l'esecuzione; in altri casi, invece, non sono ancora completamente chiare le responsabilità politico-­‐amministrative. Tra gli elementi di criticità si annovera quello della lista dei beneficiari, che nel caso della NSC viene gestita direttamente dai Comuni, e la cui compilazione, nel caso della carta acquisti, è invece affidata all’INPS. Bologna e Milano hanno preferito individuare i beneficiari della NSC attingendo agli elenchi dei beneficiari di altre iniziative di lotta alla povertà attivando senza attivare un bando pubblico, come hanno invece fatto altre città. Questo per rispettare i tempi della procedura e sostenere, attraverso la Nuova Social Card, i casi già noti ma non intercettati dai servizi. A Bologna ai nominativi delle persone inserite nelle liste di attesa per le prestazioni sociali sono stati aggiunti anche i nominativi di coloro che risiedono in alloggi di edilizia residenziale pubblica. Il Comune di Torino avrebbe voluto redigere le liste a partire dagli elenchi predisposti per altri interventi (ad esempio di edilizia residenziale pubblica) per poi completarle con i nominativi forniti dalla rete di associazioni con le quali ha attivato il confronto, ha poi però optato per la pubblicazione del bando pubblico, dal momento che il governo non si era espresso in favore della segnalazione dei beneficiari da parte del terzo settore. I bandi sono stati chiusi tra luglio e settembre: già dall’estate scorsa, per le città dove erano ormai chiusi (come a Torino e Firenze), il numero di richiedenti la NSC è risultato molto basso. Certamente ciò è imputabile alla restrittività dei criteri di accesso, anche se non è possibile a priori escludere che un certo numero di potenziali beneficiari non abbia proprio presentato la richiesta. A Firenze si è dovuto prorogare il termine del bando perché non era stato raggiunto il numero delle effettive social card erogabili. Dopo i controlli effettuati dai Comuni e dall’INPS, al ridotto numero di domande si è aggiunto, in alcuni contesti, , un elevato numero di casi di non idoneità per assenza dei requisiti. Gli ideatori della misura sottolineano in proposito come il controllo preventivo si sia rivelato “molto efficace in termini di contrasto alle frodi ed essenziale per la sopravvivenza della misura”27, sottolineando che le difficoltà incontrate da precedenti esperienze in materia sono dovute, in misura significativa, proprio all’incapacità di controllare il reale possesso dei requisiti da parte dei beneficiari. La realtà dei Comuni La percezione generale è che i Comuni siano oberati dal carico di lavoro e dagli appesantimenti burocratici. Pochi manifestano interesse nei confronti della realizzazione di un osservatorio sulla povertà e le critiche rivolte alle modalità di realizzazione di questa iniziativa sono in molti casi velate, in altri più esplicite, ma sempre presenti. Il responsabile del comune di Bari ha, a questo proposito, espresso il proprio rammarico, ritenendo che sarebbe stato più utile ed efficace destinare lo stanziamento previsto ad azioni di contrasto alla povertà ma tramite interventi e procedure già esistentiintroducendo senza introdurre nuove misure che comportano un conseguente onere in termini di incombenze burocratico-­‐amministrative. Il comune di Bologna ha intravisto nel progetto il viatico necessario per l’avvio di una politica di reddito minimo. In alcuni casi, inoltre, i Comuni hanno lamentato di aver giocato un ruolo poco strategico, essendo stati di fatto collettori delle domande dei beneficiari, senza nemmeno poter contare su un supporto tecnologico adeguato per svolgere questo ruolo. La tempistica Nello scenario illustrato spicca la dilatazione dei tempi di erogazione, elemento già richiamato. Tra i casi più eclatanti di ritardo rispetto alla tempistica inizialmente ipotizzata spicca la città di Roma, che ha aperto i termini di presentazione delle domande nel gennaio 2014, più di sei mesi dopo le altre amministrazioni, a 27
Guerra e Tangorra, op. cit. causa dei ritardi provocati dal rinnovo dell’amministrazione comunale. Come su Roma a livello locale, così a livello nazionale l’avvicendamento di tre governi, a partire dall’attuazione del decreto che ha istituito la Nuova Social Card, certamente non ha facilitato le cose in termini di implementazione ma anche di visione e aggiustamenti in itinere della misura. Un tema di fondo, dunque, consiste nella lentezza con cui le decisioni si irradiano dal livello centrale a quello locale e le modalità con cui le scelte istituzionali ricadono concretamente sui cittadini, in alcuni casi coinvolgendo il terzo settore e le organizzazioni della società civile. Il risultato, dunque, è che a oltre tre anni dalla decisione di stanziare 50 milioni di euro a sostegno degli individui e delle famiglie più povere, solo ora i possibili beneficiari iniziano ad essere toccati dall’intervento. Queste prime considerazioni sulla misura contribuiscono a sottolineare l’importanza e la centralità di un’azione di valutazione esterna, indipendente e partecipata, che accompagni, con il contributo di esperti e terzo settore, l’implementazione della NSC e di altre misure che nel frattempo dovessero esser progettate e attivate a integrazione della stessa o come suo sviluppo. Su questo ActionAid si sta spendendo, anche in collaborazione con altre realtà del Terzo Settore attive sul fronte della cittadinanza attiva e della trasparenza nella pubblica amministrazione. Tra i suoi impegni vi è quello di proseguire il lavoro di dialogo e confronto con le amministrazioni locali alla prese con la realizzazione di progetti di presa in carico e di valutazione di impatto dell’intervento. E’ l’esperienza stessa della NSC a mostrare l’importanza decisiva di un puntuale monitoraggio degli aspetti attuativi. Mentre, infatti, in merito ai principi di fondo che guidano la sperimentazione non si può che essere d’accordo (mix di soldi e servizi, welfare locale, adeguatezza, connubio di diritti e doveri), vi sono invece incertezze e diversità di opinioni su quali siano le strade migliori per tradurli in pratica. Sotto questo profilo, l’esperienza della NSC fornisce una varietà di spunti utili tanto sulle le direzioni positive quanto sugli errori da non ripetere. In conclusione, due urgenze sembrano non più eludibili: in primo luogo la necessità di dare risonanza pubblica al tema della povertà, evitando le tentazioni semplificatorie stereotipate e tenendo conto delle caratteristiche che il fenomeno ha assunto e sta assumendo in questi ultimi anni: è importante che società civile e organi di informazione facciano la loro parte per rimettere al centro del dibattito economico, sociale, e politico la povertà. In secondo luogo appare fondamentale inscrivere i miglioramenti delle misure di contrasto alla povertà nel più ampio contesto di un programma di incremento dell’efficienza delle politiche pubbliche di welfare: questo è realizzabile nutrendo l’analisi delle politiche con dati aggiornati ed integrati, aprendo al dibattito civico e proponendo risposte basate su evidenze empiriche rilevate con rigore scientifico. Cosa deve fare il Governo Renzi? L'esecutivo Renzi è chiamato a definire la propria posizione rispetto alla diffusione della povertà in Italia e all'inadeguatezza delle politiche di contrasto esistenti: le sue intenzioni si vedranno soprattutto dall’ammontare delle risorse che verranno stanziate per il contrasto alla povertà in Italia dalla Legge di Stabilità 2015 (ottobre – dicembre 2014). La complessiva linea della compagine governativa determinerà anche le scelte in merito a cosa fare del pacchetto di sperimentazioni predisposte dal Governo Letta28. L'attuale compagine governativa ne ha ereditato il disegno e i relativi stanziamenti, ma mentre quella riguardante la Nuova Social Card nei 12 Comuni più grandi è partita, le altre (la maggior parte) non lo hanno fatto. Il cuore della vicenda è capire se la lotta alla povertà diventerà una priorità dell'azione di Governo e, qualora ciò accada, se tale scelta verrà declinata nella progettazione di modalità d'intervento innovative. Gli snodi decisivi sono, dunque, riassumibili in due domande: Ø la lotta alla povertà è una priorità? Una risposta affermativa porterebbe con sé un adeguato stanziamento di risorse economiche; 28
Si tratta dell'insieme delle sperimentazioni della Nuova Social Card e della Carta per l'Inclusione Sociale predisposte dal Governo Letta descritte sopra. Ø si vogliono innovare le modalità d'intervento? Si tratterebbe di progettare azioni capaci di rispondere alle esigenze delle famiglie in povertà in modo nuovo. L'alternativa nel sarebbe quella di consolidare – anche in presenza di maggiori stanziamenti – le logiche d’intervento tradizionali. Pertanto il Governo Renzi può scegliere se: continuare con un sistema basato sulla Social Card, coniugando l'ascesa della lotta alla povertà tra le priorità politiche con il consolidamento delle modalità d'intervento tipiche del sistema italiano di protezione sociale. Vengono stanziati significativi finanziamenti addizionali da destinare ad un nuovo contributo economico, puro e semplice e non affiancato da servizi alla persona, che si aggiunge alle prestazioni esistenti. Non sono coinvolte le realtà del welfare locale. • Proseguire con le sperimentazioni predisposte dal precedente esecutivo, mantenendole come unico intervento contro l'indigenza. Mancando una scelta politica a favore del contrasto all'esclusione sociale, si lascerà che le sperimentazioni seguano l'iter già stabilito e si spengano progressivamente, senza ulteriori azioni in materia. Allo stesso tempo, si concentreranno gli sforzi per il welfare sui temi del lavoro, il Jobs Act e l'introduzione del sussidio universale di disoccupazione.Ciò accadrebbe, in caso di effettiva adozione del sussidio universale di disoccupazione, in un contesto segnato da un passo in avanti storico – rispetto al passato – per le politiche riguardanti il mercato del lavoro, ma la scarsa rilevanza della lotta alla povertà non sarebbe messa in discussione. • Portare avanti un “Piano nazionale contro la povertà” che si fonda sul REIS (qui sotto descritto in forma sintetica). IL REIS in Sintesi In estrema sintesi, il Reis si basa sui seguenti principi: Universalismo, Adeguatezza, Inclusione Sociale e Inclusione Attiva (Lavoro), Partnership e Cittadinanza. • Destinatari (Universalismo) Il Reis si rivolge alle famiglie in condizione di povertà assoluta ed è destinato ai cittadini di qualsiasi nazionalità, in possesso di un valido titolo di legittimazione alla presenza sul territorio italiano e ivi residenti da almeno 12 mesi. • Importo (Adeguatezza) Ogni famiglia riceve mensilmente una somma pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia Istat di povertà assoluta. Il principio guida è quello dell’adeguatezza: grazie a questo supporto nessuna famiglia è priva delle risorse necessarie a raggiungere un livello di vita “minimamente accettabile”. • Servizi alla persona (Inclusione sociale) Insieme al contributo monetario, gli utenti del Reis ricevono i servizi dei quali hanno bisogno. Possono essere servizi per l’impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale, riferiti a bisogni di cura -­‐ disabilità, anziani non autosufficienti etc. -­‐ o di altra natura. S’intende così fornire nuove competenze alle persone e/o aiutarle ad organizzare diversamente la propria esistenza. Il principio guida risiede nell’inclusione sociale: dare alle persone l’opportunità di costruire percorsi che – nei limiti del possibile – permettano di uscire dalla condizione di marginalità. • Welfare mix (Partnership) Il Reis viene gestito a livello locale grazie ad un impegno condiviso innanzitutto da Comuni e Terzo Settore. I Comuni hanno la responsabilità della regia complessiva, mentre il Terzo Settore co-­‐
progetta gli interventi insieme ad essi, esprimendo le proprie competenze in tutte le fasi. Anche altri soggetti svolgono un ruolo centrale, a partire da quelli che si occupano di formazione e lavoro. La collaborazione tra attori pubblici e privati a livello locale permette infatti di affrontare con successo il nodo povertà. •
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Lavoro (Inclusione attiva) Tutti i membri della famiglia in età tra 18 e 65 anni e ritenuti abili al lavoro devono attivarsi nella ricerca di un’attività professionale, dare la propria disponibilità ad accettare un’occupazione offerta dai Centri per l’impiego e a frequentare attività di formazione o riqualificazione professionale. Il principio guida è l’inclusione attiva: chi può rafforza le proprie competenze professionali e deve compiere ogni sforzo per trovare un’occupazione. Livelli essenziali (Cittadinanza) Il Reis costituisce un livello essenziale delle prestazioni, il primo intervento di politiche sociali a diventarlo (l'unico livello è oggi l'Isee). Viene così introdotto una tutela assicurata a chiunque cada in povertà assoluta sulla base del diritto di cittadinanza. Percorso attuativo Il Reddito d’Inclusione Sociale viene introdotto gradualmente, lungo un cammino articolato in quattro annualità. L’utenza viene ampliata annualmente e così il quarto e ultimo anno della transizione corrisponde al primo a regime, cioè quello a partire dal quale il Reis è rivolto a tutte le famiglie in povertà assoluta. Il progressivo allargamento dell’utenza segue il principio di “dare prima a chi sta peggio”. Detto altrimenti, si comincia dalle famiglie che versano in condizioni economiche più critiche per poi progressivamente rivolgersi – a partire dal quarto anno – a tutti i nuclei in povertà assoluta. La gradualità nell’introdurre la nuova misura è sostenuta da diverse ragioni. Da una parte, permette di diluire nel tempo il necessario incremento di risorse, rendendolo maggiormente sostenibile per la finanza pubblica. Dall’altra, solo in questo modo è possibile consolidare la misura assicurando adeguati tempi di apprendimento e di adattamento organizzativo a tutti soggetti chiamati ad erogarla sul territorio (Comuni, Terzo Settore, Centri per l’Impiego e così via). Trattandosi di un’innovazione ambiziosa per il nostro sistema di welfare, che richiede un robusto cambiamento sul piano organizzativo, procedere per gradi e fornire allo stesso tempo tutti gli strumenti necessari al livello locale paiono condizioni irrinunciabili ai fini del suo successo. La proposta assegna allo Stato un ruolo decisivo ma non intrusivo. Si ritiene, infatti, che dare priorità all’autonomia dei territori non significhi affatto abbandonarli a sé stessi. Valorizzarne l'autonomia, invece, vuol dire mettere i territori nelle migliori condizioni di compiere le proprie scelte senza però interferirvi, ovviamente nella misura in cui si realizzino nel pieno rispetto dei diritti dei cittadini. Allo stesso modo, le politiche nazionali possono avere successo solo se risultano flessibili rispetto alle diverse realtà territoriali: non si può correre il rischio che queste ultime siano soverchiate dall’onere di rispettare indicazioni statali eccessivamente dettagliate, perdendo così di vista i propri obiettivi primari. Il compito dello Stato, di conseguenza, consiste nel realizzare l’“infrastruttura nazionale per il welfare locale”, cioè nell’attivare quell’insieme di elementi capaci di mettere gli enti locali e gli altri soggetti impegnati sul territorio nella situazione migliore possibile per assicurare il diritto a un Reis di qualità, tenendo conto delle caratteristiche del contesto locale. Ricapitolando: a) L’introduzione è graduale e ha luogo in quattro anni; b) L’utenza si allarga progressivamente, partendo da chi è in condizioni economiche peggiori; c) Ogni anno la spesa pubblica dedicata aumenta rispetto al precedente; d) Le prestazioni contro la povertà attualmente esistenti scompaiono progressivamenteperché assorbite nel Reis; e) Lo Stato, in collaborazione con le Regioni, fornisce ai soggetti del territorio un insieme di strumenti per metterli in condizione di assicurare un Reis di qualità. La spesa necessaria La spesa pubblica annuale aggiuntiva per il Reis a regime è la somma di tre parti: quella per i contributi economici, quella dedicata ai servizi alla persona e infine la quota destinata a monitoraggio e valutazione. Per calcolarla bisogna, innanzitutto, ipotizzare il tasso di povertà assoluta nel 2018, cioè nel primo anno a regime del Reis. Il costo complessivo della misura dipende dalla dimensione dell’utenza, cioè da quanti saranno allora i poveri assoluti. La nostra ipotesi è di un tasso al 5,9% delle famiglie, per tre motivi: a) riteniamo che l'auspicata ripresa dell'economia italiana potrà far scendere l'attuale tasso di povertà del 6,8% di famiglie (2012), b) pensiamo che risulti irrealistico immaginare, ancora per molto, il ritorno alle condizioni pre-­‐crisi, con povertà al 4,1% (2007), date le difficoltà strutturali del Paese, c) dovendo scegliere un valore tra i due estremi di 4,1% e 6,8%, pare più opportuno avvicinarsi al limite più alto, in modo da non rischiare stime al rialzo a livello risorse economiche necessarie. Sulla base di alcuni studi precedenti, è ragionevole supporre che – al fine di valorizzare adeguatamente la componente servizi -­‐ il totale delle risorse aggiuntive destinate ai servizi debba ammontare a circa un terzo della componente di spesa per le prestazioni economiche. Si stimano approssimativamente circa 1400 milioni di Euro annui. S’immagina, dunque, che questa parte del budget venga allocata tra i diversi servizi coinvolti in quote proporzionali. La spesa per monitoraggio e valutazione, invece, è pari a 2,4 milioni annui. Sommando le diverse componenti, la spesa annua aggiuntiva a regime per il Reis ammonta a circa 7,1 miliardi di Euro. La spesa pubblica annuale per il Reis a regime Milioni di Euro Contributo economico 5500 Servizi alla persona 1600 Monitoraggio e valutazione 2,4 TOTALE 7102,4 Erogazione monetaria A differenza della Social Card (tradizionale e Nuova), il Reis è un'erogazione diretta di denaro senza vincoli di utilizzo per le famiglie: una scelta coerente con quanto accade in tutti i Paesi europei e con le indicazioni che ci provengono dal mondo della ricerca. D'altra parte, esiste il rischio che fornire denaro contante a persone fragili, devianti o a rischio di devianza conduca ad un utilizzo improprio (ad esempio per l’acquisto di alcool o sostanze, a scapito del soddisfacimento di bisogni primari quali cibo e abbigliamento). Come già accade in molti Comuni, in questi casi – che si suppone riguardino una netta minoranza degli utenti Reis -­‐ gli operatori possono trasformare il contributo monetario in una carta ad utilizzo vincolato. I percorsi di inclusione sociale e lavorativa Essi hanno lo scopo di favorire il superamento dell'emarginazione dei singoli e delle famiglie attraverso la promozione delle capacità individuali e dell'autonomia economica. È possibile suddividerli in: • Percorsi di tipo terapeutico-­‐riabilitativo, rivolti essenzialmente a persone portatrici di problematiche complesse, in condizione di forte disagio sociale ed emarginazione e spesso in condizioni di salute compromesse, incompatibili con lo svolgimento di un’attività lavorativa; • Percorsi di sostegno alle responsabilità familiari riguardanti il supporto ad attività di cura di anziani e minori, interventi di prevenzione e sostegno socio-­‐sanitario e psicologico alle famiglie e alle coppie; • Percorsi socio-­‐educativi e di alfabetizzazione finalizzati a limitare la dispersione scolastica (recupero, sostegno scolastico, servizi scolastici a domanda, ecc.) e a sostenere la frequenza a servizi di carattere socio-­‐educativo per la prima infanzia e la scuola materna, nonché a facilitare la fruizione del tempo libero da parte dei minori (sport, gioco, ecc.) ma anche a promuovere il recupero della scolarità perduta degli adulti e percorsi di alfabetizzazione per i cittadini stranieri; •
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Percorsi di integrazione socio-­‐relazionale rivolti all’inserimento dei beneficiari in attività di volontariato presso associazioni e cooperative e finalizzati ad accompagnare la persona nell’acquisizione di maggiore autonomia e autostima, in una logica di empowerment; Percorsi di inclusione lavorativa, per i soggetti in età attiva e abili al lavoro saranno attivati percorsi formativi e di inclusione attiva nel mercato del lavoro. I percorsi di inclusione lavorativa hanno lo scopo di consentire ai beneficiari abili al lavoro di inserirsi nel mercato, anche attraverso percorsi di formazione e riqualificazione volti a far loro ottenere le competenze necessarie. Gli utenti abili al lavoro sono assegnati alla supervisione di uno o più tutor (provenienti dai servizi sociali e/o dai centri per l’impiego) e accompagnati a iscriversi al Centro per l’impiego provinciale. Devono impegnarsi attivamente nella ricerca di un lavoro e dichiararsi immediatamente disponibili ad accettare un’offerta di lavoro congrua (nei limiti di un pendolarismo ragionevole ed economicamente sostenibile). Cosa non è il Reis • Il Reddito d’Inclusione Sociale non è una misura contro l’impoverimento ossia la condizione di coloro che si trovano al di sopra della soglia di povertà assoluta ma, senza adeguate risposte, sono destinati a cadere nell’indigenza. • Il Reis non è incluso nelle ulteriori riforme delle quali il nostro welfare avrebbe bisogno, ossia azioniquali i servizi alla prima infanzia, il fisco a sostegno delle famiglie con figli e gli interventi per le persone non autosufficienti (persone disabili e anziani). Quella delineata, pertanto, non è assolutamente l’unica riforma necessaria al sistema di welfare del nostro Paese: bisogna agire anche su tutte le aree di protezione sociale. Potenziare da subito aree della protezione sociale permetterebbe di “proteggere” il Reis. Si rischia, infatti, che la sua introduzione risulti l’unica risposta di rilievo messa in campo dal sistema pubblico a favore delle persone più fragili. Se così fosse, sul Reddito d’Inclusione Sociale si riverserebbero anche le tante domande di tutela originate da situazioni diverse dalla povertà assoluta (ad esempio il costo del mantenimento dei figli, l’impoverimento, la non-­‐autosufficienza): ciò si verificherebbe, in particolare, nei territori dove il tessuto socio-­‐economico è più debole e contemporaneamente la presenza di servizi è maggiormente carente. Il Reis, però, non può – per sua natura -­‐ soddisfare domande come quelle citate. Nello scenario prefigurato, dunque, si creerebbero difficoltà organizzative dovute all’impegno extra necessario per esaminare un numero particolarmente elevato di richieste, oltre a scontento nei tanti che le vedrebbero rifiutate e pressioni affinché la misura sia impropriamente utilizzata per scopi diversi da quelli che le sono propri. Chi riceve il REIS? Il Reis è un trasferimento monetario di carattere universale poiché si rivolge a tutte le famiglie in povertà assoluta. Pertanto, rispetto agli altri strumenti oggi presenti in Italia per combattere l'indigenza, come le carte acquisti (riservate agli anziani o alle famiglie con minori) o la pensione sociale (solo per chi ha più di 65 anni), che sono limitate a specifiche categorie familiari, il Reis si distingue per la sua impostazione universalistica. Il Reis non solo tutela un diritto soggettivo, ma è destinato alla salvaguardia di condizioni di vita minimamente accettabili. In conformità alle normative europee e nazionali e a quanto la giurisprudenza costituzionale ed europea oramai concordemente stabiliscono, hanno diritto di accedere al Reis tutti i cittadini, di qualsiasi nazionalità, in possesso di un valido titolo di legittimazione alla presenza sul territorio nazionale, regolarmente residenti da almeno dodici mesi nel Comune italiano nel quale fanno richiesta della misura. I criteri economici per ricevere il Reis: una sintesi Soglia Isee Isee di uguale o inferiore a 12mila euro (valore nuovo Isee) Soglia di reddito familiare Indicatore reddito presunto29 Si tratta del reddito familiare disponibile, dato da tutte le forme di reddito monetario percepite dalla famiglia nell’ultimo anno, al netto delle imposte dirette e dei contributi obbligatori sul reddito da lavoro, ad eccezione dell’eventuale percepimento dell’indennità di accompagnamento. Per le famiglie che vivono in affitto, La soglia aumenta del 75% dell’importo del canone di locazione pagato (fino a un massimo di 7000 euro annui). Vengono stanziati 400 euro al mese per i nuclei composti da una persona. Per gli altri nuclei 400 euro al mese moltiplicati per la corrispondente scala di equivalenza Isee: 628 per nuclei di 2 persone, 817 per tre, 985 per quattro, 1280 per cinque persone. di Ad ogni famiglia viene attribuito un livello minimo di consumi presunti, sulla base della numerosità familiare, dell’area di residenza, del possesso di automobili e della dimensione dell’abitazione. Sulla base dei consumi presunti viene calcolato il reddito presunto, che viene confrontato con quello dichiarato. Il Reis rappresenterà il primo livello essenziale relativo agli interventi sociali introdotto nel nostro Paese. Tale livello si articola nei quattro componenti presentati nel box sottostante. Componente del livello essenziale (Monetaria) Erogazione economica mensile, versata alla famiglianell'importo e per la Misura di sostegno al reddito durata previste dalle norme del Reis. (Servizi alla persona) Attività di pubblicizzazione della misura e “aggancio” dei soggetti più Informazione e accesso vulnerabili, porta di accesso e personale specializzato per la funzione di segretariato sociale e le procedure di accoglienza. (Servizi alla persona) Operatori specializzati valutano la condizione della famiglia, stabiliscono Presa in carico con essa il percorso di inclusione sociale e/o lavorativa e lo avviano. (Servizi alla persona) Cuore del percorso d'inclusione contro il disagio psicologico e/o sociale, Interventi di integrazione delle attività di cura e di altra natura. A fornirli possono essere servizi per sociale e/o l'impiego, servizi sociali comunali, terzo settore, servizi sanitari e scuole. lavorativa La filiera del Reis •
La struttura sovra-­‐territoriale è incentrata sul Ministero del Welfare, che sovraintende e dirige il processo di riforma. Coordina i soggetti nazionali, definisce i livelli di servizio e gli obiettivi annui, promuove l’omogeneizzazione dell’organizzazione e degli interventi locali con linee guida, vigila sul corretto espletamento del programma. Più in generale, il Ministero è responsabile della concreta realizzazione dell'infrastruttura nazionale sopra delineata. •
L’Inps è il soggetto nazionale attuatore del Reis. Ha la competenza finale di verificare l’ammissibilità al Reis e di erogare il trasferimento monetario; realizza un sistema informativo adeguato a rispondere 29
Nell’esperienza degli schemi di reddito minimo emerge che, anche quando s'impiegano le dichiarazioni Isee, molte famiglie dichiarano redditi nulli oppure molto bassi, non corrispondenti al vero. Per fronteggiare tale fenomeno è previsto l'utilizzo di un indicatore (già impiegato in vari contesti locali) che, sulla base dei consumi presunti (calcolati secondo la numerosità familiare, l’area di residenza, il possesso di automobili e la dimensione dell’abitazione), stima il reddito del nucleo. Questo viene confrontato con il reddito familiare dichiarato dal richiedente: tra i due, il maggiore diventa quello considerato ai fini del Reis. Il richiedente può confutare il reddito stimato sulla base dei consumi presunti e portare dimostrazioni che il suo livello di reddito sia effettivamente quello dichiarato. La fondatezza delle sue argomentazioni contrarie viene valutata dai Servizi Sociali. •
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alle esigenze conoscitive di tutti i soggetti – centrali e locali – coinvolti nella gestione del Reis, anche per l’offerta di servizi e per gli esiti delle azioni attivate. Le Regioni hanno un ruolo di raccordo tra lo Stato e i territori e rendono possibile l'infrastruttura nazionale per il welfare locale. Svolgono numerosi compiti: a) programmano in modo integrato con il Reis tutte le altre politiche che concorrono a ridurre l’esclusione (abitative, trasporti, istruzione, politiche attive del lavoro); b) stabiliscono le eventuali ulteriori misure contro la povertà che integrano il programma nazionale; c) realizzano il supporto tecnico degli enti gestori e dei Comuni; d) gestiscono i poteri sostitutivi. Il polo locale del Reis è costituito dai Comuni, che sono però distribuiti in oltre 8.000 municipi di grandezza e capacità estremamente disomogenee. La dimensione appropriata per la gestione efficiente ed omogenea del Reis è quella intercomunale dell’Ambito Territoriale Sociale. Sarà ogni Ambito, attraverso la sua Conferenza dei Sindaci, ad individuare l’ente gestore del Reis per il proprio territorio (Comune Capofila, Consorzio intercomunale, Unione dei Comuni, Azienda Speciale o altro). L'Ente Gestore gestisce per tutti i Comuni dell’Ambito sociale la misura a livello intercomunale e coordina l’intervento dei soggetti partner (CpI, Terzo Settore, distretti sanitari, ecc.). Il Terzo Settore ha un ruolo di primo piano nella pubblicizzazione della misura, in particolare tra le fasce di popolazione meno informate. Può essere coinvolto, laddove i Comuni dell'Ambito ne ravvisino la necessità, nella gestione di una o più attività ricomprese nella fase dell’accesso e presa in carico. E, invece, sempre coinvolto nella fase di programmazione degli interventi e dei percorsi di inclusione sociale e lavorativa nei quali il Terzo Settore svolgerà un ruolo fondamentale nel fornire i propri servizi. Infine, il Terzo Settore potrà contribuire al monitoraggio e alla valutazione del Reis, fornendo informazioni richieste per l’alimentazione del sistema informativo nazionale e mettendo a disposizione le risultanze dei propri osservatori. I Centri per l'Impiego in accordo con gli Ambiti, progettano e realizzano i patti di servizio per i percorsi di attivazione per le persone abili al lavoro. I Distretti sanitari, istituti scolastici e istituti regionali di formazione sono responsabili dei percorsi di loro competenza, nell’ambito degli specifici piani di assistenza socio-­‐sanitaria, di istruzione e formazione professionale e di assistenza sociale, sempre in accordo con gli enti gestori (come ipotizzato per i CpI). Regole nazionali e progettualità locale I servizi alla persona facenti parte del Livello essenziale Reis, da garantire in tutto il territorio nazionale, si articolano in tre componenti, in aggiunta al contributo economico: la porta di accesso, la presa in carico e i percorsi di inclusione sociale e lavorativa. Lo Stato stabilisce poche regole fondamentali riguardanti la presenza di queste componenti mentre la loro organizzazione è responsabilità dei singoli territori. É la filosofia dell’”infrastruttura nazionale per il welfare locale”: il centro formula esclusivamente alcune indicazioni chiave e poi fornisce ai territori gli strumenti per tradurle in pratica, nel rispetto delle diverse peculiarità (a partire dai servizi già esistenti) e puntando alla massima valorizzazione delle loro specifiche progettualità. Allo stesso tempo, lo Stato verifica l'attuazione delle indicazioni e interviene in caso di difficoltà/inadempienze. Infatti, in una strategia nazionale la chiave è quella di accompagnare la formulazione di obiettivi con la costruzione delle migliori condizioni attraverso cui i territori possano raggiungerli, facendo della loro autonomia progettuale una risorsa. Glossario essenziale Povertà relativa S’intende la difficoltà nel godimento di beni e servizi riferita a persone o ad aree geografiche in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione. Questo livello è individuato attraverso il valore medio del reddito per abitante, ovvero la quantità di denaro di cui ogni cittadino può disporre in media ogni anno, e fa riferimento a una soglia convenzionale adottata internazionalmente che considera povera una famiglia di due persone adulte con un consumo inferiore a quello medio pro-­‐capite nazionale. Povertà assoluta La più dura condizione di povertà, nella quale non si dispone -­‐ o si dispone con grande difficoltà o intermittenza -­‐ delle primarie necessità per il sostentamento umano, come l’acqua, il cibo, il vestiario e l’abitazione. Un individuo si trova in tale condizione quando risponde ad almeno 4 dei 9 problemi qui sotto considerati: • non poter sostenere spese impreviste di 800 euro; • non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa; • avere arretrati per il mutuo, l’affitto, le bollette o per altri debiti come per es. gli acquisti a rate; • non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, cioè con proteine della carne o del pesce (o equivalente vegetariano); • non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; • non potersi permettere: a) una lavatrice b) un televisore a colori c) un telefono d) un’automobile. Incidenza di persone che vivono in famiglie senza occupati Percentuale di persone che vivono in famiglie dove è presente almeno un componente di 18-­‐59 anni e dove nessun componente lavora o percepisce una pensione da lavoro sul totale delle persone che vivono in famiglie con almeno un componente di 18-­‐59 anni. Cash transfers Trasferimenti diretti in denaro ad una determinata fascia della popolazione di solito forniti dal governo statale e federale. Conditional cash transfer Programmi che mirano a ridurre la povertà facendo programmi di welfare subordinato alle azioni dei destinatari. Il governo (o un ente di beneficenza)trasferisce i soldi solo alle persone che soddisfano alcuni criteri. Questi criteri comprendono ad esempio l’iscrizione dei figli nelle scuole pubbliche, regolari check-­‐
up medici, vaccinazioni, ecc. Ritirato dal lavoro È chi ha cessato un’attività lavorativa per raggiunti limiti di età, invalidità o altra causa; la figura del ritirato dal lavoro non coincide necessariamente con chi riceve una pensione.