Documento programmatico Vito Vattuone
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Documento programmatico Vito Vattuone
CONGRESSO PD LIGURIA 2017 Documento programmatico di Vito Vattuone Populismi, Destre, Europa: le sfide dei riformisti A distanza di pochi giorni, l’elezione di Trump e la sconfitta al referendum costituzionale in Italia hanno rappresentato una duplice delusione. La disfatta di Hillary Clinton ha infranto le aspettative di chi chiedeva continuità con le risposte alla crisi mondiale di Obama, sponda politica importante per le sinistre europee. La vittoria del No – ben oltre il senso delle proposte concrete previste dal quesito referendario – ha fatto uscire di scena Renzi e ha indebolito il contributo del PD e quindi del PSE nel dibattito europeo su rigore e crescita. In questa fase nuova, la responsabilità politica che oggi abbiamo non è quella di farci portatori e testimoni di principi e valori immutabili con cui resistere alle sfide della storia. Noi oggi abbiamo la responsabilità di misurare il nostro orizzonte di valori, di donne e uomini del centro-sinistra, con la complessità del divenire storico. Siamo un Partito che non può fermarsi alla testimonianza delle proprie idee, ma deve metterle in gioco per governare i processi storici, preoccupandosi delle conseguenze del proprio agire e delle proprie scelte. La mia candidatura alla segreteria regionale del Pd ligure è una decisione difficile, che prendo nell’ottica della responsabilità verso tutta la nostra comunità e il nostro territorio, con l’auspicio che, dopo un periodo di commissariamento, il partito possa ritornare, a tutti gli effetti, protagonista dell’agire politico nella nostra regione. Viviamo in una congiuntura in cui il vento della storia sembra soffiare nelle vele delle destre populiste. Ma cosa intendiamo con questo termine? Intendiamo, precisamente, formazioni politiche o, nel caso di Trump, figure politiche che hanno saputo reinventare la destra in termini di contenuti politici, posizionamento e modalità di comunicazione. Oggi le destre con cui ci dobbiamo confrontare sono destre sovraniste, anti-istituzionali, protezioniste, che non si riconoscono nella vecchia dicotomia di destra/sinistra e fanno largo uso del lessico dell’anti-politica. Il Pd, le forze europee e mondiali della sinistra, sono sotto scacco per il ritorno prepotente di questi movimenti, attraversati con inquietante frequenza da coloriture razziste, intolleranti e sempre meno velatamente fascistoidi. Questa fase politica va sempre tenuta bene a mente, anche quando si affrontano problematiche di tipo locale, perché oggi, nell’epoca dei Social Network e New Media, nella cornice della società in rete, la dimensione globale si inscrive in quella locale e viceversa. Oggi il Partito Democratico rappresenta il modello europeo più avanzato di rinnovamento. Che questo modello, di fronte alla sfida insidiosa e inedita dei populismi di destra, abbia mostrato dei limiti è chiaro. Ma occorre avere la lucidità di vedere che, pur con diversi difetti e correzioni da mettere in atto, questo modello rappresenta oggi, in Italia, l’unica possibilità di elaborare una risposta efficace al populismo delle destre. Non si tratta semplicemente di resistere all’avanzata delle destre: ma di rappresentare un’alternativa forte e credibile. Dobbiamo prendere atto del fatto che molta working class percepisce le proposte della sinistra riformista come distanti, inadatte e insufficienti. E nel disagio sta anche molta classe media che percepisce più la paura di retrocedere socialmente e di non immaginare futuro per i figli che non l’effettivo maggior benessere complessivo rispetto a due generazioni prima in termini di salute, longevità, opportunità, accesso alla cultura, alla mobilità e all’informazione. L'America di Trump è un rinnovato vecchio: protezionismo economico in età di una globalizzazione finanziaria nella quale lui stesso è cresciuto. E’ espressione di un capitalismo globale che vuole rivedere il suo rapporto con la democrazia e il cosmopolitismo dei diritti umani. La configurazione solo formalmente democratica di un colosso come la Russia o il comunismo turbo capitalista della Cina, completano un quadro di accerchiamento all’Europa, e ai suoi valori fondanti, veramente drammatico e incalzante. Senza dimenticare il terrorismo islamista e la minaccia dell'ISIS. In questa situazione così complessa è indubbio che l'Unione Europea potrebbe fare molto di più per assicurare a tutti noi un futuro come cittadini europei, italiani e liguri. Si potrebbero fare molti esempi di come l'Europa che c'è, quella delle grandi conquiste di libertà di movimento e del mercato unico, sia oggi chiaramente un'Europa del "troppo poco troppo tardi", dove alcune istituzioni come la Commissione Europea e il Parlamento Europeo riescono a fare proposte nell'interesse comune ma che spesso si infrangono a livello dei governi. Una svolta è possibile e necessaria: il 25 marzo con le celebrazioni per i 60 anni dei Trattati di Roma si può proporre e costruire la strada per un'alternativa al ripiegamento nazionalistico; abbiamo bisogno di "globalizzare" la politica rendendo concreta la prospettiva di un'Unione più incisiva, più unita, più sociale, più democratica, più vicina ai territori. Territori come la Liguria, da un'Europa con competenze federali più forti, un'Europa più autorevole nel mondo e più attenta a chi non ce la fa, avrebbero molto da guadagnare. Possiamo fare alcuni esempi: l'incremento dei commerci tra le due sponde del mediterraneo; i maggiori investimenti comuni sulle infrastrutture fondamentali per i nostri porti; tempi certi e una posizione chiara dell'Europa nelle scelte di mercato e commerciali con il Regno Unito nella trattativa sulla Brexit, tema fondamentale per le nostre imprese che commerciano e investono in quel Paese; una normativa più netta per il contrasto al dumping sociale e salariale realizzato a scapito dei lavoratori; un mercato unico più dinamico per le nostre eccellenze turistiche, culturali, produttive ed enogastronomiche. Molto di tutto questo si è iniziato a fare negli ultimi anni anche grazie all'impegno dei Socialisti e Democratici in Parlamento Europeo, con il governo Renzi e poi Gentiloni e con gli altri governi progressisti, ma nel nuovo mondo in cui stiamo vivendo è ormai ineludibile un salto di qualità istituzionale e politico, per riportare l'Europa ad essere di nuovo in grado di compiere nei tempi e nei modi giusti le scelte di interesse comune. La ricetta del populismo delle destre o del populismo qualunquista retrocedono proprio dove è necessario invece fare un salto in avanti. Qui sta la sfida: la risposta alle ingiustizie e alle insicurezze sociali non è la chiusura degli stati nazionali e l’innalzamento delle barriere culturali, ideologiche, identitarie e religiose. Al contrario la sfida è il rafforzamento e l’adattare alle esigenze dell’oggi la cooperazione tra gli stati, gli organismi sovranazionali di governo della politica e dell’economia: il rilancio di investimenti su sviluppo, cultura e protezione sociale. In poche parole la scommessa delle forze progressiste sono la società aperta, cosmopolita e democratica. Quella scommessa va perseguita con la più forte dose di riformismo di cui siamo capaci. Lo scenario nazionale L’esito del Referendum ha chiuso una fase politica per l’Italia e per il ruolo forte che il nostro Paese avrebbe potuto giocare nello scacchiere europeo. Bene ha fatto quindi Renzi a dimettersi. Si apre oggi una fase congressuale in cui sta a tutti noi rilanciare con forza le ragioni che ci hanno portato 10 anni fa a costituire il Partito Democratico per ridare speranza e fiducia al Paese. Si è aperto l’ultimo miglio di una legislatura nata con nessun vincitore e con la prima vera esplosione elettorale del M5S; siamo arrivati al governo con una maggioranza non elettoralmente coesa e sotto l’impulso alle riforme spinte da Napolitano. In un quadro difficilissimo, l’esecutivo Renzi – bisogna dargliene atto – ha ottenuto risultati di governo impensabili all’inizio della sua esperienza. Ha collezionato risultati molto importanti e naturalmente anche una buona dose di errori. La sua irruzione sulla scena è avvenuta con un Pd ridotto ai minimi termini: ricordarlo non guasta. Una sorta di ultima spiaggia non certo preceduta dalla metabolizzazione dei temi e delle prospettive politiche che quel giovane leader avrebbe portato con sé. La sua elezione è stata una rottura culturale che ha prodotto nel corpo del partito, inevitabili lacerazioni, che lo strabiliante 41% delle europee ha suturato velocemente, ma malamente. Gli effetti li abbiamo poi visti in molte curve parlamentari, nella spigolosità dei toni e dei modi della discussione interna, fino alle tensioni di queste ore con la scissione di D’Alema e Bersani. In un quadro così conflittuale è stato difficile valorizzare gli importanti risultati del governo. E nel clima da sgambetto continuo diventava difficile capire dove una critica avrebbe aiutato a fare meglio e dove avrebbe invece bloccato un percorso. Ricordiamo però alcuni dei risultati importanti che il Pd ha conseguito: l’intervento sulla perdita di valore d’acquisto dei salari con gli 80 euro in busta paga; il Jobs Act con l’estensione degli ammortizzatori sociali a tutte le categorie di lavoratori, il divieto di dimissioni in bianco; la storica conquista dei diritti civili e il divorzio breve; la riforma terzo settore, la legge sul dopo di noi, il fondo per la non autosufficienza; i reati ambientali, l'avvio della bonifica della Terra dei Fuochi; le misure contro la corruzione, la reintroduzione del falso in bilancio, la responsabilità civile dei magistrati, l'istituzione dell'Anac; le opere incompiute portate a termine come la Variante di Valico e la Salerno Reggio Calabria; il super ammortamento, il tetto agli stipendi pubblici, la chiusura di Equitalia, la rottamazione dei ruoli, l’abbassamento delle tasse; il rilancio di Pompei, della Reggia di Caserta e gli investimenti sulla cultura; le prospettive di industria 4.0. E non da ultimi ovviamente vanno ricordati i risultati economici – certo insufficienti – ma quasi tutti di segno positivo; e i record su recupero dell’evasione fiscale. La riforma della scuola andrebbe sicuramente annoverata tra le riforme importanti con esito evidentemente contraddittorio; molte le cose da regolare, alla luce soprattutto della contrarietà forte dei soggetti coinvolti. Le elezioni regionali A metà del fiume guadato da Renzi e dal suo governo, nel pieno quindi della sommatoria di scontenti per le riforme approvate o in definizione (basti ricordare che la contestatissima riforma della scuola veniva discussa proprio in quei mesi) si sono collocate le nostre elezioni regionali che hanno permesso ad un centro destra a cui è stato sufficiente stare unito senza nemmeno un avere programma di avere ragione di un Pd fiaccato dalle diverse valutazioni su candidatura e dal giudizio politico sul governo regionale uscente. Ne abbiamo discusso molto: sarà difficile ancora per un po’ di tempo addivenire ad una lettura condivisa di quella storia. Tant’è vero che il partito esce solo ora dalla fase di commissariamento. Colgo qui l’occasione per ringraziare David Ermini per il suo lavoro paziente di questi mesi. Certamente le divisioni nella sinistra sono state parte importante della nostra sconfitta. È un fatto che la sinistra divisa e litigiosa perde. Non c’è dubbio però che la portata della crisi economica iniziata nel 2007 e non ancora conclusa, i suoi devastanti effetti sociali così pesanti anche in Liguria, la stratificazione di angosce e paure che ne è conseguita, unitamente al ritardo nel coglierne la dimensione e la profondità, sono tutti fattori che hanno contribuito in maniera decisiva alla nostra sconfitta. Una sottovalutazione di alcuni fenomeni che il 41% delle europee di solo un anno prima ci aveva parzialmente nascosto. Dobbiamo constatare in ultima analisi che le elezioni regionali e le comunali di Savona vinte dalla destra hanno mostrato come dalla società emerga una richiesta di innovazione che il PD Ligure ha saputo intercettare solo in parte. In buona sostanza il nostro elettorato non si è più sentito rappresentato e, più in generale, si è logorato il nostro rapporto con la comunità ligure che oggi siamo chiamati a ricostruire con uno straordinario sforzo di elaborazione e di iniziativa politica che deve mobilitare tutte le nostre energie. La Liguria di Toti Pesa particolarmente l’assenza di una visione d’insieme sul comparto sanità. La disinvoltura con cui si discute di privatizzare interi ospedali senza che sia ancora chiaro un piano complessivo in termini di rete ospedaliera, case della salute, investimenti in edilizia sanitaria è impressionante. Vanno infine prese sul serio e non derubricate a “colore” politico le uscite intolleranti sul tema dei diritti Lgbt, gli sportelli antigender e financo il tentativo di minimizzare da parte di Toti il recente convegno a Genova delle destre neonaziste. Ma è sul quadro economico e di crisi delle imprese e industrie liguri che la giunta Toti e Rixi in particolare manifestano tutto il silenzio e l assenza di proposta. Nessun ruolo significativo nelle vertenze, nessun provvedimento degno di questo nome. Solo un grande cartello con scritto: rivolgetevi a Roma. Dopo quasi due anni di governo mediatico della Giunta Toti la Liguria si trova a fare i conti con una crisi del mercato del lavoro e delle imprese. I dati del III trimestre 2016 registrano un calo della forza lavoro (-0,6%, pari a circa 4 mila unità) e della popolazione inattiva (-0,7%, pari a circa 6 mila unità). Diminuisce anche il numero delle persone occupate (-1,1%, pari a circa 7 mila unità), mentre aumentano le persone in cerca di occupazione (+5,5%, ossia circa 3 mila unità in più). Questo colloca la Liguria in posizione peggiore rispetto al Nord Ovest e al Nord Est. Anche il tasso di disoccupazione regionale è in aumento (+0,5%), mentre diminuisce nel Nord (Nord Ovest: -0,2%; Nord-Est: -0,5%) e aumenta in modo più contenuto a livello nazionale (+0,3%). A questa tendenza poco confortante si aggiunge la dinamica negativa che riguarda le imprese. Tutte le province sono toccate da un calo delle imprese in particolar modo quelle di Savona (- 0,7%) e di Genova (-0,4%). Le imprese attive diminuiscono in questi settori: agricoltura (-1,4%), industria in senso stretto (-1,2%), costruzioni (-1,1%), commercio (-0,9%) e trasporti e magazzinaggio (-2,4%). A fronte di questi dati sconfortanti, tuttavia, dobbiamo verificare quale sia l’effettiva percezione negativa delle politiche del centro-destra. I due livelli, pur distinti, dell’azione politica e della comunicazione, nell’ambito del PD, vanno integrati in modo nuovo che permetta di veicolare al meglio l’azione politica svolta dal Partito sul territorio. Nell’epoca della “democrazia del pubblico” una politica del fare che trascuri le strategie mediatiche rischia di essere fortemente penalizzata. Quello che oggi è in gioco non è la capacità di contrastare, pur importante, sui singoli punti le politiche della destra. La vera sfida per il PD ligure è dare vita a nuova strategia politico-mediatica in grado di offrire senso e forza all’agire politico del partito in Regione e sui territori. E' indispensabile evitare che il PD in Liguria sia percepito come un partitoapparato, auto-referenziale, vecchio nelle idee, nel linguaggio e lontano dai bisogni dei cittadini. L’obiettivo che dobbiamo perseguire con forza è dare vita una nuova fase politica in Liguria per il Partito Democratico. In questo contesto da più parti si ripete che dobbiamo tornare nelle periferie. Un’idea giusta, ma troppo generica. Non basta tornare nelle periferie. Non basta dire “stiamo” con il popolo. Dobbiamo costruire insieme un discorso in grado di intercettare e fornire riconoscimento – prima ancora che risposte – ai bisogni dei cittadini intesi non come bisogni di singoli, ma come una pluralità di domande che costituiscono una domanda popolare, una domanda che viene da una soggettività sociale plurale. E’ su questo terreno che dobbiamo incalzare le destre populiste. E’ profondamente sbagliata l’analisi del populismo delle destre come discorso che fa leva sulla pancia del Paese. Il populismo delle destre, oggi, ha saputo fornire riconoscimento a una domanda popolare, vale a dire a una pluralità di domande e bisogni non riconosciuti. Che poi il populismo, alla prova del governo, abbia difficoltà a rispondere davvero a quella domanda è innegabile. Ma la sua tenuta politica dipende dal fatto che ha riconosciuto una domanda popolare. Dobbiamo dare vita ad un partito che sappia parlare al popolo perché ne riconosce i bisogni ed articola delle risposte adeguate a questi bisogni. Giusto, dunque, difendere la sanità pubblica, contro il tentativo di Toti di svendita ai privati. Ma dobbiamo anche misurarci con tematiche che per troppo tempo hanno rappresentato per noi un tabù. E’ il caso dei temi della sicurezza e dell’immigrazione, molto sentiti nella nostra Regione, e a cui, fino ad oggi, non abbiamo offerto il giusto riconoscimento. Come ha ricordato il Ministro Minniti la sicurezza integrata è un valore di sinistra, è un principio fondamentale attraverso cui si difende l’effettiva libertà delle persone, in particolare dei più deboli. E l’afflusso di profughi deve avvenire secondo le quote e attraverso processi di vera integrazione. Toti e Rixi scaricano le responsabilità sul governo: che invece possiamo dire aver fatto la sua parte. Per le vertenze del savonese in particolare (Tirreno Power, Piaggio, Bombardier, ma anche Ogv e tante altre) il riconoscimento dello stato di area di crisi, recentemente deciso dal governo, è un fatto molto positivo perché allunga gli ammortizzatori sociali e fornisce più risorse per chi vuole investire. Sta ora alle istituzioni locali e alle forze sociali utilizzare al meglio questo strumento lungamente richiesto. Abbiamo bisogno di uno scatto ulteriore sul fronte della cosiddetta “economia verde”: dobbiamo riuscire finalmente a cogliere le opportunità che ormai da anni abbiamo individuato relativamente ad alcuni settori (efficienza energetica, fonti rinnovabili, economia circolare) ma che ancora non sono entrate davvero nell’agenda politica strategica di tutti i nostri livelli amministrativi. Per quanto riguarda la produzione di energia da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica occorre perseguire con forza gli obiettivi identificati nel Piano Energetico Ambientale Regionale, il cui Schema è stato approvato a fine 2014. Per tutti i segmenti dell’economia ligure (industria, portualità, turismo) si è sempre parlato della debolezza infrastrutturale come di un elemento da superare se si voleva rendere davvero competitiva questa regione. È interessante guardare cosa è successo in questi ultimi 10 anni. Nel 2005 era aperto solo il cantiere del raddoppio ferroviario del ponente ligure tra Andora e San Lorenzo. È impressionante fare invece l’elenco dei cantieri che sono stati aperti durante la nostra esperienza di governo della Regione: il Terzo Valico, il nodo ferroviario di Genova, la strada a mare di Genova, l’Aurelia bis di Savona, l’Aurelia bis della Spezia, la piattaforma contenitori di Vado, gli interventi di Calata Bettolo e Ronco Canepa del porto di Genova. E’ stato approvato il progetto della Gronda di Genova, interamente finanziato grazie all’inserimento in convenzione Governo-Autostrade per l’Italia. Questo dà l’idea di quale operatività sia stata messa in moto negli anni del nostro governo regionale, con un impatto certamente positivo per la crisi profonda dell’edilizia, ma soprattutto con la prospettiva di un superamento dell’isolamento ligure ormai a portata di mano. In particolare è chiaro che il Terzo Valico, segmento importantissimo del corridoio tra i due mari, è decisivo perché avremmo rischiato un completo isolamento assistendo per di più ad una pianura padana alimentata solo da nord. La discussione sulle infrastrutture, chiama in causa ovviamente i temi della logistica e dello sviluppo della portualità e della retroportualità alla luce della rinnovata fase di aggregazione tra autorità portuali. Bisogna legare di più la nostra immagine a una discussione sul futuro della Liguria, che abbia come base comune una riflessione sulle grandi tematiche economiche e sociali di cui la manifattura è uno dei grandi centri. Per questo propongo che il Partito si impegni a realizzare in autunno una conferenza che fissi un rilancio della nostra azione e aggiorni il piano delle nostre proposte sui temi del lavoro, sviluppo, manifattura ed economia del mare e logistica coinvolgendo i soggetti produttivi (manager, lavoratori, sindacati e imprese) e anche i settori dell’innovazione come l’IIT. Un approfondimento specifico va fatto anche sul tema dell’economia della cultura, del turismo e della valorizzazione del territorio. In tal senso, mi prendo l’impegno di iniziare una campagna di ascolto, soprattutto attraverso un confronto attento con tutte le federazioni del partito in regione e con conferenze tematiche, finalizzate alla costruzione di una piattaforma programmatica in vista delle Regionali del 2020. Va dato atto al gruppo consiliare di essere stato protagonista nel tentativo di recuperare rapidamente unità di percorso e di intenti, dopo gli scontri e i cocci post elettorali. Forse parte del senso che ha questo congresso unitario sta anche nella necessità di recuperare il senso di una solidarietà nella nostra comunità. Il gruppo è stato in grado, in questi pochi mesi, di essere un’opposizione incalzante e propositiva. Chiusa l’esperienza del commissariamento, andrà rafforzato il rapporto con il partito regionale in modo da dare più gambe e più eco alle proposte e alle battaglie che se confinate nelle sole sale istituzionali poco saranno comprese e valorizzate. Vanno supportate in particolare le proposte di legge del nostro gruppo su: reddito di inclusione attiva che andrebbe ad integrare le azioni di contrasto alla povertà previste dalla Legge nazionale sul Sostegno per l’inclusione attiva (SIA); la istituzioni di percorsi normati di Dibattito pubblico in occasione della realizzazione di opere significative che impattano sui territori. Andrà poi ripreso un ulteriore ragionamento sulla legge su legalità, beni confiscati e contrasto alla criminalità organizzata. Bisognerebbe infine incalzare la maggioranza per il cambiamento della legge elettorale con riferimento in particolare al listino. Le prossime scadenze amministrative. E’ evidente che con le prossime amministrative di Genova e La Spezia il Pd si gioca molto. Ulteriori sconfitte dopo quella della Regione e di Savona significherebbero un arretramento davvero drammatico. Particolarmente complessa è la vicenda genovese. L’amministrazione Doria, pur avendo raggiunto alcuni buoni risultati in particolare nel contenimento del debito e nel più vasto programma di interventi di riassetto idrogeologico del territorio mai conosciuto dalla città e da ultimo con le risorse importanti del Patto per Genova, grazie al contributo decisivo del Governo Renzi, ha dovuto fare i conti con nodi irrisolti che si trascinano da anni in particolare su temi come i rifiuti e il trasporto pubblico locale e con la necessità non ancora compiuta di mettere in campo una nuova visione della città per i prossimi decenni. Anche a La Spezia si gioca una partita fondamentale in cui occorrerà tenere insieme i buoni risultati dell’amministrazione Federici con la necessità di aprire una fase nuova che consenta di sviluppare ulteriormente le potenzialità di crescita della città. Le altalenanti vicende nazionali hanno posto con forza il tema – che ciclicamente riemerge nel nostro dibattito – delle alleanze e della vocazione maggioritaria. E’ indubbio che anche il referendum ci ha raccontato una storia che è quella di un Pd che è uscito sostanzialmente isolato politicamente. Hanno inciso in quella vicenda anche posizionamenti tattici funzionali all’indebolimento e alla sconfitta di Renzi, in tutta evidenza. Tuttavia, resta in piedi il tema di come conciliare in un percorso virtuoso e fertile il Pd a vocazione maggioritaria e il sistema delle alleanze. Molto del dibattito futuro dipenderà anche dal tipo di legge elettorale che prevarrà nel dibattito. Ovviamente, il ritorno al proporzionale è nemico profondo del Pd a vocazione maggioritaria e spingerà nuovamente verso la frammentazione, le micro scissioni parlamentari funzionali ai giochi di palazzo con un ulteriore allontanamento dei cittadini dalle istituzioni. Altre dovranno essere le scelte da sostenere per rafforzare percorsi elettorali che garantiscano chiarezza nel risultato, rappresentanza e governabilità. Nel panorama locale pare del tutto evidente che il Pd debba andare alla ricerca di coalizioni più ampie possibili, partendo dall'obiettivo, su cui stanno lavorando da tempo la Federazione di Genova e quella della Spezia, assieme al Commissario Regionale, di ricercare, su un programma di governo chiaro e vincolante, una sintesi programmatica tra le forze politiche di centrosinistra che hanno sostenuto le esperienze amministrative delle nostre città. In questo contesto si rende necessario aprire i confini del nuovo centrosinistra alle forze civiche e sociali delle città che possono rappresentare una risorsa importante per apportare idee ed energie indispensabili per affrontare il futuro delle nostre comunità, delineando un nuovo modello di sviluppo per i prossimi anni. E’ sulle scelte strategiche di programma che si misurerà la capacità di tenere insieme la vocazione maggioritaria del PD e l’idea di una nuova coalizione, la necessità di tenere unito il nuovo centrosinistra e la coerenza e la sostenibilità del programma di governo. Il partito Naturalmente questo chiama in causa non solo le alleanze, ma anche la nostra forma partito, la comunicazione interna e quella pubblica. Il livello regionale naturalmente cercherà di rafforzare il suo ruolo di accompagnamento e supporto alle federazioni nelle loro scelte autonome. Il PD non può essere solo attento alle proprie dinamiche interne e senza più contatto con la società. Dobbiamo dare vita a un partito aperto come arcipelago che connette iscritti, militanti, volontari, elettori, parti di popolazione attive nel sociale, mondo della cultura, nello spazio fisico e in quello della rete. Dobbiamo uscire dal modello del vecchio partito novecentesco e aprirci alla società in tutta la sua complessità. I circoli del PD possono svolgere un ruolo molto importante in questa dinamica. Molti dei nostri circoli sono chiusi da tempo, hanno problemi a pagare le bollette per mantenere una sede aperta, non riescono più a trovare i volontari che si impegnino per dialogare regolarmente coi cittadini. E’ fondamentale che il Partito Democratico della Liguria sostenga politicamente, organizzativamente e finanziariamente l'apertura dei circoli almeno alcuni giorni alla settimana per l'ascolto dei cittadini dei comuni e dei quartieri dove si trovano, anche dove il PD governa: mantenere Il partito autonomo dagli amministratori rende possibile far tornare i cittadini a fidarsi di noi e raccontare i loro problemi, trovando nel partito un luogo in cui avere sostegno, confronto e la possibilità di convogliare istanze verso le istituzioni sia che il PD si trovi in maggioranza che all'opposizione. È necessario sviluppare un piano dettagliato che possa anche individuare nuove forme organizzative, di finanziamento e di autofinanziamento coinvolgendo le associazioni del territorio che possano avere interesse a condividere spazi e tempi. Esistono già oggi circoli in Liguria e fuori regione che possono essere usati come esempi di buone pratiche di radicamento territoriale e coinvolgimento degli elettori delle primarie e dei cittadini in generale. Non è più rimandabile infine una scelta di indirizzo che ci porti a lavorare in maniera strutturata e non episodica sul tema della formazione dei gruppi dirigenti e dei militanti, giovani o meno giovani che siano. In tal senso è strategico lavorare per la crescita del ruolo dei Giovani Democratici e la maggiore integrazione tra il percorsi di lavoro del partito e l’organizzazione giovanile. L’analfabetismo politico generalizzato fa davvero impressione. E tra persone che usano categorie del passato non adatte ai tempi di oggi e persone sballottate dalla frenesia dell’informazione, di internet e dei social media c’è necessità di ritrovare un punto di equilibrio, che aiuti la crescita e il consolidamento di una cultura politica di riferimento. Non è detto che servano molte risorse per questo. Investiamo sul capitale umano. Ne abbiamo molto: sano, colto, preparato. E se usassimo anche solo metà dell’energia che abbiamo per polemizzare tra di noi alla cura delle classi dirigenti, attuali e del futuro, avremo fatto un gran lavoro per le comunità che ci candidiamo ad amministrare e per il clima di solidarietà tra di noi. Fondamento su cui costruire dei buoni risultati.