Economia Alitalia, ora ci sono scintille con Air France

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Economia Alitalia, ora ci sono scintille con Air France
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Dom 27/10/2013
Gazzetta del Sud
Pagina 10
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Domenica 27 Ottobre 2013 Gazzetta del Sud
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Economia
Sale la tensione attorno alla compagnia italiana che smentisce comunque le presunte accuse, non rilevabili dei verbali di consiglio e di assemblea
Alitalia, ora ci sono scintille con Air France
La compagnia transalpina, pur avendo detto sì all’aumento di capitale, sarebbe scettica sul piano di salvataggio
ROMA. Sale la tensione attorno ad
Alitalia. La scintilla è l’affondo di
Air France, che, pur avendo detto
sì all’aumento di capitale sia in
cda che in assemblea, in una lettera rivelata dal Messaggero attacca senza mezzi termini tutta
l’operazione che ha consentito il
salvataggio della compagnia italiana, parlando di un piano che
non assicura la continuità aziendale e che è stato votato praticamente “al buio” per mancanza di
dettagli e informazioni. Accuse
che fonti vicine alla compagnia
italiana respingono con decisione, assicurando che i verbali delle
riunioni dicono tutt’altro.
La lettera, firmata dal vice ad
della compagnia francese Philippe Calavia e inviata al presidente
di Alitalia Roberto Colaninno e
all’ad Gabriele Del Torchio, punta
il dito sia sul merito che sul metodo. Per quanto riguarda la sostanza dell’operazione, che vedrà l’ingresso di Poste nel capitale, nella
lettera si legge che «nel bel mezzo
della notte del 14 ottobre abbiamo scoperto che le banche non
avevano confermato il loro consenso a mantenere le linee di credito esistenti e non erano pronte a
prendere impegni per concedere
alla compagnia ulteriori linee di
credito per 200 milioni». E considerando anche che «non erano
nemmeno pronte a mettere in
campo il prestito ponte di 100 milioni», a questo punto «non è chiaro cosa rimanga di quel piano finanziario e soprattutto quanto a
lungo quel piano possa assicurare
continuità alla compagnia». Ma il
socio francese non esprime solo
dubbi sull’efficacia del piano: la
lettera si sofferma infatti a lungo
sulla mancate informazioni rese
dal management sul piano stesso
e parla di «disorganizzazione»
dell’ultimo cda, di assenza di documenti «in italiano o in inglese»,
di punti discussi senza che fossero
«in agenda», di connessione Internet che saltava. In poche parole, «il caos più completo».
Tutto falso, replicano le fonti
vicine ad Alitalia, secondo cui le
affermazioni di Calavia «non sono rispondenti al vero e confliggono palesemente con le risultanze dei verbali di consiglio e di assemblea». Senza scendere in particolari, le fonti aggiungono che
«Alitalia ha risposto smentendo
punto per punto il contenuto della lettera e segnalerà alla magistratura la diffusione della stessa», ma anche di quella dell’ad
Alexandre De Juniac diffusa sempre dal Messaggero il 23 ottobre,
«per le valutazioni di sua competenza». Un clima arroventato,
dunque, che non sembra lasciare
molto spazio alla partecipazione
del socio francese all’aumento di
capitale: Air France ha tempo ancora fino al 16 novembre per decidere, ma intanto domani scade il
vincolo di lock-up che autorizza i
soci a vendere le proprie quote. Il
giorno dopo, l’ad di Poste Massimo Sarmi, cavaliere bianco pubblico chiamato al capezzale
dell’ex compagnia di bandiera,
potrà invece dare qualche elemento in più sul proprio impegno: la commissione Trasporti
della Camera lo ascolterà in audizione, che formalmente è comunque dedicata all’attività di Poste
italiane.
Domani è previsto un incontro
tra il presidente del Consiglio Letta e l’amministratore delegato di
Telecom Italia, Marco Patuano,
che guida l’azienda dopo le dimissioni di Franco Bernabé da presidente esecutivo. Lo ha ipotizzato
l’associazione dei piccoli azionisti
del gruppo Tlc Asati e lo confermano gli operatori di Piazza Affari al lavoro per preparare l’avvio
della settimana di Borsa.
È chiaro che la conferma definitiva si avrà con la fitta agenda
anche politica del premier, ma la
cosa appare fatta. Niente di strano visto che Telecom viene ritenuto un gruppo strategico e il governo sta lavorando per estendere il “golden power” alla sua rete,
sulla quale passa traffico anche
militare e di intelligence, non solo
italiano. Quello che non è ancora
chiaro è se Letta nei giorni successivi vedrà anche il numero uno di
Telefonica, Cesar Alierta.
L’Asati delle strategie spagnole per Telecom pensa comunque
ogni male possibile: secondo l’associazione, Telefonica si sarebbe
«sempre opposta al suo sviluppo,
impedendo ogni intervento di immissione di nuove risorse economiche, anche attraverso un aumento di capitale riservato» magari con «un intervento della Cdp
o di altri azionisti interessati».
Ma l’associazione stringe
l’obiettivo proprio su Alierta e
chiede a Letta «se ha già avuto
contatti con il presidente di Telefonica, solo magari di tipo informale e a distanza o per interposta
persona», ritenendola una «notizia altamente sensibile, visto che
l’orientamento del nostro Governo su questa partecipazione - o
meglio purtroppo acquisizione
ostile - ha una notevole influenza
sul valore del titolo».3(ansa)
MULTIUTILITY Entro la prossima primavera
Ad analoghe operazioni sarebbe interessata anche Terna
Il governo potrebbe fare cassa
vendendo un’ulteriore quota di Eni
ROMA. Acquista concretezza la
cessione di una quota di Terna
annunciata nei giorni scorsi dal
premier Enrico Letta. Il presidente di Cdp, Franco Bassanini, che controlla il 29,9% del
gestore della rete elettrica, ha
tracciato il percorso che il governo sarebbe intenzionato a
seguire, mentre tornano a circolare voci della cessione di
un’ulteriore quota dell’Eni, pari al 4%.
L’operazione Terna, con la
quale potrebbe essere offerta al
mercato una quota del 4,9%,
prevede il trasferimento del
29,9%, attualmente in pancia a
Cdp, a una controllata della
stessa Cassa, la Cdp Reti, nella
quale era già stato parcheggiato il 30% più un’azione di
Snam. A quel punto, ha spiegato Bassanini, a finire sul merca-
Massimo Sarmi, ad di Poste
to sarebbe una quota di Cdp
Reti, che verrebbe ceduta a «investitori italiani o internazionali». Alla fine, dunque, la dismissione riguarderebbe anche un’altro pezzo di Snam, il
gruppo che, tra l’altro, controlla Snam Rete Gas e Italgas.
Ma, stando alle indiscrezioni circolate e che per altro si rincorrono da settimane, il governo potrebbe fare cassa anche
con l’Eni. La Reuters, che ha citato fonti vicine all’operazione,
ha infatti riferito che «in cima
alle priorità in tema di privatizzazioni» c’è proprio l’Eni, di cui
potrebbe finire sul mercato una
quota del 4%. Il capitale in mano pubblica del gruppo petrolifero, che mercoledì prossimo
diffonderà i risultati del terzo
trimestre, è suddiviso tra Tesoro e Cdp. Via XX Settembre de-
tiene una quota del 4,34%,
mentre la Cassa controlla il
25,76%: la vendita del 4%, che
eventualmente potrebbe essere dunque quella in mano al Tesoro, frutterebbe, agli attuali
corsi di Borsa, circa 2,6 miliardi
di euro. Dal ministero dell’Economia non si fanno commenti
sul dossier privatizzazioni, ma
si ricorda che il programma deve essere presentato entro la fine dell’anno. Secondo le indiscrezioni raccolte da Reuters,
comunque, Enel e Finmeccanica non rientrerebbero al momento tra le partecipate da offrire al mercato in quel grande
piano d’autunno annunciato
da Letta. Sicura appare invece
la cessione di una quota di Fincantieri, che stando all’ad Giuseppe Bono sarebbe da tempo
già pronta per un’Ipo.3(a.b.)
UNIPOL Il capitolo relativo agli indennizzi per le perdite subite a causa della gestione Ligresti
Cimbri gela i piccoli azionisti della “vecchia” Fonsai
BOLOGNA. Mentre anche l’as-
semblea di Milano Assicurazioni approva (con il 99,9% dei
voti) la fusione a quattro con
Unipol, Fonsai e Premafin,
l’amministratore delegato del
gruppo assicurativo bolognese,
Carlo Cimbri, gela i piccoli
azionisti della “vecchia” Fonsai
che gli chiedono di indennizzare le perdite subite a causa della gestione Ligresti e della conseguente
ricapitalizzazione
della compagnia, salvata da
Unipol nel 2012 con aumento
da 1,1 miliardi di euro.
«Non è ammissibile uno sciacallaggio su quello che oggi è la
società, sui soldi e sul rischio
che si sono assunti centinaia di
migliaia di azionisti che hanno
creduto in questo progetto. Mi
dispiace per gli azionisti che ci
hanno perso i soldi ma come
gruppo Unipol non me ne posso fare carico» ha replicato alle
richieste del Movimento Consumatori, associazione che rag-
gruppa più di trecento piccoli
soci, avanzate l’altro ieri
nell’assemblea di Fonsai e riproposte ieri in quella di Milano Assicurazioni.
Neppure l’idea di devolvere
«i proventi delle azioni di responsabilità» promosse contro
i Ligresti - a cui Unipol chiede
245 milioni - può essere accolta. «Ogni cosa che noi troviamo
dentro la società - ha spiegato -,
ogni passività non evidenziata,
le svalutazioni degli immobili
che stiamo facendo, i buchi delle riserve che stiamo coprendo,
questi quando si sono originati? Chi li copre? Vedremo che
cosa recupereremo dalle azioni
di responsabilità, anche se temo che saranno largamente,
enormemente inferiori ai buchi
lasciati in eredità». D’altra parte è vero che l’aumento di Fonsai è stato distruttivo per quegli
azionisti che non potevano seguirlo ma, ha ribadito ancora
una volta Cimbri, senza una ri-
Carlo Cimbri, ad di Unipol
capitalizzazione la compagnia
«doveva chiudere o essere liquidata» perché priva di un sufficiente patrimonio di vigilanza. Affermazione che scatenano l’ira del presidente Adusbef
Elio Lannutti il quale le ritiene
«arroganti» e «offensive» verso
i piccoli soci annunciando ulteriori azioni dei consumatori.
Cimbri ha anche rivolto un
invito agli azionisti di risparmio della Milano, che domani
si riuniranno in un’assemblea
decisiva per definire il perimetro della nuova compagnia. Votando no a UnipolSai «si prenderebbero una grossa responsabilità, anche verso quelli che
ieri hanno votato a favore». I
soci di risparmio hanno infatti
la possibilità di impedire alla
loro compagnia di fondersi con
Unipol e Fonsai anche se la disponibilità da parte dei bolognesi del 28% dei voti rende
l’ipotesi remota. In ogni caso su
base stand alone la Milano
avrebbe prospettive di redditività «largamente inferiori» e
sarebbe «più fragile» al punto
che da non permettere di
«escludere che in futuro possa
essere necessario un aumento». Senza la Milano UnipolSai
vedrebbe i 350 milioni di sinergie attesi al 2015 ridursi di 45
milioni.
Stroncati, infine, i rumor che
danno Unipol tra i potenziali
sottoscrittori dell’aumento di
capitale di Carige.3(a.l.)
Serie di iniziative per protestare contro la decisione dell’Abi che ha disdetto unilateralmente il contratto
A2a abbandonerà
Banche, giovedì sciopero e manifestazioni
la governance “duale”
ROMA. Manifestazioni in tutta
MILANO. A2a entro la prossima
primavera abbandonerà il sistema di governance “duale”per
passare ad un tradizionale cda
unico con un amministratore
delegato. Lo hanno concordato
i sindaci di Milano e Brescia, i
comuni che detengono circa il
55% del gruppo e che si apprestano a mettere sul mercato una
quota di circa il 4%.
L’amministratore delegato
sarà nominato con una scelta
«condivisa» dai due Comuni,
hanno spiegato i sindaci Giuliano Pisapia ed Emilio Del Bono
in una conferenza stampa a Milano. Il presidente sarà invece di
indicazione alternata, ogni due
o tre anni. Il percorso per il cambio della governance della maggiore “multiutility” italiana passa dal cambio al patto paraso-
Movimento consumatori
ciale che lega i due Comuni fino
a fine dicembre che dovrà essere approvato entro quella data
dalla rispettive giunte e consigli. Poi il tutto andrà al voto della prossima assemblea della società, prevista abitualmente per
aprile-maggio.
Ancora non sono stati messi a
punto i particolari della composizione del prossimo Cda, a partire dal numero di componenti
(ma si stima in 12-14 membri) e
dalla quantità di indipendenti.
«Comunque le minoranze saranno adeguatamente rappresentate - spiega Del Bono - e abbiamo fatto questa scelta anche
per sobrietà: dalla fine della
composizione pletorica di Cdg e
Cds stimiamo anche di risparmiare qualche centinaio di migliaia di euro».3(a.b.)
Italia, sit-in a Roma, Milano e
Torino, un presidio fisso a Ravenna, sede dell’Istituto del
presidente dell’Abi, e una lettera aperta ai risparmiatori in cui
si denuncia «l’egoismo dei banchieri». I sindacati dei bancari
si preparano allo sciopero nazionale di giovedì 31 ottobre e
mettono in campo una serie di
iniziative per protestare contro
la decisione dell’associazione
di palazzo Altemps che ha disdetto unilateralmente il contratto.
I sindacati parlano di
«aspettative fortissime per
quanto riguarda l’adesione,
che sarà la più alta dell’ultimo
decennio» e annunciano nuove
forme di mobilitazione se l’Abi
«non tornerà al tavolo e non rivedrà la sua posizione».
«Le banche - sostengono le
organizzazioni sindacali in una
serie di volantini firmato da
tutte le sigle di categoria e diffusi in vista dello sciopero del
31 - vogliono lucrare sulle
commissioni applicate alla
clientela, risparmiare sullo stipendio dei bancari e concedere
prestiti solo alle aziende dei
“soliti noti” e ai politici “amici”». Per i sindacati invece, si
deve «risparmiare sullo stipendio dei manager (circa 3 milioni medi annui), applicare commissioni eque ai clienti, migliorando il servizio e concedere
prestiti alle famiglie e alle imprese che ne hanno bisogno
per salvaguardare i posti di lavoro e pagare eque retribuzioni ai lavoratori».
«Siamo certi che ci sarà
un’adesione altissima e che lo
scioperò riuscirà», dice il segretario generale Fabi, Lando
Sileoni. «Chiediamo la riapertura di un tavolo - aggiunge - e
metteremo in campo ogni tipo
di iniziativa per togliere di
mezzo la disdetta del contratto
voluta
unilateralmente
dall’Abi».
Per Giulio Romani, segretario generale della Fiba Cisl, c’è
la «manifesta intenzione della
controparte di lasciare la categoria senza contratto dal luglio
dell’anno prossimo. La novità
più grave è questa - aggiunge il tentativo di far scadere il
contratto senza possibilità di
rinnovo. E questa è un’idea
lontana da qualsiasi forma di
concertazione democratica».
Anche secondo Romani le banche «hanno imputato alla crisi
e al costo del lavoro eccessivo
la loro situazione di crisi, ma
omettono le responsabilità del
management. E oggi si vuol far
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Antonio Patuelli (Abi)
pagare queste grossa responsabilità ai lavoratori e ai clienti».
Anche per la Fisac-Cgil «la
mobilitazione non riguarda solo la disdetta unilaterale del
contratto, ma anche la richiesta di un taglio alle retribuzioni dei manager e il ritorno delle banche alla loro funzione
originaria finalizzata a concedere credito a famiglie e imprese».
«Ora si apre una stagione di
forte conflittualità - conclude
Massimo Masi, segretario generale della Uilca-Uil - visto
che le banche hanno scelto
questo atteggiamento di rottura cambiando rotta da un percorso che era sempre stato
molto concertativo. Lo sciopero del 31 - aggiunge Masi - non
sarà certo l’ultima delle iniziative se l’Abi non cambia atteggiamento»,3(u.m.)
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