Indagini bancarie e accertamento tributario: il sottile confine
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Indagini bancarie e accertamento tributario: il sottile confine
Indagini bancarie e accertamento tributario: il sottile confine tra uno strumento efficace e un mezzo di tortura. Le indagini finanziarie hanno assunto una tale rilevanza operativa e concreta che se ne impone la distesa trattazione ( 1 ), sotto il profilo della efficacia probatoria. Essa viene effettuata qua, con l’avvertenza che, per vero, il controllo finanziario è un modello variabile, essendo prevista anche la possibile verifica sul campo (presso la banca) dei dati (in caso di omessa comunicazione o di dubbi su fedeltà e completezza dei dati). Si vuol dire che, topograficamente, la trattazione qui è opinabile (e avrebbe con ugual correttezza essere collocata anche a proposito dei controlli sul campo). L’art. 32, n. 2, d.p.r. n. 600/1973 e l’art. 51, n. 2, d.p.r. n. 633/1972 disciplinano poi l’uso dei dati bancari, ricevuti o acquisiti (2), oltre che di quelli risultanti dai controlli relativi alle imposte sulla fabbricazione o consumo (3). Le due norme prevedono, innanzitutto, che tali dati sono posti alla base degli accertamenti (di cui agli articoli 38, 39, 40 e 41 d.p.r. n. 600/1973 per le imposte sui redditi, e 54 e 55 d.p.r. n. 633/1972, per l’IVA), se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito (1) Per approfondimenti: MARCHESELLI, Il “giusto procedimento” tributario. Principi e discipline, Padova, 2012, passim. Per un orientamento sulla materia: BARBONE, Le norme sulla utilizzabilità dei dati bancari nell’accertamento: una matassa senza bandolo?, in Rass. trib., 1992, 485; BENAZZI, Necessario il contraddittorio fra contribuente e ufficio per l’utilizzo dei dati bancari, in Riv. giur. trib., 1997, 564: BUCCI, Considerazioni sulla valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento, in Rass. trib., 2001, 119; COMELLI, L’accertamento bancario tra principio di eguaglianza e principio di capacità contributiva, in GT - Riv. giur. trib., 2005, 805; COMELLI, Non sono incostituzionali le presunzioni di ricavi per i prelevamenti innominati. L’accertamento bancario tra principio di eguaglianza e principio di capacità contributiva, in GT - Riv. giur. trib., 2005, 805; CORDEIRO GUERRA, Questioni aperte in tema di accertamento basati su dati estrapolati da conti correnti bancari, in Rass. trib., 1998, 560; DOMINICI, I prelevamenti e i versamenti sono considerati “ricavi” fino a prova contraria, in Corr. Trib., 2005, 3477; FIORENTINO, La Corte di cassazione e gli “accertamenti bancari”: questioni “vecchie e nuove” tra retroattività, obbligo di preventivo contraddittorio e valenza “probatoria” delle movimentazioni alla stregua di una interessante pronuncia della Suprema Corte, in Riv. dir. trib., 2002, II, 330; FRADIN, I poteri di controllo, le prove le presunzioni e le deroghe in materia di segreto bancario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1994, 67; FRANSONI, La presunzione di ricavi fondata su prelevamenti bancari nell’interpretazione della Corte Costituzionale, in Riv. dir. trib., 2005, 967; INGRAO-LUPI, Ancora sull’utilizzo dei prelevamenti negli accertamenti bancari, in Dialoghi dir. trib., 2005, 1443; LOVISOLO, Condizioni e limiti di applicabilità della presunzione di imponibilità alle operazioni bancarie desunte da rapporti formalmente intestati a soggetti terzi rispetto al contribuente accertato, in GT - Riv. giur. trib., 2007, 763; MARELLO, Note minime in tema di accertamento effettuato nei confronti di una società di persone in base ad indagini bancarie a carico dei soci, in Rass. trib., 2001, 884.; MASSIMINO, Presunzioni e assimilazioni nella disciplina dell’accertamento derivante da indagini bancarie, in Riv. dir. trib., 2009, 235; MENTI, L’intestazione fittizia dei conti bancari e il loro utilizzo per la rettifica e l’accertamento dei redditi, in Dir. prat. trib., 2004, II, 587; MULEO, Dati, “dabili” ed “acquisibili” nelle indagini bancarie tra prove ed indizi, in Riv. dir. trib., 1999, II, 9, 605; PICCARDO, Per l’accertamento fondato sui dati bancari è necessario il contraddittorio tra contribuente e fisco, in Dir. prat. trib., 1998, II, 18; PICCARDO, Gli accertamenti bancari: evoluzione normativa ed applicazioni giurisprudenziali, in Dir. prat. trib., 2007, 33; ROCCO, L’utilizzo dei dati bancari, le relazioni con i metodi di accertamento ed il contraddittorio con il contribuente, in Dialoghi dir. trib., 2005, 972; VERDUCCI, Le presunzioni in base ai dati bancari nel sistema delle prove, in Riv. dir. trib., 2000, II, 612. (2) Si vedano in proposito, tra gli altri, FRANSONI, La presunzione di ricavi fondata su prelevamenti bancari nell’interpretazione della Corte Costituzionale, in Riv. dir. trib., 2005, 967 ss., con ampissimi riferimenti bibliografici; V. VERDUCCI, Le presunzioni in base ai dati bancari nel sistema delle prove, in Riv. dir. trib., 2000, II, 612; L. BUCCI, Considerazioni sulla valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie ai fini dell’accertamento, in Rass. trib., 2001, n. 1, 119. (3) Art. 18, comma 3, lett b), d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, che prevede che ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza possano richiedere ad aziende ed istituti di credito o all’Amministrazione postale di trasmettere copia di tutta la documentazione relativa ai rapporti intrattenuti con il cliente. soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine (per le imposte sui redditi), ovvero non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili (per l’IVA). La struttura della frase richiama a tutta prima una presunzione legale, visto che contiene la clausola di salvezza della prova contraria da parte del contribuente. Data la eterogeneità degli elementi che i conti possono rivelare e la genericità della disposizione anche in punto fatto presunto (essa si limita a dire: <<sono posti a base delle rettifiche>>), è interpretazione assolutamente preferibile che si tratti, invece, di valutazioni che gli uffici dovranno effettuare di volta in volta circa l’effettiva portata probatoria dei dati acquisiti (4). Non può infatti configurarsi una presunzione legale così generica come la dizione di questa parte della disposizione: essa comporterebbe, in pratica che qualsiasi illazione, non importa quanto fantasiosa e fondata, tratta dai dati bancari potrebbe essere posta a base (in qualunque modo e misura) dell’accertamento, a meno che non sia il contribuente a dimostrare che i dati non sono collegati a operazioni e proventi imponibili. Una inversione dell’onere della prova così ampia, e una presunzione legale in bianco è, a nostro avviso illegittima siccome in radicale contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di presunzioni legali (5). La norma ha, palesemente, una portata del tutto diversa: essa consiste nella “autorizzazione”, rivolta agli uffici, e nella “minaccia”, rivolta ai contribuenti, circa il fatto che dai dati bancari possono trarsi presunzioni semplici, argomentate secondo prudente apprezzamento, e che queste possono fondare l’accertamento. In termini di astratta ragionevolezza, per questa parte, la norma sarebbe sostanzialmente ovvia. Il suo significato è, da un lato storico (riannodandosi alla abolizione del segreto bancario) e, dall’altro, resta da chiarire il riferimento alla “contraria dimostrazione” cui è legittimato il contribuente. Escluso che si tratti del riferimento alla prova contraria a una inesistente presunzione legale, residuano due possibili significati. Il primo è che il contribuente può contrastare le argomentazioni dell’Ufficio. Il secondo è che il contribuente deve essere sentito prima della emissione dell’avviso fondato sui dati bancari. Nella prima accezione la disposizione sarebbe del tutto inconsistente: che il soggetto passivo si possa difendere è del tutto ovvio. Inoltre, la disposizione ha cura di precisare che, salve le allegazioni del contribuente, le presunzioni elaborate dall’Ufficio sono poste a base dell’accertamento. Già sul ( 4 ) Esemplificando con riferimento al caso di un piccolo esercizio commerciale, se è ragionevole che costituiscano ricavi versamenti di circa 500 euro giornalieri, è dubbio che altrettanto potrebbe dirsi nel caso di un isolato versamento di 50 mila euro. In dottrina il punto è controverso: per la natura di presunzione legale l’autorevolissima opinione di FANTOZZI, I rapporti Fisco-Contribuente nella prospettiva del nuovo accertamento tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1984, I, 231 s.; in senso opposto LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Milano, 2001, 437, rileva come l’inversione dell’onere della prova, ora sganciata dall’accertamento di fattispecie comunque sintomatiche di evasione, comporta un effetto vessatorio nei confronti del contribuente. (5) MARCHESELLI, Le presunzioni nel diritto tributario, Torino, 2008, passim. La Corte costituzionale si è invece pronunciata nel senso della legittimità della inversione dell’onere della prova in questo caso, prospettata per violazione degli artt. 3, 24 e 53 Cost. con la ordinanza 6 luglio 2000, n. 260. In essa tuttavia la questione era stata posta in modo assai generico e il punto di cui al testo non viene sviluppato, limitandosi ad affermare che i movimenti bancari costituiscono una base oggettiva per l’accertamento. Il riferimento alla natura di presunzione legale, sempre in linea generica, è stato reiterato anche in C. Cost., ord. 26 febbraio 2002, n. 33. piano letterale risulta nettamente preferibile intendere la disposizione come relativa al contraddittorio prima del provvedimento dell’Ufficio (l’accertamento è infatti il provvedimento, non la decisione successiva del giudice). In questa linea, che pare decisamente convincente, la disposizione rimarcherebbe la doverosità del contraddittorio con il contribuente, la cui collaborazione è essenziale a dipanare il labirinto dei movimenti bancari. In maniera non molto dissimile da quella degli accertamenti standardizzati 6 la disposizione implicitamente riconosce l’asimmetria informativa esistente tra Fisco e contribuente: il secondo dispone, evidentemente, di conoscenze sulla natura e il fondamento economico delle proprie operazioni bancarie non raggiungibili dal primo e, in armonia con il dovere di collaborazione e buona fede, che incombe a entrambe le parti del rapporto tributario, la legge impone all’Amministrazione un adempimento necessario ad acquisire elementi necessari alla comprensione della rilevanza fiscale delle operazioni. è appena il caso di notare che la disposizione in rassegna non fa che ribadire, in modo speciale ed espresso, quel dovere di attuazione del contraddittorio che sopra si è visto già discendere, in realtà, dalle norme e dai principi generali (7). Ne discendono due quesiti. Il primo è: che accade se l’avviso di accertamento fondato su dati bancari viene emesso senza previa attuazione del contraddittorio? Sulla base delle considerazioni svolte sopra e appena richiamate la conclusione è una e netta: l’avviso di accertamento è nullo. Queste conclusioni, che appaiono necessitate dalle cogenti premesse fino a qui poste, sono sorprendentemente sconfessate da una ampia giurisprudenza della Corte di Cassazione, che indulge a ritenere che, oltre a trattarsi di presunzioni legali relative, il contraddittorio non sarebbe doveroso e comunque la relativa omissione non determinerebbe nullità ( 8 ). Tale orientamento contrasta con la giurisprudenza della Corte costituzionale. Essa ha escluso che la disciplina in materia di accertamenti bancari violi l’art. 24 Cost. e cioè comprometta il diritto di difesa del contribuente (9) perché prevede che il contribuente sia informato immediatamente delle verifiche bancarie, potendo quindi “esercitare pienamente, già in sede amministrativa, il suo diritto a fornire documenti, dati, notizie e chiarimenti” idonei a difendersi (10). Nella impostazione svalutativa del contraddittorio propria della Corte di Cassazione, invece, non solo il contraddittorio non sarebbe richiesto a pena (6) Cassazione, SS.UU., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26638, 26637 e 26636. (7) Si veda supra nel Capitolo sui principi generali del procedimento. (8) Il contraddittorio costituirebbe una facoltà e non un obbligo per la Amministrazione ad esempio secondo Cassazione, Sezione tributaria, 19 febbraio 2010, n. 4016; Cassazione, Sezione tributaria, 16 settembre 2005, n. 18421 e innumerevoli altre pronunce; Cassazione, Sezione tributaria 28 luglio 2000, n. 9946 precisa altresì che non sussiste comunque decadenza per le prove contrarie non fornite nella sede amministrativa. Più variegata la giurisprudenza di merito, citata unitariamente nel paragrafo successivo, a proposito del contraddittorio sulla seconda ipotesi prevista dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.p.r. n. 600/1973. (9) Diritto di cui la Corte coglie evidentemente anche una dimensione antecedente alla fase giurisdizionale (altrimenti sarebbe bastato affermare la non pertinenza del richiamo all’art. 24 Cost.): il punto non è enfatizzato dalla motivazione, ma è assai importante. Tale concezione del diritto di difesa non è diffusa nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, ma fa parte invece del bagaglio dei valori comunitari; si veda ad esempio CGUE, 18 dicembre 2008, C-349/07, Sopropé . (10) C. Cost., ord. 6 luglio 2000, n. 260. La legittimità della disciplina è quindi condizionata secondo la Corte costituzionale al contraddittorio nel procedimento. di nullità, ma, a maggior ragione, il contribuente non potrebbe contestare l’effettività e l’ampiezza del contraddittorio assicuratogli in sede amministrativa11. Secondo la giurisprudenza sarebbe poi fuori gioco il problema del contraddittorio e il riferimento all’art. 32 in rassegna ove i dati bancari pervenissero all’Ufficio tributario direttamente dall’indagine penale, sulla base di una trasmissione autorizzata ex art. 33, comma 3, d.p.r. n. 600/1973 (12). Se ci si arrestasse qua dovrebbe rilevarsi la sussistenza di una giurisprudenza formalmente e sostanzialmente implausibile. Esiste tuttavia la possibilità di sdrammatizzare la questione, quantomeno dal punto di vista sostanziale. L’affermazione circa il carattere di presunzione legale relativa di questa parte della disposizione potrebbe non essere infatti così decisiva, in pratica. Essa concerne, a quanto risulta dalle motivazioni, ipotesi nelle quali l’illazione dell’Ufficio è comunque ragionevole (e quindi potrebbe valere come presunzione semplice). Il riferimento alla presunzione legale, per quanto espresso, non sorregge quindi necessariamente la decisione: questa parte delle motivazioni si presta a una “reinterpretazione” che le riporti a fondamenti condivisibili: se il ragionamento dell’Ufficio vale in realtà come convincente presunzione semplice, il riferimento alla presunzione legale potrebbe essere, in realtà, una scorciatoia motivazionale (più facile riferirsi al valore legale della presunzione che motivare sulla ragionevolezza dell’induzione: nel primo caso basta una clausola di stile “si tratta di presunzione legale”, nel secondo occorrerebbe una motivazione distesa). Se è così, il riferimento alla prova contraria serve a sottolineare che, senza i dati ulteriori che solo il contribuente può offrire, la prova può dirsi raggiunta. In questa prospettiva non di presunzione legale e prova contraria si tratterebbe, nella sostanza, ma di prova sufficiente in base al contesto (la presunzione semplice dell’Ufficio) e di controprova fondata su allegazioni ulteriori (da parte del contribuente). Molto cambia tra le due configurazioni, formalmente, ma pressoché nulla, in pratica: l’accertamento resta fondato se il contribuente non offre elementi ulteriori cui l’Ufficio non può giungere. Quanto, invece, al contraddittorio, la deviazione della giurisprudenza dalle basi sopra poste appare netta e non recuperabile. La giurisprudenza talvolta esclude il carattere obbligatorio sulla base dell’argomento letterale: a volte sottolineando che la norma dell’articolo 32, comma 1, si apre con il verbo “possono” e ravvisando il riferimento al contraddittorio nella parte della disposizione che prevede la richiesta al contribuente di dati e notizie relative ai rapporti bancari (13). Tali argomenti sono però agevolmente superabili: il verbo (11) Una interessante apertura si trova tuttavia in Cassazione, Sezione tributaria, 21 marzo 2008, n. 7766, ove si afferma che il contribuente titolare di numerosi conti non può poi lamentarsi del tempo limitato consentitogli per contraddire, atteso che in base al principio di autoresponsabilità, egli, responsabile della complessità della situazione, deve precostituirsi prontamente le proprie difese. Tali considerazioni sarebbero inutili, se il contraddittorio non fosse necessario. La sentenza aggiunge anche che nel contraddittorio le risultanze bancarie non devono essere contestate al contribuente analiticamente una per una. (12) Cassazione, Sezione tributaria, 30 dicembre 2009, n. 25142. C. Cost. ord. 26 febbraio 2002, n. 33 rileva che anche in questo caso dai dati bancari si trarrebbe una presunzione legale, altrimenti avendosi disparità di trattamento ingiustificata tra l’ipotesi di acquisizione in sede tributaria o penale. (13) Cassazione, Sezione tributaria, 3 marzo 2010, n. 5051. potere descrive il potere di accertamento non la facoltatività del contraddittorio, e la fonte dell’obbligo del contraddittorio non è tanto nel riferimento all’invito a fornire dati e notizie ma, oltre che nei principi generali sopra menzionati, in quanto statuito nel prosieguo della disposizione, ove si afferma che i dati bancari possono fondare l’accertamento solo “se il contribuente non dimostra che non rilevano a tali fini”. Il contraddittorio non sembra pertanto eludibile e la giurisprudenza predetta aggredibile e superabile. Problema diverso è quello relativo alla motivazione dell’accertamento fondato su dati bancari. La giurisprudenza, oltre a non ritenere necessario il preventivo contraddittorio, si è spinta talora fino al punto di ritenere non necessaria neppure la contestazione analitica, nell’avviso di accertamento, dei singoli movimenti bancari su cui la rettifica si fonda. Tale soluzione appare accettabile nei limiti in cui l’indicazione analitica, se non nel corpo dell’accertamento, compaia nel processo verbale di contestazione allegato o comunque richiamato e noto al contribuente (14). Alcuni problemi ulteriori concernono poi l’applicazione e l’efficacia dei dati bancari. Una prima questione, ad esempio, concerne il presupposto di fatto della presunzione e, cioè, da quali conti debbano essere rilevati gli elementi. è scontato che tali possano essere quelli anche formalmente intestati al contribuente, ma si pone spesso l’interrogativo se la presunzione possa innestarsi anche sui dati rilevati da conti bancari formalmente intestati a terzi. In termini di logica probatoria, la risposta è scontata: ciò che importa è la sostanza, cioè la riferibilità effettiva della provvista al contribuente. Ne consegue che le presunzioni in rassegna possono innestarsi anche su conti non intestati al contribuente, purché sia soddisfatta una condizione a monte: sia provato che, diversamente da quanto risulta formalmente, il conto è nella disponibilità del soggetto passivo. Tale prova di solito viene raggiunta in via presuntiva (pur essendo ipotizzabile l’ammissione della circostanza da parte del contribuente, del terzo, ovvero, nel caso estremo, il reperimento di una scrittura privata in cui le parti convengano espressamente per l’intestazione fittizia), tenuto conto delle relazioni tra il contribuente e l’intestatario, tipicamente rapporti di parentela, di lavoro dipendente e simili (15). Tale prova può essere contestata con altri dati presuntivi opposti e anche con dichiarazioni verbalizzate di terzi (16). Un altro profilo interessante, concernente il presupposto, è il seguente. Ci si può domandare, in effetti, se la pretesa presunzione (e il correlato onere di (14) Cassazione, Sezione tributaria, 13 maggio 2003, n. 7329. (15) Cassazione, Sezione tributaria, 21 marzo 2007 n. 6743; Cassazione, Sezione tributaria, 12 gennaio 2009, n. 374; Cassazione, Sezione tributaria, 21 dicembre 2007, n. 27032, ove gli intestatari formali dei conti erano soci, figli dei soci e amministratori della società. La sentenza si segnala anche per escludere che osti all’accertamento il preteso divieto di doppia presunzione (su cui si veda infra), atteso che la seconda presunzione (il carattere rilevante per l’accertamento), che si innesta sulla prima (la disponibilità dei conti), sarebbe una presunzione legale e il divieto riguarderebbe solo due presunzioni semplici. Si veda anche Cassazione, Sezione tributaria, 12 settembre 2003, n. 13391, secondo la quale adeguato risalto va dato anche alle caratteristiche della compagine sociale, essendo più verosimile l’intestazione fittizia ai soci in società a ristretta base azionaria. (16) Cassazione, Sezione tributaria, 16 marzo 2003, n. 4423. “giustificarsi” del contribuente) scattino sempre, o solo quando i dati rilevati sui conti non siano coerenti con quanto dichiarato dal contribuente. Non si tratta di questione, giuridica e pratica, di poco conto. La soluzione che pare nettamente preferibile è che la disposizione in rassegna, infatti, permetta di porre a base dell’accertamento dei redditi professionali/imprenditoriali gli importi dei versamenti sui conti correnti solo quando questi non trovino capienza negli importi che hanno concorso alla determinazione del reddito imponibile. Che la portata della disposizione dell’art. 32 sia quella sopra delineata appare in effetti sommamente ragionevole. L’onere di “giustificare” i versamenti previsto da essa, ha un senso, giuridico e razionale, solo quando questi eccedano l’importo dei compensi dichiarati. E’ solo quando l’importo dei versamenti è disallineato rispetto ai compensi dichiarati che esiste la circostanza “sospetta” sulla quale si innesta la lettera e la ratio della norma di cui all’art. 32: essa scatta quando dai versamenti risultino movimenti che non trovano capienza nei compensi dichiarati. Opinare diversamente sarebbe, innanzitutto, in palese contrasto con la lettera dell’art. 32. E, ad abundantiam, condurrebbe ad esiti assurdi e vessatori, contrastandone la ratio. Il contribuente che dichiarasse compensi di un milione di euro e sul cui conto corrente risultassero, in ipotesi, 999 movimenti da mille euro si troverebbe, dalla interpretazione abnorme che qui si contesta, costretto a giustificare 999 movimenti (!!) anche se questi sono palesemente congruenti con il giro d’affari dichiarato. Il fondamento, razionale e giuridico, dell’art. 32 è, invece, valorizzare il dato di ragionevole sospetto, assunto a base dalla norma, che si rileva quando l’importo dei versamenti sia disallineato rispetto i compensi dichiarati. L’art. 32 intende fornire alla Amministrazione finanziaria lo strumento delle valorizzazione delle movimentazioni bancarie come momento di emersione della evasione, fenomeno che si realizza quando risultano dai conti movimenti non congrui con ricavi e compensi dichiarati. L’art. 32 non è applicabile quando, invece, tale disallineamento non vi sia. Opinare il contrario è una manifesta violazione della lettera e della ratio della disposizione! L’art. 32 non grava certo il contribuente, a un cenno della amministrazione, dell’onere di giustificare tutti i propri movimenti bancari, quando questi siano congrui ai dati presi a base della dichiarazione dei redditi. Una interpretazione difforme consentirebbe contestazioni meramente emulative e vessatorie. E, soprattutto, contestazioni assurde. Così stravolto, l’art. 32 si applicherebbe sia alle situazioni, sospette, contemplate dalla legge, sia a situazioni non indiziarie e non contemplate, e assolutamente prive di significato e pregnanza accertativa, con palese violazione sia della lettera che dello spirito della legge. Sarebbe, infine, violato il principio comunitario di proporzionalità, con la conseguenza che, o la norma viene interpretata nel senso di cui al testo, o essa va disapplicata per contrasto con il diritto europeo (17). Quanto all’area di applicazione degli effetti della presunzione è interessante osservare che l’art. 32 d.p.r. n. 600/1973 prevede che i dati sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del decreto. La disposizione, interpretata a contrariis, genera una interessante possibilità difensiva: poiché non sono menzionati i relativi articoli, è ragionevole sostenere che le presunzioni in rassegna non potrebbero funzionare per le ipotesi di rettifica (e non di accertamento di ufficio, contemplato nell’art. 41, che invece viene richiamato) di redditi diversi da quelli di lavoro autonomo e impresa [art. 37 ( 18 )], per il disconoscimento delle operazioni elusive (art. 37 bis, mentre resterebbe aperta la questione del disconoscimento della elusione/abuso del diritto nelle ipotesi ricondotte dalla giurisprudenza direttamente all’art. 53 Cost., si veda infra a proposito dell’accertamento delle operazioni elusive), per gli accertamenti parziali (art. 41 bis), gli accertamenti integrativi (art. 43), e l’accertamento dei redditi da fabbricati (art. 41 ter). Tale argomentazione appare in linea con la lettera dell’art. 32, ma priva di qualsiasi fondamento razionale: non si vede perché i dati bancari non potrebbero essere indicativi di evasione nei casi da ultimo considerati (19). Per altro verso, si osserva che i movimenti di conto corrente non potrebbero essere, in sé, anche la prova dello svolgimento della attività fonte del reddito, quando questa non fosse altrimenti provata (20). La disciplina in rassegna, infine, è stata ritenuta di carattere procedimentale e, quindi, applicabile anche ai redditi posseduti in data anteriore alla relativa entrata in vigore (21). Si è, anzi, ritenuta consentita la applicazione della disciplina persino ai dati bancari rilevati anteriormente alla entrata in vigore ( 22 ). Questa soluzione lascia perplessi se la disposizione viene intesa come recante una presunzione legale relativa. Ci si domanda se l’applicazione di una presunzione relativa a fatti sostanziali già avvenuti non urti con il diritto di difesa, giacché il contribuente (nel caso ordinario delle presunzioni fiscali) si vede messo nella necessità di fornire una prova in un momento successivo a quello in cui sarebbe stato più semplice precostituirla ( 23 ). Il dubbio di ( 17 ) CGUE, sentenza 5 luglio 2012, nella causa C 318/2010, Société d’investissement pour l’agriculture tropicale SA (SIAT) – Belgio, ha ritenuto non giustificata una generalizzata inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che gli imponga di “di dimostrare sistematicamente l’effettività e la veridicità di tutte le prestazioni, (…) senza che l’amministrazione sia tenuta a fornire un benché minimo indizio di prova di frode o di evasione fiscale”. (18) In questa linea Cassazione, Sezione tributaria, 11 novembre 2009, n. 23852 ha rilevato come la norma non consentirebbe di rettificare il reddito di lavoro dipendente. Soluzione che appare poco convincente in termini razionali, ben potendo sussistere ipotesi di retribuzioni corrisposte parzialmente in nero. (19) Per chi opini per la natura di presunzione legale dell’art. 32, residua la possibilità di ritenere che, nei casi non contemplati di cui al testo, sarebbe possibile procedere per via di presunzione semplice. (20) Cassazione, Sezione tributaria, 11 novembre 2009, n. 23852 ha escluso che la presenza di rilevanti rimesse in conto corrente per un lavoratore dipendente possa essere prova, di per sé, dello svolgimento di una attività di lavoro autonomo occulta. Soluzione anche questa opinabile, se intesa in modo rigido. (21) Cassazione, Sezione tributaria, 19 luglio 2002, n. 10598. (22) Cassazione, Sezione tributaria, 7 novembre 2005, n. 21580. (23) Lo spunto per queste considerazioni viene da GRANELLI, Le presunzioni nell’accertamento tributario, in Boll. Trib., 1981, 1652. illegittimità costituzionale è più netto quando siano stabiliti limiti alla prova contraria (qui peraltro insussistenti). In tali casi risulta difficile giustificare il regime normativo e tali perplessità sono state condivise dalle istituzioni della Comunità Europea (24). Quanto, infine, alle modalità per offrire la pretesa prova contraria, il contribuente potrebbe utilizzare tutti gli strumenti probatori consentiti, tra cui assumono particolare importanza le prove documentali e le prove presuntive. La giurisprudenza ha peraltro espressamente ammesso sia la possibilità di utilizzare verbali di dichiarazioni di terzo ( 25 ), sia, con singolare apertura, la possibilità di portare financo la prova testimoniale, in caso di impossibilità di portare la prova altrimenti per causa incolpevole (26). (24) La Commissione CE ebbe modo di denunciare, ai sensi dell’art. 169 del Trattato, lo Stato italiano alla Corte di Giustizia CE, per il fatto che esso, con l’art. 19, d.l. 30 settembre 1982, n. 688 (l. 27 novembre 1982 n. 873), sarebbe venuto meno agli obblighi comunitari, condizionando la possibilità di rimborso di tributi riscossi in violazione del diritto comunitario aD un regime irragionevolmente vessatorio, anche per il fatto di prevedere retroattivamente, la necessità di mezzi di prova non imposti nel momento in cui sarebbe stato possibile precostituirli. Tale profilo della questione non venne, tuttavia, esaminato dalla Corte di Giustizia, solo perché assorbito dagli altri motivi del ricorso (Corte Giustizia CE, 24 marzo 1988, causa 104/86, in Raccolta, 1988, 1799). (25) Cassazione, Sezione tributaria, 26 marzo 2003, n. 4423 li ha ammessi per provare la titolarità di conti e nulla pare ostare alla loro utilizzazione anche per contrastare le illazioni dell’Ufficio fondate su di essi. (26) In caso di furto o incendio che abbia distrutto i documenti precostituiti: Cassazione, Sezione tributaria, 15 gennaio 2010, n. 587.