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Capitolo 4
LE CONNOTAZIONI EMOTIVE LEGATE ALLE MODALITA’
MAGGIORE/MINORE
LE VARIE POSIZIONI
Come già visto, una caratteristica fondamentale della musica è la sua
capacità di suscitare emozioni e uno degli aspetti della musica che è
stato
associato
con
le
emozioni
è
sicuramente
la
modalità.
La
manipolazione della modalità è stata presente fin dall’antichità,a partire
dal sistema modale degli antichi Greci. Del loro antico sistema però,solo
le
modalità
“ioniano”
e
“aleoliano”,
conosciute
oggi
come
rispettivamente maggiore e minore,sono di solito usate nella musica
occidentale. In tale contesto culturale l’uso della scala o della modalità
minore connota di solito emozioni negative e, usando le parole di
Hevner tale modalità è dotata di caratteristiche quali: passività,
disperazione, dolore, senso di pesantezza che spinge verso terra. E’
fissata e definita, esprime malinconia, angoscia, mistero, desiderio,
oscurità, immobilità, tetraggine. Essa è a sua volta addolorata, afflitta,
depressa, buia, lenta, lamentosa e acquietante.
La
tonalità
maggiore
invece
è
associata
a
caratteristiche
quali:
dinamicità e un senso di forza che spinge verso l’alto, è determinante e
definente, è più naturale e tonica della modalità minore, esprime vari
gradi di gioia, di eccitazione; essa appare brillante, chiara, dolce,
speranzosa, forte e felice.
Hevner continua anche dicendo che le caratteristiche sopra descritte e
associate alle due modalità possono in realtà variare in base alla teoria
della consonanza che viene accettata e a cui si fa riferimento. L’effetto
della
modalità
può
così
essere
dovuto
alla
differenza
e
alla
combinazione dei toni (Helmholtz), alla fusione tonale (Stumpf), o alla
conformità o non conformità ad uno standard mentale (Britan).
D’altra parte altri sperimentatori che non attribuiscono gli effetti della
modalità a caratteristiche fisiche intrinseche ai suono stessi, propongono
come
possibile
spiegazione
del
fenomeno,
argomenti
come
l’allenamento, le differenze individuali e le varie esperienze precedenti.
Secondo Robert G. Crowder (1984) ci sono tre principali teorie
esplicative riguardo la possibile spiegazione che lega la modalità
maggiore ad una connotazione positiva e quella minore ad una
connotazione a sua volta negativa. Appartenenti al primo filone teorico
sono tra gli altri Helmholtz, Elougizes Rameau, D’Alembert ed altri, ai
quali si deve lo spostamento della speculazione concernente la natura
delle modalità maggiore e minore da un piano metafisico ad uno
strettamente fisico.
Tutti questi autori in linea di massima basano la percezione della
distinzione maggiore/minore sulla serie dei parziali superiori che si
ottengono dalla produzione di una nota al suo tono fondamentale. Queste
idee risultano direttamente o indirettamente dal fatto che la triade
maggiore
ricorre
quarte,quinte
e
naturalmente
nelle
seste,mentre
si
serie
deve
armoniche
continuare
come
fino
le
alle
decime,dodicesime e quindicesime per trovare la corrispondente triade
minore e queste sono oltre il normale range di udibilità umana. Così le
connotazioni positive della triade maggiore derivano dalla sua maggiore
«naturalezza» nella natura fisica del suono. In un certo senso noi
ascoltiamo una triade maggiore ogni volta che un singolo tono musicale
è suonato così a lungo che i parziali dal quarto al sesto possano essere
uditi (Zajonc 1980).
Rameau e D’Alembert (1721), diversamente da Tartini, che ha basato la
sua teoria sull’esistenza di toni combinazionali, attribuiscono anch’essi
la ragione della consonanza all’esistenza di toni parziali superiori. Il
fatto che ogni corpo risonante udibile produca allo stesso tempo come
“generatore” le sue dodicesime, e le più alte terze come “armonici” li ha
portati a definire l’accordo maggiore come il più naturale di tutti gli
accordi. L’accordo minore, sebbene disposto anch’esso dalla natura non
è così naturale e così perfetto come il maggiore. Il fatto che la triade
maggiore sia la più naturale e quella dotata della struttura accordale
perfetta, ha fatto si che essa venisse ad essere definita come la più bella,
la più gradevole e da qui la più desiderabile.
Anche Helmholtz (1912) riferisce dei diversi effetti psicologici prodotti
dalle diverse triadi maggiori e minori. Secondo lui gli accordi minori
sono particolarmente adatti per esprimere malinconia, disperazione,
angoscia, mistero, bramosia, asprezza e oscurità mentre quelli minori
sono adatti per esprimere vari gradi di gioia ed eccitazione. Le triadi
maggiori suonano chiare, dolci, speranzose mentre quelle minori
suonano velate, tristi, immobili e tenebrose. La ragione per questa
differenza negli effetti suscitati dalle diverse modalità è attribuita alla
natura e all’esistenza dei toni combinazionali. «L’effetto tristezza» delle
strutture minori è considerato essere il risultato di un peculiare
«disturbo
nervoso»
causato
dalla
leggera
dissonanza
introdotta
attraverso l’alterazione del tono. Dal punto di vista di Helmholtz la
preferenza “affettiva” della triade maggiore sulla triade minore è un
caso specifico di preferenza per la consonanza sulla dissonanza. La
differenza di consonanza tra le due triadi è stabilita tenendo conto della
combinazione dei toni. Helmholtz ha mostrato che considerando solo la
combinazione di toni prodotti dalle triadi fondamentali e dai loro primi
parziali,la triade minore risulta “mancare” di più note, ed è questo che
contribuisce a definire la sensazione di irregolarità percepita;mentre ciò
non accade con la triade maggiore. Robert (1983) di recente ha fornito
supporto alla teoria di Helmholtz in tre esperimenti. In questi ha chiesto
ai
soggetti
di
fornire
risposte
riguardo
alla
consonanza
o
alla
piacevolezza di triadi maggiori e minori, a sua volta aumentate e
diminuite,intonate in diverse inversioni e con diversa tempra. Le triadi
maggiori hanno ricevuto punteggi consistentemente più alti delle triadi
minori in tutte le condizioni e sia con soggetti musicisti che non
musicisti. Gurney (1880) più semplicemente afferma che l’effetto
prodotto dallo stesso tipo di accordo è relativo al tipo di scala sulle
quali le combinazioni sono costruite. Interessante è anche la spiegazione
data da Riemann (1891) e Ottingen (1866) con il lo sistema armonico
dualistico. Questi autori sostengono che la tonica sia il punto centrale di
una distribuzione tonale simmetrica, in cui la triade maggiore e quella
minore sono disposte specularmente tra di loro e in cui la triade minore
è
il
“reciproco
rispecchiamento”
della
triade
maggiore.
Se
la
sottodominante è spiegata come la sotto-dominante e le due triadi come
le rispettive controparti,non sarà difficile secondo i due studiosi una
spiegazione dei diversi sentimenti che queste differenti strutture
evocano. Stumpf (1898) replica tuttavia a tale spiegazione argomentando
che i concetti di simmetria armonica e di reciprocità sono un prodotto
della ragione e non trovano diretta parola nella immediata percezione e
nel sentimento,almeno non per l’individuo medio,che nondimeno,
reagisce differentemente ai due modi. Per Pear (1911) le differenze
armoniche possono essere meglio spiegate sulla base del concetto di
fusione: l’assunto è sostenuto dal fatto che i gradi di fusione di un certo
accordo variano con i suoi costituenti gradi di fusione con le scale
tonali,decrescendo quando i peggiori gradi sono più bassi,aumentando
quando sono più alti. Britan (1911) afferma che l’approccio al “mistero”
del maggiore/minore attraverso i canali della “dissonanza” e della
“percezione fusionale” non porti a nessuna soluzione adeguata. La sua
spiegazione è invece basata sulla funzione del contrasto di ruolo.
L’antico modo greco lidio, che per costume, ripetizione, e adozione
finale è diventato la nostra moderna scala diatonica maggiore e la base
per tutta la musica del mondo occidentale, rappresenta un forte
«standard
mentale»
su
cui
il
pensiero
creativo
musicale
involontariamente si basa. In breve «la conformità a questo standard è il
segreto del valore emozionale del modo maggiore, la non conformità il
segreto del modo minore». Così nel modo minore,quando noi avvertiamo
l’immobilità, la tristezza e la bramosia che essa produce, in realtà noi
bramiamo per “l’ordine naturale” del modo maggiore. Gilmann (1898)
crede che ci sia una buona ragione a giustificazione del fatto che, forme
generali di prevalente accordo tendono ad emergere dalle impressioni di
diversi ascoltatori per lo stesso pezzo. Puntualizza che c’è una così
intima connessione tra la terza minore e i sentimenti di tristezza che,
secondo
lui,
l’aggettivo “minore” nel nostro linguaggio comune è stato assunto come
sinonimo di “doloroso”.
Weld (1912) solo parzialmente concorda con Gilman sul fatto che una
composizione in per se stessa possa ingenerare uno stato d’animo
particolare in quanto nelle sue ricerche ha posto in enfasi e descritto le
diverse reazioni di soggetti diversi all’ascolto di uno stesso brano. La
natura e la complessità della condizione organica della persona al
momento dell’ascolto sono infatti ritenuti dall’autore fattori inseparabili
nella determinazione delle reazioni che avverranno nell’ascoltatore
stesso.
Altri studiosi convengono invece nel rilevare che, le connotazioni
valutative legate alle modalità maggiore e minore, non sono altro che
derivati da convenzioni culturali. Queste ipotesi dette di “Brainwashing”
(lavaggio del cervello) affermano che deve esservi stato qualche
caso,qualche “accidente” che ha favorito l’iniziale polarizzazione della
connotazione emotiva legata alla modalità e che in seguito, tale
accidente, sia stato sostenuto da una qualche forma di socializzazione
musicale.
Anche secondo Max Mathews e John Pierce (1980) può essere che
l’armonia musicale sia semplicemente il risultato un “lavaggio del
cervello”; infatti può darsi che noi accettiamo combinazioni di toni che
ci sono stati insegnati essere “corretti”, mentre rifiutiamo quelli che a
loro volta ci sono stati insegnati essere “scorretti”.
Un
loro
esperimento
confermerebbe
tale
posizione.
Infatti
con
apparecchiature sofisticate sono riusciti a separare tutti i singoli parziali
(5
consonanti
e
2
dissonanti)
di
un
accordo
di
settima
dominante,potendo così proporre ad un numero di soggetti accordi di
settima con e senza parziali dissonanti. In ogni caso i risultati ottenuti
sono stati sempre gli stessi, in quanto tutti i partecipanti attribuivano lo
stesso valore all’accordo, anche quando esso era stato per così dire
“depurato” dai parziali dissonanti. Questi risultati contrastano con le
teorie di Rameau e di Helmholtz facendo propendere per l’idea che
l’armonia tradizionale,come noi la intendiamo, è un linguaggio, un’arte
complessa ma che può essere appresa.
Secondo questo punto di vista, se si potessero studiare popolazioni
appartenenti a culture musicali veramente isolate dalla cultura musicale
tradizionale occidentale, o bambini abbastanza giovani da non essere
stati
ancora
esposti
ad
essa,gli
stereotipi
maggiore=gioia
e
minore=tristezza verrebbero a cadere.
Infine vi è una terza corrente teorica che tende a far conciliare,a far
coesistere le due aree teoriche su menzionate,quella “Acustica” e quella
del
“Brainwashing”.
Infatti
all’inizio
una
qualche
caratteristica
strettamente correlata alla struttura fisica del suono, alla sua acustica,
potrebbe aver fatto inclinare le scale affettive in favore della triade
maggiore,forse in un periodo della storia musicale occidentale in cui il
vocabolario
armonico
era
ancora
ristretto.
Quindi
nelle
epoche
successive le connotazioni affettive affermatesi in tal modo potrebbero
essere state perpetuate attraverso il continuo condizionamento culturale.
Ruggieri (1997) pensa che l’effetto psicologico che la tradizione assegna
alla scala minore possa essere legata al vissuto di relativa strettoia che
essa può ingenerare nell’ascoltatore. Infatti fa notare come l’esperienza
di strettoia sia spesso considerata, anche se sotto altro nome. Di
frequente in psicologia si parla di angoscia,termine che deriva dal latino
angustia .In questo termine la connotazione di spazio ristretto è
fondamentale. A questo proposito Freud considerò che alcune forme di
angoscia
potessero
essere
ricondotte
alla
precoce
esperienza
di
“angustia” provata durante il parto,nel passaggio attraverso il canale
vaginale.
Si può anche menzionare l’originale spiegazione che da lo psicoanalista
Montani(1945) il quale ha proposto che l’abbassamento della nota di
mezzo nella triade minore produce ansia da castrazione, dalla quale fa
derivare la connotazione negativa.
Per concludere Hauptmann (1853) da una descrizione a carattere
metafisico della distinzione tra triade maggiore e triade minore.
Considera la triade maggiore come un principio dinamico,determinante e
definente, mentre la triade minore è descritta come un principio passivo,
determinato e definito. Nella triade minore è presente un “peso che
grava verso il basso” mentre in quella maggiore si scorge la presenza di
una “forza che spinge verso l’alto”. Continuando assimila la triade
minore ai rami di un salice piangente, che rende inesorabilmente
l’immagine dell’afflizione.
IL PUNTO DI VISTA DI MEYER
Meyer nel suo citatissimo emozione e significato in musica (1967), mette
in luce come la base teorica e psicologica del potere affettivo del modo
minore nella musica occidentale abbia costituito un problema e un
rompicapo per tanti musicologi e psicologi insigni. Tuttavia propone qui
un ulteriore interpretazione che è,a suo avviso,giustificata da due buone
ragioni. Cito le sue parole: la prima è che «qualsiasi teoria che si
proponga di far luce sui fondamenti della risposta affettiva alla musica
deve tener conto di questo enigma e cercare di risolverlo. In secondo
luogo il fatto che l’ipotesi da noi presa in considerazione conduca ad
una soluzione soddisfacente dell’enigma del modo minore senza dover
ricorrere ad alcuno dei misteri pitagorici, è già di per se un forte
argomento a sostegno della teoria avanzata in questo studio».
I tentativi teorici di risolvere l’enigma del modo minore vanno dalla
teoria di Riemann (1880), secondo la quale la triade minore è costruita
sulla struttura capovolta degli armonici della triade maggiore, a quella
di uno psicologo il quale ritiene che,essendo la triade minore un
«abbassamento» di quella maggiore,esprime chiaramente un senso di
castrazione e per questo fa nascere sentimenti carichi d’ansia (Montani
1945). E dei teorici con pregiudizi in fatto di acustica hanno tentato di
dimostrare che la triade minore è più dissonante di quella maggiore.
Ciascuna
di
queste
posizioni,
secondo
Meyer,
oltrechè
sembrare
alquanto lambiccata, presenta notevoli difficoltà. La teoria di Riemann
(1880), ad esempio, non solo non fornisce alcuna spiegazione in merito
al meccanismo psichico attraverso cui la triade minore è sentita come il
capovolgimento speculare della maggiore, ma si astiene altresì dal porre
in qualsivoglia relazione tale capovolgimento ed i processi affettivi
generali. E soprattutto teorie del genere non sono plausibili perché
ignorano tanto i fatti della teoria musicale che quelli della musicologia
comparata.
Quanto agli studiosi di acustica non convincono poiché,se pure è
possibile collegare le dissonanze all’esperienza affettiva, la triade
minore non è acusticamente più dissonante di quella maggiore,per lo
meno nella sua posizione stretta:
Fig. 10
Ed in ultima analisi tutte queste teorie si trovano a fare i conti con
un’unica realtà schiacciante, col fatto cioè che la triade minore non
esprime particolari significati affettivi o connotazioni tristi né nella
musica non-occidentale, né in quella popolare o primitiva. Ciò parrebbe
indicare, come ha fatto notare Heinlein(1928), che al pari della maggior
parte delle reazioni alla musica, quella al modo minore non è né naturale
né universale, bensì acquisita ciononostante l’influenza del modo minore
nella musica occidentale e sull’ascoltatore occidentale è stata enorme,
come dimostra per esempio Kate Hevner nei suoi esperimenti (vedi
oltre).
Difatti il modo minore, così come lo conosciamo noi, non esisteva prima
del Rinascimento e «assunse importanza universale solo nell’età
barocca». Sarebbe un grave errore, e comune purtroppo, confondere il
modo minore come si è configurato dal Rinascimento in poi con quei
modi ecclesiastici che contemplano una terza minore. Nè è del tutto
esatto affermare che la risposta affettiva al modo minore deve essere
necessariamente acquisita per il solo fatto che non è presente nella
musica primitiva o popolare ove pure compare una triade minore. Questo
perché
il
modo
corrispondenza
minore
nelle
nella
architetture
musica
occidentale
melodiche
della
non
musica
trova
non-
occidentale, popolare o primitiva ove compare una terza minore sopra la
tonica o fondamentale.
Ma vi è un punto, un grosso ostacolo nel quale da sempre incespicano
quasi sempre senza eccezione teorici, musicologi e psicologi. Essi hanno
visto nella organizzazione verticale della triade minore l’elemento
essenziale peculiare del modo minore,sebbene il nome stesso, «modo
minore», indichi che non si tratta di un’unica struttura isolata (la triade)
all’interno del sistema stilistico, bensì di un particolare e complessivo
sistema di relazioni tonali all’interno dello stile, cioè un modo.
Melodicamente il modo maggiore si differenzia dalla maggior parte dei
modi per il fatto di essere quasi-cromatico e mutevole, mostrandosi in
più versioni diverse, mentre altri modi, quali quello maggiore della
musica occidentale, nonché i modi della musica orientale, popolare e
primitiva, sono essenzialmente diatonici e stabili. Basterà a dimostrarlo
un confronto fra il numero di note disponibili nella maggioranza dei
modi con quello disponibile nel modo minore. Il modo maggiore della
musica occidentale (figura 11 A) impiega le medesime sette note sia
salendo che discendendo,come la primitiva scala africana (B) riportata
da Hornbostel (1928), mentre la scala giapponese Hirajoshi (C) riportata
da Sachs consta di cinque note soltanto, tanto nel modo ascendente che
in quello discendente:
Fig.11
Il modo minore, d’altro canto, compare nelle tre versioni base: melodica
ascendente (figura 11 A), naturale discendente (B),e armonica, oltrechè
in varie permutazioni e combinazioni di queste. Se si include nel gruppo
di note fornite dalle varianti A e B il secondo grado frigio (abbassato),
comunemente usato, una nota presa da un altro modo, nel modo minore
(C) risultano presenti e disponibili tutte le dodici note della scala
cromatica tranne due:
Fig.12
Talvolta le melodie nel modo minore sono decisamente cromatiche. Nel
tema dell’Offerta musicale, ad esempio, Bach impiega undici note della
scala cromatica in quello che è a tutti gli effetti un ordine strettamente
lineare (figura 13). In simili casi la relazione tra il modo minore e la
qualità affettiva ad esso associata non è difficile da individuare:
Fig.13
Ma non tutte le melodie e neppure la maggior parte di quelle in minore
utilizzano tutte le note disponibili. Ne le note impiegate sono ordinate in
successione lineare (scalare). Pur essendo in minore, la melodia iniziale
della sonata di Brahms (figura 14) non presenta nessun cromatismo.
Tuttavia la qualità affettiva del modo minore traspare anche in una
melodia diatonica minore come questa:
Fig. 14
E ciò per svariate ragioni. Innanzitutto il modo minore è sempre
potenzialmente cromatico e l’ascoltatore esperto, abituato a cogliere le
sollecitazioni di questa musica e a dare ad essa una risposta, è ben
consapevole della sempre presente possibilità del cromatismo. In
secondo luogo la tendenza delle note, allorché si avvicinano a quelle
fondamentali, è più forte nel modo maggiore che non nel minore. Questo
perché le due note più importanti dispongono ciascuna nel minore di una
«sensibile» in più, infatti alla quinta si può arrivare toccando il
semitono superiore e alla tonica toccando il secondo grado frigio. Inoltre
è più forte l’attrazione che la tonica esercita sul terzo grado, essendo
questo più vicino al secondo e quindi alla tonica stessa. La vicinanza di
queste note a quelle principali verso cui hanno tendenza a risolvere
rende particolarmente efficace la dilazione della risoluzione. Terzo
punto, nel modo minore mentre la probabilità di una particolare
successione di suoni cresce quanto più ci si avvicina alle note principali,
decresce invece considerevolmente quando ci si allontana da esse.
Proprio perché il modo minore possiede un più ricco repertorio di note è
più bassa la probabilità che ne compaia una determinata,tanto più che le
note tendono a prendere l’una il posto dell’altra:ad esempio Si al posto
di Si bemolle, La invece di La bemolle, ecc..,possono seguire alcune
note fondamentali nella tonalità di Do minore. In altre parole il modo
minore è per sua natura più ambiguo di altri modi con un più limitato
repertorio di note.
Sotto il profilo dell’armonia il modo minore è più ambiguo e meno
solido del modo maggiore. Più ambiguo perché il repertorio delle
combinazioni verticali possibili è molto più grande e quindi appare
ridotta l’eventualità di progressioni armoniche particolari. Mentre nel
modo maggiore l’accordo di tonica può con vari gradi di probabilità
muovere a ciascuna delle sei triadi (figura 15 A), nel modo minore può
invece muovere ad una qualsiasi delle almeno tredici triadi diverse (B),
per non parlare degli accordi alterati cromaticamente, così frequenti nel
modo minore. Si consideri inoltre che nel modo maggiore solamente una
delle triadi, quella costruita sul settimo grado della scala (contrassegnata
con una croce nella figura 15), è in se ambigua. Nel modo minore sono
invece quattro le triadi ambigue possibili. Le triadi aumentate o
diminuite (contrassegnate con una croce nella figura 15) sono ambigue
poiché la loro costruzione uniforme consente varie risoluzioni, tutte
ugualmente probabili:
Fig.15
In breve, siccome la loro costruzione uniforme le lascia prive di un
punto focale, possono facilmente deviare verso nuove sfere tonali
talvolta remote. A questa instabilità dell’unità triadica si aggiunge il
fatto che nella sua forma naturale, ovvero senza la sensibile innalzata, il
modo minore come sistema nel suo complesso manca di stabilità, avendo
la tendenza a gravitare attorno al relativo maggiore. E tale tendenza è
forse un segno della regolarità armonica del modo maggiore.
L’interrelazione tra affettività, cromatismo melodico e armonico e modo
minore non è una corrispondenza semplicemente teorica o accidentale.
E’ un fatto storico. Non si tratta solamente di un nesso logico, come
chiarisce il passo seguente ,ma anche genetico, come chiarisce Gustave
Reese
(1954):
«all’origine
del
ricorso
sempre
più
frequente
ai
cromatismi, c’è il desiderio di ottenere un’espressione sempre più
vivida; una tendenza che si discosta sempre più dal costruttivismo per
assecondare i disegni liberi del contenuto del testo e la suggestione del
recitativo
drammatico.
Questo,
accostandosi
alla
monodia
per
il
predominio della voce superiore e, talvolta, al sistema maggiore-minore,
si trovò per lo più a convivere con il medesimo tipo di scrittura
accordale e di contrappunto vagamente imitativo riscontrabile nell’altra
musica di questo periodo».
Il modo minore non è solamente associato a sentimenti intensi in
generale; esso viene impiegato, in particolare, per esprimere malinconia,
dolore e tormento. Questa associazione che, come abbiamo visto, è
anche connessa con il cromatismo in generale, sembra derivare da due
fatti differenti ma in rapporto reciproco: (1) Il tranquillo appagamento e
la gioia moderata sono considerati stati d’animo normali e pertanto
associati a progressioni musicali più normative, quali ad esempio le
melodie diatoniche del modo maggiore e le progressioni regolari
dell’armonia maggiore. Pena, infelicità e altre condizioni estreme
dell’affettività sono considerate devianti e pertanto vengono associate
alle più risolute deviazioni del cromatismo che nel modo minore trovano
la loro modalità deputata. (2) Movimenti cromatici marcati o complessi
comuni nel modo minore – linee melodiche che si snodano per linee
congiunte o salti inconsueti e attraverso progressioni armoniche insolite
– sono stati di solito associati a tempi più lenti di quelli impiegati nella
musica diatonica. Ciò è particolarmente vero per l’uso che del
cromatismo si faceva durante il Rinascimento e l’età barocca. Il
coincidere del cromatismo e della sua modalità più rappresentativa con
tempi più lenti può trovare almeno in parte giustificazione in ragioni di
ordine tecnico. Infatti,non solo gli strumenti sono costruiti tenendo
presenti le esigenze della scala diatonica,per cui riesce più arduo
eseguire rapidamente passaggi cromatici, ma l’insegnamento della
musica, sia strumentale che vocale, si basa sulla normalità e semplicità
della progressione diatonica. Dopo addirittura tre secoli del sistema
maggiore-minore Heinlein rilevava che in un assortimento casuale di
duemilacinquecento composizioni per principianti, solo il 7% era in
minore e che a quasi tutte era stato dato un titolo descrittivo.
«E’ difficile», scrive, «trovare una composizione in modo minore
destinata ai bambini che non abbia un titolo evocante immagini magiche,
misteriose, tristi e tenebrose».
Dunque l’associazione del modo minore con stati emozionali di
malinconia e dolore è un prodotto del suo carattere deviante e instabile
e dell’identificazione di stati d’animo quali la tristezza e il dolore coi
tempi lenti nei quali sono introdotti i cromatismi in esso prevalenti.
Naturalmente vi sono numerose eccezioni a questa associazione, come
emerge ad un esame anche superficiale della letteratura del secolo
scorso.
Benché le qualità affettive del modo minore dipendano innanzitutto dalle
sue caratteristiche modali quasi-cromatiche,la triade minore sembra
possedere di per sé una forza tutta particolare che appare più che mai
evidente quando la stessa melodia è eseguita prima in maggiore e poi in
minore come,ad esempio,nella sezione centrale del Walzer in La minore,
op. 34 n. 2
di Chopin. In realtà questa forza affettiva non appartiene
alla triade. E’ stato infatti dimostrato che il carattere della triade muta a
seconda dell’educazione e del contesto musicale. Invero, una volta
stabilitosi una norma modale all’interno di una data composizione, anche
la successione rovesciata, da minore a maggiore,può sortire un notevole
effetto, come dimostra il primo movimento del Quartetto per archi in La
minore di Schubert. La ragione per cui la triade minore costituisce in per
sé una forza affettiva è da individuarsi nel fatto che per associazione
essa è divenuta il simbolo, l’araldo del modo nel suo complesso e di
tutto ciò che questo implica attraverso il cromatismo, la modulazione e
la suspense.
E’ infine chiaro che con nessuno dei discorsi fin qui fatti si è inteso
sottintendere che qualsiasi brano cromatico sia necessariamente in modo
minore. Il nesso è comune ma assolutamente non necessario.
ALCUNI STUDI CIRCA LA MODALITA’ MUSICALE
In conclusione di capitolo mi sembra interessante presentare una sintesi
di alcuni studi che ho raccolto, relativi alla modalità musicale e al ruolo
che si suppone essa possa avere nel determinare particolari esperienze
emozionali. Partirò inevitabilmente dal pionieristico lavoro di Heinlein
(1928), il primo forse ad aver studiato la modalità con un approccio
scientifico, fino ad arrivare a lavori più recenti, vedi “l’effetto Mozart”
studiato da Husain e Thompson nel 2002, posando l’occhio anche su
alcune ricerche che si sono proposte di investigare lo “sviluppo” della
responsività emozionale alla modalità musicale nelle varie tappe
evolutive.
Nel suo esperimento C.P. Heinlein (The affective characters of the
major/minor mode in music, 1928), volle testare la capacità dei soggetti
di discriminare tra accordi maggiori e accordi minori di una stessa nota.
I soggetti erano 30, divisi in esperti di musica e non esperti. Gli stimoli
erano composti da combinazioni di coppie di accordi suonati in forma
maggiore e in forma minore. Gli accordi suonavano per tre secondi e i
soggetti dovevano discriminare se i due accordi suonati erano uguali o
differenti, scrivendolo su un foglio. I soggetti con esperienza musicale
discriminavano meglio rispetto all’altro gruppo e comunque entrambi i
gruppi ottennero migliori risultati con gli accordi in posizione invertita
rispetto a quelli in posizione tonica. I maggiori errori erano riferiti ai
registri di intonazioni più alti e più bassi. Nella seconda parte
dell’esperimento si voleva discriminare tra la capacità dei soggetti di
distinguere tra accordi maggiori e minori e quella di spiegare la
differenza tecnica sottesa ai concetti suddetti. I soggetti e le condizioni
erano
quelle
del
primo
esperimento.
In
più
ai
soggetti
dopo
l’esperimento venne chiesto di scrivere cosa essi sapessero dei concetti
di maggiore e minore. Solo due dei 30 soggetti diedero una risposta
soddisfacente sul significato del concetto di maggiore e minore in
musica, nonostante tutti riuscissero a discriminare tale differenza
nell’esperimento. Nella terza parte lo sperimentatore cercò di verificare
empiricamente lo stereotipo secondo cui, alla tonalità maggiore sono
associati i sentimenti di gioia e a quella minore sentimenti di tristezza.
Furono usati 48 accordi singoli suonati in entrambe le modalità, con
diversa intonazione e diversa intensità. I partecipanti, una volta
ascoltato lo stimolo, dovevano segnare su una check-list tutti quegli
aggettivi che meglio descrivevano l’accordo appena ascoltato. I soggetti
che ottennero i risultati migliori nell’esperimento della discriminazione
modale diedero risposte più conformi agli stereotipi modali. Le risposte
“minori” date ad accordi maggiori furono di più che non il contrario.
Inoltre la variazione di altezza con cui erano suonati gli accordi
mascherava
la
differenza
di
attribuzione
emotiva
alle
due
modalità.Infine accordi suonati con intonazione più alta erano descritti
più frequentemente con “aggettivi maggiori”.
Kate Hevner (The affective characters of the major/minor mode in music
1936), si propose di studiare le qualità affettive delle modalità
maggiore-minore in musica e in particolare se 1) le caratteristiche
affettive culturalmente diffuse nella società occidentale fossero chiare
all’ascoltatore, e 2) se si, in che modo esse variassero in funzione
dell’intelligenza, del talento musicale e della conoscenza musicale. Gli
stimoli erano rappresentati da 10 piccole composizioni suonate in
entrambe le modalità e diverse per genere. I soggetti erano 205 divisi in
4 classi. Ogni soggetto ascoltava tutti i brani maggiori o viceversa.
Mentre e dopo l’ascolto, il soggetto sceglieva da 2 liste tutti quegli
aggettivi che sembravano meglio descrivere la musica appena ascoltata.
In seguito veniva somministrato a tutti i soggetti un test di intelligenza,
un test per valutare il talento musicale e una scala di valutazione del
grado di training musicale. Nella seconda parte della ricerca vennero
usati i 25 soggetti che ottennero i risultati migliori e quelli che
ottennero i risultati peggiori ad ogni test. Per quanto riguarda la prima
parte i risultati forniscono una conferma a quelli che sono gli stereotipi
riguardo alla caratterizzazione emotiva storicamente attribuita alle 2
modalità (major/happy, minor/sad). I risultati della seconda parte invece
misero in luce come: a) anche se c’è una grande differenza sul grado di
preparazione musicale dei soggetti, essa nono si riflette in maniera
molto forte sulla capacità di discriminare tra le due modalità e su quella
di percepirne le colorazioni effettive; b) il talento musicale non è
strettamente collegato alla capacità di attribuire significato e di
discriminare tra le due modalità; c) anche l’intelligenza non influisce in
tal senso.
Robert G. Crowder, nel suo “Perception of the major/minor distinction:
hedonic, musical and affective discrimination” (1985), pone come
ipotesi il fatto che se il giudizio di maggiore/minore è mediato da una
reazione affettiva, giudicare stimoli musicali con aggettivi come “triste”
o “gioioso” porterà il soggetto a migliori risultati discriminativi rispetto
all’uso di termini come maggiore o minore. I soggetti erano 24 studenti
e lo stimolo musicale è composto da 3 continuum di 9 triadi ciascuno,
suonati in versione originale e in prima inversione. Ogni continuum era
composto da triadi maggiori che man mano declinavano in triadi minori.
Alla metà dei soggetti venne chiesto di discriminare gli stimoli usando
gli aggettivi maggiore/minore, all’altra metà usando gli aggettivi
triste/gioioso. Al cambiamento della variabile indipendente non si
accompagnano cambiamenti significativi nei risultati. Nella seconda
parte Crowder partendo dagli studi di Helmoltz volle investigare se i
giudizi basati sulle caratteristiche armoniche della musica quelli di
carattere
affettivo
misurati
nell’esperimento
precedente,
potessero
ritrovarsi insieme in un’unica variabile, quella edenica del gradimento.
Gli stimoli erano gli stessi dell’esperimento precedente, con l’aggiunta
di un continuum suonato un’ottava più alta. Ai soggetti fu chiesto di
giudicare
gli
stimoli
ascoltati
rispettivamente
come
gradevoli
o
sgradevoli. Con l’introduzione di questa variabile, i risultati assunsero
su un grafico la forma a “V” con un minimo di gradimento per la parte
centrale
del
continuum
delle
triadi,
in
contrasto
con
i
dati
dell’esperimento precedente. Questo, in certo modo, dicono gli autori
contrasta con la concezione di Helmotz.
Robert G. Crowder, J. Steven Reznik, Stacey L. Rosenkrantz nel 1991
(Perception of the major/minor distinction: preferences among the
infants), si sono riproposti di ripercorrere l’esperimento di Kastner e
Crowder,
(1990)
(secondo
cui
i
bambini
di
3
anni
scelgono
appropriatamente facce tristi o felici in base all’ascolto di brani in
modalità maggiore o minore) su bambini di sei mesi, facendo predizione
sulla preferenza di questi per gli accordi maggiori. Hanno voluto inoltre
studiare la reazione dei neonati ad accordi dissonanti e consonanti. Il
gruppo era costituito da 13 infanti di 6 mesi. Sei di questi ascoltarono
accordi maggiori e minori e accordi consonanti e dissonanti, tre soltanto
accordi maggiori/minori e quattro solo accordi consonanti/dissonanti. I
soggetti erano seduti davanti ad un box sul quale era posta una
telecamera che riprendeva il volto del bambino. Un flash fu usato per
attirare l’attenzione del bambino sull’obbiettivo. Nel box erano presenti
alla sinistra e alla destra di esso, due luci che illuminavano due
orsacchiotti posti ai lati. Quando il bimbo iniziava a guardare un
orsacchiotto una musica cominciava a suonare fin quando il bambino
non distoglieva lo sguardo per due secondi dall’orso, oppure dopo 45
secondi d’ascolto. Gli autori non hanno trovato differenze di tempo per
quanto riguarda lo sguardo dei bimbi verso gli orsi associati alle due
modalità d’ascolto dell’accordo. Differenze esistevano invece per la
variabile consonanza/dissonanza: i soggetti guardavano più a lungo
l’orso associato ad un accordo consonante.
Anche A. H. Gregory, Lisa Worral Ann Sarge (the development of
emotional responses to music in young children 1996) sono partiti dai
lavori di Kastner e Crowder (1990, 91) per verificare se l’associazione
emozionale alle modalità maggiore/minore possa manifestarsi a partire
dall’età di 3 anni. Il campione era rappresentato da 40 soggetti fra i 3 e i
4 anni, da 28 tra i 7 e gli 8 anni e da 28 adulti non musicisti. Come
stimoli furono usate otto musiche tratte da un libro per bambini. Ogni
brano
era
suonato
accompagnamento
in
entrambe
armonico.
Due
le
modalità,
figure
umane
con
erano
e
senza
usate
per
rappresentare espressioni di tristezza e felicità. Dopo aver ascoltato ogni
singolo brano, i soggetti erano tenuti a scegliere una delle due facce. I
risultati mostrano che c’è un significativo effetto età. Il gruppo dei 3-4
anni dava più risposte positive rispetto agli altri gruppi. Anche l’effetto
modalità è rilevante, c’erano più risposte positive per la modalità
maggiore. C’è anche un effetto modalità per età. Per il gruppo dei 3-4
anni non c’era differenza nella risposta alle diverse modalità secondo lo
stereotipo comune, cosa che invece era presente nel gruppo dei 7-8 anni.
Questo disconferma gli studi precedenti di kastner e Crowder (1990, 91).
Gli autori concludono dicendo che la relazione tra modalità maggiore e
gioia e tra modalità minore e tristezza si apprende con l’esperienza.
Gina M. Gerardi, louann Gerken (The development of affective
responses to modalità and melodic contour, 1995) hanno studiato come
le associazioni emozionali a variabili musicali (contour e modalità) si
sviluppino in soggetti di 5 anni, 8 anni e studenti di college. I soggetti
erano 68, divisi in tre classi di età. Gli stimoli si componevano di
quattro melodie senza accompagnamento. Ogni melodia era suonata in
entrambe le modalità e con diverso contour (ascendente/discendente).
Ogni soggetto ascoltava tutte le melodie e, nell’intervallo tra ognuna di
esse doveva scegliere tra due facce disegnate sullo schermo davanti a lui
e rappresentanti volti con espressione triste e felice. Il soggetto
sceglieva in base a quanto aveva provato nell’ascolto del brano previa
somministratogli. Gli autori riscontrarono un significativo effetto età. I
soggetti più giovani diedero minori risposte positive rispetto agli altri
due gruppi. Si è trovato anche un forte “effetto modalità”; le melodie
maggiori erano percepite più positivamente di quelle minori. Anche le
melodie ascendenti tendevano ad essere percepite più positivamente. In
quanto alla modalità, i bambini di 5 anni non diedero risposte
differenziate rispetto alla qualità degli stimoli. Questo era presente nel
gruppo degli 8 anni e ancor più in quello degli adulti. Per quanto
riguarda in contour gli autori suggeriscono che la capacità di assegnare
ad esso una valenza emotiva si apprende dopo gli 8 anni.
Piet G.Vos e Paul P.Verkaart (inference of mode in melodies 1999).
Hanno basato il loro esperimento sulla capacità di discriminare la
modalità di alcuni pattern musicali. Prendendo in considerazione
variabili quali la competenza musicale, la familiarità con il brano
ascoltato e l’ambiguità della modalità di alcuni brani musicali. I soggetti
erano in numero di 24 e gli stimoli erano composti da 11 segmenti di
brani musicali suonati in modalità maggiore, minore e ambigua. Il
soggetto doveva riconoscerne, man mano che gli stimoli venivano
presentati, la modalità, senza tener conto delle implicazioni emotive.
Ogni soggetto aveva a disposizione una scala con punteggi da 0 (minore)
a
100(
maggiore).
Gli
ascoltatori,
senza
differenziarsi
in
base
all’esperienza musicale riuscivano a distinguere la modalità della
melodia. Secondo gli autori la struttura melodica e quella implicita
armonica, di una composizione musicale, danno sufficienti informazioni
per
l’inferenza
della
modalità.
Di
cruciale
importanza
per
la
discriminazione modale è la natura della terza.
William G. Collier, Timothy L. Hub (Musical scales and evalutation of
happines and awkwardness: effects of pitch direction and scale mode
2001), hanno studiato la responsività emozionale in soggetti che
ascoltavano scale musicali suonate in forma ascendente, discendente e in
modalità maggiore e minore. Nell’esperimento hanno voluto vedere se le
diverse differenze spaziali tra le note delle varie scale minori e il loro
contour influenzassero le connotazioni affettive attribuite a tali scale. I
soggetti erano 24 studenti e gli stimoli erano costituiti da scale minori
composte di otto note suonate in tutte le chiavi, in tutte le scale minori
esistenti e alternativamente con contour ascendente e discendente. Per la
valutazione fu usata una scala likert che valutava il grado di felicità,
tristezza e sgraziatezza della scala suonata. I soggetti compilavano
anche un questionario sul proprio background musicale. I soggetti senza
background musicale giudicarono più sgraziata la scala melodica minore
ascendente, rispetto agli altri con esperienza musicale. Le scale con
direzione ascendente erano percepite come più gioiose, e ancora la scala
melodica ascendente era percepita come meno sgraziata rispetto alle
altre due. Le scale in si sono percepite come più gioiose rispetto a quelle
in do# e re# (diverso pitch). Concludendo, ne la struttura modale ne la
chiave
sono
fattori
determinanti:
piuttosto
lo
sono
il
contour
(ascendente) e l’altezza delle note.
Infine cito il lavoro di G. Husain, W.F. Thompson, E.G. Schellemberg
(Effects of musical tempo and mode on arousal, mood and spatial
abilities 2002), i quali si sono proposti, riprendendo il concetto di
“effetto Mozart” concettualizzato da Rauscher di valutare se, specifiche
caratteristiche della musica di Mozart (tempo, modalità), in particolare
la sonata K448 possano influenzare il livello di arousal, lo stato d’animo
del soggetto e di conseguenza, la sua capacità prestazionale in test di
abilità spaziale. Hanno voluto anche vedere se l’effetto dell’arousal e
dello stato d’animo (mood) sono dissociati. I soggetti erano 36 studenti
universitari e lo stimolo era costituito dal primo movimento della sonata
K448 di Mozart suonata in modalità maggiore e minore e a sua volta con
un tempo veloce o lento. Per valutare lo stato d’animo e l’arousal furono
utilizzati due test. I partecipanti compilavano anche una scheda riguardo
il loro stato d’animo al momento dell’esperimento e un altra relativa al
gradimento dell’ascolto musicale. Ogni soggetto era assegnato ad
ognuna delle quattro situazioni sperimentali e compilava i vari test
prima e dopo l’ascolto della sonata. Nel test dell’abilità spaziali i
risultati peggiori furono ottenuti dai soggetti che avevano ascoltato il
brano con il tempo più lento e la modalità minore, viceversa il punteggio
più alto fu ottenuto dagli ascoltanti il brano più veloce e con modalità
maggiore. Entrambi i gruppi, fast major e fast minor ottennero risultati
migliori rispetto al gruppo di controllo (che non ascoltava musica). Gli
altri due gruppi invece non differivano in maniera significativa. In
quanto all’arousal, essa cresceva nei soggetti che ascoltavano le versioni
veloce maggiore e veloce minore, ma decresceva per la variabile tempo
lento. Lo stato d’animo era più positivo nelle condizioni modalità
maggiori, mentre il tempo non influiva su di esso. Il gradimento invece
era maggiore quando il brano era suonato rispettivamente veloce e in
modalità maggiore e lento con modalità minore. Gli studiosi concludono
dicendo che il tempo non ha effetto sullo stato d’animo, così come il
modo, ha anch’esso poco effetto sull’arousal. Gli autori suggeriscono
che ci siano tempi ottimali di gradimento diversi per le due modalità.