qui
Transcript
qui
Capitolo 4 LE CONNOTAZIONI EMOTIVE LEGATE ALLE MODALITA’ MAGGIORE/MINORE LE VARIE POSIZIONI Come già visto, una caratteristica fondamentale della musica è la sua capacità di suscitare emozioni e uno degli aspetti della musica che è stato associato con le emozioni è sicuramente la modalità. La manipolazione della modalità è stata presente fin dall’antichità,a partire dal sistema modale degli antichi Greci. Del loro antico sistema però,solo le modalità “ioniano” e “aleoliano”, conosciute oggi come rispettivamente maggiore e minore,sono di solito usate nella musica occidentale. In tale contesto culturale l’uso della scala o della modalità minore connota di solito emozioni negative e, usando le parole di Hevner tale modalità è dotata di caratteristiche quali: passività, disperazione, dolore, senso di pesantezza che spinge verso terra. E’ fissata e definita, esprime malinconia, angoscia, mistero, desiderio, oscurità, immobilità, tetraggine. Essa è a sua volta addolorata, afflitta, depressa, buia, lenta, lamentosa e acquietante. La tonalità maggiore invece è associata a caratteristiche quali: dinamicità e un senso di forza che spinge verso l’alto, è determinante e definente, è più naturale e tonica della modalità minore, esprime vari gradi di gioia, di eccitazione; essa appare brillante, chiara, dolce, speranzosa, forte e felice. Hevner continua anche dicendo che le caratteristiche sopra descritte e associate alle due modalità possono in realtà variare in base alla teoria della consonanza che viene accettata e a cui si fa riferimento. L’effetto della modalità può così essere dovuto alla differenza e alla combinazione dei toni (Helmholtz), alla fusione tonale (Stumpf), o alla conformità o non conformità ad uno standard mentale (Britan). D’altra parte altri sperimentatori che non attribuiscono gli effetti della modalità a caratteristiche fisiche intrinseche ai suono stessi, propongono come possibile spiegazione del fenomeno, argomenti come l’allenamento, le differenze individuali e le varie esperienze precedenti. Secondo Robert G. Crowder (1984) ci sono tre principali teorie esplicative riguardo la possibile spiegazione che lega la modalità maggiore ad una connotazione positiva e quella minore ad una connotazione a sua volta negativa. Appartenenti al primo filone teorico sono tra gli altri Helmholtz, Elougizes Rameau, D’Alembert ed altri, ai quali si deve lo spostamento della speculazione concernente la natura delle modalità maggiore e minore da un piano metafisico ad uno strettamente fisico. Tutti questi autori in linea di massima basano la percezione della distinzione maggiore/minore sulla serie dei parziali superiori che si ottengono dalla produzione di una nota al suo tono fondamentale. Queste idee risultano direttamente o indirettamente dal fatto che la triade maggiore ricorre quarte,quinte e naturalmente nelle seste,mentre si serie deve armoniche continuare come fino le alle decime,dodicesime e quindicesime per trovare la corrispondente triade minore e queste sono oltre il normale range di udibilità umana. Così le connotazioni positive della triade maggiore derivano dalla sua maggiore «naturalezza» nella natura fisica del suono. In un certo senso noi ascoltiamo una triade maggiore ogni volta che un singolo tono musicale è suonato così a lungo che i parziali dal quarto al sesto possano essere uditi (Zajonc 1980). Rameau e D’Alembert (1721), diversamente da Tartini, che ha basato la sua teoria sull’esistenza di toni combinazionali, attribuiscono anch’essi la ragione della consonanza all’esistenza di toni parziali superiori. Il fatto che ogni corpo risonante udibile produca allo stesso tempo come “generatore” le sue dodicesime, e le più alte terze come “armonici” li ha portati a definire l’accordo maggiore come il più naturale di tutti gli accordi. L’accordo minore, sebbene disposto anch’esso dalla natura non è così naturale e così perfetto come il maggiore. Il fatto che la triade maggiore sia la più naturale e quella dotata della struttura accordale perfetta, ha fatto si che essa venisse ad essere definita come la più bella, la più gradevole e da qui la più desiderabile. Anche Helmholtz (1912) riferisce dei diversi effetti psicologici prodotti dalle diverse triadi maggiori e minori. Secondo lui gli accordi minori sono particolarmente adatti per esprimere malinconia, disperazione, angoscia, mistero, bramosia, asprezza e oscurità mentre quelli minori sono adatti per esprimere vari gradi di gioia ed eccitazione. Le triadi maggiori suonano chiare, dolci, speranzose mentre quelle minori suonano velate, tristi, immobili e tenebrose. La ragione per questa differenza negli effetti suscitati dalle diverse modalità è attribuita alla natura e all’esistenza dei toni combinazionali. «L’effetto tristezza» delle strutture minori è considerato essere il risultato di un peculiare «disturbo nervoso» causato dalla leggera dissonanza introdotta attraverso l’alterazione del tono. Dal punto di vista di Helmholtz la preferenza “affettiva” della triade maggiore sulla triade minore è un caso specifico di preferenza per la consonanza sulla dissonanza. La differenza di consonanza tra le due triadi è stabilita tenendo conto della combinazione dei toni. Helmholtz ha mostrato che considerando solo la combinazione di toni prodotti dalle triadi fondamentali e dai loro primi parziali,la triade minore risulta “mancare” di più note, ed è questo che contribuisce a definire la sensazione di irregolarità percepita;mentre ciò non accade con la triade maggiore. Robert (1983) di recente ha fornito supporto alla teoria di Helmholtz in tre esperimenti. In questi ha chiesto ai soggetti di fornire risposte riguardo alla consonanza o alla piacevolezza di triadi maggiori e minori, a sua volta aumentate e diminuite,intonate in diverse inversioni e con diversa tempra. Le triadi maggiori hanno ricevuto punteggi consistentemente più alti delle triadi minori in tutte le condizioni e sia con soggetti musicisti che non musicisti. Gurney (1880) più semplicemente afferma che l’effetto prodotto dallo stesso tipo di accordo è relativo al tipo di scala sulle quali le combinazioni sono costruite. Interessante è anche la spiegazione data da Riemann (1891) e Ottingen (1866) con il lo sistema armonico dualistico. Questi autori sostengono che la tonica sia il punto centrale di una distribuzione tonale simmetrica, in cui la triade maggiore e quella minore sono disposte specularmente tra di loro e in cui la triade minore è il “reciproco rispecchiamento” della triade maggiore. Se la sottodominante è spiegata come la sotto-dominante e le due triadi come le rispettive controparti,non sarà difficile secondo i due studiosi una spiegazione dei diversi sentimenti che queste differenti strutture evocano. Stumpf (1898) replica tuttavia a tale spiegazione argomentando che i concetti di simmetria armonica e di reciprocità sono un prodotto della ragione e non trovano diretta parola nella immediata percezione e nel sentimento,almeno non per l’individuo medio,che nondimeno, reagisce differentemente ai due modi. Per Pear (1911) le differenze armoniche possono essere meglio spiegate sulla base del concetto di fusione: l’assunto è sostenuto dal fatto che i gradi di fusione di un certo accordo variano con i suoi costituenti gradi di fusione con le scale tonali,decrescendo quando i peggiori gradi sono più bassi,aumentando quando sono più alti. Britan (1911) afferma che l’approccio al “mistero” del maggiore/minore attraverso i canali della “dissonanza” e della “percezione fusionale” non porti a nessuna soluzione adeguata. La sua spiegazione è invece basata sulla funzione del contrasto di ruolo. L’antico modo greco lidio, che per costume, ripetizione, e adozione finale è diventato la nostra moderna scala diatonica maggiore e la base per tutta la musica del mondo occidentale, rappresenta un forte «standard mentale» su cui il pensiero creativo musicale involontariamente si basa. In breve «la conformità a questo standard è il segreto del valore emozionale del modo maggiore, la non conformità il segreto del modo minore». Così nel modo minore,quando noi avvertiamo l’immobilità, la tristezza e la bramosia che essa produce, in realtà noi bramiamo per “l’ordine naturale” del modo maggiore. Gilmann (1898) crede che ci sia una buona ragione a giustificazione del fatto che, forme generali di prevalente accordo tendono ad emergere dalle impressioni di diversi ascoltatori per lo stesso pezzo. Puntualizza che c’è una così intima connessione tra la terza minore e i sentimenti di tristezza che, secondo lui, l’aggettivo “minore” nel nostro linguaggio comune è stato assunto come sinonimo di “doloroso”. Weld (1912) solo parzialmente concorda con Gilman sul fatto che una composizione in per se stessa possa ingenerare uno stato d’animo particolare in quanto nelle sue ricerche ha posto in enfasi e descritto le diverse reazioni di soggetti diversi all’ascolto di uno stesso brano. La natura e la complessità della condizione organica della persona al momento dell’ascolto sono infatti ritenuti dall’autore fattori inseparabili nella determinazione delle reazioni che avverranno nell’ascoltatore stesso. Altri studiosi convengono invece nel rilevare che, le connotazioni valutative legate alle modalità maggiore e minore, non sono altro che derivati da convenzioni culturali. Queste ipotesi dette di “Brainwashing” (lavaggio del cervello) affermano che deve esservi stato qualche caso,qualche “accidente” che ha favorito l’iniziale polarizzazione della connotazione emotiva legata alla modalità e che in seguito, tale accidente, sia stato sostenuto da una qualche forma di socializzazione musicale. Anche secondo Max Mathews e John Pierce (1980) può essere che l’armonia musicale sia semplicemente il risultato un “lavaggio del cervello”; infatti può darsi che noi accettiamo combinazioni di toni che ci sono stati insegnati essere “corretti”, mentre rifiutiamo quelli che a loro volta ci sono stati insegnati essere “scorretti”. Un loro esperimento confermerebbe tale posizione. Infatti con apparecchiature sofisticate sono riusciti a separare tutti i singoli parziali (5 consonanti e 2 dissonanti) di un accordo di settima dominante,potendo così proporre ad un numero di soggetti accordi di settima con e senza parziali dissonanti. In ogni caso i risultati ottenuti sono stati sempre gli stessi, in quanto tutti i partecipanti attribuivano lo stesso valore all’accordo, anche quando esso era stato per così dire “depurato” dai parziali dissonanti. Questi risultati contrastano con le teorie di Rameau e di Helmholtz facendo propendere per l’idea che l’armonia tradizionale,come noi la intendiamo, è un linguaggio, un’arte complessa ma che può essere appresa. Secondo questo punto di vista, se si potessero studiare popolazioni appartenenti a culture musicali veramente isolate dalla cultura musicale tradizionale occidentale, o bambini abbastanza giovani da non essere stati ancora esposti ad essa,gli stereotipi maggiore=gioia e minore=tristezza verrebbero a cadere. Infine vi è una terza corrente teorica che tende a far conciliare,a far coesistere le due aree teoriche su menzionate,quella “Acustica” e quella del “Brainwashing”. Infatti all’inizio una qualche caratteristica strettamente correlata alla struttura fisica del suono, alla sua acustica, potrebbe aver fatto inclinare le scale affettive in favore della triade maggiore,forse in un periodo della storia musicale occidentale in cui il vocabolario armonico era ancora ristretto. Quindi nelle epoche successive le connotazioni affettive affermatesi in tal modo potrebbero essere state perpetuate attraverso il continuo condizionamento culturale. Ruggieri (1997) pensa che l’effetto psicologico che la tradizione assegna alla scala minore possa essere legata al vissuto di relativa strettoia che essa può ingenerare nell’ascoltatore. Infatti fa notare come l’esperienza di strettoia sia spesso considerata, anche se sotto altro nome. Di frequente in psicologia si parla di angoscia,termine che deriva dal latino angustia .In questo termine la connotazione di spazio ristretto è fondamentale. A questo proposito Freud considerò che alcune forme di angoscia potessero essere ricondotte alla precoce esperienza di “angustia” provata durante il parto,nel passaggio attraverso il canale vaginale. Si può anche menzionare l’originale spiegazione che da lo psicoanalista Montani(1945) il quale ha proposto che l’abbassamento della nota di mezzo nella triade minore produce ansia da castrazione, dalla quale fa derivare la connotazione negativa. Per concludere Hauptmann (1853) da una descrizione a carattere metafisico della distinzione tra triade maggiore e triade minore. Considera la triade maggiore come un principio dinamico,determinante e definente, mentre la triade minore è descritta come un principio passivo, determinato e definito. Nella triade minore è presente un “peso che grava verso il basso” mentre in quella maggiore si scorge la presenza di una “forza che spinge verso l’alto”. Continuando assimila la triade minore ai rami di un salice piangente, che rende inesorabilmente l’immagine dell’afflizione. IL PUNTO DI VISTA DI MEYER Meyer nel suo citatissimo emozione e significato in musica (1967), mette in luce come la base teorica e psicologica del potere affettivo del modo minore nella musica occidentale abbia costituito un problema e un rompicapo per tanti musicologi e psicologi insigni. Tuttavia propone qui un ulteriore interpretazione che è,a suo avviso,giustificata da due buone ragioni. Cito le sue parole: la prima è che «qualsiasi teoria che si proponga di far luce sui fondamenti della risposta affettiva alla musica deve tener conto di questo enigma e cercare di risolverlo. In secondo luogo il fatto che l’ipotesi da noi presa in considerazione conduca ad una soluzione soddisfacente dell’enigma del modo minore senza dover ricorrere ad alcuno dei misteri pitagorici, è già di per se un forte argomento a sostegno della teoria avanzata in questo studio». I tentativi teorici di risolvere l’enigma del modo minore vanno dalla teoria di Riemann (1880), secondo la quale la triade minore è costruita sulla struttura capovolta degli armonici della triade maggiore, a quella di uno psicologo il quale ritiene che,essendo la triade minore un «abbassamento» di quella maggiore,esprime chiaramente un senso di castrazione e per questo fa nascere sentimenti carichi d’ansia (Montani 1945). E dei teorici con pregiudizi in fatto di acustica hanno tentato di dimostrare che la triade minore è più dissonante di quella maggiore. Ciascuna di queste posizioni, secondo Meyer, oltrechè sembrare alquanto lambiccata, presenta notevoli difficoltà. La teoria di Riemann (1880), ad esempio, non solo non fornisce alcuna spiegazione in merito al meccanismo psichico attraverso cui la triade minore è sentita come il capovolgimento speculare della maggiore, ma si astiene altresì dal porre in qualsivoglia relazione tale capovolgimento ed i processi affettivi generali. E soprattutto teorie del genere non sono plausibili perché ignorano tanto i fatti della teoria musicale che quelli della musicologia comparata. Quanto agli studiosi di acustica non convincono poiché,se pure è possibile collegare le dissonanze all’esperienza affettiva, la triade minore non è acusticamente più dissonante di quella maggiore,per lo meno nella sua posizione stretta: Fig. 10 Ed in ultima analisi tutte queste teorie si trovano a fare i conti con un’unica realtà schiacciante, col fatto cioè che la triade minore non esprime particolari significati affettivi o connotazioni tristi né nella musica non-occidentale, né in quella popolare o primitiva. Ciò parrebbe indicare, come ha fatto notare Heinlein(1928), che al pari della maggior parte delle reazioni alla musica, quella al modo minore non è né naturale né universale, bensì acquisita ciononostante l’influenza del modo minore nella musica occidentale e sull’ascoltatore occidentale è stata enorme, come dimostra per esempio Kate Hevner nei suoi esperimenti (vedi oltre). Difatti il modo minore, così come lo conosciamo noi, non esisteva prima del Rinascimento e «assunse importanza universale solo nell’età barocca». Sarebbe un grave errore, e comune purtroppo, confondere il modo minore come si è configurato dal Rinascimento in poi con quei modi ecclesiastici che contemplano una terza minore. Nè è del tutto esatto affermare che la risposta affettiva al modo minore deve essere necessariamente acquisita per il solo fatto che non è presente nella musica primitiva o popolare ove pure compare una triade minore. Questo perché il modo corrispondenza minore nelle nella architetture musica occidentale melodiche della non musica trova non- occidentale, popolare o primitiva ove compare una terza minore sopra la tonica o fondamentale. Ma vi è un punto, un grosso ostacolo nel quale da sempre incespicano quasi sempre senza eccezione teorici, musicologi e psicologi. Essi hanno visto nella organizzazione verticale della triade minore l’elemento essenziale peculiare del modo minore,sebbene il nome stesso, «modo minore», indichi che non si tratta di un’unica struttura isolata (la triade) all’interno del sistema stilistico, bensì di un particolare e complessivo sistema di relazioni tonali all’interno dello stile, cioè un modo. Melodicamente il modo maggiore si differenzia dalla maggior parte dei modi per il fatto di essere quasi-cromatico e mutevole, mostrandosi in più versioni diverse, mentre altri modi, quali quello maggiore della musica occidentale, nonché i modi della musica orientale, popolare e primitiva, sono essenzialmente diatonici e stabili. Basterà a dimostrarlo un confronto fra il numero di note disponibili nella maggioranza dei modi con quello disponibile nel modo minore. Il modo maggiore della musica occidentale (figura 11 A) impiega le medesime sette note sia salendo che discendendo,come la primitiva scala africana (B) riportata da Hornbostel (1928), mentre la scala giapponese Hirajoshi (C) riportata da Sachs consta di cinque note soltanto, tanto nel modo ascendente che in quello discendente: Fig.11 Il modo minore, d’altro canto, compare nelle tre versioni base: melodica ascendente (figura 11 A), naturale discendente (B),e armonica, oltrechè in varie permutazioni e combinazioni di queste. Se si include nel gruppo di note fornite dalle varianti A e B il secondo grado frigio (abbassato), comunemente usato, una nota presa da un altro modo, nel modo minore (C) risultano presenti e disponibili tutte le dodici note della scala cromatica tranne due: Fig.12 Talvolta le melodie nel modo minore sono decisamente cromatiche. Nel tema dell’Offerta musicale, ad esempio, Bach impiega undici note della scala cromatica in quello che è a tutti gli effetti un ordine strettamente lineare (figura 13). In simili casi la relazione tra il modo minore e la qualità affettiva ad esso associata non è difficile da individuare: Fig.13 Ma non tutte le melodie e neppure la maggior parte di quelle in minore utilizzano tutte le note disponibili. Ne le note impiegate sono ordinate in successione lineare (scalare). Pur essendo in minore, la melodia iniziale della sonata di Brahms (figura 14) non presenta nessun cromatismo. Tuttavia la qualità affettiva del modo minore traspare anche in una melodia diatonica minore come questa: Fig. 14 E ciò per svariate ragioni. Innanzitutto il modo minore è sempre potenzialmente cromatico e l’ascoltatore esperto, abituato a cogliere le sollecitazioni di questa musica e a dare ad essa una risposta, è ben consapevole della sempre presente possibilità del cromatismo. In secondo luogo la tendenza delle note, allorché si avvicinano a quelle fondamentali, è più forte nel modo maggiore che non nel minore. Questo perché le due note più importanti dispongono ciascuna nel minore di una «sensibile» in più, infatti alla quinta si può arrivare toccando il semitono superiore e alla tonica toccando il secondo grado frigio. Inoltre è più forte l’attrazione che la tonica esercita sul terzo grado, essendo questo più vicino al secondo e quindi alla tonica stessa. La vicinanza di queste note a quelle principali verso cui hanno tendenza a risolvere rende particolarmente efficace la dilazione della risoluzione. Terzo punto, nel modo minore mentre la probabilità di una particolare successione di suoni cresce quanto più ci si avvicina alle note principali, decresce invece considerevolmente quando ci si allontana da esse. Proprio perché il modo minore possiede un più ricco repertorio di note è più bassa la probabilità che ne compaia una determinata,tanto più che le note tendono a prendere l’una il posto dell’altra:ad esempio Si al posto di Si bemolle, La invece di La bemolle, ecc..,possono seguire alcune note fondamentali nella tonalità di Do minore. In altre parole il modo minore è per sua natura più ambiguo di altri modi con un più limitato repertorio di note. Sotto il profilo dell’armonia il modo minore è più ambiguo e meno solido del modo maggiore. Più ambiguo perché il repertorio delle combinazioni verticali possibili è molto più grande e quindi appare ridotta l’eventualità di progressioni armoniche particolari. Mentre nel modo maggiore l’accordo di tonica può con vari gradi di probabilità muovere a ciascuna delle sei triadi (figura 15 A), nel modo minore può invece muovere ad una qualsiasi delle almeno tredici triadi diverse (B), per non parlare degli accordi alterati cromaticamente, così frequenti nel modo minore. Si consideri inoltre che nel modo maggiore solamente una delle triadi, quella costruita sul settimo grado della scala (contrassegnata con una croce nella figura 15), è in se ambigua. Nel modo minore sono invece quattro le triadi ambigue possibili. Le triadi aumentate o diminuite (contrassegnate con una croce nella figura 15) sono ambigue poiché la loro costruzione uniforme consente varie risoluzioni, tutte ugualmente probabili: Fig.15 In breve, siccome la loro costruzione uniforme le lascia prive di un punto focale, possono facilmente deviare verso nuove sfere tonali talvolta remote. A questa instabilità dell’unità triadica si aggiunge il fatto che nella sua forma naturale, ovvero senza la sensibile innalzata, il modo minore come sistema nel suo complesso manca di stabilità, avendo la tendenza a gravitare attorno al relativo maggiore. E tale tendenza è forse un segno della regolarità armonica del modo maggiore. L’interrelazione tra affettività, cromatismo melodico e armonico e modo minore non è una corrispondenza semplicemente teorica o accidentale. E’ un fatto storico. Non si tratta solamente di un nesso logico, come chiarisce il passo seguente ,ma anche genetico, come chiarisce Gustave Reese (1954): «all’origine del ricorso sempre più frequente ai cromatismi, c’è il desiderio di ottenere un’espressione sempre più vivida; una tendenza che si discosta sempre più dal costruttivismo per assecondare i disegni liberi del contenuto del testo e la suggestione del recitativo drammatico. Questo, accostandosi alla monodia per il predominio della voce superiore e, talvolta, al sistema maggiore-minore, si trovò per lo più a convivere con il medesimo tipo di scrittura accordale e di contrappunto vagamente imitativo riscontrabile nell’altra musica di questo periodo». Il modo minore non è solamente associato a sentimenti intensi in generale; esso viene impiegato, in particolare, per esprimere malinconia, dolore e tormento. Questa associazione che, come abbiamo visto, è anche connessa con il cromatismo in generale, sembra derivare da due fatti differenti ma in rapporto reciproco: (1) Il tranquillo appagamento e la gioia moderata sono considerati stati d’animo normali e pertanto associati a progressioni musicali più normative, quali ad esempio le melodie diatoniche del modo maggiore e le progressioni regolari dell’armonia maggiore. Pena, infelicità e altre condizioni estreme dell’affettività sono considerate devianti e pertanto vengono associate alle più risolute deviazioni del cromatismo che nel modo minore trovano la loro modalità deputata. (2) Movimenti cromatici marcati o complessi comuni nel modo minore – linee melodiche che si snodano per linee congiunte o salti inconsueti e attraverso progressioni armoniche insolite – sono stati di solito associati a tempi più lenti di quelli impiegati nella musica diatonica. Ciò è particolarmente vero per l’uso che del cromatismo si faceva durante il Rinascimento e l’età barocca. Il coincidere del cromatismo e della sua modalità più rappresentativa con tempi più lenti può trovare almeno in parte giustificazione in ragioni di ordine tecnico. Infatti,non solo gli strumenti sono costruiti tenendo presenti le esigenze della scala diatonica,per cui riesce più arduo eseguire rapidamente passaggi cromatici, ma l’insegnamento della musica, sia strumentale che vocale, si basa sulla normalità e semplicità della progressione diatonica. Dopo addirittura tre secoli del sistema maggiore-minore Heinlein rilevava che in un assortimento casuale di duemilacinquecento composizioni per principianti, solo il 7% era in minore e che a quasi tutte era stato dato un titolo descrittivo. «E’ difficile», scrive, «trovare una composizione in modo minore destinata ai bambini che non abbia un titolo evocante immagini magiche, misteriose, tristi e tenebrose». Dunque l’associazione del modo minore con stati emozionali di malinconia e dolore è un prodotto del suo carattere deviante e instabile e dell’identificazione di stati d’animo quali la tristezza e il dolore coi tempi lenti nei quali sono introdotti i cromatismi in esso prevalenti. Naturalmente vi sono numerose eccezioni a questa associazione, come emerge ad un esame anche superficiale della letteratura del secolo scorso. Benché le qualità affettive del modo minore dipendano innanzitutto dalle sue caratteristiche modali quasi-cromatiche,la triade minore sembra possedere di per sé una forza tutta particolare che appare più che mai evidente quando la stessa melodia è eseguita prima in maggiore e poi in minore come,ad esempio,nella sezione centrale del Walzer in La minore, op. 34 n. 2 di Chopin. In realtà questa forza affettiva non appartiene alla triade. E’ stato infatti dimostrato che il carattere della triade muta a seconda dell’educazione e del contesto musicale. Invero, una volta stabilitosi una norma modale all’interno di una data composizione, anche la successione rovesciata, da minore a maggiore,può sortire un notevole effetto, come dimostra il primo movimento del Quartetto per archi in La minore di Schubert. La ragione per cui la triade minore costituisce in per sé una forza affettiva è da individuarsi nel fatto che per associazione essa è divenuta il simbolo, l’araldo del modo nel suo complesso e di tutto ciò che questo implica attraverso il cromatismo, la modulazione e la suspense. E’ infine chiaro che con nessuno dei discorsi fin qui fatti si è inteso sottintendere che qualsiasi brano cromatico sia necessariamente in modo minore. Il nesso è comune ma assolutamente non necessario. ALCUNI STUDI CIRCA LA MODALITA’ MUSICALE In conclusione di capitolo mi sembra interessante presentare una sintesi di alcuni studi che ho raccolto, relativi alla modalità musicale e al ruolo che si suppone essa possa avere nel determinare particolari esperienze emozionali. Partirò inevitabilmente dal pionieristico lavoro di Heinlein (1928), il primo forse ad aver studiato la modalità con un approccio scientifico, fino ad arrivare a lavori più recenti, vedi “l’effetto Mozart” studiato da Husain e Thompson nel 2002, posando l’occhio anche su alcune ricerche che si sono proposte di investigare lo “sviluppo” della responsività emozionale alla modalità musicale nelle varie tappe evolutive. Nel suo esperimento C.P. Heinlein (The affective characters of the major/minor mode in music, 1928), volle testare la capacità dei soggetti di discriminare tra accordi maggiori e accordi minori di una stessa nota. I soggetti erano 30, divisi in esperti di musica e non esperti. Gli stimoli erano composti da combinazioni di coppie di accordi suonati in forma maggiore e in forma minore. Gli accordi suonavano per tre secondi e i soggetti dovevano discriminare se i due accordi suonati erano uguali o differenti, scrivendolo su un foglio. I soggetti con esperienza musicale discriminavano meglio rispetto all’altro gruppo e comunque entrambi i gruppi ottennero migliori risultati con gli accordi in posizione invertita rispetto a quelli in posizione tonica. I maggiori errori erano riferiti ai registri di intonazioni più alti e più bassi. Nella seconda parte dell’esperimento si voleva discriminare tra la capacità dei soggetti di distinguere tra accordi maggiori e minori e quella di spiegare la differenza tecnica sottesa ai concetti suddetti. I soggetti e le condizioni erano quelle del primo esperimento. In più ai soggetti dopo l’esperimento venne chiesto di scrivere cosa essi sapessero dei concetti di maggiore e minore. Solo due dei 30 soggetti diedero una risposta soddisfacente sul significato del concetto di maggiore e minore in musica, nonostante tutti riuscissero a discriminare tale differenza nell’esperimento. Nella terza parte lo sperimentatore cercò di verificare empiricamente lo stereotipo secondo cui, alla tonalità maggiore sono associati i sentimenti di gioia e a quella minore sentimenti di tristezza. Furono usati 48 accordi singoli suonati in entrambe le modalità, con diversa intonazione e diversa intensità. I partecipanti, una volta ascoltato lo stimolo, dovevano segnare su una check-list tutti quegli aggettivi che meglio descrivevano l’accordo appena ascoltato. I soggetti che ottennero i risultati migliori nell’esperimento della discriminazione modale diedero risposte più conformi agli stereotipi modali. Le risposte “minori” date ad accordi maggiori furono di più che non il contrario. Inoltre la variazione di altezza con cui erano suonati gli accordi mascherava la differenza di attribuzione emotiva alle due modalità.Infine accordi suonati con intonazione più alta erano descritti più frequentemente con “aggettivi maggiori”. Kate Hevner (The affective characters of the major/minor mode in music 1936), si propose di studiare le qualità affettive delle modalità maggiore-minore in musica e in particolare se 1) le caratteristiche affettive culturalmente diffuse nella società occidentale fossero chiare all’ascoltatore, e 2) se si, in che modo esse variassero in funzione dell’intelligenza, del talento musicale e della conoscenza musicale. Gli stimoli erano rappresentati da 10 piccole composizioni suonate in entrambe le modalità e diverse per genere. I soggetti erano 205 divisi in 4 classi. Ogni soggetto ascoltava tutti i brani maggiori o viceversa. Mentre e dopo l’ascolto, il soggetto sceglieva da 2 liste tutti quegli aggettivi che sembravano meglio descrivere la musica appena ascoltata. In seguito veniva somministrato a tutti i soggetti un test di intelligenza, un test per valutare il talento musicale e una scala di valutazione del grado di training musicale. Nella seconda parte della ricerca vennero usati i 25 soggetti che ottennero i risultati migliori e quelli che ottennero i risultati peggiori ad ogni test. Per quanto riguarda la prima parte i risultati forniscono una conferma a quelli che sono gli stereotipi riguardo alla caratterizzazione emotiva storicamente attribuita alle 2 modalità (major/happy, minor/sad). I risultati della seconda parte invece misero in luce come: a) anche se c’è una grande differenza sul grado di preparazione musicale dei soggetti, essa nono si riflette in maniera molto forte sulla capacità di discriminare tra le due modalità e su quella di percepirne le colorazioni effettive; b) il talento musicale non è strettamente collegato alla capacità di attribuire significato e di discriminare tra le due modalità; c) anche l’intelligenza non influisce in tal senso. Robert G. Crowder, nel suo “Perception of the major/minor distinction: hedonic, musical and affective discrimination” (1985), pone come ipotesi il fatto che se il giudizio di maggiore/minore è mediato da una reazione affettiva, giudicare stimoli musicali con aggettivi come “triste” o “gioioso” porterà il soggetto a migliori risultati discriminativi rispetto all’uso di termini come maggiore o minore. I soggetti erano 24 studenti e lo stimolo musicale è composto da 3 continuum di 9 triadi ciascuno, suonati in versione originale e in prima inversione. Ogni continuum era composto da triadi maggiori che man mano declinavano in triadi minori. Alla metà dei soggetti venne chiesto di discriminare gli stimoli usando gli aggettivi maggiore/minore, all’altra metà usando gli aggettivi triste/gioioso. Al cambiamento della variabile indipendente non si accompagnano cambiamenti significativi nei risultati. Nella seconda parte Crowder partendo dagli studi di Helmoltz volle investigare se i giudizi basati sulle caratteristiche armoniche della musica quelli di carattere affettivo misurati nell’esperimento precedente, potessero ritrovarsi insieme in un’unica variabile, quella edenica del gradimento. Gli stimoli erano gli stessi dell’esperimento precedente, con l’aggiunta di un continuum suonato un’ottava più alta. Ai soggetti fu chiesto di giudicare gli stimoli ascoltati rispettivamente come gradevoli o sgradevoli. Con l’introduzione di questa variabile, i risultati assunsero su un grafico la forma a “V” con un minimo di gradimento per la parte centrale del continuum delle triadi, in contrasto con i dati dell’esperimento precedente. Questo, in certo modo, dicono gli autori contrasta con la concezione di Helmotz. Robert G. Crowder, J. Steven Reznik, Stacey L. Rosenkrantz nel 1991 (Perception of the major/minor distinction: preferences among the infants), si sono riproposti di ripercorrere l’esperimento di Kastner e Crowder, (1990) (secondo cui i bambini di 3 anni scelgono appropriatamente facce tristi o felici in base all’ascolto di brani in modalità maggiore o minore) su bambini di sei mesi, facendo predizione sulla preferenza di questi per gli accordi maggiori. Hanno voluto inoltre studiare la reazione dei neonati ad accordi dissonanti e consonanti. Il gruppo era costituito da 13 infanti di 6 mesi. Sei di questi ascoltarono accordi maggiori e minori e accordi consonanti e dissonanti, tre soltanto accordi maggiori/minori e quattro solo accordi consonanti/dissonanti. I soggetti erano seduti davanti ad un box sul quale era posta una telecamera che riprendeva il volto del bambino. Un flash fu usato per attirare l’attenzione del bambino sull’obbiettivo. Nel box erano presenti alla sinistra e alla destra di esso, due luci che illuminavano due orsacchiotti posti ai lati. Quando il bimbo iniziava a guardare un orsacchiotto una musica cominciava a suonare fin quando il bambino non distoglieva lo sguardo per due secondi dall’orso, oppure dopo 45 secondi d’ascolto. Gli autori non hanno trovato differenze di tempo per quanto riguarda lo sguardo dei bimbi verso gli orsi associati alle due modalità d’ascolto dell’accordo. Differenze esistevano invece per la variabile consonanza/dissonanza: i soggetti guardavano più a lungo l’orso associato ad un accordo consonante. Anche A. H. Gregory, Lisa Worral Ann Sarge (the development of emotional responses to music in young children 1996) sono partiti dai lavori di Kastner e Crowder (1990, 91) per verificare se l’associazione emozionale alle modalità maggiore/minore possa manifestarsi a partire dall’età di 3 anni. Il campione era rappresentato da 40 soggetti fra i 3 e i 4 anni, da 28 tra i 7 e gli 8 anni e da 28 adulti non musicisti. Come stimoli furono usate otto musiche tratte da un libro per bambini. Ogni brano era suonato accompagnamento in entrambe armonico. Due le modalità, figure umane con erano e senza usate per rappresentare espressioni di tristezza e felicità. Dopo aver ascoltato ogni singolo brano, i soggetti erano tenuti a scegliere una delle due facce. I risultati mostrano che c’è un significativo effetto età. Il gruppo dei 3-4 anni dava più risposte positive rispetto agli altri gruppi. Anche l’effetto modalità è rilevante, c’erano più risposte positive per la modalità maggiore. C’è anche un effetto modalità per età. Per il gruppo dei 3-4 anni non c’era differenza nella risposta alle diverse modalità secondo lo stereotipo comune, cosa che invece era presente nel gruppo dei 7-8 anni. Questo disconferma gli studi precedenti di kastner e Crowder (1990, 91). Gli autori concludono dicendo che la relazione tra modalità maggiore e gioia e tra modalità minore e tristezza si apprende con l’esperienza. Gina M. Gerardi, louann Gerken (The development of affective responses to modalità and melodic contour, 1995) hanno studiato come le associazioni emozionali a variabili musicali (contour e modalità) si sviluppino in soggetti di 5 anni, 8 anni e studenti di college. I soggetti erano 68, divisi in tre classi di età. Gli stimoli si componevano di quattro melodie senza accompagnamento. Ogni melodia era suonata in entrambe le modalità e con diverso contour (ascendente/discendente). Ogni soggetto ascoltava tutte le melodie e, nell’intervallo tra ognuna di esse doveva scegliere tra due facce disegnate sullo schermo davanti a lui e rappresentanti volti con espressione triste e felice. Il soggetto sceglieva in base a quanto aveva provato nell’ascolto del brano previa somministratogli. Gli autori riscontrarono un significativo effetto età. I soggetti più giovani diedero minori risposte positive rispetto agli altri due gruppi. Si è trovato anche un forte “effetto modalità”; le melodie maggiori erano percepite più positivamente di quelle minori. Anche le melodie ascendenti tendevano ad essere percepite più positivamente. In quanto alla modalità, i bambini di 5 anni non diedero risposte differenziate rispetto alla qualità degli stimoli. Questo era presente nel gruppo degli 8 anni e ancor più in quello degli adulti. Per quanto riguarda in contour gli autori suggeriscono che la capacità di assegnare ad esso una valenza emotiva si apprende dopo gli 8 anni. Piet G.Vos e Paul P.Verkaart (inference of mode in melodies 1999). Hanno basato il loro esperimento sulla capacità di discriminare la modalità di alcuni pattern musicali. Prendendo in considerazione variabili quali la competenza musicale, la familiarità con il brano ascoltato e l’ambiguità della modalità di alcuni brani musicali. I soggetti erano in numero di 24 e gli stimoli erano composti da 11 segmenti di brani musicali suonati in modalità maggiore, minore e ambigua. Il soggetto doveva riconoscerne, man mano che gli stimoli venivano presentati, la modalità, senza tener conto delle implicazioni emotive. Ogni soggetto aveva a disposizione una scala con punteggi da 0 (minore) a 100( maggiore). Gli ascoltatori, senza differenziarsi in base all’esperienza musicale riuscivano a distinguere la modalità della melodia. Secondo gli autori la struttura melodica e quella implicita armonica, di una composizione musicale, danno sufficienti informazioni per l’inferenza della modalità. Di cruciale importanza per la discriminazione modale è la natura della terza. William G. Collier, Timothy L. Hub (Musical scales and evalutation of happines and awkwardness: effects of pitch direction and scale mode 2001), hanno studiato la responsività emozionale in soggetti che ascoltavano scale musicali suonate in forma ascendente, discendente e in modalità maggiore e minore. Nell’esperimento hanno voluto vedere se le diverse differenze spaziali tra le note delle varie scale minori e il loro contour influenzassero le connotazioni affettive attribuite a tali scale. I soggetti erano 24 studenti e gli stimoli erano costituiti da scale minori composte di otto note suonate in tutte le chiavi, in tutte le scale minori esistenti e alternativamente con contour ascendente e discendente. Per la valutazione fu usata una scala likert che valutava il grado di felicità, tristezza e sgraziatezza della scala suonata. I soggetti compilavano anche un questionario sul proprio background musicale. I soggetti senza background musicale giudicarono più sgraziata la scala melodica minore ascendente, rispetto agli altri con esperienza musicale. Le scale con direzione ascendente erano percepite come più gioiose, e ancora la scala melodica ascendente era percepita come meno sgraziata rispetto alle altre due. Le scale in si sono percepite come più gioiose rispetto a quelle in do# e re# (diverso pitch). Concludendo, ne la struttura modale ne la chiave sono fattori determinanti: piuttosto lo sono il contour (ascendente) e l’altezza delle note. Infine cito il lavoro di G. Husain, W.F. Thompson, E.G. Schellemberg (Effects of musical tempo and mode on arousal, mood and spatial abilities 2002), i quali si sono proposti, riprendendo il concetto di “effetto Mozart” concettualizzato da Rauscher di valutare se, specifiche caratteristiche della musica di Mozart (tempo, modalità), in particolare la sonata K448 possano influenzare il livello di arousal, lo stato d’animo del soggetto e di conseguenza, la sua capacità prestazionale in test di abilità spaziale. Hanno voluto anche vedere se l’effetto dell’arousal e dello stato d’animo (mood) sono dissociati. I soggetti erano 36 studenti universitari e lo stimolo era costituito dal primo movimento della sonata K448 di Mozart suonata in modalità maggiore e minore e a sua volta con un tempo veloce o lento. Per valutare lo stato d’animo e l’arousal furono utilizzati due test. I partecipanti compilavano anche una scheda riguardo il loro stato d’animo al momento dell’esperimento e un altra relativa al gradimento dell’ascolto musicale. Ogni soggetto era assegnato ad ognuna delle quattro situazioni sperimentali e compilava i vari test prima e dopo l’ascolto della sonata. Nel test dell’abilità spaziali i risultati peggiori furono ottenuti dai soggetti che avevano ascoltato il brano con il tempo più lento e la modalità minore, viceversa il punteggio più alto fu ottenuto dagli ascoltanti il brano più veloce e con modalità maggiore. Entrambi i gruppi, fast major e fast minor ottennero risultati migliori rispetto al gruppo di controllo (che non ascoltava musica). Gli altri due gruppi invece non differivano in maniera significativa. In quanto all’arousal, essa cresceva nei soggetti che ascoltavano le versioni veloce maggiore e veloce minore, ma decresceva per la variabile tempo lento. Lo stato d’animo era più positivo nelle condizioni modalità maggiori, mentre il tempo non influiva su di esso. Il gradimento invece era maggiore quando il brano era suonato rispettivamente veloce e in modalità maggiore e lento con modalità minore. Gli studiosi concludono dicendo che il tempo non ha effetto sullo stato d’animo, così come il modo, ha anch’esso poco effetto sull’arousal. Gli autori suggeriscono che ci siano tempi ottimali di gradimento diversi per le due modalità.