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GENTE VENETA n. 25, 26 giugno 2010
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Se i nonni, i genitori e gli zii suonano
per professione, già da bambini
la domanda non è “cosa farai
da grande”, ma “quale strumento
suonerai”: lo racconta una famiglia
veneziana in musica, gli Amadio
M
usicisti si nasce. E un
po' si diventa. Certo è
che se i nonni, i genitori e gli zii suonano per professione, già da bambini «la
domanda non è “cosa farai da
grande”, ma “quale strumento suonerai”».
Ad affermarlo è Daniele Amadio, primo violoncellista
dell'ensemble “Interpreti Veneziani”. E la sorella Sonia, prima viola degli Interpreti, non
può che essere d'accordo. I due
fratelli respirano la musica
classica fin dal pancione: il
nonno suonava alla Fenice, lo
zio Andrea insegna al conservatorio “Benedetto Marcello”
di Venezia, il padre Gianni anche lui insegnante al Benedetto Marcello - suona il contrabbasso (dopo aver toccato
con mano i più grandi palcoscenici d'Italia - tra i quali il teatro alla Scala e la Fenice - ora è
con gli Interpreti Veneziani) e
pure la mamma è musicista.
Con una famiglia così, le alternative sono due: il rifiuto più
radicale per la musica, oppure
l'amore sconfinato.
Per Sonia e Daniele (e Gianni, una generazione prima) ha
vinto l'amore. Daniele Amadio
suona il violoncello da quando
aveva cinque anni. Ricorda:
«Anche prima di prendere lo
strumento in mano la musica
era parte della nostra vita. In
casa si suonava – e si suona tuttora – moltissimo, partecipavamo ai concerti».
«Come in tutte le famiglie
d'arte – commenta il padre,
Gianni – la strada era già tracciata».
Viene da chiedersi se questa
strada non si sia trasformata ogni tanto in un percorso obbligatorio, vissuto più come un
peso che un piacere. Ma Daniele e Sonia smentiscono: la
passione per la musica è autentica; semmai, l'unico inconveniente sono le aspettative:
«In alcuni momenti possono
essere un peso – ammette Daniele – ma sono anche uno stimolo a migliorare».
Quanto agli Interpreti Veneziani, l'“ingombrante parentela” ha i suoi numerosi lati positivi: «La gioia per una cosa
ben riuscita si moltiplica» osserva Sonia che, inoltre, è sposata con Paolo Cognolato, clavicembalista e fondatore del
gruppo. Aggiunge Daniele:
«Un po' come in tutte le imprese familiari, il sostegno della famiglia si sente sempre»: la
musica, l'ensemble sono «”nostri”». E, nonostante «gli interessi siano comuni a tutti i colleghi degli Interpreti Veneziani, con la famiglia c'è un feeling particolare». Tuttavia,
spiega Sonia, è vero che se al
momento dell'organizzazione
emerge un problema, «quel
problema noi ce lo portiamo
anche a casa».
In questo periodo gli Amadio sono a Venezia (ma il 10 e
l'11 giugno hanno fatto tappa
a Pérouges, in Francia, per il
Festival di Primavera), nella
chiesa di San Vidal per la precisione, dove ogni sera (dal lunedì al sabato) gli Interpreti
tengono un concerto. La città
d'acqua è il loro habitat naturale, non solo perché Gianni,
Sonia e Daniele Amadio sono
veneziani, ma perché «Venezia
è la città degli artisti» e, in termini musicali, osserva Daniele,
«la nostra musica è creata per
l'acustica di queste chiese. Vivaldi – autore essenziale nel loro repertorio – ha composto
per la tipologia d'eco delle
chiese veneziane: se a San Vidal basta sfiorare lo strumento
Gianni, Sonia e Daniele Amadio suonano
tutti i giorni nello stesso ensemble
musicale, che si esibisce nella chiesa di
San Vidal a Venezia: «Tra di noi un feeling
particolare, anche se è vero che, se c’è
un problema, ce lo portiamo anche a casa»
NOTE
IN
FAMIGLIA
Padre e due figli, gli Amadio suonano insieme negli “Interpreti
veneziani”: «Tra di noi c’è un feeling musicale particolare»
300 concerti l’anno,
dedicati soprattutto
ai turisti. Daniele:
«Se mi dicono
che siamo un gruppo
turistico io non mi
offendo, perché si tratta
di un turismo bello»
per ottenere il suono desiderato», negli altri teatri o nelle altre chiese, soprattutto all'estero, il lavoro necessario è totalmente diverso. «Siamo a San
Vidal da sette anni – continua –
e credo sia finalmente il posto
giusto: è nel campo più bello
Gli Interpreti
Veneziani
Hanno un obiettivo ambizioso gli “Interpreti Veneziani”,
quello di «essere un museo
musicale vivente e di reinterpretare ciò che i musicisti veneziani avevano costruito nel
'700».
L'ensemble vanta diciotto
strumentisti che, a loro volta,
sono affermati solisti, per
buona parte veneti, ma non
mancano i rappresentanti
delle aree vicine. Gli Interpreti sono da ventidue anni
una presenza stabile a Venezia ma hanno la capacità di
sdoppiarsi e tenere, nello
stesso tempo, concerti in tutto il mondo: metà gruppo resta nella chiesa di San Vidal e
l'altra metà parte per la
tournée (sono apprezzatissimi negli Stati Uniti, in Giappone e in Australia).
La stagione veneziana, spiega Daniele Amadio, «garantisce al turista un concerto ogni sera per tutto l'anno», con
un repertorio che va dalla
musica veneziana a quella italiana, spaziando dal barocco al virtuosismo romantico
con qualche raro spunto della stagione classica.
Si finanziano autonomamente grazie alla vendita dei biglietti, dei dischi (16 fino ad
oggi) e alle tournée. «Con la
crisi – osserva Sonia Amadio
– abbiamo notato qualche
flessione, soprattutto all'estero dove, per paura che la situazione peggiorasse, sono
saltate alcune tournée. Da
qualche mese, comunque,
tutto si sta normalizzando».
Ora gli Interpreti Veneziani
sono ogni sera (ore 21.00, domenica esclusa) a San Vidal
con la stagione concertistica
“Violini a Venezia”.
Gianni Amadio
con i figli Sonia e Daniele,
una famiglia veneziana
in musica.
Nell’altra foto l’ensemble
degli Interpreti veneziani
al completo
di Venezia, – Campo Santo Stefano – è di passaggio e vicino
non c'è nessun Mc Donald's».
«I nostri concerti – oltre 300
all'anno – sono dedicati soprattutto ai turisti» spiega ancora Daniele. «Se mi dicono
che siamo un gruppo turistico
io non mi offendo, perché si
tratta di un turismo bello, che
varia. Ogni sera il 50% del pubblico è composto di persone
che non sono mai state ad un
concerto; l'altro 50% sono turisti che battono le sale da concerti di tutto il mondo. Vivere
con un pubblico di soli veneziani sarebbe assurdo. Anche
se abbiamo i nostri affezionati», come una signora del Lido
di ben 103 anni che «ci segue
sempre».
E cosa prospetta il futuro? La
famiglia Amadio continuerà a
suonare? «Uno dei miei nipoti
– afferma Gianni – ha già detto che di musica non ne vuole
sapere». Mentre Daniele, confida nel suo bimbo di un anno:
se deve essere musica, allora
musica sarà.
Cinzia Franceschini
EDITORIA - Per le Ed. Paoline storia paradigmatica e inconsueta di come si può affrontare il morbo
«La suocera con l’Alzheimer? Io l’assisto così: con il sorriso»
In un libro l’esperienza autobiografica della trevigiana Monica Follador
«D
ammi la serenità di
accettare le cose
che non posso cambiare, la forza di cambiare
quelle che posso e la saggezza
di comprendere questa differenza». Comincia con questa
preghiera il libro di Monica
Follador, trevigiana di Volpago del Montello, alla sua prima esperienza letteraria.
“Io madre di mia suocera”
(ed. Paoline, 96 pp. 10 €) è un
libro interamente autobiografico, nel quale la scrittrice rac-
conta gli ultimi quindici anni
di vita nei quali si è dovuta
confrontare, assieme al marito,
con la malattia che ha colpito
Denis, sua suocera: l'Alzheimer.
Spesso in casi simili le persone si limitano ad avviare il
parente malato in casa di riposo, o ad affidarlo ad una badante. Monica e il marito invece, riflettendo sul fatto che le
persone afflitte dal morbo hanno «bisogno di sentirsi amate,
anche se loro apparentemente
ci odiano perché invadiamo il
loro territorio», decidono di
trasferirsi vicino a Denis.
Ed è qui che entra in gioco la
preghiera d'esordio: la Follador infatti imparerà col tempo
ad accettare con serenità una
realtà immutabile, senza lasciarsi sopraffare da essa; e, per
farlo, l'autrice dovrà cominciare ad entrare in quella logica
incomprensibile che caratterizza i malati di Alzheimer, imparando ad ascoltare e a guardare, soprattutto dentro se stessa.
La scrittrice descrive i trucchi e i piccoli inganni usati per
convincere la malata a fare le
cose più semplici come lavarsi
le mani, mangiare cibi non avariati, andare alle (odiate) visite mediche.
Il percorso fatto durante
questo lungo lasso di tempo
non è caratterizzato dalla rabbia, ma da un'incredibile serenità e da forte ironia perché
Denis, nonostante la malattia,
rimane una persona da amare.
Monica Follador con questo
testo ci insegna la cosa più importante che lei per prima ha
imparato da questa esperienza: la vita, anche nei momenti
più difficili, può essere affrontata con il sorriso.
Leonardo Viscuso