Tetti Veneziani
Transcript
Tetti Veneziani
Tetti Veneziani Abito all’ultimo piano di un vecchio pa lazzo veneziano. Tra pochi mesi cambierò casa, devo tra sferirmi fuori città, ma per ora non ci pen so e passo tutto il tempo libero seduto sul balcone della mia camera a disegnare il panorama dei tetti. Ai veneziani piace salire sui tetti a farsi una passeggiata. Gli inquilini dei piani alti ci vengono per portare a spasso i cani e gli aquiloni. Anch’io ho imparato a seguire i tortuosi sentieri sopra gli spioventi, so come orien tarmi tra cupole, marciapiedi di tegole, in croci di cornicioni; ingarbugliati saliscen di che consentono di attraversare tutta la città in lungo e in largo. Quassù il postino imbuca le lettere nei camini, il lattaio lascia le bottiglie fuori dai lucernari. Nel primo pomeriggio dalla mia finestra vedo passare il numeratore seguito, qual che ora più tardi, dal decifratore. Il numeratore marca le tegole una per una segnandole con numeri progressivi, vi © Daniele Scarpa Kos incide rebus, calligrammi, proverbi; avan za a quattro zampe, curvo sotto un rigido mantello di cuoio nero. Corde e lacci tengono annodati, sopra la cappa lucida, i suoi attrezzi da lavoro: lenti, piccoli dizionari, righelli d’osso, squa drette, cassettine, colliri per dare sollievo agli occhi affaticati dalla lettura, astucci, cartucciere con bottigliette d’inchiostro. Il decifratore svela gli enigmi, risolve scia rade e indovinelli, annotando le soluzioni sul suo taccuino. capitelli, libri, pinnacoli, aureole scolpite. Scrive i suoi componimenti su foglietti che incolla alle candide pagine marmoree dei libri aperti verso il cielo. Ma ormai da una settimana non vedo più all’opera il numeratore-scrittore. Che ab bia cambiato quartiere? Ho riempito ben tre album con ritratti a carboncino di Chicco, il numeratore-scrit tore del mio quartiere. Ogni giorno, finita la catalogazione delle tegole, Chicco si arrampica sulla faccia ta della chiesa dei Gesuiti, sale in cima al timpano adorno di statue, rimanendo fino a sera tra quella folla di santi, angeli, Tetti Veneziani Per catturare i fantasmi che la notte giron zolano sui tetti c’è un metodo molto effi cace: gabbie di ceri benedetti ancorate tra i camini, con dentro, come esca, alcune tessere scadute; gli ectoplasmi dei cani © Daniele Scarpa Kos cadono nella trappola attratti da collari e guinzagli. Tutti i fantasmi cercano continuamente vecchi documenti di riconoscimento, certi ficati diffici da trovare nell’aldilà. La mia amica Egle ha costruito un’ampia voliera dove è riuscita a imprigionare un gatto fantasma, rare macchie luminose globulari, tre zombi. Gli spettri dei gatti sono sottili come foglie d’albero. Sbucano dalle crepe degli intonaci, gioca no a mimetizzarsi nelle volute di fumo dei camini, il loro passatempo preferito è ap pendere le code sulle banderuole segnaven to trasformandole in giostre. Se un rumore improvviso o una presenza estranea li in fastidisce s’imbustano fulminei nei loro nascondigli, ma dopo qualche minuto ecco nuovamente rispuntare le code appuntite, i Tetti Veneziani musetti pallidi, e ricomincia il circo di sel vagge acrobazie. Li ho visti, uniti a grappolo, pendere da una grondaia figurando elaborati arabe schi, improvvisare gare di contorsionismo piegandosi in origami con forme imprevedi bili. Balzano in gruppo sulle corde della bian cheria, vibrano in danze che paiono an nunciare bandiera bianca, infine si gettano nel buio ondeggiando leggeri nell’aria. A Venezia vi era l’usanza, come nell’antica Licia, di costruire i monumenti sepolcrali sopra alte colonne, pilastri eptagonali, per sino in cima agli edifici. Così, oggi, resti di tombe e arche si trovano sepolti sotto stra ti di tegole, nascosti nei labirinti dei solai, murati nelle soffitte. Quando gli archeolo gi durante le loro perlustrazioni avvistano uno spiovente stranamente rigonfio, un © Daniele Scarpa Kos ghiozzi di quelli che vengono qui a piangere, mentre invece sonda meti colosamente i sottotetti. camino dalla forma svettante di stele fune bre, si mettono subito al lavoro piantando bandierine, paletti, scavando, disegnan do planimetrie, e tutto questo trambusto finisce immancabilmente per provocare le proteste degli inquilini più litigiosi. Travestito da operaio, Bepi il tombarolo salta con lunghe aste fingendo di usarle per sturare le grondaie intasate dai sin Tetti Veneziani Rosalinda è una simpatica clochard che la notte trova riparo negli ab baini abbandonati; il suo arrivo viene an nunciato da un inconfondibile tacchettare veloce sulle tegole. Eccola, passi acuti, rit mati, trascina il solito pesante bagaglio di sacchetti pieni di souvenirs, se la vedete in giro potete star certi che il calendario segna un giorno dell’ultima settimana del mese. Una sera, era il 31 luglio, l’ho incontrata vicino all’Archivio di Stato. In una mano tene va le borse del supermercato, nell’altra palle trasparenti con la miniatura di Piazza San Marco sotto la neve, che rigi rava come mezze clessidre. © Daniele Scarpa Kos Dalle mie finestre si vede un panorama da cartolina: tetti a perdita d’occhio, cupole, campanili. Inutilizzati, ammutoliti, privati di corde vocali, senza più ugole di bronzo, i cam panili delle chiese sconsacrate sono stati trasformati in covatoi. Il campanile-covatoio più frequentato del la città si trova dietro al mercato di Rialto, per entrarci è richiesto il taglio dei capelli a zero; all’interno si sta accovacciati uno sull’altro indossando babbucce e pigiama, a covare le teste rasate. Una buona idea richiede, in linea di massima, almeno die ci ore di cova, divisibili in più sedute, ed è preferibile che il covatore sia sempre la stessa persona, pena il rischio di ritrovarsi cattive idee in mente. Quando, nei pomeriggi d’estate, i tetti si trasformano in un arroventato deserto, si Tetti Veneziani © Daniele Scarpa Kos può assistere al fenomeno atmosferico che i veneziani chiamano gondolieri del sole. Un’ombra di strisce parallele attraversa rapidamente la distesa di case, e arriva a graffiare per pochi attimi orizzonte e nu vole, come se le maglie vestite dai gondo lieri traghettatori dei raggi solari lasciasse ro un’impronta effimera ma visibile al loro passaggio. Nane il gondoliere sale ogni mattina sulle altane dei palazzi del Canal Grande per ap pendere ai fili della biancheria i suoi cap pelli fluorescenti. Caricati di luce, li utiliz za come luminarie per le serenate notturne in gondola. Tutte le mongolfiere che arrivano in città vengono parcheggiate legandole alle merla ture del Palazzo Ducale. Da lì, in primavera, durante la festa della Sensa, decolla un co lorato pallone che apre grandi scenografie Tetti Veneziani nei cieli delle sere lagunari; luci da tramonto orientale, paesaggi silvani o neri veli con silhouettes sono gli ef fetti più richiesti. Le meravi glie teatrali degli scenografi barocchi erano un tempo riprodotte su ampia scala per rappresentazioni pub bliche di opere liriche. Fra tutte, rimasta celebre, una messinscena de La Griselda. Durante l’aria «Ombre vane, ingiusti orrori», cinque mongolfiere aprirono dietro l’isola di San Giorgio altissime quinte di pinte con inganni prospettici. I camini veneziani sono un variegato re pertorio di forme insolite. Intorno al cami no-rocchetto vengono arrotolate le corde © Daniele Scarpa Kos degli stenditoi, i fumaioli-organo suonano note sfocate, il camino-bersaglio è una base d’atterraggio per i piccioni viaggiatori, ai fumaioli-bricole si agganciano le gondole dei tetti, e poi camini-osservatorio, da let tere, segnaletici, candelabri, gemelli. E’ facile, camminando all’alba per i tetti, incontrare ordinate processioni disposte Tetti Veneziani © Daniele Scarpa Kos in fila indiana: insonni comitive in visita a Venezia? muti officianti di veglie notturne? Hanno facce dalla pelle lucida, sguardi as sorti, indossano teatrali costumi ogni gior no sempre più voluminosi e ingombranti. Una mutazione prodotta dal merletto delle loro camicie che, come una pianta, cresce sulle maniche, ricama il tessuto degli abiti annodandosi in ghirigori, volute, spirali, s’arrampica sopra le teste dove sembra osti narsi ad architettare sghembe parrucche. Ne ho recuperato qualche brandello ri masto impigliato alle punte delle antenne, ricorda il pizzo reticello ornamento di colli e polsini; alcuni pezzi li ho cuciti al len zuolo del letto ottenendo una calda coperta da potare settimanalmente. A volte, forse stremato dalle intermina bili marce, qualcuno, nel corteo, rallenta il passo, cade disteso sulle tegole treman do, strabuzzando gli occhi, strappandosi gli abiti. Dal costume stracciato fioriscono Tetti Veneziani in breve tempo rose di pizzo grandi come meloni, con petali zuppi di sangue. Il venditore di bambole parlanti riesce a portare il suo carretto anche in cima a edifici pericolanti, con sapienti manovre affronta ripide tettoie, pur di conquistare © Daniele Scarpa Kos nuovi clienti s’avventura per zone mal fre quentate evitate da tutti gli altri venditori. Durante queste gincane il carico di pupat tole sobbalza tremando, ma nulla va perso per strada. L’abile conduttore sa cavarsela nei per corsi più impraticabili, e al superamento di ogni intoppo tutti gli occhieggianti visini di pezza gli inviano compiaciuti sguardi d’approvazione. Le sue bambole sanno recitare e can tare. Le piavole raccontano storielle in dialet to, Poupée conosce i classici della poesia francese, Arlecchina sa memorizzare mes saggi in codice, dichiarazioni d’amore. Vio letta e Lucia possono eseguire intere opere liriche. Nel mio ultimo dipinto ho ritratto una passeggera del carretto ambulante, una pigotta dai dolci occhi sgranati, mentre mi ripeteva “Ciao!”. Tetti Veneziani © Daniele Scarpa Kos