I D S M - Avvenire
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Anno 5 Numero 23 Supplemento ad Avvenire del 17 giugno 2009 [email protected] Barometro RETRIBUZIONI ESPORTAZIONI +0,6% –22,8% A MAGGIO RISPETTO AD APRILE NEL I TRIMESTRE IN UN ANNO NEL I TRIMESTRE IN UN ANNO ARGOMENTI I modelli manageriali manipolano anche la vita? IL PUNTO I DUE TEMPI DELLA RISPOSTA ALLA CRISI FRANCESCO RICCARDI D PAGINA PROFESSIONE Addetti stampa: la formazione e gli sbocchi possibili 2 6 PAGINA Titolo che vale DI TRENTO Al via il Mim, Master in international management 3 6 ENRICO LENZI I laureati triennali? «Ricercati dal mondo del lavoro e con buone opportunità occupazionali». Leggermente meno di chi ha scelto la laurea a ciclo unico, «anche se dipende dal tipo di percorso di studi». E quelli con il titolo della specialistica? «Anch’essi con buone prospettive». È quanto emerge dall’«indagine occupazionale dell’iniziativa interuniversitaria Stella», presentata ieri a Pisa. Un’occasione per fare il punto della situazione dopo il conseguimento delle varie tappe del percorso di studi universitario. E il dato che sembra fare da filo rosso tra le tre categorie è la «spendibilità del titolo» all’interno del mercato del lavoro, anche se molto dipende dal corso di studi frequentato. Ad esempio nel caso delle lauree triennali sono soprattutto i gruppi disciplinari in medicina, insegnamento ed educazione fisica quelli in cui si registrano le percentuali maggiori di laureati inseriti nel mondo del lavoro a un anno dal conseguimento del titolo (rispettivamente con l’89, il 69,3 e il 56,4%). Ma consistenti sono anche i lavoratori tra i laureati in agraria (43,8%), in lingue straniere (48,3%) e in politico-sociale (47%). Complessivamente 45 laureati triennali su 100 hanno un lavoro entro l’anno dalla laurea. E i tempi, secondo la rilevazione Stella, sono davve- INDAGINE STELLA Neolaureati e occupazione iamo ormai alla quinta edizione dell’indagine occupazionale sui laureati italiani condotta da Stella, l’iniziativa interuniversitaria che coinvolge un gruppo di atenei. L’ultima indagine riguarda i laureati dell’anno solare 2007 nelle tre suddivisioni: triennali (25.579 intervistati), a ciclo unico (2.033 intervistati) e specialistiche (12.386 intervistati). Sono 9 gli atenei che vi hanno partecipato fornendo un campione significativo, visto che rappresenta un sesto dei laureati italiani di quell’anno (quasi 40mila su 234mila). Gli atenei coinvolti sono le Università degli studi di Bergamo, di Brescia, dell’Insubria, di Milano, di Milano-Bicocca, di Pavia, di Palermo, l’Università di Pisa, la Scuola superiore di Sant’Anna di Pisa, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, lo Iulm di Milano e il Politecnico di Milano. (E.Le.) In primo piano S Fra le lauree triennali i settori medico, di insegnamento e di educazione fisica garantiscono maggiori opportunità di lavoro Orologi precisi ed eleganti dalla Toscana DI MAURIZIO CARUCCI a chi l’ha detto che solo la Svizzera può permettersi di produrre orologi eleganti e di precisione? Luciano Nincheri e Alessandro Bettarini hanno fondato a Prato una micro-impresa che non ha nulla da invidiare ai maestri elvetici. La Ennebi, dai nomi dei due titolari, dal 2004 produce orologi da polso e da consolle per una clientela d’intenditori e collezionisti: si tratta di cronografi studiati e realizzati per l’ambiente subacqueo, modelli curati nei minimi particolari, eleganti e allo stesso tempo molto robusti. Alessandro Bettarini è cresciuto professionalmente in una delle aziende di orologi più famose di Firenze, le Officine Panerai, che ha intrattenuto da sempre intensi rapporti con la Marina Militare. È qui che negli anni Ottanta sperimenta e realizza nuove soluzioni, come quelle adottate per un esemplare con la cassa in titanio, vetro in zaffiro sintetico e quadrante M La storia opodomani, finalmente, arriveranno le prime indicazioni ufficiali. Per venerdì è infatti atteso il comunicato dell’Istat sulle forze lavoro nel primo trimestre del 2009. La fotografia della crisi, se non nel suo culmine che dovrebbe aver toccato tra aprile e maggio, quantomeno nel suo primo sviluppo. Il dato cumulativo dovrebbe indicare, in coerenza con le cifre fornite lunedì da Eurostat, un’occupazione in calo dello 0,3%, pari a circa 75mila posti di lavoro "scomparsi". Non ci sono ancora indicazioni, invece, sull’incremento del tasso di disoccupazione che, a dicembre 2008, era già salito dal 6,6 al 7,1% e che probabilmente arriverà intorno all’8%. Se le rilevazioni disegneranno effettivamente questo quadro si avrà la conferma di una situazione molto difficile e preoccupante certo, ma non così drammatica come in altri Paesi europei. La riprova che la strategia di "bloccare" a monte l’emorragia di occupati allargando il ricorso a cassa integrazione, riduzione d’orario e contratti di solidarietà sarebbe stata efficace, almeno in questa primo tempo della recessione. Importante però sarà anche poter analizzare quali tipologie di lavoratori – a tempo indeterminato o a termine, interinali o collaboratori – abbiano pagato finora il tributo più alto alla crisi. Il dibattito che si sta svolgendo sugli ammortizzatori sociali, infatti, rischia di essere da un lato meramente teorico, dall’altro temporalmente sfasato. Dopo la stima di 1,6 milioni di lavoratori potenzialmente senza protezione, indicata dal governatore della Banca d’Italia nelle considerazioni finali – e la frettolosa "smentita" del presidente del Consiglio – altri studiosi hanno calcolato come quella previsione vada considerata "ottimistica" e che gli esclusi dai benefici tradizionali e in deroga siano oltre i 2 milioni. Il nodo però non è tanto stabilire se privo di tutela sia – quando eventualmente perdesse il lavoro – il 5, il 7 o il 9% degli occupati, quanto stabilire una linea d’azione per l’immediato, sulla base degli effettivi neo-disoccupati e avviare il confronto per il futuro. Nell’emergenza, appunto, lo strumento della cassa integrazione allargata a tutti i lavoratori dipendenti è apparso efficace, come pure va riconosciuto al governo d’aver individuato alcune misure, per quanto parziali, a favore dei collaboratori in monocommittenza. Ciò che appare necessario – oltre che per equità sociale anche per "convenienza" economica, come sostegno alla domanda interna – è però un ulteriore sforzo straordinario rivolto alla generalità dei collaboratori, ai quali andrebbe garantito un sussidio in percentuale rispetto ai contratti di lavoro dello scorso anno non più rinnovati. L’aver avuto più di un committente in passato non è infatti garanzia né di continuità lavorativa oggi né di alti redditi coi quali sopperire ai periodi di "magra". Così pure, particolare attenzione andrebbe prestata a quei lavoratori a termine e precari di vario genere che perderanno i loro contratti con la pubblica amministrazione: sarebbe paradossale se lo Stato, dopo averne utilizzato le professionalità, oltre a privarli del lavoro li lasciasse anche senza alcuna tutela di reddito. Dal prossimo anno occorrerà invece cominciare a costruire il nuovo welfare basato sui due pilastri di cassa integrazione ordinaria e sussidio di disoccupazione, entrambi generalizzati al massimo. E, aggiungiamo noi, sperimentare l’introduzione di un reddito minimo d’inserimento, sull’esempio di quello appena riformato in Francia. Solo che per arrivare a questi risultati occorrerà dibattere anzitutto se il sistema dovrà restare assicurativo (dopo aver versato una soglia minima di contributi si ha diritto ai sussidi) o in parte sganciato e finanziato dalla fiscalità generale. E soprattutto indicare le risorse necessarie – si stima tra i 5 e i 10 miliardi di euro – da reperire indicando le necessarie contropartite di bilancio. Compresa l’eliminazione di alcune iper-tutele come le mobilità lunghe fino a 7 anni. INFLAZIONE +0,2% luminoso. Mentre Luciano Nincheri è un esperto di sistemi elettrotecnici e progettista di impianti nonché un profondo conoscitore dei settori ad alta tecnologia nel nostro territorio. «Ci occupiamo direttamente della progettazione e del montaggio – spiega Bettarini –. Per la costruzione delle parti ci avvaliamo di fornitori esclusivamente italiani. L’unico componente non italiano è costituito dal movimento. Stiamo lavorando alla realizzazione di un nostro movimento in modo che i nostri orologi siano completamente fabbricati in Italia. Attualmente questo progetto procede per motivi economici molto lentamente. Siamo fiduciosi che nel prossimo futuro possano tornare le condizioni per una sua accelerazione». La clientela è costituita prevalentemente, se non esclusivamente, da collezionisti di orologi. L’attività commerciale si svolge in tutto il mondo con contatti attraverso internet. A ogni collezionista viene risposto individual- mente. E i prezzi? «Il modello di minor costo – continua l’artigiano – è il Tetrao, con movimento elettrico, il cui prezzo al pubblico è 540 euro. Questo orologio vuole celebrare il corpo dei Bersaglieri. Tetrao Urogallus o Gallo Cedrone è l’uccello le cui penne ornano i cappelli dei Bersaglieri. Il modello di maggior costo è il Gigliato, in oro e brillanti, il cui prezzo al pubblico è 15.840. Questo orologio riproduce nel quadrante la moneta, coniata a Prato e coeva del fiorino, chiamata comunemente "gigliato"». I clienti hanno anche l’opportunità di personalizzare i propri orologi. La richiesta più comune è costituita da incisioni da eseguire sul fondello. Alcuni hanno chiesto la firma dei due soci. La cosa più bizzarra è stata la richiesta di un orologio, con movimento meccanico dotato di un minigeneratore elettrico per l’illuminazione a domanda del quadrante, adatto a funzionare a bassissime temperature quali quelle delle zone artiche. PAGINA 4 6 ro stretti: una media di quattro mesi e mezzo, con una leggera discesa rispetto ai cinque mesi calcolati in una precedente rilevazione. Infatti ben il 73% dei laureati triennali trova lavoro entro sei mesi, per raggiungere il 97,3% entro l’anno. Interessante anche osservare che è soprattutto il mondo del lavoro privato ad assorbire questa forza lavoro per oltre il 70%. Un posto in tempi rapidi, ma anche con un contratto da dipendente per oltre il 60% del campione analizzato. Un dato che si ricava dalla somma di coloro che in contratto lo hanno a tempo indeterminato (il 33.1%) e quelli a tempo determinato (29,8%). Per il 12,9%, invece, si tratta di assunzioni coordinate e continuative o a progetto. Accanto al 45% di laureati lavoratori, vi è un 11,4% di colleghi in cerca di impiego, mentre il 40,6% decide di proseguire gli studi. Una scelta fatta da coloro che frequentano, ad esempio, architettura (63,5%), il settore chimico-farmaceutico (56,8%), quello geo-biologico (71,7%), ingegneria (75,6%), psicologico (56,2%) e scientifico (51,8%). Tra chi prosegue, l’indagine Stella evidenzia come siano soprattutto gli under 25 la parte più consistente del gruppo, mentre gli over 25 puntano decisamente a un ingresso rapido nel mondo lavorativo. Osservando la popolazione dei laureati specialistici o magistrali (cioè coloro che dopo la triennale hanno proseguito per altri due anni di studio) quasi tre su quattro hanno un posto di lavoro a un anno dal conseguimento del titolo (il 74,8%) e con una tempistica leggermente minore rispetto ai colleghi della triennale (4,1 mesi contro i 4,5 mesi del gruppo precedente). Le percentuali più elevate di occupati le riscontriamo nelle lauree che da sempre sono state professionalizzanti e di durata almeno quinquennale, come ingegneria, architettura e medicina (dove si tocca la percentuale record del 94,1% di occupati). Ma tutti i gruppi disciplinari si collocano abbondantemente sopra il 50% di occupati, che sono per lo più nel privato (il 79,5% del campione) e con una percentuale complessiva leggermente inferiore ai triennali per quanto riguarda il contratto da dipendente, mentre sono in crescita quelli a progetto e anche il lavoro autonomo (che sfiora il 10%). E i laureati a ciclo unico, cioè senza divisione nel percorso? «La maggioranza di questi laureati si propone al mercato del lavoro e nel 58,7% dei casi lo trova a un anno dal titolo (ma con un ingresso dopo sei mesi), mentre un 11,1% resta in cerca. Sono un laureato su quattro prosegue ancora gli studi. Per questa tipologia, l’indagine Stella evidenzia che si tratta di lavoratori per il 30,2% con un contratto a tempo determinato e il 26,5% autonomo. 2 mercoledì 17 giugno 2009 L’ESTRATTO Così vorrebbero insegnarci a diventare dei «vincenti» DI FRANCESCO RICCARDI L’ideologia del «A èlavoro Direttore responsabile DINO BOFFO Vicedirettori Tiziano Resca - Marco Tarquinio A cura di Francesco Riccardi (responsabile) Maurizio Carucci Comitato scientifico Guido Baglioni, Giuliano Cazzola, Lorenzo Ornaghi, Michele Tiraboschi (coordinatore) In collaborazione con: Adapt Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi” Università di Modena e Reggio Emilia Progetto grafico Aurelio Candido Per contattarci: [email protected] Piazza Carbonari 3, 20125 Milano Tel. 02/6780.461 management meno del primato della persona. In particolare nel lavoro, attraverso il quale l’uomo, oltre a provvedere al sostentamento, dovrebbe poter partecipare alla creazione e alla trasformazione del mondo, affermare la propria dignità e, almeno potenzialmente, realizzare se stesso, costruendo la propria identità. Oggi, invece, avverte la Marzano il «lavoro da mezzo diventa fine, si presenta come il principale traguardo per la realizzazione personale, un concetto che va oltre la dimensione professionale e include il benessere della parte più intima del sé. Il lavoro dà un senso alla vita: nel lavoro e grazie al lavoro, potremo acquistare dignità e valore». L’individuo così «diventa schiavo della sua attività e ogni altro spazio di libertà gli viene precluso. Non si lavora più per vivere, ma si vive per lavorare». La nuova ideologia, ancorata alla retorica manageriale, finisce per «capovolgere l’ordine dei valori e consacra l’impresa, dispensatrice di lavoro, al rango di "istituzione totale"». l’intervista lla violenza della vecchia catena fordista si è sostituita una violenza psicologica». Di più: «Con il pretesto di mettere la persona al centro, in realtà i manager pretendono un impegno incondizionato dai lavoratori». Così che «il dominio della manipolazione si sta estendendo dall’azienda alla vita privata». E, alla fine, la stessa persona rischia d’essere "reificata", ridotta a "cosa" che perde il proprio intrinseco valore e può – anzi deve – realizzare la propria dignità solo nel lavoro. A cogliere questo «cambio di paradigma» – e la pericolosa deriva verso la quale paiono incamminati i lavoratori dell’impresa moderna sulla spinta delle invasive tecniche di management – è Michela Marzano, 38enne filosofa italiana, laureata alla Normale di Pisa, ma presto fuggita da un destino precario nel nostro Paese. "Rifugiata" in Francia, è diventata professore associato all’Università di Parigi (Descartes) e, di recente, Le Nouvel Observateur l’ha inserita nella lista dei 50 pensatori più influenti d’Oltralpe. Chapeau! In questi giorni arriva in libreria per i tipi della Mondadori un suo nuovo saggio – «Estensione del dominio della manipolazione» – che si segnala sia per le tesi sia per l’originalità del "metodo": applicare l’analisi filosofica alle tecniche del management, rileggendo in chiave valoriale statuti d’imprese, documenti sulla responsabilità sociale, fino ai manuali di auto-aiuto e alle guide di coaching, altra attività oggi molto in voga. Il cambiamento parte da lontano, dalla società «individualista» nella quale la libertà della persona si manifesta in «un trittico di valori: autenticità, volontarismo e autonomia»: posso finalmente diventare ciò che sono, autentico; ho i mezzi materiali e tecnologici per diventarlo, grazie alla mia volontà; libero dai vecchi vincoli patriarcali e morali posso determinare esattamente ciò che desidero, in autonomia. Il problema sorge quando si arriva alla domanda «chi essere?» assai più gravida di conseguenze del vecchio «che fare?» di leniniana memoria. E, più ancora, dall’assunto conseguente – «volere è potere» – ormai ritenuto incontrovertibile. Una vera e propria ideologia, basata su un principio falso e pericoloso, scrive Michela Marzano, perché «nella vita di tutti i giorni ostacoli oggettivi e vincoli personali» impediscono alla maggioranza delle persone di realizzare le proprie ambizioni. Con l’aggravante che se ci consideriamo liberi e con i mezzi per diventare ciò che vogliamo – ma poi non lo diventiamo – la colpa sostanzialmente è solo nostra, il fallimento è interamente del singolo. Il lavoro, l’azienda e il management sono gli ambiti nei quali questi nuovi paradigmi hanno cominciato a germogliare, si sono affermati e stanno ora colonizzando l’intera vita sociale, «estendendo il loro dominio» appunto, dall’azienda alla vita privata, in definitiva dal "fare" all’"essere". In ciò sta la questione più interessante, il rischio espresso da tempo, in altri termini, anche dalla dottrina sociale della Chiesa: il venir Pubblichiamo, per gentile concessione della casa editrice Mondadori, un brano delle conclusioni del libro «Estensione del dominio della manipolazione» di Michela Marzano (pag. 202, 18 euro) in libreria in questi giorni. Un saggio della filosofa Michela Marzano analizza «l’estensione del dominio della manipolazione» dall’impresa alla vita privata Le nuove tecniche manageriali assoggettano i lavoratori e finiscono per influenzare anche la sfera sociale A prima vista si tratta di fenomeni indagati a lungo durante il secolo scorso prima dalla critica marxista poi dalle elaborazioni di alcuni sociologi contemporanei come Hannah Arendt o Richard Sennet. La particolarità dell’analisi svolta da Michela Marzano sta però nel cogliere la sovrapposizione tra ambito lavorativo e vita privata: «Il management è progressivamente diventato una pratica del sociale, in grado di forgiare, in tempi rapidissimi, una precisa ideologia della società. Non è un caso se il verbo "gestire" compare in tutte le salse: ci viene insegnato come gestire le relazioni coniugali, i conflitti personali, la forma fisica, lo stress... i manager, "imprenditori" della propria vita, e i coach», le loro controfigure, «sono i nuovi eroi e profeti». La loro lingua, però, è "biforcuta". «La maggior parte dei guru del management elabora un discorso manipolatorio: accattivante e menzognero al tempo stesso... chiedendo agli individui una cosa e il suo contrario». Ad esempio: «L’azienda propone o esige dai propri dipendenti una sempre maggiore autonomia, ma nel contempo fissa per loro obiettivi e calendari che non possono essere messi in discussione; i dipendenti si possono considerare autonomi nella misura in cui organizzano il lavoro come meglio credono, ma devono raggiungere i risultati previsti da altri, nei tempi prefissati. L’autonomia di cui si sta parlando, quindi, è pura apparenza. Questa bella parola – conclude il ragionamento la Marzano – serve solo a uno scopo: rendere i dipendenti totalmente responsabili dei loro eventuali fallimenti». Eh già, perché i manager saranno pure i nuovi eroi, ma a differenza di un Ettore o di un ammiraglio Nelson, quando la battaglia economica infuria sono pronti sì al sacrificio: dei loro dipendenti, però. on il pretesto di mettere l’uomo al centro del lavoro e di favorirne la realizzazione, i nuovi manager reclamano un impegno incondizionato dai loro dipendenti. Con la scusa di voler costruire un’impresa dal volto umano che favorisca la creatività, stanno trasformando il «saper essere» in quella spada di Damocle che è la valutazione dei lavoratori. Grazie a una ormai collaudata retorica, riescono progressivamente a condizionare anche i loro spazi interiori. La fine del taylorismo avrebbe dovuto coincidere con la fine dei ritmi di lavoro infernali. Oggi, in modo, del tutto consenziente, il lavoratore rimane a disposizione del suo datore di lavoro ventiquattr’ore su ventiquattro, tramite mail o pc portatile. Alla violenza della vecchia catena fordista si è sostituita una violenza psicologica. Le argomentazioni del management cercano di nascondere questa dura realtà e di convincere i lavoratori che operano per il loro benessere, mentre in realtà non fanno che obbedire alle leggi sempre più implacabili del mercato. I lavoratori ne subiscono le conseguenze, ma sono esortati a credere che il management cerca solo la loro felicità. Con modalità del tutto simili, e grazie alle ricette offerte da coach di ogni genere, gli individui sono spinti a coltivare un «saper fare» e un «saper essere» persino nella vita privata. Ennesima metamorfosi del management contemporaneo, il coaching personale dovrebbe consentire a ciascuno di trovare la sua ragion d’essere, grazie a qualche «concetto fondamentale» e a un certo numero di formule da imparare a memoria e seguire poi per tutta la vita. Ognuno può (e deve) imparare a gestire l’apparenza, modificando il proprio comportamento, organizzando le proprie relazioni ecc. Ognuno è imprenditore di se stesso e può diventare un winner. Volere è potere. Chi non riesce deve prendersela solo con se stesso. Peccato che, nella vita di tutti i giorni, ostacoli oggettivi e vincoli soggettivi spesso impediscano a molti di noi di entrare alla C PIER LUIGI CELLI (AD LUISS) «Portare la vita nell’azienda, mai il contrario Ma nelle nostre università non si insegna» l modello manageriale è funzionale – quando effettivamente funziona, poi – solo nella gestione economica dell’impresa. Quando si pensa di esportarlo in altri ambiti della vita sociale diventa potenzialmente pericoloso. Semmai occorre il processo inverso: per fare bene il proprio mestiere, un manager dovrebbe portare dentro la gestione d’azienda esperienze di vita diverse rispetto a quella professionale». Pier Luigi Celli, dirigente di lungo corso dalla Rai all’Unicredit, oggi amministratore delegato e direttore generale dell’università Luiss di Roma, concorda con le tesi di fondo di Michela Marzano. Cosa manca ai manager, in particolare a quelli italiani? Di per sé il management italiano è tutto concentrato sul far carriera, sul centrare alcuni obiettivi e risultati economici. Manca una visione allargata, più generale. Per- «I ciò sostengo che il manager dev’essere capace di declinare il proprio mestiere guardando anche ad altro che non sia la mera preparazione tecnica, incorporare più emozione, passioni, saperi di relazione, socialità. Eppure il management e il coaching stanno "dilagando" nella società anche in ambiti non economici... Per carità, quando sento dire che per salvare la politica occorrono i manager, mi vengono i brividi... Il coaching poi è un’aberrazione: un manager che deve ricorrervi farebbe bene a lasciare il posto. Dimostra che ha fatto carriera troppo velocemente, in maniera verticale sempre nello stesso ambito, e ha bisogno di qualcuno che gli spieghi il mondo perché lui non l’ha conosciuto. Lo stesso vale nel vivere sociale: a che servono gli "allenatori personali"? A imparare a vivere? Anche nel suo ultimo libro, dal titolo caustico «Comandare è fottere» lei dà un ritratto davvero desolante del management nel nostro Paese... L’intento del mio libro – scritto non in maniera cinica, per quanto con un linguaggio assai forte – era essenzialmente "pedagogico". Dicevo: se volete rovinarvi la vita fate carriera e fatela da manager senza merito, come avviene in moltissimi casi oggi. Le università, compresa la sua, dovrebbero però formare proprio i manager del domani, la classe dirigente. Quale modello si insegna? L’università di per sé non insegna agli studenti a essere dei futuri dirigenti. Quando funzionano bene, gli atenei trasmettono conoscenze tecniche, offrono strumenti di analisi. Ma "gestire" è un’altra cosa. Significa individuare gli obiettivi, saper scegliere gli stru- menti adatti, saper motivare, coinvolgere e condurre gli altri. È in particolare nel rapporto con le persone che si misura la stoffa di un manager, mentre le università insegnano al singolo e a far centro su se stessi. Anche per colmare questa "lacuna" nel nostro ateneo cerchiamo di organizzare, a latere della didattica, progetti di interazione, momenti di discussione, perché bisogna imparare a confrontarsi, anche a litigare. Fra le prime cose che un manager dovrà imparare c’è come comportarsi con le persone, come reggere il peso della responsabilità, dello stress. E questo i professori all’univer- corte dei grandi... Hegel scrisse un giorno che ognuno è «figlio del suo tempo». E per questo che, al giorno d’oggi, siamo tutti più o meno manipolabili: tutti vorremmo vedere le nostre competenze arricchite; tutti subiamo il «fascino discreto» delle ricette manageriali che promettono successo e felicità. Anche usando la ragione per smascherare le menzogne del linguaggio manageriale e le paradossali ingiunzioni cui oggi siamo sottoposti, sarebbe un grave errore credere di poter sfuggire facilmente alla trappola che ci è stata tesa. Scoprire una trappola non significa evitarla. Tanto più che ognuno di noi desidera talmente che le promesse del management e del coaching possano realizzarsi che arriva a dar torto alla ragione che lo avverte del pericolo. Cercare di confutare i sofismi manageriali non significa riuscire a sbarazzarsene completamente. Illudersi di poterlo fare equivale a cadere nelle stesse storture del coaching, convinto che è sempre possibile «riprogrammare i cervelli». Per cavarsela basta conoscere la giusta ricetta. Volere è potere... Puntare il dito sulle ambiguità del discorso manageriale e denunciarne la manipolazione non è comunque un vuoto esercizio di stile. Le parole hanno un senso, sono un’arma. «Le parole» scriveva Victor Klemperer «assomigliano a piccole dosi d’arsenico: le assumiamo senza curarcene, sembrano del tutto innocue, ed ecco che dopo qualche tempo il loro effetto tossico si fa sentire». Onde evitare dunque che la dose di veleno assunto oggi, nella vita professionale e in quella privata, diventi letale, è necessario mettere ordine, dare un nome al disagio che proviamo di fronte ai discorsi dominanti che ci circondano e che a volte nemmeno riusciamo a capire. Occorre ricordare, per esempio, che non siamo gli unici responsabili dei nostri successi o della nostra felicità; che non possiamo pretendere di gestire o controllare ogni cosa; che non possiamo volere tutto e il contrario di tutto. Non si tratta di negare la possibilità di cambiare le cose, nella nostra vita e nel mondo; si tratta piuttosto di sapere, come suggerisce un’antica massima stoica, che vi sono cose che possiamo cambiare e altre che non possiamo cambiare. Saggezza è saper distinguere. Michela Marzano sità non possono insegnarlo... Senza offesa, ma i professori universitari per la gran parte non sanno nulla del lavoro e dell’impresa. In realtà ciò che sarebbe necessario per far "crescere" bene un manager – ma vale in generale – è avere un "maestro", una persona che si prende cura di te, che non solo ti trasmette conoscenze e competenze, ma investe il suo tempo con te, per "allevarti". Questo capita, qualche rara volta, nelle aziende, nelle università è molto difficile con la generalità degli studenti. Michela Marzano sottolinea la deriva del lavoro divenuto totalizzante, un fine. Viviamo in una società che ha sovrabbondanza di mezzi e scarsità di fini, e allora siamo portati a trasformare in fine ciò che sarebbe solo un mezzo. In realtà, se non si aggancia qualsiasi attività a una finalità più generale, in un circuito di relazioni sociali, in un orizzonte di valori siano essi religiosi o laici, se ne perde il senso ultimo più profondo e si rischiano distorsioni. È purtroppo il frutto di una logica frantumata della comunità. Francesco Riccardi mercoledì 17 giugno 2009 3 Aziende, partiti, associazioni, istituzioni private e amministrazioni pubbliche hanno un forte bisogno di trasmettere all’esterno messaggi e informazioni sulle proprie iniziative e attività Per questo è necessario affidarsi agli addetti stampa, una sorta di «diplomatico» e «promotore» allo stesso tempo ORSINI (ENEL) «Le prospettive sono positive L’attenzione è in crescita» G erardo Orsini la professione la conosce bene. Già giornalista a Repubblica e al Sole 24 Ore, ha lavorato alla Montedison e dal 2002 è responsabile delle relazioni con i media dell’Enel. «La mia vita lavorativa è divisa in due parti: per 20 anni ho fatto il giornalista e da quasi 20 mi occupo di uffici stampa». L’ideale, no? Direi di sì. Aver fatto il giornalista per tanti anni è stato davvero utile. Per un addetto stampa è molto importante avere alle spalle un’esperienza di questo tipo. Perché? Per tanti motivi. Intanto facendo il giornalista impari a scrivere, a capire cosa fa notizia e cosa no. E poi hai modo di conoscere dal di dentro come funziona una redazione, le gerarchie, quali meccanismi la guidano, i tempi di lavorazione, i criteri di scelta dei pezzi. Tutti aspetti importantissimi che, per esempio, ti aiutano a decidere come preparare un comunicato stampa, cosa mettere in evidenza, a che ora e a chi inviarlo. C’è poi l’aspetto delle relazioni. Certo. La mia esperienza giornalistica mi ha consentito di allacciare contatti e creare rapporti che mi sono serviti quando sono passato dall’altra parte, quella degli uffici stampa. L’addetto stampa è una persona, non una voce al telefono o una email. Quali requisiti deve avere un addetto stampa che aspira a lavorare per l’Enel? Normalmente cerchiamo persone con una buona formazione specialistica e una solida tecnica di base, che hanno frequentato una scuola È un ruolo delicato. Sì, la comunicazione è un fattore strategico per un’organizzazione. L’addetto stampa deve essere sempre informato, deve tenersi aggiornato su tutto, deve saper far fronte anche a eventuali momenti critici. Deve avere buoni doti di diplomazia e persuasione. Come valuta gli sbocchi professionali per questa figura? Direi che le prospettive sono positive, anche se in tempi di crisi le aziende, invece di rafforzarli, tendono a tagliare i budget destinati alla comunicazione. Non è il caso dell’Enel per fortuna. A ogni modo mi pare che l’attenzione per questi aspetti sia decisamente in crescita. Mauro Cereda di giornalismo e/o hanno maturato esperienze professionali in una o più redazioni o in altri uffici stampa. Persone motivate, curiose, dotate di capacità relazionali, flessibili, disponibili a viaggiare. Questo non è un lavoro di routine. Inoltre, per una società internazionale come la nostra, è indispensabile la conoscenza dell’inglese. Che mestiere è quello dell’addetto stampa? È un mestiere bellissimo, che può darti tante soddisfazioni. Ma è anche un’attività stressante, soprattutto perché la bontà del tuo lavoro è facilmente misurabile e valutabile. Il risultato lo vedi subito nella rassegna stampa del giorno dopo. la professione DI MAURO CEREDA l giorno d’oggi la comunicazione è un fattore sempre più importante, strategico. In ogni ambito: imprese, partiti, istituzioni, enti locali, associazioni, sindacati… hanno tutti, chi più chi meno, l’esigenza di trasmettere all’esterno messaggi e informazioni che riguardano i propri prodotti, progetti, provvedimenti, le proprie attività, iniziative, idee. In genere a svolgere questo compito è una struttura particolare: l’ufficio stampa. Quasi tutte le grandi organizzazioni (ma anche molte tra quelle medie e piccole), pubbliche e private, ne hanno uno al proprio interno. E chi non ce l’ha – o ha bisogno di comunicare solo in determinate occasioni e circostanze – può sempre affidarsi a una delle numerose agenzie specializzate presenti sul mercato, che offrono questo tipo di servizi. «Questa professione – spiega Piergiorgio Corbia, vicepresidente del Gus, il Gruppo giornalisti uffici stampa in seno alla Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti – apre notevoli prospettive in termini di occupazione. Le aziende e le amministrazioni pubbliche, per esempio, hanno un forte bisogno di comunicare e veicolare informazioni al proprio pubblico e, quindi, necessitano di persone competenti e qualificate a cui affidare questo incarico. Ci tengo a sottolineare questo aspetto della preparazione, perché non ci si improvvisa addetti stampa». L’addetto stampa è una sorta di "promotore" e di "diplomatico" insieme. Ai diversi livelli di responsabilità (gli uffici stampa più grandi sono di solito guidati da un capo ufficio stampa, che coordina il lavoro di un certo numero di collaboratori), esso è il gestore della comunicazione verso l’esterno: clienti, elettori, utenti, consumatori... (per la verità molti uffici stampa curano anche la comunicazione verso l’interno, per esempio tramite la realizzazione del cosiddetto house organ: nel caso di un’azienda, il periodico che viene distribuito ai dipendenti). la formazione A Il comunicatore Per assolvere al meglio la sua funzione si avvale di diversi strumenti: comunicati, conferenze stampa, newsletter, il sito internet, l’organizzazione di convegni... Attraverso essi l’addetto stampa trasmette ai giornalisti (della carta stampata, delle agenzie, delle tv, delle radio, del web) le informazioni che il suo "datore di lavoro" intende fare arrivare al destinatario finale, ovvero il suo "pubblico". «Il ruolo dell’addetto stampa – nota Mauro De Vincentiis, autore del volume Teoria e pratica degli uffici stampa – è importante e delicato, perché riguarda un ambito strategico come la comunicazione. In questo contesto è fondamentale la professionalità. A mio giudizio un bravo addetto stampa deve essere prima di tutto un bravo giornalista. L’esperienza maturata in una redazione è utile perché insegna a scrivere e consente di capire e conoscere Oltre a saper scrivere è importante padroneggiare le nuove tecnologie multimediali, avere il senso della notizia, conoscere l’ambiente giornalistico, possedere una buona cultura generale, saper parlare almeno l’inglese dal di dentro la realtà dei mass media, cioè degli interlocutori degli addetti stampa». Il messaggio, ormai, sembra passato. Oggi la maggioranza degli addetti stampa è composta da giornalisti iscritti all’Ordine professionale, quindi da persone preparate. Anzi, per chi lavora in un ufficio stampa di un ente pubblico, in virtù di una legge approvata nel 2000 (n. 150), l’iscrizione all’Ordine è obbligatoria. La stessa norma stabilisce, inoltre, che il capo ufficio stampa deve essere laureato. «Ci abbiamo messo tanti anni per fare approvare questa legge – osserva Corbia – e finalmente ce l’abbiamo fatta. Adesso vorremmo riuscire a far passare questo principio anche nel settore privato, dove ci sono realtà, non è ovviamente il caso delle grandi aziende, che si affidano ancora a persone non qualificate. La professionalità è troppo importante. A chi vuol intraprendere questo mestiere Serve un mix di competenze ed esperienze T eoria e pratica. Il mestiere dell’addetto stampa richiede un mix di competenze e di esperienze che si acquisiscono sul campo e sui banchi. Nelle redazioni e nelle scuole di giornalismo. In Italia le scuole riconosciute dall’Ordine sono 21. Per essere ammessi bisogna avere una laurea triennale. Durano due anni e al termine abilitano i partecipanti a sostenere l’esame di Stato per diventare giornalisti professionisti (l’Albo professionale è diviso in due elenchi: professionisti e pubblicisti. Si può accedere all’esame di Stato per diventare professionisti anche facendo 18 mesi di praticantato presso una redazione, mentre per Molte abilità si acquisiscono sul campo e sui banchi, nelle redazioni e nelle scuole di giornalismo Necessaria, però, l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti ottenere il tesserino di pubblicista basta dimostrare di avere collaborato continuativamente, e dietro retribuzione, per due anni per una o più testate giornalistiche). «Le scuole di giornalismo – osserva Laura Silvia Battaglia, tutor della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica di Milano (www.unicatt.it/almed) – sono un bacino di reclutamento per questa figura, anche se non si rivolgono specificamente ad essa. Noi formiamo persone che vogliono diventare giornalisti professionisti, ma gli uffici stampa costituiscono uno degli sbocchi professionali possibili. Diversi nostri iscritti sono andati a lavorare in realtà di questo tipo. Nell’ambito del corso, al secondo anno, c’è un insegnamento di 12 ore intitolato proprio Organizzazione e gestione degli uffici stampa, all’interno del quale si spiegano gli strumenti utilizzati nella comunicazione aziendale». Oltre alle scuole di giornalismo, sul territorio esistono anche dei moduli formativi specifici e di durata più breve. È il caso, per esempio, del corso di specializzazione Comunicazione per gli addetti degli uffici stampa, proposto dalla Scuola di comunicazione dell’Università Uilm (www.scuolacomunicazi oneiulm.it), sempre di Milano. «Il nostro corso – spiega il coordinatore didattico, Mauro Pecchenino – dura 32 ore. Le lezioni si tengono al venerdì, tutto il giorno, e al sabato mattina. Ci rivolgiamo a chi vuole intraprendere la professione e a chi ha già delle esperienze, ma desidera perfezionarsi o confrontarsi con chi opera in questo mondo. I moduli hanno un taglio molto pratico. I consiglio di seguire due strade, che possono intrecciarsi: iscriversi a una scuola di giornalismo o a un master e fare la gavetta in qualche giornale. Vanno benissimo anche i quotidiani e i settimanali locali, che sono una grande palestra di giornalismo». Ma come si vive e lavora in un ufficio stampa? Quali competenze debbono possedere le persone che vi operano? «Innanzitutto è necessario saper scrivere – chiosa De Vincentiis –, quindi bisogna padroneggiare le nuove tecnologie multimediali, avere il senso della notizia, conoscere l’ambiente giornalistico e i suoi meccanismi, possedere una buona cultura generale, saper parlare almeno l’inglese, avere buone doti relazionali. Un bravo addetto stampa sa tutto, o quasi, della realtà in cui opera, è in contatto con i vertici, è rapido a intervenire, flessibile. Conosce le regole deontologiche ed è credibile. Chi fa questo mestiere partecipanti hanno l’opportunità di fare esercitazioni su casi reali e di ascoltare le testimonianze dei responsabili degli uffici stampa di grandi aziende che intervengono come ospiti-docenti. L’interesse verso questo mestiere è notevole, ma è fondamentale acquisire le competenze necessarie per svolgerlo al meglio». A livello universitario (laurea triennale) non esistono corsi dedicati. In genere chi intende intraprendere questa attività viene da una laurea in materie umanistiche o in scienze della comunicazione. Ma ci sono anche laureati in scienze politiche, lingue, economia e altri corsi. (M.Cer.) ! non deve guardare troppo l’orologio e deve metterci passione. Se poi si ambisce a diventare capi uffici stampa bisogna avere anche capacità gestionali e di coordinamento». I compiti di un addetto stampa variano anche in funzione del tipo di organizzazione nella quale lavora (non è lo stesso occuparsi della comunicazione per un’azienda, un Comune o un’associazione) e anche delle sue dimensioni. Chi opera nelle realtà più piccole deve saper fare un po’ di tutto (dalla preparazione di una conferenza stampa alla realizzazione di una campagna promozionale, dalla redazione di un comunicato alla gestione del sito internet). La maggior parte degli addetti stampa è inquadrata con dei contratti aziendali, pochi hanno il contratto giornalistico. Nelle fasi iniziali o in certi ambiti è frequente il ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato o a contratti di collaborazione. da sapere ● Info libri e web Sulla figura dell’addetto stampa esiste una discreta pubblicistica. Tra i diversi titoli si possono segnalare Organizzare l’ufficio stampa di Sergio Veneziani (Il Sole 24 Ore), Teoria e pratica degli uffici stampa di Mauro De Vincentiis (FrancoAngeli), Che cos’è un ufficio stampa di Paolo Stringa (Carocci), Uffici stampa di Vieri Poggiali (Centro di documentazione giornalistica), Addetto stampa, professionista della comunicazione di Gino Falleri (Centro di documentazione giornalistica). Interessante, anche se rivolto a un ambito particolare, Fare notizia con il non profit di Antonella Galli e Silvia Nidasio (FrancoAngeli). Maggiori informazioni sui siti: www.odg.it www.gus-giornalistiufficistampa.it ● Identikit «L’ufficio stampa – si legge nel volume Jobbing di Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa (Sperling & Kupfer), che mette in fila le 100 professioni più richieste del momento – gestisce i rapporti tra un’azienda/agenzia e i media per tutto ciò che attiene alla comunicazione istituzionale dei propri prodotti. Il suo obiettivo, quindi, è garantire la massima divulgazione/copertura possibile di uno specifico concetto o contenuto facendo leva sul coinvolgimento indiretto (e-mail, inviti, newsletter) e sul convincimento diretto (telefonate, invio di gadget, anteprime riservate…)». mercoledì 17 giugno 2009 4 GENOVA In 100 nell’alberghiero ARTICOLO 1 Opportunità tra Roma, Napoli e Palermo RANDSTAD Agenti vendita A A andstad Italia seleziona agenti monomandatari per una società di servizi nel campo dell’editoria e della pubblicità. I candidati devono essere diplomati, neolaureati o universitari almeno al terzo anno. Previsto un percorso di formazione e training on the job. Si offre un contratto di agenzia monomandatario, un sistema provvigionale con incentivi, premi e rimborsi spese per i primi mesi di attività. Le posizioni da ricoprire interessano tutte le province delle seguenti regioni: Umbria, Marche, Friuli Venezia Giulia, provincia di Novara e di Brescia. I cv devono essere inviati a: [email protected] indicando nell’oggetto il riferimento SP e la provincia di interesse oppure rivolgendosi alla filiale Randstad più vicina (www.randstad.it). rticolo 1 e UnoEffe Formazione organizzano a Napoli un corso di formazione gratuito di 160 ore per formare addetti alla gestione del telemarketing e assistenti informatici/amministrativi. Il corso, di 86 ore di teoria e 74 di pratica, è aperto per 20 partecipanti, inizia il 29 giugno, dura tre settimane con orario, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18. I moduli del corso sono i seguenti: normative sulla sicurezza e diritti e doveri dei lavoratori; lavoro in azienda in rispetto della sanificazione degli ambienti; tecniche di comunicazione; tecniche di segreteria; il telemarketing per prodotti e servizi aziendali; G Le offerte NAPOLI Formazione gratuita con possibilità di assunzione i Group ricerca 100 operatori nel settore alberghiero tra facchini ai piani, commis di sala, personale di cucina, camerieri ai piani, personale di fatica. È preferibile aver maturato una pregressa esperienza nel settore. Si richiede disponibilità a tempo pieno e parziale e a turni eventuali notturni e festivi. Sede di lavoro: hotel ed esercizi di Genova e della riviera ligure. Durata del contratto: un mese più eventuali proroghe. Per candidarsi: Gi Group spa – Filiale di Genova – Via XII Ottobre, 186 Rosso – 16121 Genova Tel.: 010564096 – Fax: 010541286 E-mail: [email protected]. gestione della segreteria attraverso l’utilizzo di prodotti informatici; gestione dei rapporti amministrativi con clienti stranieri. Al termine del corso ci saranno concrete possibilità di assunzioni presso aziende del settore. Tutti coloro che sono interessati ambosessi (L.903/77) possono inviare il proprio curriculum vitae con l’autorizzazione al trattamento dei dati personali (d.lgs 196/2003) ad: Articolo 1 Via G. Porzio, 4 Isola G1 Centro Direzionale 80143 Napoli Tel.: 08119562800 Fax: 08119562804 E-mail: [email protected]. ma. Per un’azienda del settore delle telecomunicazioni, invece, si ricercano laureati in Ingegneria elettronica o diplomati in Elettronica appartenenti alle categorie protette. Sede di lavoro: Napoli. Si selezionano anche addetti al customer care appartenenti alle categorie protette. È necessaria la residenza a Napoli. Si ricercano anche impiegati appartenenti alle categorie protette. Anche in questo caso è indispensabile risiedere a Napoli. Infine, per l’organico interno di Articolo 1, si seleziona un branch manager. Sede di lavoro: Palermo. Gli interessati, ambosessi (L.903/77), possono inviare il proprio cv, con autorizzazione al trattamento dei dati (Dlgs 196/03) via fax o via e-mail ad: Articolo 1 spa – Divisione Permanent E-mail: [email protected]. BRESCIA «Didattica in fabbrica»: si replica Borse di studio P CORSO DI PROGETTAZIONE DEGLI SPAZI ESTERNI un e Poli.Design formano i nuovi professionisti della progettazione degli spazi esterni. Sun, il Salone internazionale dell’esterno, offre dieci borse di studio del valore di 3mila euro l’una a copertura completa alla terza edizione del corso Outdoor experience design – Progettare e arredare gli spazi esterni privati e pubblici, che si svolgerà dal 6 al 24 luglio 2009 (1.200 ore), presso il Poli.Design al Campus Bovisa di Milano. La trasformazione del modo di concepire e vivere gli spazi esterni, come i terrazzi e i giardini, infatti, richiede ad architetti e designer nuove competenze professionali e una differente visione del settore. La selezione è effettuata dal Poli.Design in base a titoli di studio, esperienza e motivazione. Gli interessati dovranno inviare il cv a: [email protected] entro il 30 giugno 2009. Info: www.sungiosun.it; www.poli-design.it; www.outdoorexeperiencedesign.it. (E.Cav.) S DI MAURIZIO CARUCCI ono ancora aperte le iscrizioni alla seconda edizione del Mim, Master in international management, la laurea magistrale attivata dalla Facoltà di Economia dell’Università di Trento, che permette a 20 studenti di sviluppare capacità manageriali, analitiche e di maturare un’ampia conoscenza dei mercati internazionali e delle loro regole. Il programma, di durata biennale e a tempo pieno, è interamente in lingua inglese e offre numerose possibilità di apprendimento: durante il percorso gli studenti analizzano casi pratici in aula, affrontano tematiche in gruppi di studio e hanno l’opportunità di svolgere uno S Manager da esportazione stagetra il primo e il secondo anno. Questa formula sembra allettare non soltanto gli studenti in economia, ma anche ingegneri e informatici (circa un terzo del totale degli iscritti nella prima edizione) che si iscrivono per aggiungere una componente manageriale e internazionale alla loro formazione. «Il Mim – spiega Paolo Collini, preside della Facoltà di Economia – è a tutti gli effetti un master. Siamo tra i pochi in Italia, anche in base all’accordo di Bologna, ad aver adottato uno schema didattico di stampo europeo. Nella scorsa edizione abbiamo ricevuto circa 80 domande da tutto il mondo. Gli iscritti, oltre che dall’Italia, provenivano da 11 Paesi. Tra questi: Cina, Paki- stan, Turchia, ma anche Europa dell’Est e America del Sud». Finora per frequentare un master di questo tipo occorreva andare negli Stati Uniti o accollarsi le notevoli spese di un percorso formativo universitario privato. Oggi, invece, per la prima volta, è possibile mettere a frutto le proprie capacità in campo economico e finanziario in un’Università pubblica italiana. L’attività didattica durante l’intero programma consiste in lezioni frontali, attività d’aula, studio individuale e di gruppo. Le materie di insegnamento variano dal general management, marketing internazionale, comportamento organizzativo, strategia aziendale internazionale, alla fi- nanza aziendale internazionale; dall’economia internazionale e industriale al diritto commerciale internazionale e della concorrenza. Sono previsti corsi per rendere omogenea la preparazione degli studenti che provengono da diversi percorsi formativi. Possibili sbocchi professionali, invece, sono individuabili nelle posizioni di general manager o manager operativo, analista di gestione o consulente gestionale. Al tempo stesso il Mim fornisce conoscenze specifiche per condurre o migliorare la propria attività o per avviarne una. La selezione avviene sulla base dei risultati accademici ed eventualmente sull’esperienza professionale già acquisita. Requisiti minimi per poter effet- Sportello patronato Inas IL SUSSIDIO PER IL CO.CO.CO CHE PERDE IL LAVORO sionale, disponibilità che è propedeutica per avere diritto alla prestazione. er i lavoratori co.co.co che perdono il lavoro è attivo, in via sperimentale, uno speciale ammortizzatore sociale per il triennio 2009-2011, previsto nel quadro delle misure anticrisi. Chi è diventato disoccupato entro il 30 maggio scorso ha tempo fino al 30 giugno per presentare la richiesta alla sede territoriale Inps competente; se l’inizio della disoccupazione data dal 31 maggio in poi, la domanda va inoltrata entro 30 giorni da quel giorno. Per accedere a questa prestazione è necessario essere in possesso di alcuni requisiti. Per quanto riguarda reddito e contribuzione, il primo deve essere stato – con riferimento al 2008 – compreso tra i 5mila e i 13.819 euro, l’accredito contributivo di almeno tre mesi nell’anno in cui il rapporto di lavoro si è interrotto e fra tre e dieci mesi nell’anno precedente. Inoltre, il lavoratore deve aver prestato la propria collaborazione a un unico committente ed essere iscritto in via esclusiva alla gestione separata dell’Inps. Quanto all’ammontare, per il 2009 il sussidio (una tantum) è pari al 20% del reddito percepito nel 2008, mentre per il 2010 e il 2011 sarà il 10% del medesimo reddito. La domanda da presentare all’Inps include una dichiarazione di disponibilità immediata al lavoro oppure a un percorso di riqualificazione profes- Danno biologico: aumenta il valore del’indennizzo Inail. A decorrere dal 1° gennaio 2008, in attesa dell’introduzione del meccanismo di rivalutazione automatica del danno biologico, il ministero del Lavoro ha emanato un decreto con il quale rivaluta l’indennità per danno biologico, corrisposta dall’Inail, in misura pari all’8,68%. Si tratta di un aumento straordinario, deciso in base alla finanziaria del 2007, per adeguare il valore del risarcimento all’aumento del costo della vita tra il 2000 e il 2007. Il danno biologico è definito come la "lesione all’integrità psicofisica della persona suscettibile di valutazione medico-legale". Dal 2000 è coperto dall’assicurazione obbligatoria, e il relativo indennizzo ha operato in via sperimentale in attesa di ulteriore definizione normativa. L’aumento previsto dal decreto si applica agli indennizzi in capitale e ai ratei di rendita maturati a decorrere dal 1° gennaio 2008. P R rticolo 1 seleziona operatori telefonici appartenenti alle categorie protette per un società operante nel settore assicurativo. Sede di lavoro: Ro- Per la consulenza e l’assistenza necessarie, ci si può recare presso la più vicina sede dell’Inas Cisl (gli indirizzi si trovano su www.inas.it, oppure chiamando il numero verde 800249307): ricordiamo che la consulenza offerta dall’Inas è assolutamente gratuita. tuare la domanda sono: una laurea di primo livello e la conoscenza certificata dell’inglese. Infine, oltre al curriculum vitae e a una lettera di motivazione, sono richieste due lettere di referenza. La tassa di iscrizione annuale per il corso di laurea è di 10mila euro per gli studenti extraeuropei, mentre per gli studenti comunitari può raggiungere i 2.700 euro (la tassa può variare secondo il reddito familiare). Gli studenti possono richiedere le borse dell’Opera universitaria che sono assegnate sulla base del reddito. Vi sono inoltre diverse possibilità di finanziare il proprio studio tramite mutui agevolati. Per maggiori informazioni: www.mim.unitn.it; [email protected]. er otto settimane, una al mese da ottobre 2008 a maggio 2009, i 28 ragazzi dell’Istituto tecnico industriale "Luigi Galvani" di Brescia hanno varcato i cancelli dello stabilimento Metra – un Gruppo fondato nel 1962 da quattro famiglie e che rappresenta uno dei primi poli produttivi per quanto riguarda l’estrusione dell’alluminio – di Rodengo Saiano (sempre nel Bresciano) per l’apprendistato in fabbrica affiancati da un tutor. Gli studenti delle diverse classi hanno seguito un percorso formativo teorico-pratico differenziato, messo a punto dalla scuola e dall’azienda: quelli di III hanno approfondito la conoscenza del ciclo produttivo nelle varie aree dedicate, dall’approvvigionamento delle materie prime alla spedizione dei prodotti; gli studenti di IV e V, invece, dalla preliminare fase di acquisizione delle competenze sono passati allo sviluppo di specifici progetti sempre con l’affiancamento di tutor o personale specializzato. Gli allievi che hanno partecipato alla sperimentazione del progetto, avviato quest’anno, ma programmato fino all’anno scolastico 2010-2011, sulla base della selezione operata da un’apposita commissione, appartenevano agli indirizzi di Meccanica, Elettrotecnica e Informatica. «Già dal prossimo anno – ha sottolineato Bruno Bertoli, presidente del Gruppo Metra – metteremo in campo un programma di formazione dei formatori, coinvolgendo persone qualificate, per poter colmare il divario sul trasferimento di competenze fra addetti ai lavori e studenti, che abbiamo riscontrato in questo primo anno di sperimentazione». Il progetto Didattica in fabbrica ha utilizzato il 20% del monte ore annuo per introdurre nel piano di studi curriculare materie e argomenti importanti per la formazione degli allievi anche dal punto di vista lavorativo. Soprattutto ha organizzato il piano didatticoformativo inserendosi nella reale produzione di un’azienda. (M.Car.) Roma, apre la Scuola del sociale A ottobre previste le prime lezioni DI F PAOLA SIMONETTI lessibile, aperta, fondata al di là di qualsiasi schema di formazione professionale classico. La prima Scuola del sociale d’Italia, inaugurata nei giorni scorsi dalla Provincia di Roma, aprirà i battenti a ottobre prossimo, sulla via Cassia, nella Capitale, sfruttando una struttura rimessa a nuovo su due piani, dotati di tre aule lezione con sistema audio-video a proiezione e schermi a scomparsa e sale riunioni. Del tutto innovativo il programma sul tema: «Corsi brevi e in continua evoluzione, in base alle richieste esterne e del cambiamento dello scenario – ha spiegato il direttore della struttura, Giulio Marcon –, vedranno attività formative inerenti il mondo del sociale, del volontariato e della cooperazione, con la valorizzazione di figure normalmente assenti dai percorsi formativi. Non solo operatori socio-sanitari dunque, ma anche coloro che sono coinvolti, per esempio, nella comunicazione di settore, la finanza etica o il commercio equo e solidale. È la prima esperienza di questo genere rivolta non solo a chi già lavora, ma ad ampio raggio d’azione: ai lavoratori del socio-sanitario, ma anche ai dipendenti e soci del terzo settore, agli assistenti domiciliari, agli educatori, ai manager del sociale. L’intento è di non lasciare fuori nessuna voce del Terzo settore». La Scuola si propone di divenire anche punto di riferimento per dibattiti, incontro pubblici, presentazioni di libri, seminari e tavole rotonde. «Vogliamo che il flusso di idee sia a due sensi: dalla scuola verso l’esterno e viceversa. Nessuna gestione paludata o rigida. Quel che ci interessa è fare formazione cambiando anche la cultura "burocratico centrica" che spesso il sociale ha in Italia», ha aggiunto il direttore. Finanziata dal Fondo sociale europeo e incardinata nel sistema dei Centri di formazione della Provincia di Roma, la struttura pubblica viene considerata una vittoria per l’assessorato competente: «Il Terzo settore è una ricchezza per il nostro territorio, sul quale si è instaurato un modello positivo sul fronte degli interventi che prevede il partenariato tra pubblico e privato-sociale», ha dichiarato l’assessore provinciale alle Politiche sociali Claudio Cecchini. Un centro di cultura che, secondo il presidente della Provincia d Roma, Zingaretti, sarà un cardine fondamentale anche per la diffusione di un terzo settore che possa migliorare la qualità di vita dei cittadini. La Scuola, sarà affiancata da un "comitato tecnico-scientifico" composto da esponenti del settore, del mondo universitario, di quello dell’impresa e sindacale, con compiti consultivi e propositivi rispetto alle attività accademiche. Per maggiori informazioni e richieste: [email protected].