I D S M - Avvenire

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I D S M - Avvenire
Anno 5 Numero 23
Supplemento ad Avvenire
del 17 giugno 2009
[email protected]
Barometro
RETRIBUZIONI
ESPORTAZIONI
+0,6%
–22,8%
A MAGGIO
RISPETTO AD APRILE
NEL I TRIMESTRE
IN UN ANNO
NEL I TRIMESTRE
IN UN ANNO
ARGOMENTI
I modelli
manageriali
manipolano
anche la vita?
IL PUNTO
I DUE TEMPI
DELLA RISPOSTA
ALLA CRISI
FRANCESCO RICCARDI
D
PAGINA
PROFESSIONE
Addetti stampa:
la formazione
e gli sbocchi
possibili
2
6
PAGINA
Titolo
che vale
DI
TRENTO
Al via il Mim,
Master
in international
management
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6
ENRICO LENZI
I
laureati triennali? «Ricercati dal
mondo del lavoro e con buone opportunità occupazionali». Leggermente meno di chi ha scelto la laurea a ciclo unico, «anche se dipende
dal tipo di percorso di studi». E quelli con il titolo della specialistica? «Anch’essi con buone prospettive». È
quanto emerge dall’«indagine occupazionale dell’iniziativa interuniversitaria Stella», presentata ieri a Pisa.
Un’occasione per fare il punto della
situazione dopo il conseguimento
delle varie tappe del percorso di studi universitario. E il dato che sembra
fare da filo rosso tra le tre categorie è
la «spendibilità del titolo» all’interno
del mercato del lavoro, anche se molto dipende dal corso di studi frequentato.
Ad esempio nel caso delle lauree
triennali sono soprattutto i gruppi disciplinari in medicina, insegnamento ed educazione fisica quelli in cui
si registrano le percentuali maggiori
di laureati inseriti nel mondo del lavoro a un anno dal conseguimento
del titolo (rispettivamente con l’89,
il 69,3 e il 56,4%). Ma consistenti sono anche i lavoratori tra i laureati in
agraria (43,8%), in lingue straniere
(48,3%) e in politico-sociale (47%).
Complessivamente 45 laureati triennali su 100 hanno un lavoro entro
l’anno dalla laurea. E i tempi, secondo la rilevazione Stella, sono davve-
INDAGINE STELLA
Neolaureati
e occupazione
iamo ormai alla quinta
edizione dell’indagine
occupazionale sui laureati
italiani condotta da Stella,
l’iniziativa interuniversitaria che
coinvolge un gruppo di atenei.
L’ultima indagine riguarda i
laureati dell’anno solare 2007
nelle tre suddivisioni: triennali
(25.579 intervistati), a ciclo unico
(2.033 intervistati) e specialistiche
(12.386 intervistati). Sono 9 gli
atenei che vi hanno partecipato
fornendo un campione
significativo, visto che rappresenta
un sesto dei laureati italiani di
quell’anno (quasi 40mila su
234mila). Gli atenei coinvolti
sono le Università degli studi di
Bergamo, di Brescia, dell’Insubria,
di Milano, di Milano-Bicocca, di
Pavia, di Palermo, l’Università di
Pisa, la Scuola superiore di
Sant’Anna di Pisa, l’Università
Cattolica del Sacro Cuore di
Milano, lo Iulm di Milano e il
Politecnico di Milano.
(E.Le.)
In primo piano
S
Fra le lauree triennali i settori
medico, di insegnamento e di
educazione fisica garantiscono
maggiori opportunità di lavoro
Orologi precisi ed eleganti dalla Toscana
DI
MAURIZIO CARUCCI
a chi l’ha detto che solo la Svizzera
può permettersi di produrre orologi
eleganti e di precisione? Luciano Nincheri e Alessandro Bettarini hanno fondato a
Prato una micro-impresa che non ha nulla da
invidiare ai maestri elvetici. La Ennebi, dai nomi dei due titolari, dal 2004 produce orologi
da polso e da consolle per una clientela d’intenditori e collezionisti: si tratta di cronografi studiati e realizzati per l’ambiente subacqueo, modelli curati nei minimi particolari,
eleganti e allo stesso tempo molto robusti.
Alessandro Bettarini è cresciuto professionalmente in una delle aziende di orologi più famose di Firenze, le Officine Panerai, che ha
intrattenuto da sempre intensi rapporti con la
Marina Militare. È qui che negli anni Ottanta
sperimenta e realizza nuove soluzioni, come
quelle adottate per un esemplare con la cassa
in titanio, vetro in zaffiro sintetico e quadrante
M
La storia
opodomani, finalmente, arriveranno le prime indicazioni
ufficiali. Per venerdì è infatti
atteso il comunicato dell’Istat sulle
forze lavoro nel primo trimestre del
2009. La fotografia della crisi, se non
nel suo culmine che dovrebbe aver
toccato tra aprile e maggio, quantomeno nel suo primo sviluppo. Il dato cumulativo dovrebbe indicare, in
coerenza con le cifre fornite lunedì
da Eurostat, un’occupazione in calo dello 0,3%, pari a circa 75mila
posti di lavoro "scomparsi". Non ci
sono ancora indicazioni, invece, sull’incremento del tasso di disoccupazione che, a dicembre 2008, era
già salito dal 6,6 al 7,1% e che probabilmente arriverà intorno all’8%.
Se le rilevazioni disegneranno effettivamente questo quadro si avrà la
conferma di una situazione molto
difficile e preoccupante certo, ma
non così drammatica come in altri
Paesi europei. La riprova che la strategia di "bloccare" a monte l’emorragia di occupati allargando il ricorso a cassa integrazione, riduzione d’orario e contratti di solidarietà
sarebbe stata efficace, almeno in
questa primo tempo della recessione. Importante però sarà anche poter analizzare quali tipologie di lavoratori – a tempo indeterminato o
a termine, interinali o collaboratori
– abbiano pagato finora il tributo
più alto alla crisi.
Il dibattito che si sta svolgendo sugli ammortizzatori sociali, infatti, rischia di essere da un lato meramente
teorico, dall’altro temporalmente
sfasato. Dopo la stima di 1,6 milioni di lavoratori potenzialmente senza protezione, indicata dal governatore della Banca d’Italia nelle considerazioni finali – e la frettolosa
"smentita" del presidente del Consiglio – altri studiosi hanno calcolato
come quella previsione vada considerata "ottimistica" e che gli esclusi dai benefici tradizionali e in deroga siano oltre i 2 milioni. Il nodo
però non è tanto stabilire se privo di
tutela sia – quando eventualmente
perdesse il lavoro – il 5, il 7 o il 9%
degli occupati, quanto stabilire una
linea d’azione per l’immediato, sulla base degli effettivi neo-disoccupati e avviare il confronto per il futuro. Nell’emergenza, appunto, lo
strumento della cassa integrazione
allargata a tutti i lavoratori dipendenti è apparso efficace, come pure
va riconosciuto al governo d’aver individuato alcune misure, per quanto parziali, a favore dei collaboratori in monocommittenza. Ciò che appare necessario – oltre che per equità
sociale anche per "convenienza" economica, come sostegno alla domanda interna – è però un ulteriore sforzo straordinario rivolto alla
generalità dei collaboratori, ai quali andrebbe garantito un sussidio in
percentuale rispetto ai contratti di
lavoro dello scorso anno non più
rinnovati. L’aver avuto più di un
committente in passato non è infatti garanzia né di continuità lavorativa oggi né di alti redditi coi quali sopperire ai periodi di "magra".
Così pure, particolare attenzione andrebbe prestata a quei lavoratori a
termine e precari di vario genere che
perderanno i loro contratti con la
pubblica amministrazione: sarebbe
paradossale se lo Stato, dopo averne utilizzato le professionalità, oltre
a privarli del lavoro li lasciasse anche senza alcuna tutela di reddito.
Dal prossimo anno occorrerà invece cominciare a costruire il nuovo
welfare basato sui due pilastri di cassa integrazione ordinaria e sussidio
di disoccupazione, entrambi generalizzati al massimo. E, aggiungiamo noi, sperimentare l’introduzione di un reddito minimo d’inserimento, sull’esempio di quello appena riformato in Francia. Solo che
per arrivare a questi risultati occorrerà dibattere anzitutto se il sistema
dovrà restare assicurativo (dopo aver versato una soglia minima di
contributi si ha diritto ai sussidi) o
in parte sganciato e finanziato dalla fiscalità generale. E soprattutto
indicare le risorse necessarie – si stima tra i 5 e i 10 miliardi di euro –
da reperire indicando le necessarie
contropartite di bilancio. Compresa l’eliminazione di alcune iper-tutele come le mobilità lunghe fino a
7 anni.
INFLAZIONE
+0,2%
luminoso. Mentre Luciano Nincheri è un esperto di sistemi elettrotecnici e progettista di
impianti nonché un profondo conoscitore dei
settori ad alta tecnologia nel nostro territorio.
«Ci occupiamo direttamente della progettazione e del montaggio – spiega Bettarini –. Per
la costruzione delle parti ci avvaliamo di fornitori esclusivamente italiani. L’unico componente non italiano è costituito dal movimento. Stiamo lavorando alla realizzazione di
un nostro movimento in modo che i nostri
orologi siano completamente fabbricati in Italia. Attualmente questo progetto procede
per motivi economici molto lentamente. Siamo fiduciosi che nel prossimo futuro possano tornare le condizioni per una sua accelerazione».
La clientela è costituita prevalentemente, se
non esclusivamente, da collezionisti di orologi. L’attività commerciale si svolge in tutto
il mondo con contatti attraverso internet. A ogni collezionista viene risposto individual-
mente. E i prezzi? «Il modello di minor costo
– continua l’artigiano – è il Tetrao, con movimento elettrico, il cui prezzo al pubblico è
540 euro. Questo orologio vuole celebrare il
corpo dei Bersaglieri. Tetrao Urogallus o Gallo Cedrone è l’uccello le cui penne ornano i
cappelli dei Bersaglieri. Il modello di maggior
costo è il Gigliato, in oro e brillanti, il cui prezzo al pubblico è 15.840. Questo orologio riproduce nel quadrante la moneta, coniata a
Prato e coeva del fiorino, chiamata comunemente "gigliato"». I clienti hanno anche l’opportunità di personalizzare i propri orologi.
La richiesta più comune è costituita da incisioni da eseguire sul fondello. Alcuni hanno
chiesto la firma dei due soci. La cosa più bizzarra è stata la richiesta di un orologio, con
movimento meccanico dotato di un minigeneratore elettrico per l’illuminazione a domanda del quadrante, adatto a funzionare a
bassissime temperature quali quelle delle zone artiche.
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ro stretti: una media di quattro mesi
e mezzo, con una leggera discesa rispetto ai cinque mesi calcolati in una precedente rilevazione. Infatti ben
il 73% dei laureati triennali trova lavoro entro sei mesi, per raggiungere
il 97,3% entro l’anno. Interessante
anche osservare che è soprattutto il
mondo del lavoro privato ad assorbire questa forza lavoro per oltre il
70%. Un posto in tempi rapidi, ma
anche con un contratto da dipendente per oltre il 60% del campione
analizzato. Un dato che si ricava dalla somma di coloro che in contratto
lo hanno a tempo indeterminato (il
33.1%) e quelli a tempo determinato (29,8%). Per il 12,9%, invece, si
tratta di assunzioni coordinate e continuative o a progetto. Accanto al
45% di laureati lavoratori, vi è un
11,4% di colleghi in cerca di impiego, mentre il 40,6% decide di proseguire gli studi. Una scelta fatta da coloro che frequentano, ad esempio,
architettura (63,5%), il settore chimico-farmaceutico (56,8%), quello
geo-biologico (71,7%), ingegneria
(75,6%), psicologico (56,2%) e
scientifico (51,8%). Tra chi prosegue,
l’indagine Stella evidenzia come siano soprattutto gli under 25 la parte
più consistente del gruppo, mentre
gli over 25 puntano decisamente a
un ingresso rapido nel mondo lavorativo.
Osservando la popolazione dei laureati specialistici o magistrali (cioè
coloro che dopo la triennale hanno
proseguito per altri due anni di studio) quasi tre su quattro hanno un
posto di lavoro a un anno dal conseguimento del titolo (il 74,8%) e con
una tempistica leggermente minore
rispetto ai colleghi della triennale
(4,1 mesi contro i 4,5 mesi del gruppo precedente). Le percentuali più elevate di occupati le riscontriamo nelle lauree che da sempre sono state
professionalizzanti e di durata almeno quinquennale, come ingegneria,
architettura e medicina (dove si tocca la percentuale record del 94,1% di
occupati). Ma tutti i gruppi disciplinari si collocano abbondantemente
sopra il 50% di occupati, che sono
per lo più nel privato (il 79,5% del
campione) e con una percentuale
complessiva leggermente inferiore ai
triennali per quanto riguarda il contratto da dipendente, mentre sono in
crescita quelli a progetto e anche il lavoro autonomo (che sfiora il 10%).
E i laureati a ciclo unico, cioè senza
divisione nel percorso? «La maggioranza di questi laureati si propone al
mercato del lavoro e nel 58,7% dei
casi lo trova a un anno dal titolo (ma
con un ingresso dopo sei mesi), mentre un 11,1% resta in cerca. Sono un
laureato su quattro prosegue ancora
gli studi. Per questa tipologia, l’indagine Stella evidenzia che si tratta di
lavoratori per il 30,2% con un contratto a tempo determinato e il 26,5%
autonomo.
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mercoledì 17 giugno 2009
L’ESTRATTO
Così vorrebbero insegnarci
a diventare dei «vincenti»
DI FRANCESCO
RICCARDI
L’ideologia
del
«A
èlavoro
Direttore responsabile
DINO BOFFO
Vicedirettori
Tiziano Resca - Marco Tarquinio
A cura di
Francesco Riccardi
(responsabile)
Maurizio Carucci
Comitato scientifico
Guido Baglioni,
Giuliano Cazzola,
Lorenzo Ornaghi,
Michele Tiraboschi
(coordinatore)
In collaborazione con: Adapt
Centro Studi Internazionali
e Comparati “Marco Biagi”
Università di Modena e Reggio Emilia
Progetto grafico
Aurelio Candido
Per contattarci:
[email protected]
Piazza Carbonari 3,
20125 Milano Tel. 02/6780.461
management
meno del primato
della persona. In
particolare nel
lavoro, attraverso il
quale l’uomo,
oltre a provvedere
al sostentamento,
dovrebbe poter
partecipare alla
creazione e alla
trasformazione del
mondo, affermare
la propria dignità
e, almeno potenzialmente, realizzare
se stesso, costruendo la propria
identità. Oggi, invece, avverte la
Marzano il «lavoro da mezzo diventa
fine, si presenta come il principale
traguardo per la realizzazione
personale, un concetto che va oltre la
dimensione professionale e include il
benessere della parte più intima del
sé. Il lavoro dà un senso alla vita: nel
lavoro e grazie al lavoro, potremo
acquistare dignità e valore».
L’individuo così «diventa schiavo della
sua attività e ogni altro spazio di
libertà gli viene precluso. Non si
lavora più per vivere, ma si vive per
lavorare». La nuova ideologia,
ancorata alla retorica manageriale,
finisce per «capovolgere l’ordine dei
valori e consacra l’impresa,
dispensatrice di lavoro, al rango di
"istituzione totale"».
l’intervista
lla violenza della vecchia
catena fordista si è
sostituita una violenza
psicologica». Di più: «Con il pretesto
di mettere la persona al centro, in
realtà i manager pretendono un
impegno incondizionato dai
lavoratori». Così che «il dominio della
manipolazione si sta estendendo
dall’azienda alla vita privata». E, alla
fine, la stessa persona rischia d’essere
"reificata", ridotta a "cosa" che perde
il proprio intrinseco valore e può –
anzi deve – realizzare la propria
dignità solo nel lavoro.
A cogliere questo «cambio di
paradigma» – e la pericolosa deriva
verso la quale paiono incamminati i
lavoratori dell’impresa moderna sulla
spinta delle invasive tecniche di
management – è Michela Marzano,
38enne filosofa italiana, laureata alla
Normale di Pisa, ma presto fuggita da
un destino precario nel nostro Paese.
"Rifugiata" in Francia, è diventata
professore associato all’Università di
Parigi (Descartes) e, di recente, Le
Nouvel Observateur l’ha inserita nella
lista dei 50 pensatori più influenti
d’Oltralpe. Chapeau! In questi giorni
arriva in libreria per i tipi della
Mondadori un suo nuovo saggio –
«Estensione del dominio della
manipolazione» – che si segnala sia
per le tesi sia per l’originalità del
"metodo": applicare l’analisi filosofica
alle tecniche del management,
rileggendo in chiave valoriale statuti
d’imprese, documenti sulla
responsabilità sociale, fino ai manuali
di auto-aiuto e alle guide di coaching,
altra attività oggi molto in voga.
Il cambiamento parte da lontano,
dalla società «individualista» nella
quale la libertà della persona si
manifesta in «un trittico di valori:
autenticità, volontarismo e
autonomia»: posso finalmente
diventare ciò che sono, autentico; ho i
mezzi materiali e tecnologici per
diventarlo, grazie alla mia volontà;
libero dai vecchi vincoli patriarcali e
morali posso determinare esattamente
ciò che desidero, in autonomia. Il
problema sorge quando si arriva alla
domanda «chi essere?» assai più
gravida di conseguenze del vecchio
«che fare?» di leniniana memoria. E,
più ancora, dall’assunto conseguente
– «volere è potere» – ormai ritenuto
incontrovertibile. Una vera e propria
ideologia, basata su un principio falso
e pericoloso, scrive Michela Marzano,
perché «nella vita di tutti i giorni
ostacoli oggettivi e vincoli personali»
impediscono alla maggioranza delle
persone di realizzare le proprie
ambizioni. Con l’aggravante che se ci
consideriamo liberi e con i mezzi per
diventare ciò che vogliamo – ma poi
non lo diventiamo – la colpa
sostanzialmente è solo nostra, il
fallimento è interamente del singolo.
Il lavoro, l’azienda e il management
sono gli ambiti nei quali questi nuovi
paradigmi hanno cominciato a
germogliare, si sono affermati e
stanno ora colonizzando l’intera vita
sociale, «estendendo il loro dominio»
appunto, dall’azienda alla vita privata,
in definitiva dal "fare" all’"essere".
In ciò sta la questione più
interessante, il rischio espresso da
tempo, in altri termini, anche dalla
dottrina sociale della Chiesa: il venir
Pubblichiamo, per gentile
concessione della casa editrice Mondadori, un brano delle conclusioni del libro «Estensione del dominio della
manipolazione» di Michela
Marzano (pag. 202, 18 euro) in libreria in questi giorni.
Un saggio della
filosofa Michela
Marzano analizza
«l’estensione
del dominio
della manipolazione»
dall’impresa
alla vita privata
Le nuove tecniche
manageriali
assoggettano i
lavoratori e finiscono
per influenzare anche
la sfera sociale
A prima vista si tratta di fenomeni
indagati a lungo durante il secolo
scorso prima dalla critica marxista poi
dalle elaborazioni di alcuni sociologi
contemporanei come Hannah Arendt
o Richard Sennet. La particolarità
dell’analisi svolta da Michela
Marzano sta però nel cogliere la
sovrapposizione tra ambito lavorativo
e vita privata: «Il management è
progressivamente diventato una
pratica del sociale, in grado di
forgiare, in tempi rapidissimi, una
precisa ideologia della società. Non è
un caso se il verbo "gestire" compare
in tutte le salse: ci viene insegnato
come gestire le relazioni coniugali, i
conflitti personali, la forma fisica, lo
stress... i manager, "imprenditori"
della propria vita, e i coach», le loro
controfigure, «sono i nuovi eroi e
profeti». La loro lingua, però, è
"biforcuta". «La maggior parte dei guru
del management elabora un discorso
manipolatorio: accattivante e
menzognero al tempo stesso...
chiedendo agli individui una cosa e il
suo contrario». Ad esempio: «L’azienda
propone o esige dai propri dipendenti
una sempre maggiore autonomia, ma
nel contempo fissa per loro obiettivi e
calendari che non possono essere
messi in discussione; i dipendenti si
possono considerare autonomi nella
misura in cui organizzano il lavoro
come meglio credono, ma devono
raggiungere i risultati previsti da altri,
nei tempi prefissati. L’autonomia di
cui si sta parlando, quindi, è pura
apparenza. Questa bella parola –
conclude il ragionamento la Marzano
– serve solo a uno scopo: rendere i
dipendenti totalmente responsabili
dei loro eventuali fallimenti». Eh già,
perché i manager saranno pure i nuovi
eroi, ma a differenza di un Ettore o di
un ammiraglio Nelson, quando la
battaglia economica infuria sono
pronti sì al sacrificio: dei loro
dipendenti, però.
on il pretesto di mettere l’uomo al centro
del lavoro e di favorirne la realizzazione, i nuovi
manager reclamano un impegno incondizionato dai
loro dipendenti. Con la
scusa di voler costruire
un’impresa dal volto umano
che favorisca la creatività,
stanno trasformando il «saper essere» in quella spada
di Damocle che è la valutazione dei lavoratori. Grazie
a una ormai collaudata retorica, riescono progressivamente a condizionare anche i loro spazi interiori.
La fine del taylorismo avrebbe dovuto coincidere
con la fine dei ritmi di lavoro infernali. Oggi, in modo, del tutto consenziente,
il lavoratore rimane a disposizione del suo datore
di lavoro ventiquattr’ore su
ventiquattro, tramite mail
o pc portatile. Alla violenza della vecchia catena fordista si è sostituita una violenza psicologica. Le argomentazioni del management cercano di nascondere questa dura realtà e di
convincere i lavoratori che
operano per il loro benessere, mentre in realtà non
fanno che obbedire alle leggi sempre più implacabili
del mercato. I lavoratori ne
subiscono le conseguenze,
ma sono esortati a credere
che il management cerca
solo la loro felicità.
Con modalità del tutto simili, e grazie alle ricette offerte da coach di ogni genere, gli individui sono
spinti a coltivare un «saper
fare» e un «saper essere»
persino nella vita privata.
Ennesima metamorfosi del
management contemporaneo, il coaching personale
dovrebbe consentire a ciascuno di trovare la sua ragion d’essere, grazie a qualche «concetto fondamentale» e a un certo numero di
formule da imparare a memoria e seguire poi per tutta la vita.
Ognuno può (e deve) imparare a gestire l’apparenza, modificando il proprio
comportamento, organizzando le proprie relazioni
ecc. Ognuno è imprenditore di se stesso e può diventare un winner. Volere è potere. Chi non riesce deve
prendersela solo con se
stesso. Peccato che, nella vita di tutti i giorni, ostacoli
oggettivi e vincoli soggettivi spesso impediscano a
molti di noi di entrare alla
C
PIER LUIGI CELLI (AD LUISS)
«Portare la vita nell’azienda, mai il contrario
Ma nelle nostre università non si insegna»
l modello manageriale è
funzionale – quando effettivamente funziona, poi –
solo nella gestione economica dell’impresa. Quando si pensa di esportarlo in altri ambiti della vita
sociale diventa potenzialmente
pericoloso. Semmai occorre il processo inverso: per fare bene il proprio mestiere, un manager dovrebbe portare dentro la gestione
d’azienda esperienze di vita diverse rispetto a quella professionale». Pier Luigi Celli, dirigente di
lungo corso dalla Rai all’Unicredit,
oggi amministratore delegato e direttore generale dell’università
Luiss di Roma, concorda con le tesi di fondo di Michela Marzano.
Cosa manca ai manager, in particolare a quelli italiani?
Di per sé il management italiano
è tutto concentrato sul far carriera, sul centrare alcuni obiettivi e risultati economici. Manca una visione allargata, più generale. Per-
«I
ciò sostengo che il manager dev’essere capace di declinare il proprio
mestiere guardando anche ad altro che non sia la mera preparazione tecnica, incorporare più emozione, passioni, saperi di relazione, socialità.
Eppure il management e il coaching stanno "dilagando" nella
società anche in ambiti non economici...
Per carità, quando sento dire che
per salvare la politica occorrono i
manager, mi vengono i brividi... Il
coaching poi è un’aberrazione: un
manager che deve ricorrervi farebbe bene a lasciare il posto. Dimostra che ha fatto carriera troppo velocemente, in maniera verticale sempre nello stesso ambito,
e ha bisogno di qualcuno che gli
spieghi il mondo perché lui non
l’ha conosciuto. Lo stesso vale nel
vivere sociale: a che servono gli
"allenatori personali"? A imparare a vivere?
Anche nel suo ultimo libro, dal
titolo caustico «Comandare è fottere» lei dà un ritratto davvero
desolante del management nel
nostro Paese...
L’intento del mio libro – scritto
non in maniera cinica, per quanto con un linguaggio assai forte –
era essenzialmente "pedagogico".
Dicevo: se volete rovinarvi la vita
fate carriera e fatela da manager
senza merito, come avviene in
moltissimi casi oggi.
Le università, compresa la sua,
dovrebbero però formare proprio i manager del domani, la
classe dirigente. Quale modello
si insegna?
L’università di per sé non insegna
agli studenti a essere dei futuri dirigenti. Quando funzionano bene, gli atenei trasmettono conoscenze tecniche, offrono strumenti di analisi. Ma "gestire" è un’altra cosa. Significa individuare gli
obiettivi, saper scegliere gli stru-
menti adatti, saper motivare, coinvolgere e condurre gli altri. È in
particolare nel rapporto con le persone che si misura la stoffa di un
manager, mentre le università insegnano al singolo e a far centro
su se stessi. Anche per colmare
questa "lacuna" nel nostro ateneo
cerchiamo di organizzare, a latere
della didattica, progetti di interazione, momenti di discussione,
perché bisogna imparare a confrontarsi, anche a litigare. Fra le
prime cose che un manager dovrà
imparare c’è come comportarsi
con le persone, come reggere il peso della responsabilità, dello stress.
E questo i professori all’univer-
corte dei grandi...
Hegel scrisse un giorno che
ognuno è «figlio del suo
tempo». E per questo che, al
giorno d’oggi, siamo tutti
più o meno manipolabili:
tutti vorremmo vedere le
nostre competenze arricchite; tutti subiamo il «fascino discreto» delle ricette
manageriali che promettono successo e felicità. Anche usando la ragione per
smascherare le menzogne
del linguaggio manageriale
e le paradossali ingiunzioni cui oggi siamo sottoposti, sarebbe un grave errore credere di poter sfuggire
facilmente alla trappola
che ci è stata tesa. Scoprire
una trappola non significa
evitarla. Tanto più che ognuno di noi desidera talmente che le promesse del
management e del coaching possano realizzarsi
che arriva a dar torto alla
ragione che lo avverte del
pericolo. Cercare di confutare i sofismi manageriali
non significa riuscire a sbarazzarsene completamente. Illudersi di poterlo fare
equivale a cadere nelle stesse storture del coaching,
convinto che è sempre possibile «riprogrammare i cervelli». Per cavarsela basta
conoscere la giusta ricetta.
Volere è potere...
Puntare il dito sulle ambiguità del discorso manageriale e denunciarne la manipolazione non è comunque un vuoto esercizio di
stile. Le parole hanno un
senso, sono un’arma. «Le
parole» scriveva Victor Klemperer «assomigliano a
piccole dosi d’arsenico: le
assumiamo senza curarcene, sembrano del tutto innocue, ed ecco che dopo
qualche tempo il loro effetto tossico si fa sentire».
Onde evitare dunque che la
dose di veleno assunto oggi, nella vita professionale
e in quella privata, diventi
letale, è necessario mettere
ordine, dare un nome al disagio che proviamo di fronte ai discorsi dominanti che
ci circondano e che a volte
nemmeno riusciamo a capire. Occorre ricordare, per
esempio, che non siamo gli
unici responsabili dei nostri successi o della nostra
felicità; che non possiamo
pretendere di gestire o controllare ogni cosa; che non
possiamo volere tutto e il
contrario di tutto.
Non si tratta di negare la
possibilità di cambiare le
cose, nella nostra vita e nel
mondo; si tratta piuttosto
di sapere, come suggerisce
un’antica massima stoica,
che vi sono cose che possiamo cambiare e altre che
non possiamo cambiare.
Saggezza è saper distinguere.
Michela Marzano
sità non possono insegnarlo...
Senza offesa, ma i professori universitari per la gran parte non sanno nulla del lavoro e dell’impresa. In realtà ciò che sarebbe necessario per far "crescere" bene un
manager – ma vale in generale –
è avere un "maestro", una persona che si prende cura di te, che
non solo ti trasmette conoscenze
e competenze, ma investe il suo
tempo con te, per "allevarti". Questo capita, qualche rara volta, nelle aziende, nelle università è molto difficile con la generalità degli
studenti.
Michela Marzano sottolinea la
deriva del lavoro divenuto totalizzante, un fine.
Viviamo in una società che ha sovrabbondanza di mezzi e scarsità
di fini, e allora siamo portati a trasformare in fine ciò che sarebbe
solo un mezzo. In realtà, se non
si aggancia qualsiasi attività a una
finalità più generale, in un circuito di relazioni sociali, in un orizzonte di valori siano essi religiosi
o laici, se ne perde il senso ultimo
più profondo e si rischiano distorsioni. È purtroppo il frutto di
una logica frantumata della comunità.
Francesco Riccardi
mercoledì 17 giugno 2009
3
Aziende, partiti,
associazioni,
istituzioni private
e amministrazioni
pubbliche hanno
un forte bisogno
di trasmettere
all’esterno
messaggi
e informazioni
sulle proprie
iniziative e attività
Per questo
è necessario
affidarsi agli
addetti stampa,
una sorta di
«diplomatico»
e «promotore»
allo stesso tempo
ORSINI (ENEL)
«Le prospettive sono positive
L’attenzione è in crescita»
G
erardo Orsini la
professione la conosce
bene. Già giornalista a
Repubblica e al Sole 24 Ore, ha
lavorato alla Montedison e
dal 2002 è responsabile delle
relazioni con i media
dell’Enel. «La mia vita
lavorativa è divisa in due
parti: per 20 anni ho fatto il
giornalista e da quasi 20 mi
occupo di uffici stampa».
L’ideale, no?
Direi di sì. Aver fatto il
giornalista per tanti anni è
stato davvero utile. Per un
addetto stampa è molto
importante avere alle spalle
un’esperienza di questo tipo.
Perché?
Per tanti motivi. Intanto
facendo il giornalista impari a
scrivere, a capire cosa fa
notizia e cosa no. E poi hai
modo di conoscere dal di
dentro come funziona una
redazione, le gerarchie, quali
meccanismi la guidano, i
tempi di lavorazione, i criteri
di scelta dei pezzi. Tutti
aspetti importantissimi che,
per esempio, ti aiutano a
decidere come preparare un
comunicato stampa, cosa
mettere in evidenza, a che ora
e a chi inviarlo.
C’è poi l’aspetto delle relazioni.
Certo. La mia esperienza
giornalistica mi ha consentito
di allacciare contatti e creare
rapporti che mi sono serviti
quando sono passato
dall’altra parte, quella degli
uffici stampa. L’addetto
stampa è una persona, non
una voce al telefono o una email.
Quali requisiti deve avere un
addetto stampa che aspira a
lavorare per l’Enel?
Normalmente cerchiamo
persone con una buona
formazione specialistica e una
solida tecnica di base, che
hanno frequentato una scuola
È un ruolo delicato.
Sì, la comunicazione è un
fattore strategico per
un’organizzazione. L’addetto
stampa deve essere sempre
informato, deve tenersi
aggiornato su tutto, deve saper
far fronte anche a eventuali
momenti critici. Deve avere
buoni doti di diplomazia e
persuasione.
Come valuta gli sbocchi professionali per questa figura?
Direi che le prospettive sono
positive, anche se in tempi di
crisi le aziende, invece di
rafforzarli, tendono a tagliare i
budget destinati alla
comunicazione. Non è il caso
dell’Enel per fortuna. A ogni
modo mi pare che l’attenzione
per questi aspetti sia
decisamente in crescita.
Mauro Cereda
di giornalismo e/o hanno
maturato esperienze
professionali in una o più
redazioni o in altri uffici
stampa. Persone motivate,
curiose, dotate di capacità
relazionali, flessibili,
disponibili a viaggiare.
Questo non è un lavoro di
routine. Inoltre, per una
società internazionale come la
nostra, è indispensabile la
conoscenza dell’inglese.
Che mestiere è quello dell’addetto stampa?
È un mestiere bellissimo, che
può darti tante soddisfazioni.
Ma è anche un’attività
stressante, soprattutto perché
la bontà del tuo lavoro è
facilmente misurabile e
valutabile. Il risultato lo vedi
subito nella rassegna stampa
del giorno dopo.
la professione
DI
MAURO CEREDA
l giorno d’oggi la
comunicazione è un
fattore sempre più
importante, strategico. In ogni
ambito: imprese, partiti,
istituzioni, enti locali,
associazioni, sindacati… hanno
tutti, chi più chi meno,
l’esigenza di trasmettere
all’esterno messaggi e
informazioni che riguardano i
propri prodotti, progetti,
provvedimenti, le proprie
attività, iniziative, idee. In genere
a svolgere questo compito è una
struttura particolare: l’ufficio
stampa. Quasi tutte le grandi
organizzazioni (ma anche molte
tra quelle medie e piccole),
pubbliche e private, ne hanno
uno al proprio interno. E chi
non ce l’ha – o ha bisogno di
comunicare solo in determinate
occasioni e circostanze – può
sempre affidarsi a una delle
numerose agenzie specializzate
presenti sul mercato, che offrono
questo tipo di servizi. «Questa
professione – spiega Piergiorgio
Corbia, vicepresidente del Gus,
il Gruppo giornalisti uffici
stampa in seno alla Fnsi, il
sindacato unitario dei giornalisti
– apre notevoli prospettive in
termini di occupazione. Le
aziende e le amministrazioni
pubbliche, per esempio, hanno
un forte bisogno di comunicare
e veicolare informazioni al
proprio pubblico e, quindi,
necessitano di persone
competenti e qualificate a cui
affidare questo incarico. Ci tengo
a sottolineare questo aspetto
della preparazione, perché non
ci si improvvisa addetti stampa».
L’addetto stampa è una sorta di
"promotore" e di "diplomatico"
insieme. Ai diversi livelli di
responsabilità (gli uffici stampa
più grandi sono di solito guidati
da un capo ufficio stampa, che
coordina il lavoro di un certo
numero di collaboratori), esso è
il gestore della comunicazione
verso l’esterno: clienti, elettori,
utenti, consumatori... (per la
verità molti uffici stampa curano
anche la comunicazione verso
l’interno, per esempio tramite la
realizzazione del cosiddetto
house organ: nel caso di
un’azienda, il periodico che
viene distribuito ai dipendenti).
la formazione
A
Il comunicatore
Per assolvere al meglio la sua
funzione si avvale di diversi
strumenti: comunicati,
conferenze stampa, newsletter, il
sito internet, l’organizzazione di
convegni... Attraverso essi
l’addetto stampa trasmette ai
giornalisti (della carta stampata,
delle agenzie, delle tv, delle
radio, del web) le informazioni
che il suo "datore di lavoro"
intende fare arrivare al
destinatario finale, ovvero il suo
"pubblico". «Il ruolo
dell’addetto stampa – nota
Mauro De Vincentiis, autore
del volume Teoria e pratica degli
uffici stampa – è importante e
delicato, perché riguarda un
ambito strategico come la
comunicazione. In questo
contesto è fondamentale la
professionalità. A mio giudizio
un bravo addetto stampa deve
essere prima di tutto un bravo
giornalista. L’esperienza
maturata in una redazione è
utile perché insegna a scrivere e
consente di capire e conoscere
Oltre a saper scrivere
è importante
padroneggiare
le nuove tecnologie
multimediali, avere il
senso della notizia,
conoscere l’ambiente
giornalistico, possedere
una buona cultura
generale, saper parlare
almeno l’inglese
dal di dentro la realtà dei mass
media, cioè degli interlocutori
degli addetti stampa». Il
messaggio, ormai, sembra
passato. Oggi la maggioranza
degli addetti stampa è composta
da giornalisti iscritti all’Ordine
professionale, quindi da persone
preparate. Anzi, per chi lavora in
un ufficio stampa di un ente
pubblico, in virtù di una legge
approvata nel 2000 (n. 150),
l’iscrizione all’Ordine è
obbligatoria. La stessa norma
stabilisce, inoltre, che il capo
ufficio stampa deve essere
laureato. «Ci abbiamo messo
tanti anni per fare approvare
questa legge – osserva Corbia – e
finalmente ce l’abbiamo fatta.
Adesso vorremmo riuscire a far
passare questo principio anche
nel settore privato, dove ci sono
realtà, non è ovviamente il caso
delle grandi aziende, che si
affidano ancora a persone non
qualificate. La professionalità è
troppo importante. A chi vuol
intraprendere questo mestiere
Serve un mix di competenze ed esperienze
T
eoria e pratica. Il
mestiere dell’addetto
stampa richiede un
mix di competenze e di
esperienze che si
acquisiscono sul campo
e sui banchi. Nelle
redazioni e nelle scuole
di giornalismo. In Italia
le scuole riconosciute
dall’Ordine sono 21. Per
essere ammessi bisogna
avere una laurea
triennale. Durano due
anni e al termine
abilitano i partecipanti a
sostenere l’esame di
Stato per diventare
giornalisti professionisti
(l’Albo professionale è
diviso in due elenchi:
professionisti e
pubblicisti. Si può
accedere all’esame di
Stato per diventare
professionisti anche
facendo 18 mesi di
praticantato presso una
redazione, mentre per
Molte abilità
si acquisiscono
sul campo
e sui banchi,
nelle redazioni
e nelle scuole
di giornalismo
Necessaria, però,
l’iscrizione
all’Ordine
dei giornalisti
ottenere il tesserino di
pubblicista basta
dimostrare di avere
collaborato
continuativamente, e
dietro retribuzione, per
due anni per una o più
testate giornalistiche).
«Le scuole di giornalismo
– osserva Laura Silvia
Battaglia, tutor della
Scuola di giornalismo
dell’Università Cattolica
di Milano
(www.unicatt.it/almed)
– sono un bacino di
reclutamento per questa
figura, anche se non si
rivolgono
specificamente ad essa.
Noi formiamo persone
che vogliono diventare
giornalisti professionisti,
ma gli uffici stampa
costituiscono uno degli
sbocchi professionali
possibili. Diversi nostri
iscritti sono andati a
lavorare in realtà di
questo tipo. Nell’ambito
del corso, al secondo
anno, c’è un
insegnamento di 12 ore
intitolato proprio
Organizzazione e
gestione degli uffici
stampa, all’interno del
quale si spiegano gli
strumenti utilizzati nella
comunicazione
aziendale». Oltre alle
scuole di giornalismo,
sul territorio esistono
anche dei moduli
formativi specifici e di
durata più breve. È il
caso, per esempio, del
corso di specializzazione
Comunicazione per gli
addetti degli uffici
stampa, proposto dalla
Scuola di comunicazione
dell’Università Uilm
(www.scuolacomunicazi
oneiulm.it), sempre di
Milano. «Il nostro corso
– spiega il coordinatore
didattico, Mauro
Pecchenino – dura 32
ore. Le lezioni si
tengono al venerdì, tutto
il giorno, e al sabato
mattina. Ci rivolgiamo a
chi vuole intraprendere
la professione e a chi ha
già delle esperienze, ma
desidera perfezionarsi o
confrontarsi con chi
opera in questo mondo.
I moduli hanno un
taglio molto pratico. I
consiglio di seguire due strade,
che possono intrecciarsi:
iscriversi a una scuola di
giornalismo o a un master e fare
la gavetta in qualche giornale.
Vanno benissimo anche i
quotidiani e i settimanali locali,
che sono una grande palestra di
giornalismo». Ma come si vive e
lavora in un ufficio stampa?
Quali competenze debbono
possedere le persone che vi
operano? «Innanzitutto è
necessario saper scrivere – chiosa
De Vincentiis –, quindi bisogna
padroneggiare le nuove
tecnologie multimediali, avere il
senso della notizia, conoscere
l’ambiente giornalistico e i suoi
meccanismi, possedere una
buona cultura generale, saper
parlare almeno l’inglese, avere
buone doti relazionali. Un bravo
addetto stampa sa tutto, o quasi,
della realtà in cui opera, è in
contatto con i vertici, è rapido a
intervenire, flessibile. Conosce le
regole deontologiche ed è
credibile. Chi fa questo mestiere
partecipanti hanno
l’opportunità di fare
esercitazioni su casi reali
e di ascoltare le
testimonianze dei
responsabili degli uffici
stampa di grandi
aziende che
intervengono come
ospiti-docenti.
L’interesse verso questo
mestiere è notevole, ma
è fondamentale
acquisire le competenze
necessarie per svolgerlo
al meglio». A livello
universitario (laurea
triennale) non esistono
corsi dedicati. In genere
chi intende
intraprendere questa
attività viene da una
laurea in materie
umanistiche o in scienze
della comunicazione. Ma
ci sono anche laureati in
scienze politiche, lingue,
economia e altri corsi.
(M.Cer.)
!
non deve guardare troppo
l’orologio e deve metterci
passione. Se poi si ambisce a
diventare capi uffici stampa
bisogna avere anche capacità
gestionali e di coordinamento». I
compiti di un addetto stampa
variano anche in funzione del
tipo di organizzazione nella
quale lavora (non è lo stesso
occuparsi della comunicazione
per un’azienda, un Comune o
un’associazione) e anche delle
sue dimensioni. Chi opera nelle
realtà più piccole deve saper fare
un po’ di tutto (dalla
preparazione di una conferenza
stampa alla realizzazione di una
campagna promozionale, dalla
redazione di un comunicato alla
gestione del sito internet). La
maggior parte degli addetti
stampa è inquadrata con dei
contratti aziendali, pochi hanno
il contratto giornalistico. Nelle
fasi iniziali o in certi ambiti è
frequente il ricorso a rapporti di
lavoro a tempo determinato o a
contratti di collaborazione.
da sapere
● Info libri e web
Sulla figura dell’addetto stampa esiste una discreta
pubblicistica. Tra i diversi titoli si possono segnalare
Organizzare l’ufficio stampa di Sergio Veneziani (Il Sole
24 Ore), Teoria e pratica degli uffici stampa di Mauro
De Vincentiis (FrancoAngeli), Che cos’è un ufficio
stampa di Paolo Stringa (Carocci), Uffici stampa di
Vieri Poggiali (Centro di documentazione giornalistica), Addetto stampa, professionista della comunicazione
di Gino Falleri (Centro di documentazione giornalistica). Interessante, anche se rivolto a un ambito particolare, Fare notizia con il non profit di Antonella Galli
e Silvia Nidasio (FrancoAngeli). Maggiori informazioni sui siti: www.odg.it
www.gus-giornalistiufficistampa.it
● Identikit
«L’ufficio stampa – si legge nel volume Jobbing di
Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa (Sperling &
Kupfer), che mette in fila le 100 professioni più
richieste del momento – gestisce i rapporti tra
un’azienda/agenzia e i media per tutto ciò che attiene
alla comunicazione istituzionale dei propri prodotti.
Il suo obiettivo, quindi, è garantire la massima
divulgazione/copertura possibile di uno specifico
concetto o contenuto facendo leva sul
coinvolgimento indiretto (e-mail, inviti, newsletter) e
sul convincimento diretto (telefonate, invio di
gadget, anteprime riservate…)».
mercoledì 17 giugno 2009
4
GENOVA In 100
nell’alberghiero
ARTICOLO 1 Opportunità
tra Roma, Napoli e Palermo
RANDSTAD
Agenti vendita
A
A
andstad Italia seleziona agenti
monomandatari per una società
di servizi nel campo dell’editoria e della pubblicità. I candidati devono essere diplomati, neolaureati o universitari almeno al terzo anno.
Previsto un percorso di formazione e
training on the job. Si offre un contratto
di agenzia monomandatario, un sistema provvigionale con incentivi, premi
e rimborsi spese per i primi mesi di attività. Le posizioni da ricoprire interessano tutte le province delle seguenti regioni: Umbria, Marche, Friuli Venezia
Giulia, provincia di Novara e di Brescia. I cv devono essere inviati a: [email protected] indicando
nell’oggetto il riferimento SP e la provincia di interesse oppure rivolgendosi alla filiale Randstad più vicina
(www.randstad.it).
rticolo 1 e UnoEffe
Formazione organizzano a
Napoli un corso di
formazione gratuito di 160 ore
per formare addetti alla gestione
del telemarketing e assistenti
informatici/amministrativi. Il
corso, di 86 ore di teoria e 74 di
pratica, è aperto per 20
partecipanti, inizia il 29 giugno,
dura tre settimane con orario, dal
lunedì al venerdì, dalle 9 alle 13 e
dalle 14 alle 18. I moduli del
corso sono i seguenti: normative
sulla sicurezza e diritti e doveri
dei lavoratori; lavoro in azienda
in rispetto della sanificazione
degli ambienti; tecniche di
comunicazione; tecniche di
segreteria; il telemarketing per
prodotti e servizi aziendali;
G
Le offerte
NAPOLI Formazione gratuita
con possibilità di assunzione
i Group ricerca 100 operatori
nel settore alberghiero tra facchini ai piani, commis di sala,
personale di cucina, camerieri ai piani, personale di fatica.
È preferibile aver maturato una pregressa esperienza nel settore. Si richiede disponibilità a tempo pieno e
parziale e a turni eventuali notturni
e festivi. Sede di lavoro: hotel ed esercizi di Genova e della riviera ligure. Durata del contratto: un mese più
eventuali proroghe.
Per candidarsi: Gi Group spa – Filiale di Genova – Via XII Ottobre,
186 Rosso – 16121 Genova
Tel.: 010564096 – Fax: 010541286
E-mail: [email protected].
gestione della segreteria
attraverso l’utilizzo di prodotti
informatici; gestione dei rapporti
amministrativi con clienti
stranieri. Al termine del corso ci
saranno concrete possibilità di
assunzioni presso aziende del
settore. Tutti coloro che sono
interessati ambosessi (L.903/77)
possono inviare il proprio
curriculum vitae con
l’autorizzazione al trattamento
dei dati personali (d.lgs
196/2003) ad:
Articolo 1
Via G. Porzio, 4 Isola G1
Centro Direzionale
80143 Napoli
Tel.: 08119562800
Fax: 08119562804
E-mail: [email protected].
ma.
Per un’azienda del settore delle telecomunicazioni, invece, si ricercano laureati in Ingegneria elettronica o
diplomati in Elettronica appartenenti alle categorie
protette. Sede di lavoro: Napoli.
Si selezionano anche addetti al customer care appartenenti alle categorie protette. È necessaria la residenza
a Napoli.
Si ricercano anche impiegati appartenenti alle categorie protette. Anche in questo caso è indispensabile
risiedere a Napoli.
Infine, per l’organico interno di Articolo 1, si seleziona un branch manager. Sede di lavoro: Palermo.
Gli interessati, ambosessi (L.903/77), possono inviare
il proprio cv, con autorizzazione al trattamento dei dati (Dlgs 196/03) via fax o via e-mail ad:
Articolo 1 spa – Divisione Permanent
E-mail: [email protected].
BRESCIA
«Didattica
in fabbrica»:
si replica
Borse
di studio
P
CORSO DI PROGETTAZIONE
DEGLI SPAZI ESTERNI
un e Poli.Design formano i
nuovi professionisti della
progettazione degli spazi esterni. Sun, il Salone internazionale dell’esterno, offre dieci borse
di studio del valore di 3mila euro
l’una a copertura completa alla terza edizione del corso Outdoor experience design – Progettare e arredare
gli spazi esterni privati e pubblici, che
si svolgerà dal 6 al 24 luglio 2009
(1.200 ore), presso il Poli.Design
al Campus Bovisa di Milano.
La trasformazione del modo di
concepire e vivere gli spazi esterni,
come i terrazzi e i giardini, infatti,
richiede ad architetti e designer
nuove competenze professionali e
una differente visione del settore.
La selezione è effettuata dal Poli.Design in base a titoli di studio,
esperienza e motivazione. Gli interessati dovranno inviare il cv a:
[email protected] entro il 30 giugno 2009. Info:
www.sungiosun.it; www.poli-design.it; www.outdoorexeperiencedesign.it.
(E.Cav.)
S
DI
MAURIZIO CARUCCI
ono ancora aperte le iscrizioni alla seconda edizione del Mim, Master
in international management, la
laurea magistrale attivata dalla
Facoltà di Economia dell’Università di Trento, che permette
a 20 studenti di sviluppare capacità manageriali, analitiche
e di maturare un’ampia conoscenza dei mercati internazionali e delle loro regole. Il programma, di durata biennale e
a tempo pieno, è interamente
in lingua inglese e offre numerose possibilità di apprendimento: durante il percorso gli
studenti analizzano casi pratici
in aula, affrontano tematiche
in gruppi di studio e hanno
l’opportunità di svolgere uno
S
Manager
da esportazione
stagetra il primo e il secondo
anno. Questa formula sembra
allettare non soltanto gli studenti in economia, ma anche
ingegneri e informatici (circa
un terzo del totale degli iscritti
nella prima edizione) che si iscrivono per aggiungere una
componente manageriale e internazionale alla loro formazione. «Il Mim – spiega Paolo
Collini, preside della Facoltà
di Economia – è a tutti gli effetti un master. Siamo tra i pochi in Italia, anche in base all’accordo di Bologna, ad aver
adottato uno schema didattico
di stampo europeo. Nella scorsa edizione abbiamo ricevuto
circa 80 domande da tutto il
mondo. Gli iscritti, oltre che
dall’Italia, provenivano da 11
Paesi. Tra questi: Cina, Paki-
stan, Turchia, ma anche Europa dell’Est e America del Sud».
Finora per frequentare un master di questo tipo occorreva
andare negli Stati Uniti o accollarsi le notevoli spese di un
percorso formativo universitario privato. Oggi, invece, per la
prima volta, è possibile mettere a frutto le proprie capacità
in campo economico e finanziario in un’Università pubblica italiana. L’attività didattica
durante l’intero programma
consiste in lezioni frontali, attività d’aula, studio individuale e di gruppo. Le materie di
insegnamento variano dal general management, marketing
internazionale, comportamento organizzativo, strategia aziendale internazionale, alla fi-
nanza aziendale internazionale; dall’economia internazionale e industriale al diritto
commerciale internazionale e
della concorrenza. Sono previsti corsi per rendere omogenea
la preparazione degli studenti
che provengono da diversi percorsi formativi. Possibili sbocchi professionali, invece, sono
individuabili nelle posizioni
di general manager o manager
operativo, analista di gestione
o consulente gestionale. Al
tempo stesso il Mim fornisce
conoscenze specifiche per condurre o migliorare la propria
attività o per avviarne una. La
selezione avviene sulla base
dei risultati accademici ed eventualmente sull’esperienza
professionale già acquisita. Requisiti minimi per poter effet-
Sportello patronato Inas
IL SUSSIDIO PER IL CO.CO.CO
CHE PERDE IL LAVORO
sionale, disponibilità che è propedeutica per avere diritto alla prestazione.
er i lavoratori co.co.co che perdono il lavoro è attivo, in via sperimentale, uno speciale ammortizzatore sociale per il triennio 2009-2011, previsto
nel quadro delle misure anticrisi. Chi è diventato disoccupato entro il 30 maggio scorso ha tempo fino al 30
giugno per presentare la richiesta alla sede territoriale
Inps competente; se l’inizio della disoccupazione data
dal 31 maggio in poi, la domanda va inoltrata entro 30
giorni da quel giorno. Per accedere a questa prestazione
è necessario essere in possesso di alcuni requisiti. Per
quanto riguarda reddito e contribuzione, il primo deve essere
stato – con riferimento al 2008
– compreso tra i 5mila e i
13.819 euro, l’accredito contributivo di almeno tre mesi nell’anno in cui il rapporto di lavoro
si è interrotto e fra tre e dieci
mesi nell’anno precedente. Inoltre, il lavoratore deve aver prestato la propria collaborazione a un unico committente
ed essere iscritto in via esclusiva alla gestione separata
dell’Inps. Quanto all’ammontare, per il 2009 il sussidio
(una tantum) è pari al 20% del reddito percepito nel
2008, mentre per il 2010 e il 2011 sarà il 10% del medesimo reddito. La domanda da presentare all’Inps include una dichiarazione di disponibilità immediata al
lavoro oppure a un percorso di riqualificazione profes-
Danno biologico: aumenta il valore del’indennizzo Inail. A decorrere dal 1° gennaio 2008, in attesa dell’introduzione del meccanismo di rivalutazione automatica del danno biologico, il ministero del Lavoro ha emanato un decreto con il quale rivaluta l’indennità per danno biologico, corrisposta dall’Inail, in misura pari
all’8,68%. Si tratta di un aumento straordinario, deciso
in base alla finanziaria del 2007, per adeguare il valore
del risarcimento all’aumento del costo della vita tra il 2000
e il 2007. Il danno biologico è definito come la "lesione
all’integrità psicofisica della persona suscettibile di valutazione
medico-legale". Dal 2000 è coperto dall’assicurazione obbligatoria, e il relativo indennizzo ha
operato in via sperimentale in
attesa di ulteriore definizione
normativa. L’aumento previsto
dal decreto si applica agli indennizzi in capitale e ai ratei di
rendita maturati a decorrere dal 1° gennaio 2008.
P
R
rticolo 1 seleziona operatori telefonici appartenenti alle categorie protette per un società operante nel settore assicurativo. Sede di lavoro: Ro-
Per la consulenza e l’assistenza necessarie, ci si può
recare presso la più vicina sede dell’Inas Cisl (gli indirizzi si trovano su www.inas.it, oppure chiamando il numero verde 800249307): ricordiamo che la
consulenza offerta dall’Inas è assolutamente gratuita.
tuare la domanda sono: una
laurea di primo livello e la conoscenza certificata dell’inglese. Infine, oltre al curriculum vitae e a una lettera di motivazione, sono richieste due lettere di referenza. La tassa di iscrizione annuale per il corso
di laurea è di 10mila euro per
gli studenti extraeuropei, mentre per gli studenti comunitari
può raggiungere i 2.700 euro
(la tassa può variare secondo il
reddito familiare). Gli studenti
possono richiedere le borse
dell’Opera universitaria che
sono assegnate sulla base del
reddito. Vi sono inoltre diverse
possibilità di finanziare il proprio studio tramite mutui agevolati. Per maggiori informazioni: www.mim.unitn.it;
[email protected].
er otto settimane, una al mese
da ottobre 2008 a maggio
2009, i 28 ragazzi dell’Istituto
tecnico industriale "Luigi Galvani"
di Brescia hanno varcato i cancelli
dello stabilimento Metra – un
Gruppo fondato nel 1962 da quattro
famiglie e che rappresenta uno dei
primi poli produttivi per quanto
riguarda l’estrusione dell’alluminio –
di Rodengo Saiano (sempre nel
Bresciano) per l’apprendistato in
fabbrica affiancati da un tutor. Gli
studenti delle diverse classi hanno
seguito un percorso formativo
teorico-pratico differenziato, messo
a punto dalla scuola e dall’azienda:
quelli di III hanno approfondito la
conoscenza del ciclo produttivo
nelle varie aree dedicate,
dall’approvvigionamento delle
materie prime alla spedizione dei
prodotti; gli studenti di IV e V,
invece, dalla preliminare fase di
acquisizione delle competenze sono
passati allo sviluppo di specifici
progetti sempre con l’affiancamento
di tutor o personale specializzato. Gli
allievi che hanno partecipato alla
sperimentazione del progetto,
avviato quest’anno, ma
programmato fino all’anno
scolastico 2010-2011, sulla base della
selezione operata da un’apposita
commissione, appartenevano agli
indirizzi di Meccanica, Elettrotecnica
e Informatica. «Già dal prossimo
anno – ha sottolineato Bruno
Bertoli, presidente del Gruppo
Metra – metteremo in campo un
programma di formazione dei
formatori, coinvolgendo persone
qualificate, per poter colmare il
divario sul trasferimento di
competenze fra addetti ai lavori e
studenti, che abbiamo riscontrato in
questo primo anno di
sperimentazione». Il progetto
Didattica in fabbrica ha utilizzato il
20% del monte ore annuo per
introdurre nel piano di studi
curriculare materie e argomenti
importanti per la formazione degli
allievi anche dal punto di vista
lavorativo. Soprattutto ha
organizzato il piano didatticoformativo inserendosi nella reale
produzione di un’azienda.
(M.Car.)
Roma, apre la Scuola del sociale
A ottobre previste le prime lezioni
DI
F
PAOLA SIMONETTI
lessibile, aperta, fondata al di là di qualsiasi
schema di formazione professionale classico.
La prima Scuola del sociale d’Italia, inaugurata nei giorni scorsi dalla Provincia di Roma, aprirà
i battenti a ottobre prossimo, sulla via Cassia, nella Capitale, sfruttando una struttura rimessa a nuovo su due piani, dotati di tre aule lezione con sistema audio-video a proiezione e schermi a scomparsa e sale riunioni. Del tutto innovativo il programma sul tema: «Corsi brevi e in continua evoluzione, in base alle richieste esterne e del cambiamento dello scenario – ha spiegato il direttore della
struttura, Giulio Marcon –, vedranno attività formative inerenti il mondo del sociale, del volontariato e della cooperazione, con la valorizzazione di
figure normalmente assenti dai percorsi formativi.
Non solo operatori socio-sanitari dunque, ma anche coloro che sono coinvolti, per esempio, nella
comunicazione di settore, la finanza etica o il
commercio equo e solidale. È la prima esperienza
di questo genere rivolta non solo a chi già lavora,
ma ad ampio raggio d’azione: ai lavoratori del socio-sanitario, ma anche ai dipendenti e soci del
terzo settore, agli assistenti domiciliari, agli educatori, ai manager del sociale. L’intento è di non lasciare fuori nessuna voce del Terzo settore». La
Scuola si propone di divenire anche punto di riferimento per dibattiti, incontro pubblici, presentazioni di libri, seminari e tavole rotonde. «Vogliamo
che il flusso di idee sia a due sensi: dalla scuola
verso l’esterno e viceversa. Nessuna gestione paludata o rigida. Quel che ci interessa è fare formazione cambiando anche la cultura "burocratico centrica" che spesso il sociale ha in Italia», ha aggiunto
il direttore. Finanziata dal Fondo sociale europeo e
incardinata nel sistema dei Centri di formazione
della Provincia di Roma, la struttura pubblica viene considerata una vittoria per l’assessorato competente: «Il Terzo settore è una ricchezza per il nostro territorio, sul quale si è instaurato un modello
positivo sul fronte degli interventi che prevede il
partenariato tra pubblico e privato-sociale», ha dichiarato l’assessore provinciale alle Politiche sociali Claudio Cecchini. Un centro di cultura che,
secondo il presidente della Provincia d Roma, Zingaretti, sarà un cardine fondamentale anche per la
diffusione di un terzo settore che possa migliorare
la qualità di vita dei cittadini. La Scuola, sarà affiancata da un "comitato tecnico-scientifico" composto da esponenti del settore, del mondo universitario, di quello dell’impresa e sindacale, con
compiti consultivi e propositivi rispetto alle attività accademiche. Per maggiori informazioni e richieste: [email protected].