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Diario di mamma
Confessioni inconfessabili…
24 settembre
Non poggiavo penna sulle pagine di questo diario da circa dodici giorni, quando tornai a casa con il
brivido di un incidente sfiorato sullo stradone che collega il paese con la città. Dio solo sa quanti
suoi santi ho maledetto per colpa di una vecchia Golf che non stava rispettando la precedenza ed era
venuta a scheggiare la mia fiancata, che filava dritta a settanta chilometri orari circa. Sbrinai quel
brivido mettendo nero su bianco, come sono solita fare. Oggi invece ho intenzione di mettere su
carta i miei dubbi, le mie preoccupazioni, nate dalla vista di mio figlio Francesco al suo ritorno da
scuola. Ogni giorno torna in pullman, da solo, visto che nel quartiere solo lui frequenta
quell’istituto. Non so come descrivere la sua faccia, appesa nello stagnante odore dell’uscio di casa
nostra: bianca come il gesso. Le sue labbra non riuscivano a star ferme, tremavano come se stessero
nude nella neve, e le arterie color sangue nei suoi occhi erano più accese che mai.
Gli ho chiesto cos’è che avesse, ma mi ha risposto con un “non mi sono sentito bene.” Ha pranzato
contro voglia, e tutto il pomeriggio è stato in camera sua, forse avrà cercato di studiare o avrà visto
un po’ di televisione.
Neppure prima, a ora di cena, ha mangiato parecchio, ma quel poco che ha buttato giù ho fatto
modo che fosse della frutta.
Gli ho dato un’aspirina giusto dieci minuti fa. Domani pomeriggio lo porterò dal medico e
domattina lo lascerò dormire a casa.
Mio marito dice che sta giù di morale, forse per qualche litigio o spiacevole rimprovero di una
professoressa. Il mio bambino è un ragazzo assai sensibile e quel che gli fa male è solito tenerselo
chiuso dentro sé.
26 settembre
Solo oggi sono stata dal dottor Foschi, il nostro medico di famiglia. Non ricordavo che ieri fosse il
suo turno di riposo. Francesco non ha niente di preoccupante, né febbre né problemi di respirazione
o circolazione. Nessun dolore muscolare. Ha usato l’espressione di “sano indebolimento
fisiologico” per concludere la sua diagnosi, mi ha consigliato di non imbottirlo di aspirine e di
somministrargli integratori vitaminici. Ha detto che non sarebbe stata una cattiva idea non
sottoporlo a sforzi eccessivi, giusto una camminata al giorno, e sarebbe stata invece un’ottima idea
non fargli mai mancare frutta e verdura nei suoi pasti.
27 settembre
Vi confesso che, tre giorni fa, tra le tante ipotesi che rimbalzavano
nella mia scatola cranica, c’era quella che mio figlio si fosse drogato. A
vedere quegli occhi, quell’ipotesi usciva fuori come un gatto quando la macchina sotto la quale si
stava riposando, si mette in moto. Ma il mio Francesco ha solo quattordici anni e non frequenta
amicizie sospette. Oggi a pranzo gli ho riparlato di cosa diavolo fosse accaduto tre giorni prima, ma
lui non ha fatto altro che ripetere “niente”, che era stato a scuola, in classe, aveva fatto merenda e si
era fatto la doccia dopo educazione fisica. I sintomi gli erano venuti sul pulmino. “Cos’hai
provato?”, gli ho chiesto.
“E’ stato come morire per un attimo” mi ha risposto.
28 settembre
Sono soltanto le sei del mattino. Fuori il sole sta sorgendo. Dalla nostra abitazione, una casetta
appartata in campagna (non troppo appartata: a duecento metri c’è la strada con la fermata
dell’autobus – ad ogni modo, i nostri vicini di casa sono due anziani che distano da qui mezzo
chilometro se non di più), si vede chiaramente l’alba sbocciare da dietro tanto verde. Vedreste che
spettacolo. Comunque, mi sono alzata presto perché stanotte non ho fatto altro che piangere. Una
mano a buttar via le lacrime me l’ha data mio marito, affermando che non ne poteva più di vedere
quel disgraziato con quella faccia, e sembrando assai deciso nel volerlo tenere in ospedale sotto i
ferri e con un paio di flebo attaccate alle braccia.
“Almeno fino a quando non gli torna il colorito”, così ha detto.
Io ho detto di no. Piano piano si sarebbe ripreso, il mio bambino, e nei giorni a venire avrebbe avuto
più forze. Stanotte l’ho sentito tossire ripetutamente.
Sarà stata una mia impressione, ma in uno dei suoi colpi di tosse ho
sentito una specie di ruggito, un feroce lamento di dolore animalesco.
C’è ancora quel toccasana di sciroppo nel cassetto dei medicinali.
Oggi gliene darò due cucchiaia.
1 ottobre
E’ svenuto. Ho sentito le sue chiavi far girare difficoltosamente la serratura d’ingresso, poi
Francesco è entrato in casa ed è svenuto. Non l’ho visto cadere, ma il suo tonfo mi ha scosso il
cuore. Stava fermo a faccia in giù, per terra, con lo zaino invicta ancora sulle spalle. C’era una
piccola chiazza di sangue sputata dal suo setto nasale. Se l’era rotto. Sono corsa verso di lui
lasciando i fornelli accessi. L’ho scosso e lui si è subito ripreso. Aveva gli occhi lucidi per le
lacrime, stava piangendo. Non so perché, ma alla vista del sangue sotto le sue labbra, ha cominciato
a leccare il pavimento come se tutto quel sangue fosse del miele. Cosa mai aveva per la testa? Ho
dovuto sollevarlo e farlo sedere sul divano. “Resta qui”, gli ho ordinato, e ho pulito tutto quel
sangue che dava il benvenuto a casa nostra: l’avesse mai visto mio marito Sandro, avrebbe legato il
mio bambino, gli avrebbe dato due schiaffi e l’avrebbe scaricato all’ospedale come un cane
randagio.
Ho portato un bicchiere di acqua e zucchero a Francesco, gli ho pulito il naso e le labbra ancora
rosse, quindi abbiamo pranzato. Quando è rientrato Sandro ha detto a suo figlio “Dov’è che sei
caduto a testa in giù?”
Non gli sfugge niente.
“In palestra…” Sentirlo rispondere in quel modo – ragionando nella giusta maniera – mi rasserenò
di pochissimo, ma fece effetto. C’era ancora un briciolo di Francesco in quel corpo. Negli ultimi
due giorni era stata praticamente nulla la conversazione tra me e lui, e se il dottor Foschi l’avesse
visto oggi anziché cinque giorni fa, avrebbe diagnosticato qualcosa di più che un semplice
indebolimento. Ora aveva delle borse sotto gli occhi. Le avevo viste questa mattina mentre stava
bevendo un bicchiere di latte caldo.
Se va avanti così entro una settimana seguirò il consiglio di mio marito.
2 ottobre
“Vado a scuola” e “mi riposo un pochino” sono state le uniche spente parole pronunciate da mio
figlio nella giornata di oggi.
La cosa brutta è accaduta a tavola: stavamo cenando quando Francesco, messo un
boccone di spinaci in bocca, ha vomitato tutto quel poco che aveva mangiato. La luce dei suoi occhi
era di odio verso…verso cosa?
Verso gli spinaci. Si è guardato attorno, disorientato, ed è scappato in cameretta, lasciando me e mio
marito di stucco, di fronte a quella sua chiazza di liquidi gastrici e spinaci e sangue. Si, ha vomitato
anche sangue.
3 ottobre
Oggi non ha mangiato nulla.
4 ottobre
Dio mio! Che spavento! Sono le due di notte del nuovo giorno, mentre sto scrivendo, e fuori tira
vento ma non piove. Sento gli alberi far lamento con i propri rami. Sto stropicciando la pagine che
ho sotto le mani e ci sono gocce di sudore che non riescono a farmi tenere ben impugnata la penna
tra le dita. Cosa scrivo? Come lo descrivo?
Ne parlerò dopo. Voglio un’aspirina. No, un caffè. Vado in cucina.
Ho dovuto chiudere mio figlio in camera sua. Le chiavi sono in tasca mia.
…..
Eccomi tornata. E’ mattino e sono sola in casa. Mio marito non ha fatto altro che parlarmi del bravo
staff di cui dispone l’ospedale civile giù in città. Mi ha ricordato di quando era caduto da una scala e
il buon lavoro dei medici di quell’ospedale aveva fatto in modo che evitasse la sedia a rotelle.
“Se la mattina vado ancora a farmi un culo tanto a lavoro, è merito loro.” Ha detto stanotte.
“Sapranno cosa fare con Francesco.”
Vi ho parlato in piena notte di un grosso spavento che non ho avuto modo di descrivere. Alla fine,
ho optato per una camomilla. E due sigarette.
Dicevo, stavo dormendo non profondamente quando ho avvertito una presenza in camera, vicina se
non attaccata al letto matrimoniale. Era impossibile non sentirla, visto che dai miei sogni appannati
percepivo un respirare rauco e irregolare, fastidioso. Ho aperto gli occhi e c’era mio
figlio in piedi, sagoma ombrosa nelle tenebre della stanza. In piedi dal lato di Sandro. Aveva preso
un suo braccio e annusava il palmo della mano come un cane annuserebbe un avanzo di maiale
perso per strada. Annusava, annusava tantissimo. Mio marito neppure se ne accorse:
ha il sonno pesante. Ho dovuto richiamare l’attenzione di Francesco su di me pronunciando il suo
nome. Mi sono avvicinata a lui e gli occhi rossi nelle orbite giallognole mi hanno guardato come
un’estranea. “Lascia il braccio di tuo padre…” ho dovuto dirgli. Ha fatto una faccia offesa e
perplessa. Che faccia. C’era saliva sul mento. Accompagnandolo in camera sua non riusciva a
camminare, come un ubriaco, e una volta varcata la soglia della sua stanza, ha cominciato a
lamentarsi. Si è lanciato sulla porta che avevo chiuso dando pugni e calci.
L’ho chiusa a chiave, ve l’ho già detto.
Stamattina non è andato a scuola. E’ ancora lì dentro.
5 ottobre
Mio marito ha detto che domani porterà nostro figlio in ospedale.
Io non ho diritto ad opinione alcuna. Ha fatto tutto lui.
Francesco non mangia da due giorni e non risponde quando lo chiamo.
Vedo la porta della sua cameretta ed ascolto il silenzio.
Che sia morto? No, lo sento camminare. Avanti e indietro. Strascica.
14 ottobre
Sono quasi dieci giorni che non nutro il mio bambino. Non ho più cibo
da dargli: l’ultima cosa che ha messo sotto i denti è stata mio marito
Sandro.
Io avevo cercato di fermarlo nove giorni fa, ma quando Sandro aperse la porta della camera per
prenderlo e caricarlo in macchina (destinazione ospedale), Francesco gli si è buttato sopra con
disumana ferocia. Feci in tempo a vedere soltanto la dentatura di mio figlio strappare via mezza
mano da quel che un tempo era il mio consorte. Un urlo straziante. Trascinò la sua preda dentro la
stanza. Penso ci sia stata una forte colluttazione, ma a cosa poteva mai servire dar pugni in faccia a
quella creatura? Ancora urla di dolore e suoni ruvidi di qualcosa che viene lacerato. Carne e tessuto
insieme, senza dubbio. Avevo chiuso a chiave di nuovo, lasciando che mio figlio si sfamasse e
piangendo, piangendo tantissimo. Avevo smesso di piangere quando le grida si erano soffocate.
Testardo, mio marito, e sapete una cosa? Aveva sempre voluto liberarsi del nostro bambino, anche
quando da piccolo aveva avuto la varicella. Gli aveva dato fastidio tenere una creatura dentro casa
che fosse una botte di germi, come lo definì a suo tempo.
Che odioso essere. Non facevamo l’amore da un anno circa, e se lo
meritava. Penso che se avesse avuto una pistola avrebbe ucciso mio figlio, nove giorni fa. Ci
pensate? Il mio bambino morto con un colpo alla tempia!
Oggi, comunque, sono preoccupata perché non gli ho più dato nulla da mangiare. Ho provato con
due salsicce crude e un paio di polli ben affettati e confezionati in vaschetta. Non li vuole. Non
voglio insistere perché è rischioso, ogni volta, aprire anche solo per un istante quella porta per
buttare dentro un po’ di cibo. Il mio bambino non riconoscerebbe mai la sua mamma.
Ma gli voglio ancora bene.
Dio, la mia testa… aspirina. Aspirina. Aspirina. Aspirina.
15 ottobre
Questa notte sono stata svegliata dai colpi che Francesco dava alla finestra della sua camera. Sta
cercando di uscire, poverino. Ha troppa fame. Ho comunque messo quattro aste di legno
dall’esterno della casa. La sua finestra dà sul retro dell’abitazione, affacciata sull’aperta campagna.
Certo, gli ho coperto il sole, ma non penso se ne curi più di tanto.
Ora non fuggirà di certo.
16 ottobre
Ha telefonato la ditta presso la quale lavorava mio marito. Voleva sapere che fine avesse fatto. Che
rompipalle… l’ho dato per scomparso e già denunciato dalla polizia. Menomale che i nostri parenti,
tutti fuori regione, non si faranno vivi entro Natale. Se avranno smesso di odiarmi.
Non sto nelle simpatie della famiglia di mio marito. Mia suocera la odio.
20 ottobre
Negli ultimi giorni ho fatto solo una cosa: pensare. Pensando, sono arrivata a molte conclusioni. La
più importante di queste, è che non avrei mai potuto dire a nessuno che mio
figlio fosse uno zombie: lo avrebbero ucciso.
Che infami. Aveva ancora molti giorni da vivere, il mio bambino, e sento che non è lontano il
momento in cui chiamerà il mio nome da dietro quella porta, da dentro quel buio, ed io potrò
riabbracciarlo. Basta avere pazienza. Aspettare. Mio figlio è vivo.
Un’altra cosa su cui ho riflettuto è stata come dar da mangiare a Francesco. Non posso correre il
rischio di uccidere una persona per strada e portare il cadavere dentro casa. Non sono giovane né
forte. La soluzione che ho trovato, per il momento, è stata di tenergli in piedi lo stomaco, come si
dice.
Domani procederò per mettere in atto la mia idea.
Altra cosa partorita dai miei pensieri è stata mio marito: come ho potuto sposare un uomo simile?
Non è mai stato affettuoso o comprensivo con me. E’ sempre stato un sostenitore delle idee radicali
(se qualcosa non va ti porto in ospedale, se il televisore si vede male lo butto, cose di questo
genere). Più di una volta nel corso degli anni avevo accarezzato l’idea di divorziare da lui, ma
bastava il pensiero di Francesco per scaricare quell’idea nel cesso. Nostro figlio avrebbe sofferto
troppo. Lui teneva in piedi quel matrimonio.
Fatto sta che penso sia stata una scelta degli angeli quella di fare in modo che Sandro fosse stato il
primo pasto di mio figlio nella sua nuova veste di zombie, o qualsiasi cosa fosse.
Per ultimo, ho pensato a tutti gli anni passati insieme con mio figlio. Il primo giorno di scuola, la
sua prima parola (mi pare fosse un “no”), il primo voto riportato a casa: un sei e mezzo. Che tesoro.
Francesco che cresce, che gli crescono i primi peli sotto il naso. La sua comunione, la sua prima
bici. Gli piacevano un sacco i film di fantascienza.
Tanti bei ricordi.
Com’è che aveva detto lo scorso 27 settembre?
“E’ stato come morire per un attimo.”
Beh, ora è un morto vivente, se non mi sbaglio.
L’importante è che viva, il mio bambino.
La testa, mi fa male. Sto sudando. Domani gli do da mangiare.
Fa male la testa.
21 ottobre
Sacca di carne. Ricordo che da piccola avevo un gattino al quale non piaceva mangiare le sue
crocchette. Mia madre, allora, ogni volta bagnava le crocchette con l’olio delle sue alici e le metteva
nella ciotola: sapeste come se le divorava, manco fossero filetti di salmone! La stessa idea è venuta
a me. Mio figlio non vuole carne di maiale o vitello o qualsiasi altro animale. Vuole carne umana.
Così, oggi pomeriggio ho riempito mezzo bicchiere con il mio sangue.
Mi sono tagliata il palmo della mano con un coltellino. Ci sono voluti tre tagli, a essere sincera. Tre
tagli profondi. Poi, ho fatto una specie di macinato di carne con salsicce, bistecche e manzo.
Nell’impasto, ho versato mezzo bicchiere del mio sangue e ho modellato tutto a forma di piccolo
polpettone. Sembrava, in verità, una sacca di carne. L’ho gettato nella stanza di Francesco e ho
chiuso la porta. Ho origliato ma non ho sentito niente…nessun boccone masticato o saliva impastata
tra lingua e palato.
Addirittura l’ho sentito lamentarsi con un verso moribondo ed irritato.
Non ha mangiato. Ha fame, il mio bambino. Ha fame.
Ha fame. La testa. Fa male. Ha fame. Fa male.
22 ottobre
Guardando la televisione mi sono imbambolata con tutti quegli essere umani in giacca e cravatta
con il culo stirato. Che appetitosi bocconcini per il mio Francesco. Venite da me, che vi cucino! Ah
ah ah ah….che ridere. Una cosa che non mi è mai piaciuta è stata scrivere le mie risate.
Che c’entra? Non lo so. Ormai non riesco a tenere sotto guinzaglio i miei pensieri. Penso solo a dar
da mangiare al mio bambino.
Vieni, vieni a casa mia! Tu, bello grassoccio, che stai in tv. Questa sera torni a casa e mangi e ti
scopi tua moglie, eh? Mio figlio invece qui si sta morendo di fame! Lui ha fame. Ha fame. Gli
voglio bene.
Penso che non accenderò più la televisione. Sbaverei per mio figlio.
23 ottobre
Poco fa Francesco ha avuto una vera e propria crisi: per mezz’ora non ha fatto altro che dar pugni e
calci alla porta. Il suo lamento ha ghiacciato il polveroso silenzio della mia casa.
Ecco, ha ricominciato di nuovo. Esco a farmi due passi.
25 ottobre
Per tutta ieri ho dormito, e al mio risveglio Francesco si lamentava ancora. Da dove prende tutto
quel fiato, non lo so. Devo mettergli qualcosa sotto i denti, assolutamente. E’ mattino ora, e penso
di potermi sbrigare per pranzo.
……
Che giornata stressante, sto per mettermi a letto. Ho dato da mangiare a Francesco
due mie dita, il mignolo destro e il mignolo sinistro, per l’esattezza. Non sono brava nelle
operazioni chirurgiche e ho sofferto tantissimo. Ho usato un anestetico di fortuna, ho ghiacciato
quella regione di palmo della mano e messo due lacci emostatici, uno per ogni polso. Poi, con un
colpo secco, ho affettato via un mignolo per volta.
Che disastro, tutto quel sangue. Tamponare le ferite non è stato facile.
Mi sento debole, debolissima. Spero che il mio bambino sia contento, per ora questo è il massimo
che ho potuto dargli.
Di cosa mi illudo? Due mignoli per lui sono come due grissini per chi non mangia da due giorni.
Povera me. Scusami, Francesco. Ti voglio bene.
Il mio bambino. Vado a letto. Sono stanca. Mani deformi. Mani deformi.
Ho voglia di piangere. La mia testa. Dio, aiutami.
27 ottobre
Che scema! Che stupida! Che idiota! Come ho fatto a non pensarci prima?
E’ tutto risolto, tutto risolto, basta aspettare qualche giorno.
28 ottobre
Scherzetto o dolcetto? Scherzetto o dolcetto?
Gli voglio bene. Gli voglio bene. Mangerà, si. Mangerà.
Scherzetto o dolcetto?
2 novembre
Un po’ di rimorso c’è: avrei potuto catturarne almeno due. Ma gli altri sono scappati come mosche.
Sfido io, tre mocciosi vestiti da stregoni con una zucca in mano che vedono un loro compagno
venire accoltellato, trafitto nella gola. Avranno visto la punta rossa del mio coltello da cucina uscire
da sotto la nuca di quel bambino. Sapeste come hanno urlato. Beh, di sicuro ho procurato loro un
bel trauma: bussare a una porta e veder apparire dal buio dell’uscio una signora con un coltello in
mano. Problemi loro. Ne avranno per tutti i sogni della loro vita.
Che bella sensazione, non avevo mai ucciso in vita mia. Pensavo che solo nei
film le vittime soffrissero di quella strana sindrome di paralisi, invece il bambino che avevo puntato
(il primo della fila, veramente) non si è mosso e mi fissava con quei suoi occhietti stupiti. Ha
continuato a fissarmi anche quando la punta del coltello stava a due centimetri dalla sua gola. Poi
zac!, sgozzato vivo. Ha perso troppo sangue, sangue scurissimo. Mentre colava via mi preoccupavo
se avesse tolto sapore alla sua carne.
Il ragazzino che ho portato dentro casa avrà avuto al massimo undici anni. Ha una buona
costituzione, penso che piacerà al mio Francesco.
Ho già pianificato che dovrò razionalizzare le porzioni. Oggi gli ho dato in pasto un intero braccio.
Non entro domani sera gli darò l’altro braccio.
Buon appetito, tesoro.
5 novembre
Francesco è contento: non lo sento più lamentarsi. Spero che dopo questo pasto vada a riposarsi e
torni un po’ in senno di sé. Oggi ha avuto da mangiare la gamba destra: ho toccato di persona i
polpacci ed erano teneri e carnosi. Nessuno può entrare nella mia abitazione: vedrebbe troppo
sangue. Il legno abbronzato del parquet è tutto imbrattato di chiazze ed aloni rossastri. Quel corpo
monco del ragazzino lo tengo al centro della sala. Vicino la tv.
Sono contenta per Francesco.
6 novembre
Mi è letteralmente scoppiata un’emicrania. Mi fa male un seno, per giunta.
La mia lingua ha il sapore dell’aspirina, oramai. Penso…penso cose brutte.
Penso….
Mi bagno le labbra.
8 novembre
Ho dato via anche l’altra gamba. Quando apro la porta, sento i passi del mio bambino
correre verso di me, come se sapesse che gli sto portando da mangiare. Faceva così anche quando
aveva quattro anni: se andavo verso di lui con le mani tenute dietro la schiena, lui correva ridendo
verso di me, perché sapeva che tenevo in serbo un lecca-lecca. Gli piacevano quelli al gusto fragola
e vaniglia. Domani gliene comprerò uno e glielo butterò dentro la sua stanza. Chissà, forse gli
piacerà.
9 novembre
Ho staccato la testa dal corpo senza arti del bambino, e l’ho poggiata sul televisore. Che bella
decorazione! La carcassa l’ho gettata a mio figlio: ne avrà per almeno tre giorni. Per facilitargli il
pasto, ho svestito il petto e con un coltello ho aperto un taglio nel centro della gabbia toracica.
Pensavo che avrei vomitato, invece… ma cosa dico?
10 novembre
Non posso più uscire di casa. Oggi ho speso gli ultimi soldi per fare una spesa assai abbondante.
Non posso uscire perché non riesco più a guardare negli occhi degli essere umani. Come ho detto?
Essere umani…
Persone. Mio Dio. E’ una sensazione bruttissima. Un attimo di nausea e vertigine mi attraversa lo
spirito ogni volta che guardo in faccia una persona.
Cammino a testa in giù. Persone. Esseri umani. Esseri umani.
Che bocconcini.
12 novembre
La testa l’ho fatta rotolare dentro la camera di mio figlio come se fosse una palla da bowling. Non
so più cosa fare, ora. Nell’ultima settimana il mio passatempo preferito era stato sedermi di spalle
sulla porta che rinchiude Francesco, e ascoltarlo masticare, masticare. Ore ed ore. Masticava.
Il suono più bello è quello della polpa di carne che si stacca dall’osso.
Confesso una cosa: tre giorni fa, aprendo il petto di quella carcassa umana, ho inserito l’indice
intero in quella grossa piaga di viscere. L’ho ricacciato, sporco di sangue, e messo in bocca con
gusto. Tanto gusto.
Cosa darò da mangiare a mio figlio nei prossimi giorni?
13 novembre
Non riesco più ad alzarmi dal letto. Penso che oggi sia stato il mio ultimo pranzo, o almeno per un
bel po’ di giorni non toccherò cibo. Quel cesto di frutta mi disgusta. Se mi è alzerò, è solo per
coprirlo con uno straccio.
Che bella la mia casa, che gradevole l’odore di sangue e di morte.
Sangue, sangue. Sangue è quello che vedo sul pavimento della sala.
Che buono. Sangue è il colore della vita e della sopravvivenza.
Mi gira la testa.
14 novembre
Fa freddo.
18 novembre
Cos’è questo? Un diario diario diario diario diario!
Diario.
19 novembre
Mi sono vista allo specchio. C’era un volto bianco, senza espressione, smagrito, senza vita. Gli
occhi…che occhi! Due palle di cristallo.
Quel che non sopporto è che Francesco è tornato a lamentarsi.
Il mio bambino ha fame. Non ho le forze di far nulla. Vedo il soffitto cadere sul letto ed il cielo
fuori è il tappeto dell’inferno.
Ma cosa sto scrivendo?
Fa male fa male al diario non fa male Francesco ha fame mi gira la testa.
Non so più cosa sia il sonno.
20 novembre
La mia lingua cerca con insistenza le labbra. Non riesco a tenerla ferma.
C’è un istinto dentro me che mi istiga l’indicibile desiderio di addentare carne viva. Il desiderio è
nato oggi, mentre stavo distesa a letto, pensando a cosa pensare. E’ stato come morire per un attimo.
22 novembre
Non ce la faccio più. Non ce la faccio più. Ho masticato un’aspirina, venti minuti fa. Ho capito cosa
fare. Mio figlio, il mio bambino, si lamenta da una settimana, strilla, piange come piangerebbe un
cane idrofobo. Ha crisi isteriche, gratta la porta e respira con affanno.
Ho capito cosa fare. E’ una decisione estrema, ma salverà il mio
bambino.
L’epidemia, evidentemente, si è diffusa per la casa. Ci ha impiegato parecchi giorni… è scivolata
via sfruttando lo spiraglio sotto la porta della camera di Francesco. Mi ha colpita. Cosa sarà di me?
Diventerò anch’io un morto vivente? Andrò a caccia di carne fresca da macinare tra le mascelle? E
troverò quella carne nel corpo di mio figlio?
No, io non potrò mai mangiare mio figlio! Mai.
Andrò da lui. Farò l’ultima cosa della mia vita, ma sarà utile per dargli da
mangiare. Come madre non posso mai far mancare un pasto a mio figlio.
E’ il mio dovere. Aprirò la porta e mi regalerò a lui. Si, mi mangerà…ma so che lo farà volendomi
bene. Anch’io voglio bene a lui.
Ho fame. Voglio mangiare anch’io, ma non posso pensarci. Non devo.
Penso che finisca oggi la mia vita. Finisce perché devo dar da mangiare a mio figlio. Sono una
madre. Lo sento bussare. Sto arrivando, tesoro!
Sto arrivando. Sentite? Mi sta chiamando! Mi sta chiamando!
O forse è solo la mia immaginazione che mi ha fatto sentire un “mamma!”.
Vado da lui, cadrò tra le sue braccia. Lui ha fame.
Da questo punto in poi le pagine del mio diario saranno bianche.
ALESSIO DI LELLA