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Diario di mamma Confessioni inconfessabili… 24 settembre Non poggiavo penna sulle pagine di questo diario da circa dodici giorni, quando tornai a casa con il brivido di un incidente sfiorato sullo stradone che collega il paese con la città. Dio solo sa quanti suoi santi ho maledetto per colpa di una vecchia Golf che non stava rispettando la precedenza ed era venuta a scheggiare la mia fiancata, che filava dritta a settanta chilometri orari circa. Sbrinai quel brivido mettendo nero su bianco, come sono solita fare. Oggi invece ho intenzione di mettere su carta i miei dubbi, le mie preoccupazioni, nate dalla vista di mio figlio Francesco al suo ritorno da scuola. Ogni giorno torna in pullman, da solo, visto che nel quartiere solo lui frequenta quell’istituto. Non so come descrivere la sua faccia, appesa nello stagnante odore dell’uscio di casa nostra: bianca come il gesso. Le sue labbra non riuscivano a star ferme, tremavano come se stessero nude nella neve, e le arterie color sangue nei suoi occhi erano più accese che mai. Gli ho chiesto cos’è che avesse, ma mi ha risposto con un “non mi sono sentito bene.” Ha pranzato contro voglia, e tutto il pomeriggio è stato in camera sua, forse avrà cercato di studiare o avrà visto un po’ di televisione. Neppure prima, a ora di cena, ha mangiato parecchio, ma quel poco che ha buttato giù ho fatto modo che fosse della frutta. Gli ho dato un’aspirina giusto dieci minuti fa. Domani pomeriggio lo porterò dal medico e domattina lo lascerò dormire a casa. Mio marito dice che sta giù di morale, forse per qualche litigio o spiacevole rimprovero di una professoressa. Il mio bambino è un ragazzo assai sensibile e quel che gli fa male è solito tenerselo chiuso dentro sé. 26 settembre Solo oggi sono stata dal dottor Foschi, il nostro medico di famiglia. Non ricordavo che ieri fosse il suo turno di riposo. Francesco non ha niente di preoccupante, né febbre né problemi di respirazione o circolazione. Nessun dolore muscolare. Ha usato l’espressione di “sano indebolimento fisiologico” per concludere la sua diagnosi, mi ha consigliato di non imbottirlo di aspirine e di somministrargli integratori vitaminici. Ha detto che non sarebbe stata una cattiva idea non sottoporlo a sforzi eccessivi, giusto una camminata al giorno, e sarebbe stata invece un’ottima idea non fargli mai mancare frutta e verdura nei suoi pasti. 27 settembre Vi confesso che, tre giorni fa, tra le tante ipotesi che rimbalzavano nella mia scatola cranica, c’era quella che mio figlio si fosse drogato. A vedere quegli occhi, quell’ipotesi usciva fuori come un gatto quando la macchina sotto la quale si stava riposando, si mette in moto. Ma il mio Francesco ha solo quattordici anni e non frequenta amicizie sospette. Oggi a pranzo gli ho riparlato di cosa diavolo fosse accaduto tre giorni prima, ma lui non ha fatto altro che ripetere “niente”, che era stato a scuola, in classe, aveva fatto merenda e si era fatto la doccia dopo educazione fisica. I sintomi gli erano venuti sul pulmino. “Cos’hai provato?”, gli ho chiesto. “E’ stato come morire per un attimo” mi ha risposto. 28 settembre Sono soltanto le sei del mattino. Fuori il sole sta sorgendo. Dalla nostra abitazione, una casetta appartata in campagna (non troppo appartata: a duecento metri c’è la strada con la fermata dell’autobus – ad ogni modo, i nostri vicini di casa sono due anziani che distano da qui mezzo chilometro se non di più), si vede chiaramente l’alba sbocciare da dietro tanto verde. Vedreste che spettacolo. Comunque, mi sono alzata presto perché stanotte non ho fatto altro che piangere. Una mano a buttar via le lacrime me l’ha data mio marito, affermando che non ne poteva più di vedere quel disgraziato con quella faccia, e sembrando assai deciso nel volerlo tenere in ospedale sotto i ferri e con un paio di flebo attaccate alle braccia. “Almeno fino a quando non gli torna il colorito”, così ha detto. Io ho detto di no. Piano piano si sarebbe ripreso, il mio bambino, e nei giorni a venire avrebbe avuto più forze. Stanotte l’ho sentito tossire ripetutamente. Sarà stata una mia impressione, ma in uno dei suoi colpi di tosse ho sentito una specie di ruggito, un feroce lamento di dolore animalesco. C’è ancora quel toccasana di sciroppo nel cassetto dei medicinali. Oggi gliene darò due cucchiaia. 1 ottobre E’ svenuto. Ho sentito le sue chiavi far girare difficoltosamente la serratura d’ingresso, poi Francesco è entrato in casa ed è svenuto. Non l’ho visto cadere, ma il suo tonfo mi ha scosso il cuore. Stava fermo a faccia in giù, per terra, con lo zaino invicta ancora sulle spalle. C’era una piccola chiazza di sangue sputata dal suo setto nasale. Se l’era rotto. Sono corsa verso di lui lasciando i fornelli accessi. L’ho scosso e lui si è subito ripreso. Aveva gli occhi lucidi per le lacrime, stava piangendo. Non so perché, ma alla vista del sangue sotto le sue labbra, ha cominciato a leccare il pavimento come se tutto quel sangue fosse del miele. Cosa mai aveva per la testa? Ho dovuto sollevarlo e farlo sedere sul divano. “Resta qui”, gli ho ordinato, e ho pulito tutto quel sangue che dava il benvenuto a casa nostra: l’avesse mai visto mio marito Sandro, avrebbe legato il mio bambino, gli avrebbe dato due schiaffi e l’avrebbe scaricato all’ospedale come un cane randagio. Ho portato un bicchiere di acqua e zucchero a Francesco, gli ho pulito il naso e le labbra ancora rosse, quindi abbiamo pranzato. Quando è rientrato Sandro ha detto a suo figlio “Dov’è che sei caduto a testa in giù?” Non gli sfugge niente. “In palestra…” Sentirlo rispondere in quel modo – ragionando nella giusta maniera – mi rasserenò di pochissimo, ma fece effetto. C’era ancora un briciolo di Francesco in quel corpo. Negli ultimi due giorni era stata praticamente nulla la conversazione tra me e lui, e se il dottor Foschi l’avesse visto oggi anziché cinque giorni fa, avrebbe diagnosticato qualcosa di più che un semplice indebolimento. Ora aveva delle borse sotto gli occhi. Le avevo viste questa mattina mentre stava bevendo un bicchiere di latte caldo. Se va avanti così entro una settimana seguirò il consiglio di mio marito. 2 ottobre “Vado a scuola” e “mi riposo un pochino” sono state le uniche spente parole pronunciate da mio figlio nella giornata di oggi. La cosa brutta è accaduta a tavola: stavamo cenando quando Francesco, messo un boccone di spinaci in bocca, ha vomitato tutto quel poco che aveva mangiato. La luce dei suoi occhi era di odio verso…verso cosa? Verso gli spinaci. Si è guardato attorno, disorientato, ed è scappato in cameretta, lasciando me e mio marito di stucco, di fronte a quella sua chiazza di liquidi gastrici e spinaci e sangue. Si, ha vomitato anche sangue. 3 ottobre Oggi non ha mangiato nulla. 4 ottobre Dio mio! Che spavento! Sono le due di notte del nuovo giorno, mentre sto scrivendo, e fuori tira vento ma non piove. Sento gli alberi far lamento con i propri rami. Sto stropicciando la pagine che ho sotto le mani e ci sono gocce di sudore che non riescono a farmi tenere ben impugnata la penna tra le dita. Cosa scrivo? Come lo descrivo? Ne parlerò dopo. Voglio un’aspirina. No, un caffè. Vado in cucina. Ho dovuto chiudere mio figlio in camera sua. Le chiavi sono in tasca mia. ….. Eccomi tornata. E’ mattino e sono sola in casa. Mio marito non ha fatto altro che parlarmi del bravo staff di cui dispone l’ospedale civile giù in città. Mi ha ricordato di quando era caduto da una scala e il buon lavoro dei medici di quell’ospedale aveva fatto in modo che evitasse la sedia a rotelle. “Se la mattina vado ancora a farmi un culo tanto a lavoro, è merito loro.” Ha detto stanotte. “Sapranno cosa fare con Francesco.” Vi ho parlato in piena notte di un grosso spavento che non ho avuto modo di descrivere. Alla fine, ho optato per una camomilla. E due sigarette. Dicevo, stavo dormendo non profondamente quando ho avvertito una presenza in camera, vicina se non attaccata al letto matrimoniale. Era impossibile non sentirla, visto che dai miei sogni appannati percepivo un respirare rauco e irregolare, fastidioso. Ho aperto gli occhi e c’era mio figlio in piedi, sagoma ombrosa nelle tenebre della stanza. In piedi dal lato di Sandro. Aveva preso un suo braccio e annusava il palmo della mano come un cane annuserebbe un avanzo di maiale perso per strada. Annusava, annusava tantissimo. Mio marito neppure se ne accorse: ha il sonno pesante. Ho dovuto richiamare l’attenzione di Francesco su di me pronunciando il suo nome. Mi sono avvicinata a lui e gli occhi rossi nelle orbite giallognole mi hanno guardato come un’estranea. “Lascia il braccio di tuo padre…” ho dovuto dirgli. Ha fatto una faccia offesa e perplessa. Che faccia. C’era saliva sul mento. Accompagnandolo in camera sua non riusciva a camminare, come un ubriaco, e una volta varcata la soglia della sua stanza, ha cominciato a lamentarsi. Si è lanciato sulla porta che avevo chiuso dando pugni e calci. L’ho chiusa a chiave, ve l’ho già detto. Stamattina non è andato a scuola. E’ ancora lì dentro. 5 ottobre Mio marito ha detto che domani porterà nostro figlio in ospedale. Io non ho diritto ad opinione alcuna. Ha fatto tutto lui. Francesco non mangia da due giorni e non risponde quando lo chiamo. Vedo la porta della sua cameretta ed ascolto il silenzio. Che sia morto? No, lo sento camminare. Avanti e indietro. Strascica. 14 ottobre Sono quasi dieci giorni che non nutro il mio bambino. Non ho più cibo da dargli: l’ultima cosa che ha messo sotto i denti è stata mio marito Sandro. Io avevo cercato di fermarlo nove giorni fa, ma quando Sandro aperse la porta della camera per prenderlo e caricarlo in macchina (destinazione ospedale), Francesco gli si è buttato sopra con disumana ferocia. Feci in tempo a vedere soltanto la dentatura di mio figlio strappare via mezza mano da quel che un tempo era il mio consorte. Un urlo straziante. Trascinò la sua preda dentro la stanza. Penso ci sia stata una forte colluttazione, ma a cosa poteva mai servire dar pugni in faccia a quella creatura? Ancora urla di dolore e suoni ruvidi di qualcosa che viene lacerato. Carne e tessuto insieme, senza dubbio. Avevo chiuso a chiave di nuovo, lasciando che mio figlio si sfamasse e piangendo, piangendo tantissimo. Avevo smesso di piangere quando le grida si erano soffocate. Testardo, mio marito, e sapete una cosa? Aveva sempre voluto liberarsi del nostro bambino, anche quando da piccolo aveva avuto la varicella. Gli aveva dato fastidio tenere una creatura dentro casa che fosse una botte di germi, come lo definì a suo tempo. Che odioso essere. Non facevamo l’amore da un anno circa, e se lo meritava. Penso che se avesse avuto una pistola avrebbe ucciso mio figlio, nove giorni fa. Ci pensate? Il mio bambino morto con un colpo alla tempia! Oggi, comunque, sono preoccupata perché non gli ho più dato nulla da mangiare. Ho provato con due salsicce crude e un paio di polli ben affettati e confezionati in vaschetta. Non li vuole. Non voglio insistere perché è rischioso, ogni volta, aprire anche solo per un istante quella porta per buttare dentro un po’ di cibo. Il mio bambino non riconoscerebbe mai la sua mamma. Ma gli voglio ancora bene. Dio, la mia testa… aspirina. Aspirina. Aspirina. Aspirina. 15 ottobre Questa notte sono stata svegliata dai colpi che Francesco dava alla finestra della sua camera. Sta cercando di uscire, poverino. Ha troppa fame. Ho comunque messo quattro aste di legno dall’esterno della casa. La sua finestra dà sul retro dell’abitazione, affacciata sull’aperta campagna. Certo, gli ho coperto il sole, ma non penso se ne curi più di tanto. Ora non fuggirà di certo. 16 ottobre Ha telefonato la ditta presso la quale lavorava mio marito. Voleva sapere che fine avesse fatto. Che rompipalle… l’ho dato per scomparso e già denunciato dalla polizia. Menomale che i nostri parenti, tutti fuori regione, non si faranno vivi entro Natale. Se avranno smesso di odiarmi. Non sto nelle simpatie della famiglia di mio marito. Mia suocera la odio. 20 ottobre Negli ultimi giorni ho fatto solo una cosa: pensare. Pensando, sono arrivata a molte conclusioni. La più importante di queste, è che non avrei mai potuto dire a nessuno che mio figlio fosse uno zombie: lo avrebbero ucciso. Che infami. Aveva ancora molti giorni da vivere, il mio bambino, e sento che non è lontano il momento in cui chiamerà il mio nome da dietro quella porta, da dentro quel buio, ed io potrò riabbracciarlo. Basta avere pazienza. Aspettare. Mio figlio è vivo. Un’altra cosa su cui ho riflettuto è stata come dar da mangiare a Francesco. Non posso correre il rischio di uccidere una persona per strada e portare il cadavere dentro casa. Non sono giovane né forte. La soluzione che ho trovato, per il momento, è stata di tenergli in piedi lo stomaco, come si dice. Domani procederò per mettere in atto la mia idea. Altra cosa partorita dai miei pensieri è stata mio marito: come ho potuto sposare un uomo simile? Non è mai stato affettuoso o comprensivo con me. E’ sempre stato un sostenitore delle idee radicali (se qualcosa non va ti porto in ospedale, se il televisore si vede male lo butto, cose di questo genere). Più di una volta nel corso degli anni avevo accarezzato l’idea di divorziare da lui, ma bastava il pensiero di Francesco per scaricare quell’idea nel cesso. Nostro figlio avrebbe sofferto troppo. Lui teneva in piedi quel matrimonio. Fatto sta che penso sia stata una scelta degli angeli quella di fare in modo che Sandro fosse stato il primo pasto di mio figlio nella sua nuova veste di zombie, o qualsiasi cosa fosse. Per ultimo, ho pensato a tutti gli anni passati insieme con mio figlio. Il primo giorno di scuola, la sua prima parola (mi pare fosse un “no”), il primo voto riportato a casa: un sei e mezzo. Che tesoro. Francesco che cresce, che gli crescono i primi peli sotto il naso. La sua comunione, la sua prima bici. Gli piacevano un sacco i film di fantascienza. Tanti bei ricordi. Com’è che aveva detto lo scorso 27 settembre? “E’ stato come morire per un attimo.” Beh, ora è un morto vivente, se non mi sbaglio. L’importante è che viva, il mio bambino. La testa, mi fa male. Sto sudando. Domani gli do da mangiare. Fa male la testa. 21 ottobre Sacca di carne. Ricordo che da piccola avevo un gattino al quale non piaceva mangiare le sue crocchette. Mia madre, allora, ogni volta bagnava le crocchette con l’olio delle sue alici e le metteva nella ciotola: sapeste come se le divorava, manco fossero filetti di salmone! La stessa idea è venuta a me. Mio figlio non vuole carne di maiale o vitello o qualsiasi altro animale. Vuole carne umana. Così, oggi pomeriggio ho riempito mezzo bicchiere con il mio sangue. Mi sono tagliata il palmo della mano con un coltellino. Ci sono voluti tre tagli, a essere sincera. Tre tagli profondi. Poi, ho fatto una specie di macinato di carne con salsicce, bistecche e manzo. Nell’impasto, ho versato mezzo bicchiere del mio sangue e ho modellato tutto a forma di piccolo polpettone. Sembrava, in verità, una sacca di carne. L’ho gettato nella stanza di Francesco e ho chiuso la porta. Ho origliato ma non ho sentito niente…nessun boccone masticato o saliva impastata tra lingua e palato. Addirittura l’ho sentito lamentarsi con un verso moribondo ed irritato. Non ha mangiato. Ha fame, il mio bambino. Ha fame. Ha fame. La testa. Fa male. Ha fame. Fa male. 22 ottobre Guardando la televisione mi sono imbambolata con tutti quegli essere umani in giacca e cravatta con il culo stirato. Che appetitosi bocconcini per il mio Francesco. Venite da me, che vi cucino! Ah ah ah ah….che ridere. Una cosa che non mi è mai piaciuta è stata scrivere le mie risate. Che c’entra? Non lo so. Ormai non riesco a tenere sotto guinzaglio i miei pensieri. Penso solo a dar da mangiare al mio bambino. Vieni, vieni a casa mia! Tu, bello grassoccio, che stai in tv. Questa sera torni a casa e mangi e ti scopi tua moglie, eh? Mio figlio invece qui si sta morendo di fame! Lui ha fame. Ha fame. Gli voglio bene. Penso che non accenderò più la televisione. Sbaverei per mio figlio. 23 ottobre Poco fa Francesco ha avuto una vera e propria crisi: per mezz’ora non ha fatto altro che dar pugni e calci alla porta. Il suo lamento ha ghiacciato il polveroso silenzio della mia casa. Ecco, ha ricominciato di nuovo. Esco a farmi due passi. 25 ottobre Per tutta ieri ho dormito, e al mio risveglio Francesco si lamentava ancora. Da dove prende tutto quel fiato, non lo so. Devo mettergli qualcosa sotto i denti, assolutamente. E’ mattino ora, e penso di potermi sbrigare per pranzo. …… Che giornata stressante, sto per mettermi a letto. Ho dato da mangiare a Francesco due mie dita, il mignolo destro e il mignolo sinistro, per l’esattezza. Non sono brava nelle operazioni chirurgiche e ho sofferto tantissimo. Ho usato un anestetico di fortuna, ho ghiacciato quella regione di palmo della mano e messo due lacci emostatici, uno per ogni polso. Poi, con un colpo secco, ho affettato via un mignolo per volta. Che disastro, tutto quel sangue. Tamponare le ferite non è stato facile. Mi sento debole, debolissima. Spero che il mio bambino sia contento, per ora questo è il massimo che ho potuto dargli. Di cosa mi illudo? Due mignoli per lui sono come due grissini per chi non mangia da due giorni. Povera me. Scusami, Francesco. Ti voglio bene. Il mio bambino. Vado a letto. Sono stanca. Mani deformi. Mani deformi. Ho voglia di piangere. La mia testa. Dio, aiutami. 27 ottobre Che scema! Che stupida! Che idiota! Come ho fatto a non pensarci prima? E’ tutto risolto, tutto risolto, basta aspettare qualche giorno. 28 ottobre Scherzetto o dolcetto? Scherzetto o dolcetto? Gli voglio bene. Gli voglio bene. Mangerà, si. Mangerà. Scherzetto o dolcetto? 2 novembre Un po’ di rimorso c’è: avrei potuto catturarne almeno due. Ma gli altri sono scappati come mosche. Sfido io, tre mocciosi vestiti da stregoni con una zucca in mano che vedono un loro compagno venire accoltellato, trafitto nella gola. Avranno visto la punta rossa del mio coltello da cucina uscire da sotto la nuca di quel bambino. Sapeste come hanno urlato. Beh, di sicuro ho procurato loro un bel trauma: bussare a una porta e veder apparire dal buio dell’uscio una signora con un coltello in mano. Problemi loro. Ne avranno per tutti i sogni della loro vita. Che bella sensazione, non avevo mai ucciso in vita mia. Pensavo che solo nei film le vittime soffrissero di quella strana sindrome di paralisi, invece il bambino che avevo puntato (il primo della fila, veramente) non si è mosso e mi fissava con quei suoi occhietti stupiti. Ha continuato a fissarmi anche quando la punta del coltello stava a due centimetri dalla sua gola. Poi zac!, sgozzato vivo. Ha perso troppo sangue, sangue scurissimo. Mentre colava via mi preoccupavo se avesse tolto sapore alla sua carne. Il ragazzino che ho portato dentro casa avrà avuto al massimo undici anni. Ha una buona costituzione, penso che piacerà al mio Francesco. Ho già pianificato che dovrò razionalizzare le porzioni. Oggi gli ho dato in pasto un intero braccio. Non entro domani sera gli darò l’altro braccio. Buon appetito, tesoro. 5 novembre Francesco è contento: non lo sento più lamentarsi. Spero che dopo questo pasto vada a riposarsi e torni un po’ in senno di sé. Oggi ha avuto da mangiare la gamba destra: ho toccato di persona i polpacci ed erano teneri e carnosi. Nessuno può entrare nella mia abitazione: vedrebbe troppo sangue. Il legno abbronzato del parquet è tutto imbrattato di chiazze ed aloni rossastri. Quel corpo monco del ragazzino lo tengo al centro della sala. Vicino la tv. Sono contenta per Francesco. 6 novembre Mi è letteralmente scoppiata un’emicrania. Mi fa male un seno, per giunta. La mia lingua ha il sapore dell’aspirina, oramai. Penso…penso cose brutte. Penso…. Mi bagno le labbra. 8 novembre Ho dato via anche l’altra gamba. Quando apro la porta, sento i passi del mio bambino correre verso di me, come se sapesse che gli sto portando da mangiare. Faceva così anche quando aveva quattro anni: se andavo verso di lui con le mani tenute dietro la schiena, lui correva ridendo verso di me, perché sapeva che tenevo in serbo un lecca-lecca. Gli piacevano quelli al gusto fragola e vaniglia. Domani gliene comprerò uno e glielo butterò dentro la sua stanza. Chissà, forse gli piacerà. 9 novembre Ho staccato la testa dal corpo senza arti del bambino, e l’ho poggiata sul televisore. Che bella decorazione! La carcassa l’ho gettata a mio figlio: ne avrà per almeno tre giorni. Per facilitargli il pasto, ho svestito il petto e con un coltello ho aperto un taglio nel centro della gabbia toracica. Pensavo che avrei vomitato, invece… ma cosa dico? 10 novembre Non posso più uscire di casa. Oggi ho speso gli ultimi soldi per fare una spesa assai abbondante. Non posso uscire perché non riesco più a guardare negli occhi degli essere umani. Come ho detto? Essere umani… Persone. Mio Dio. E’ una sensazione bruttissima. Un attimo di nausea e vertigine mi attraversa lo spirito ogni volta che guardo in faccia una persona. Cammino a testa in giù. Persone. Esseri umani. Esseri umani. Che bocconcini. 12 novembre La testa l’ho fatta rotolare dentro la camera di mio figlio come se fosse una palla da bowling. Non so più cosa fare, ora. Nell’ultima settimana il mio passatempo preferito era stato sedermi di spalle sulla porta che rinchiude Francesco, e ascoltarlo masticare, masticare. Ore ed ore. Masticava. Il suono più bello è quello della polpa di carne che si stacca dall’osso. Confesso una cosa: tre giorni fa, aprendo il petto di quella carcassa umana, ho inserito l’indice intero in quella grossa piaga di viscere. L’ho ricacciato, sporco di sangue, e messo in bocca con gusto. Tanto gusto. Cosa darò da mangiare a mio figlio nei prossimi giorni? 13 novembre Non riesco più ad alzarmi dal letto. Penso che oggi sia stato il mio ultimo pranzo, o almeno per un bel po’ di giorni non toccherò cibo. Quel cesto di frutta mi disgusta. Se mi è alzerò, è solo per coprirlo con uno straccio. Che bella la mia casa, che gradevole l’odore di sangue e di morte. Sangue, sangue. Sangue è quello che vedo sul pavimento della sala. Che buono. Sangue è il colore della vita e della sopravvivenza. Mi gira la testa. 14 novembre Fa freddo. 18 novembre Cos’è questo? Un diario diario diario diario diario! Diario. 19 novembre Mi sono vista allo specchio. C’era un volto bianco, senza espressione, smagrito, senza vita. Gli occhi…che occhi! Due palle di cristallo. Quel che non sopporto è che Francesco è tornato a lamentarsi. Il mio bambino ha fame. Non ho le forze di far nulla. Vedo il soffitto cadere sul letto ed il cielo fuori è il tappeto dell’inferno. Ma cosa sto scrivendo? Fa male fa male al diario non fa male Francesco ha fame mi gira la testa. Non so più cosa sia il sonno. 20 novembre La mia lingua cerca con insistenza le labbra. Non riesco a tenerla ferma. C’è un istinto dentro me che mi istiga l’indicibile desiderio di addentare carne viva. Il desiderio è nato oggi, mentre stavo distesa a letto, pensando a cosa pensare. E’ stato come morire per un attimo. 22 novembre Non ce la faccio più. Non ce la faccio più. Ho masticato un’aspirina, venti minuti fa. Ho capito cosa fare. Mio figlio, il mio bambino, si lamenta da una settimana, strilla, piange come piangerebbe un cane idrofobo. Ha crisi isteriche, gratta la porta e respira con affanno. Ho capito cosa fare. E’ una decisione estrema, ma salverà il mio bambino. L’epidemia, evidentemente, si è diffusa per la casa. Ci ha impiegato parecchi giorni… è scivolata via sfruttando lo spiraglio sotto la porta della camera di Francesco. Mi ha colpita. Cosa sarà di me? Diventerò anch’io un morto vivente? Andrò a caccia di carne fresca da macinare tra le mascelle? E troverò quella carne nel corpo di mio figlio? No, io non potrò mai mangiare mio figlio! Mai. Andrò da lui. Farò l’ultima cosa della mia vita, ma sarà utile per dargli da mangiare. Come madre non posso mai far mancare un pasto a mio figlio. E’ il mio dovere. Aprirò la porta e mi regalerò a lui. Si, mi mangerà…ma so che lo farà volendomi bene. Anch’io voglio bene a lui. Ho fame. Voglio mangiare anch’io, ma non posso pensarci. Non devo. Penso che finisca oggi la mia vita. Finisce perché devo dar da mangiare a mio figlio. Sono una madre. Lo sento bussare. Sto arrivando, tesoro! Sto arrivando. Sentite? Mi sta chiamando! Mi sta chiamando! O forse è solo la mia immaginazione che mi ha fatto sentire un “mamma!”. Vado da lui, cadrò tra le sue braccia. Lui ha fame. Da questo punto in poi le pagine del mio diario saranno bianche. ALESSIO DI LELLA