Annie Ernaux, Il Posto - Atlante digitale del `900 letterario
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Annie Ernaux, Il Posto - Atlante digitale del `900 letterario
Atlante digitale del '900 letterario www.anovecento.net Annie Ernaux, Il Posto In questo breve romanzo autobiografico, pubblicato dall’Orma nel 2015, Annie Ernaux racconta del padre e del rapporto fra loro due, descrivendo un mondo umile e arretrato della Francia settentrionale con il linguaggio ed un’ottica particolari, che solo una persona che vi è effettivamente cresciuta può conoscere. Come lei stessa puntualizza, l'ambiente di cui narra era una volta il suo e le espressioni che usa non vengono scelte come mero esercizio, come può avvenire in altri autori: «Ci sono persone che apprezzano l'elemento “pittoresco” del dialetto e del francese popolare. Così Proust raccoglieva incantato le scorrettezze e le vecchie parole usate da Françoise. A lui interessava solo l'aspetto estetico perché Françoise era una domestica, non sua madre. Perché non gli era mai successo di sentirsi affiorare alle labbra, con naturalezza, delle frasi sgrammaticate.» (Il posto, L’Orma, 2014, p. 57). Ed ecco già apparire quella prima traccia di vergogna, di rammarico a cui segue il senso di colpa: perché da un lato non si può non notare un errore, specie linguistico, ma dall'altro non ci si può perdonare di essere così critici verso il mondo da cui si proviene. Questo il motivo per cui l'aspetto della lingua è uno dei temi principali del racconto e dell'infanzia dell'autrice, che diverse volte sottolinea come questo sia stato un elemento di dissidio fra i due e di lontananza, poiché il padre, a differenza della madre più sperimentatrice, rifiutava di «usare un vocabolario che non sentisse suo» (p. 59). Per una Annie Ernaux ancora bambina, costretta sempre a fare attenzione a come parla a scuola, sentire il padre esprimersi in maniera scorretta è molto frustrate, specialmente perché lui non si impegna a correggersi: «”Come potete pretendere che non mi si faccia osservazione se voi parlate male tutto il tempo!”. Io piangevo. Lui era infelice. Tutto ciò che riguarda la lingua nel mio ricordo è fonte di rancore e di dolorose litigate, ben più del denaro» (pp. 59-60). E il motivo di questo rancore è che Annie e il padre percepiscono già i primi segnali di quella separazione a cui sono destinati dai loro stessi percorsi di vita. D'altro canto, il fatto che non sapessero parlare fra loro «senza brontolare» (p. 66) non deve indurre a credere che non ci fosse amore: «Lui e mia madre si rivolgevano sempre l'uno all'altra con un tono di rimprovero, anche nelle reciproche premure» (pag. 65). La rudezza delle parole e dei toni dimostra come la comunicazione verbale non fosse per loro lo strumento per comunicarsi affetto, ma Annie per molti anni non lo ha capito, tant'è che era convinta che gli sconosciuti, che le si rivolgevano gentilmente, avessero una qualche predilezioni per lei, mentre in realtà cercavano solo di non essere sgarbati (p. 67). Alle parole si preferiscono i fatti, i sacrifici. In particolare, l'affetto del padre per la figlia si esprime proprio attraverso «la speranza che sarei stata meglio di lui» (p. 69). Perché ciò si realizzi, è necessario che Annie frequenti la scuola come il padre non aveva potuto fare, costretto a lavorare e a partire per la leva. La scuola diventa la barriera fra loro due, non solo per il problema della lingua, ma anche per il nuovo mondo che si apre davanti a lei, mentre la famiglia resta nella vecchia www.anovecento.net dimensione: «Sto emigrando lentamente verso un mondo piccoloborghese, […]. Mio padre è entrato nella categoria delle persone semplici, o modeste, la brava gente» (pp. 7374). E più questa separazione diventa palese, più si insinua non solo la paura del fallimento, che vanificherebbe tutti i sacrifici, ma soprattutto, forse, il desiderio di un fallimento, ora, prima che il distacco sia avvenuto del tutto: «E sempre la paura O FORSE IL DESIDERIO che io non ce la facessi.». Questo rimane solo un dubbio in Annie, ma da tale dubbio emerge l'amore fra loro, l'amore per una figlia di un padre che vuole vederla avere successo, ma non vuole separarsene. Si potrebbe ipotizzare che in questo desiderio di non separarsi riemerga la vecchia ferita causata dalla morte della prima figlia, ancora bambina, che sconvolse e ferì tanto l'uomo: «Quando è morta mio padre era alla raffineria. Al suo ritorno si sono sentite le urla fino in fondo alla strada. Per settimane, stordimento, in seguito attacchi di malinconia, restava senza parlare, guardava fuori dalla finestra, seduto a tavola al suo posto. Si colpiva per un nonnulla» (pp. 4243). Nonostante ciò il progressivo allontanamento di Annie non viene mai davvero fatto pesare dal padre: «Senza inquietudine né euforia, ha deciso di guardarmi vivere mentre conducevo la mia vita bizzarra, irreale.» (p. 85). La sua speranza che lei diventasse migliore di lui era dettata dal desiderio che la figlia potesse trovare il suo posto nel mondo, posto che lui per anni aveva avuto difficoltà a trovare: «Metà commerciante, metà operaio, apparteneva a entrambi i fronti allo stesso tempo, destinato dunque alla solitudine e alla diffidenza.» (p. 38). E anche quando questo posto viene trovato grazie al bar-drogheria, rimane sempre la paura di poterlo perdere, di non essere più accettati e accettabili: «Il timore di essere fuori posto, di avere vergogna. […] Ossessione: “Che cosa penseranno di noi?”» (pp. 54-56). Eppure, anche quando Annie trova il suo posto, quando è lo Stato stesso a offrirglielo (p. 83), lei continua a soffrire per questa distanza dal padre, dalla famiglia, dal suo vero mondo: «Mi sentivo separata da me stessa». E ciò avviene perché Annie ha abbandonato le sue origini, dimenticato «i modi di fare, le idee e i gusti del mio» (p. 87). La scissione era però inevitabile: attraverso lo studio lei ha sviluppato un senso critico che non può non applicare anche al suo stesso mondo, che ora le appare in tutti i suoi difetti e le sue mancanze, con la consapevolezza che i suoi genitori, come vespe sulla piastra, «muoiono consumandosi tra i sussulti» (p. 85). In queste parole non traspare tristezza o rabbia, ma l'apatica realizzazione di quale sarà la fine. Tuttavia accanto a questo pensiero emerge il crescente entusiasmo del padre che, avvicinandosi alla malattia e alla morte, nonostante gli anni di fatiche e sacrifici, «amava la vita sempre di più» (p. 93), In questa frase potrebbe essere contenuta la chiave del romanzo: forse la migliore vita possibile non è quella che un buon lavoro e una condizione economica agiata garantiscono, forse è quella che risiede nell'essere in pace con sé stessi e nel non sacrificare mai la propria vera identità per un mondo apparentemente più intrigante. La semplicità, il sapersi accontentare e, ancora più, il sapere godere di quello che si ha: «Noi, sai, non abbiamo più bisogno di granché» (p. 89). Purtroppo nel racconto emerge la condanna implicita di Annie, l'impossibilità di ritornare a quella innocenza di bambina, quando ancora il suo mondo non era pieno di carenze e difetti. E non è un caso che di questa innocenza non ci sia traccia: ormai Annie, anche ricordando la sua infanzia, vede tutto www.anovecento.net con occhio critico. La sua pena è l'eterna separazione da se stessa, da quella se stessa che è stata e che ora neanche ricorda. Una Annie che invece il padre ricordava e poteva capire e a cui continuava a rivolgersi, incapace di comunicare con la nuova e più matura: «Felice almeno di potermi nutrire. Ci dicevamo le stesse cose di un tempo, quelle di quando ero piccola, nient'altro» (p. 77). Ad inasprire la sua condanna, è la terribile realizzazione di essere «scivolata in quella metà di mondo per la quale l'altra metà è soltanto un arredo» (p. 90). Questo pensiero rivela l'incapacità di Annie di ricollegarsi alla sua famiglia e di riconoscerne il valore, se non altro per i sacrifici compiuti che i genitori avevano compiuto per permetterle di studiare e di ottenere il suo posto. E forse qui si può trovare la vergogna di Annie, il motivo per cui ha deciso di scrivere del padre e di ricordare quel passato tanto frammentato che gli stessi paragrafi del libro sembrano fotografie di attimi. E nello scrivere e nel ricordare, l'emergere di un sentimento di nausea: «In seguito ho cominciato un romanzo di cui era il personaggio principale. Sensazione di disgusto a metà della narrazione» (p. 21). Però Annie ha continuato il racconto, perché ne aveva bisogno, forse perché, come scrive, «non avevamo più niente da dirci» (p. 78). E ancora una volta, la separazione regna sulle sue parole. Contributo Valeria Romano, III D (L.C. Virgilio, Roma) www.anovecento.net