Luglio d`incontri di Adriana Alberici Luglio, gran caldo e sul bus, di

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Luglio d`incontri di Adriana Alberici Luglio, gran caldo e sul bus, di
Luglio d’incontri
di Adriana Alberici
Luglio, gran caldo e sul bus, di più. Mi avvicino all’uscita e lo vedo, con tante borse della
spesa piene di indumenti. E’ piuttosto pingue, alto, non rasato, molto trasandato. Ai piedi
ha ciabatte logore ed è vestito di poveri abiti, usatissimi, chissà da quanto. Mi vede, devo
scendere, mi fa largo spostando rapidamente le borse, con gentilezza. Io ringrazio,
incrociando il suo sguardo buono e sofferente. Scendo in fretta, la mia bimba di dieci mesi
aspetta la mamma che torna trafelata dal lavoro. Entro in casa, consegne rapide col marito
e poi routine pesante: la pappa, la poppa, il pisolino, i primi gattonamenti, i primi veri
capricci. Usciamo, sul tardi, quando l’afa si calma un po’. Percorriamo il giardino dietro
casa, si sta discretamente, e lei è felice, si sa, coi bambini, come dice una mia vecchia
amica, l’aria rigoverna. All’altezza delle panchine, rallento e lo rivedo, vicino alla fontana: si
sta lavando e sta lavando i suoi poveri cenci. Allora abita qui vicino, forse è sceso alla
fermata dopo la mia. O forse, non abita, visto che si lava a una fontana pubblica. Di nuovo
incrocio il suo sguardo, di nuovo mi sorride, stavolta rinfrancato dalla frescura dell’acqua.
Passo oltre, cosa posso fare?
L’indomani mattina, torno a viaggiare e vorrei, d’improvviso, sapere di più di tutti i miei
compagni di bus. Conoscerne le storie, le difficoltà quotidiane, mi sembra assurdo
percorrere chilometri e chilometri fianco a fianco e non sapere nulla l’uno dell’altro. In
fondo è normale però, la solitudine è la dimensione ordinaria ormai e la fretta ci fa
dimenticare che siamo tutti così disgraziatamente e meravigliosamente umani.
Ho deciso, oggi non voglio leggere mentre viaggio. Non voglio chiudermi tra me e il mio
giornale, voglio osservare, cercare di capire dagli sguardi se le persone sono felici o se
trasportano, oltre alla vita, un quotidiano fardello di ansie e preoccupazioni, pesi e dolori.
Mi rendo conto che basta pochissimo per fare conoscenza. Sarà l’afa, che ci fa subito
trovare degli argomenti in comune, sarà il traffico, comunque consistente anche nel mese
di luglio, saranno i lavori per la tramvia che rallentano tutto e snervano i fiorentini ma in
effetti, dopo poco, se si vuole, si diventa l’un l’altro un po’ confidenti.
Dopo qualche fermata, il mezzo si riempie, sono salite le donne rom, con le loro gonne
colorate. Portano i foulard in testa e sudano molto. Hanno anche calze ai piedi infilati in
ciabatte estive, ma come fanno? Una di loro è anziana e porta il bastone, istintivamente mi
alzo, le cedo il posto. Lei ringrazia e augura buona fortuna a me e ai bambini, se ce ne
sono. Spero che nessuno abbia da ridire su questo gesto e che non cominci con la solita
tiritera su quanto puzzano, non pagano il biglietto, sono scansafatiche, rubano…no, oggi
proprio, non lo sopporterei. Per fortuna nessuno commenta, un signore che mi sta
accanto, mi offre un po’ di spazio in piedi e, d’improvviso, l’autobus si fa più grande,
capace di contenere tutti, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni
politiche, condizioni personali e sociali…non recita così l’Art. 3 della nostra ultimamente
tanto vituperata Costituzione? Rifletto: “condizioni personali” è un’espressione che
comprende proprio tutti, anche chi è costretto o decide “personalmente” di essere in un
certo modo e di condurre una certa vita. Anche i barboni quindi, come il signore di ieri. Del
resto, barboni, nel senso di “senza casa”, negli Stati Uniti lo sono diventati in tanti,
ultimamente, a causa della crisi dei mutui. Ho letto di veri e propri campeggi dove si
accampa chi ha perso tutto: la casa portata via dalle banche, il lavoro, spesso precario,
perso per cercare di far fronte agli aumenti vertiginosi della rata mensile.
Dopo questi pensieri, torno a guardare i miei compagni di un giorno. Tra poco il viaggio
sarà finito, ognuno si recherà verso il suo quotidiano: chi a lavoro, chi a scuola, chi a
mendicare nel sottopasso della stazione, chi a fare shopping, chi a guardare vetrine di
cose che non potrà permettersi, chi a fare commissioni in uffici, chi a trovare un amico, un
parente, un nipotino, chi a rinnovare le pratiche per il permesso di soggiorno. Magari, tra di
loro, ci sarà qualcuno che passerà la giornata a guardare dentro i cassonetti, chi lo sa,
forse in quelli del centro, si può raccattare di più!
Ci siamo, è il capolinea, scendo in fretta e mi butto a capofitto nella città ma rivolgo un
ultimo pensiero a quanti hanno viaggiato con me formulando una specie di augurio: che
tutti abbiano, almeno per oggi, la possibilità di conservare la loro dignità e di scegliersi la
loro “condizione personale” nel senso di vedersi riconosciuti, qualunque sia la loro scelta
di vita, come “persone” in quanto appartenenti alla razza umana.