Io, poliziotto, dico che il reato di tortura serve

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Io, poliziotto, dico che il reato di tortura serve
Giustizia “ L’ESPRESSO”
'Io, poliziotto, dico che il reato di tortura serve'
Serve un nuovo patto fra forze dell'ordine e cittadini. Nel segno
della democrazia e non del tifo. Perché i controllori devono essere
controllati. Parla Luigi Notari, 40 anni di esperienza in divisa
di Francesca Sironi
21 luglio 2015
Un ragazzo picchiato a Genova 2001 Introdurre il reato di tortura «è necessario». Per «rassicurare
le persone. E sancire un nuovo patto democratico fra forze dell'ordine e popolazione». A
sostenerlo non è un attivista. Nè un parlamentare. Ma un uomo in divisa. Uno "sbirro". Luigi
Notari è stato poliziotto per oltre 40 anni. Arrivato alla segreteria nazionale del Siulp, il "sindacato
unitario lavoratori polizia", è in pensione da pochi mesi. E ha deciso di intervenire nel dibattito
aperto dalle modifiche in commissione Giustizia del Senato alla legge contro la tortura, modifiche
che impongono concetti quali "reiterazione", “crudeltà" e “verificabile trauma psichico",
commentati per l'Espresso da Livio Pepino.
“L'apparato", se così si può considerare la voce forte degli agenti del Sap (sindacato autonomo di
polizia) - sostenuti da figure istituzionali quali Roberto Maroni, governatore della Lombardia, e il
senatore Maurizio Gasparri - sembra disposto a tutto pur di bloccare l'introduzione del reato di
tortura, previsto da una convenzione internazionale che lo Stato ha firmato ormai trent'anni fa.
Senza ancora darne adempimento. Dopo veti e attese, sembrava arrivato il momento del sì, del
riconoscimento di ferite mai rimarginate come quelle delle violenze alla caserma di Bolzaneto
durante Genova 2001. Invece: dietrofront. Il testo, così stravolto, dovrà ricominciare l'iter da capo.
Col rischio che un'altra legislatura si spenga prima di averlo approvato.
La caserma di Bolzaneto, teatro di torture dopo gli arresti durante le manifestazioni di Genova 2001.
«C'è qualcosa di anomalo nel protagonismo di alcune sigle sindacali in questa battaglia contro la
legge», sostiene Notari: «Questa sovraesposizione mediatica e politica fa male a tutte le forze di
polizia. Anche perché non rappresenta la realtà». Secondo Notari infatti, le posizioni oltranziste del
Sap contro l'introduzione del reato di tortura, accusato di mettere a rischio la “brava gente" , non
raccontano la posizione diffusa degli agenti. Anche se ad oggi troppo silenziosa. Boicottando il
testo della Convenzione di Ginevra, sostiene Notari: «La polizia dimostra uno spirito revanchista
che fa male alla democrazia. È una reazione da appartenenti a un corpo e non da tutori della legge».
La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per le violenze alla
Diaz e per non aver introdotto il reato nel codice penale. Come
prevede una Convenzione Onu del 1984. Ma finora il Parlamento
ha fatto di tutto pur di non tener fede agli impegni. E il
provvedimento ora all'esame della Camera è assai lontano dal
testo delle Nazioni Unite
Per sostenerlo parte dalla sua esperienza. «A me hanno educato in un altro modo. I miei superiori
mi hanno insegnato che una persona in stato di fermo, indifesa, consegnata alla nostra tutela,
non si tocca. Mai - racconta il poliziotto in pensione - A volte anch'io ho rischiato di sbagliare, ma
sono stato richiamato in tempo. Fermato dai miei colleghi più lucidi in quel momento, perché meno
stanchi o coinvolti emotivamente». È un meccanismo di autotutela consolidato e necessario, spiega.
«Anche i controllori», dice e ribadisce più volte nel corso dell'intervista, «Devono essere
controllati. È per questo che la legge sulla tortura è giusta. Perché chi ha paura del controllo, chi si
oppone al reato di tortura, dimostra di non poter controllare il suo ufficio, i suoi agenti».
Sostenitore della riforma “civile" del corpo di polizia del 1981, Notari ha una posizione chiara su
quello che dovrebbe essere il rapporto fra agenti, cittadini e Stato. «Il nostro mestiere è vincolato
in modo indissolubile alla Costituzione. Che all'articolo 54 scrive - “I cittadini cui sono affidate
funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento
nei casi stabiliti dalla legge". Noi dobbiamo dimostrare disciplina e fedeltà alla Repubblica. E la
legge contro la tortura, nella sua prima formulazione, è solo un'estensione pratica di questo concetto
fondamentale».
Luigi Notari Nel suo primo libro-intervista con Mauro Rovarino , uscito poche settimane fa per le
Edizioni Abele - con il titolo indicativo di "Al di sotto della legge" - Notari racconta quella che per
lui è stata la strada di "auto-ghettizzazione" presa della polizia dopo il sequestro del generale
americano James Lee Dozier e le torture a cui furono sottoposti i militanti delle Brigate Rosse in
quell'occasione. La denuncia fu pubblicata da l'Espresso e l'autore dell'articolo, Pier Vittorio Buffa,
arrestato perché non volle rivelare le sue fonti.
«Fu il primo caso di malapolizia dopo la riforma con il ricorso a strumenti illegittimi per estorcere
la verità. I fatti accaddero alla vigilia del primo congresso nazionale del Siulp che contava già
40.000 iscritti e che si svolse nel 1982 - racconta Notari nel libro - Il caso Dozier frenò e minò il
cambiamento, perché come ormai rituale in tali situazioni la polizia si ripiegò in se stessa, si affidò
ai tifosi, chiedendo consenso e provando a ricostruire l’infausta separatezza dalla società».
«Si trattò di un meccanismo infernale che si è poi ripetuto nel corso della storia», continua il
poliziotto in pensione: «Di fronte agli errori operativi e agli abusi, l’apparato tende a
rinforzarsi e le strutture democratiche a indebolirsi. La polizia si auto-rappresenta come un
totem, mettendo a rischio la necessaria trasparenza di un’istituzione. È successo, vent’anni dopo,
anche a Genova, nel 2001, l’anno del G8».