Ilaria Guidantoni tunisina italiana (o l`esatto contrario)

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Ilaria Guidantoni tunisina italiana (o l`esatto contrario)
Ilaria Guidantoni tunisina italiana (o
l’esatto contrario)
Un’amica di un’amica cercava una
giornalista che presentasse “un libro sulla Tunisia in cui
c’è attenzione per le donne”. È così che ho conosciuto Ilaria
Guidantoni. L’ho vista due volte e ci siamo scritte alcune
decine di e-mail, ho letto tre dei suoi libri e lei uno dei
miei. Ho chiesto di lei, sbircio le sue foto. Il fatto che la
trovi sempre ben vestita e pettinata, che porti borse e
occhiali firmati, che indossi pellicce e che abbia un piglio
sempre piuttosto formale normalmente mi farebbe passare ogni
desiderio di approfondimento. Invece Ilaria mi incuriosisce
terribilmente: trovo irresistibile il suo innamoramento per
la Tunisia. La rende trasparente.
Insomma chi è Ilaria? Dimentica il contesto, qualunque
contesto. Definisci chi sei. «Una donna del Mediterraneo, una
specie di apolide. Non lo dico per vezzo: raccontando del
Mediterraneo trovo, adesso, il mio riconoscimento maggiore.
Culturale ma anche di orizzonte, visione dell’esistenza,
complesso di valori morali e religiosi. Vi è una confluenza
di anime diverse che è anche nella mia formazione. Amo la
sponda a sud del Mediterraneo».
Non riesco a definire “reportage” quello che scrivi. «No, è
una scrittura un po’ di confine. So che è un rischio: assieme
alla ricchezza delle differenze che si mescolano, c’è la
possibilità del limbo. C’è però una traccia chiara, e cioè il
tema dell’“incontro con l’Altro”, presente fin dal primo
saggio sulla sicurezza stradale. Certo nell’ultimo –
“Chiacchiere, datteri e the. Tunisi, viaggio in una società
che cambia” – la scrittura si fa più chiara. È un reportage
“caldo”, tutto in prima persona e legato anche a pensieri ed
emozioni personali».
Racconti della Tunisia e sei – come si dice
in gergo – sempre sulla notizia. Eppure io continuo a trovare
più rilevante, più evidente, il dato “personale”. È questo
che mi pare definisca il tuo attaccamento a questo Paese. «Me
ne sono innamorata attraverso un incontro personale. Ecco, la
vita privata a volte ci porta ad aprire delle porte, poi non
è detto che si rimanga nella stessa casa o si esca dalla
stessa porta. Io nel frattempo mi sono legata a questo mondo:
una vicenda personale mi ha aperto le porte su una vicenda
collettiva. Frequentavo la casa di una persona che si
occupava (e si occupa) di diritti umani sotto la dittatura:
questo ha spalancato un mondo insospettabile. È stato viverlo
da dentro, con le preoccupazioni di chi vive una vicenda
personale, che probabilmente mi ha portato a scriverne col
cuore».
È una storia che continua, insomma, anche se in modo
diverso. «Sai cosa mi succede, adesso? Che frequento molti
italiani di Tunisi, italiani nati a Tunisi o che vi vivono in
parte o che hanno sposato tunisini. E poi studio arabo e
tunisino. Da due anni, anche se con scarsi risultati
(sorride, ndr). Il problema è che è molto difficile imparare
a parlarlo, vorrei intanto imparare a capirlo. È il passo che
voglio arrivare a fare entro un anno. Adesso, scherzando,
dico che potrei giocare a nomicosecittà. Conosco, insomma,
molte parole. Però l’ultima volta a Tunisi sono andata in un
quartiere popolare, ho visto un’insegna, ho riconosciuto che
era un ristorante e sono riuscita a leggere il menu in arabo.
Mi sono sentita dentro il Paese. Adesso in Italia mi fanno i
complimenti per il mio italiano, è buffissimo, mentre a
Tunisi la gente mi parla in arabo in qualunque modo io sia
vestita. Mi emoziona».
Sei innamorata. Raccontamene i sintomi. «La malinconia che ho
provato le volte che ho lasciato quell’aeroporto. E poi,
adesso, se penso al “ritorno” non so di cosa parlo:
dell’Italia? della Tunisia? Non so più dov’è questo
“ritorno”. Mi era già successo in Italia. Evidentemente un
luogo solo non mi basta. Sono in egual misura fiorentina,
milanese e romana, ma a parte il legame con la famiglia e la
lingua… non riesco nemmeno più a dire d’essere italiana.
Altra cosa: a Tunisi riesco a prendere tempo per me. Ecco,
forse mi sono innamorata di quel posto perché quando sono lì
riesco a non finalizzare il tempo in modo così stringente
come faccio altrove. Vivo con un senso di pienezza, quando
invece normalmente ho tre telefoni sempre accesi e l’orologio
sempre sott’occhio. In Tunisia ho scomposto i miei schemi,
proprio come accade quando ci si innamora».
A volte è come se tu dicessi “guardatemi, sono io, sono
qui!”. «Ho molta paura che se… non sto sulla notizia… si
dimentichino di me. Ho paura che lontana dai loro occhi possa
diventare lontana dal loro cuore. È una forma di
corteggiamento, anche. Lo so».
Se ho capito qualcosa di te, ti sei portata in casa un po’
della Tunisia. E parlo di sensazioni. «Una teiera, un tappeto
berbero, gioielli, una sciarpa, una zuppiera, delle coppette
dipinte a mano che uso spesso. Ci penso per la prima volta:
sono tutti regali. Io non ho mai comprato oggetti per me, per
me compro cose che consumo. Il profumo che si utilizza là per
i cuscini, il the, vino e aceto balsamico di datteri. Sì,
compro cose che consumo, non mummifico la Tunisia».
Ho idea che tu stia provando a spostare parte del tuo lavoro
in Tunisia. «Vorrei cercare di rappresentare, in qualche
modo, un anello tra i due Paesi. Turismo, agroalimentare,
piccola e media impresa, lavoro femminile. Secondo me ci sono
tutti i presupposti per costruire assieme».
Loredana De Vitis
[Ilaria Guidantoni ha scritto: “Vite sicure” (Edizioni della Sera, 2010); “Prima
che sia buio” (Colosseo Grafica Editoriale, 2010); “I giorni del gelsomino” (P&I
Edizioni, 2011); “Tunisi, taxi di sola andata” (NoReply editore, 2012),
“Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia” (Albeggi
Edizioni, 2013)].