Il Notturlabio

Transcript

Il Notturlabio
IL NOTTURLABIO
Tre soli si stagliavano contro un crepuscolo rosa e acquamarina, velati da una
trama di sbuffi e batuffoli che richiamava il sapore di lana di fata filata alle feste.
Il cielo mi diceva che l’indomani avrebbe piovuto, ma quale messaggio
comunicava quel triplice Sole?
- Samara, Samara, vieni a vedere – sussurrai.
Un effluvio di ambra e vaniglia mi avvolse e stemperò i brividi di freddo che mi
correvano su e giù per la schiena.
- Sembrano braci ardenti rinfocolate dal vento – disse lei.
- A me fanno pensare alle sfere di fuoco che crei tu, quelle con la coda, ma non è
possibile che un Trimorfo sia in grado di fare una cosa del genere – gli dissi.
- No, non è possibile. Sono lontane, e poi guarda come sono uguali tra loro e
allineate alla stessa distanza dal Sole, una da una parte e una dall’altra.
- Ma cosa sono, allora? Faranno parte del mondo o del cielo? Scompariranno o il
Sole viaggerà per sempre assieme a quei due compagni? – presi a porre domande
senza riflettere sulle possibili risposte e con una smorfia aggiunsi – Sembra che il Sole
vada a passeggio con i suoi cani da guardia.
- Chissà se Mikolai sta guardando il cielo. Se è così, di sicuro sta elaborando una
teoria per spiegare questo Sole trino. Lui conosce così bene la volta celeste – sospirò
Samara.
Serrai i pugni: ero lì con la testa incassata tra le spalle, in attesa che qualcosa
precipitasse giù dal firmamento, e mia figlia non trovava di meglio da fare che pensare a
quello scellerato di Mikolai. Allora avevano ragione tutti gli altri Osservatori quando
asserivano che quei cambiamenti del cielo erano presagi di sventure.
Guardai quella scena con occhi ormai consapevoli: altro che cani da guardia,
quelli erano Samara e Mikolai che mi avevano messo in mezzo. Povero Cornelis, tradito
dalla figlia e dal folle innamorato di lei.
- Ti vedi ancora con Mikolai? – sibilai e chiusi le imposte – Per amor dello Spirito,
ma perché non dai ascolto a tuo padre.
- Ma noi ci amiamo, io lo voglio sposare!
- Senti Samara, non sei più una ragazzina. È ora che tu metta la testa a posto, che
ti sistemi. Non puoi sposare chi ti pare. Bisogna essere accorti e muoversi nel modo
giusto. Vuoi far soffrire lo spirito della tua povera mamma?
Samara si portò le mani alle tempie ringhiando, arrotava i denti l’uno sull’altro. Mi
fermai dall’altra parte del banco, aggrappandomi al bordo di legno. Le mie nocche
sbiancarono di fronte al caldo rossore che le mani di mia figlia irradiavano, mentre
archetti di luce bianca si attorcigliavano tra le sue dita avvolte in un’aura azzurrina.
- Sta’ calma – la pregai – sta’ calma, bambina mia. Soprattutto non pensare al
pavimento, mi raccomando, non farci finire di sotto come quella volta sul ponte.
Si voltò contrò di me e mi lanciò un urlo che mi fece accucciare sotto il banco.
Scariche elettriche corsero schioccando e scintillando tra i miei marchingegni: un paio di
automi caddero e persero la testa; e un mulino in miniatura minacciò di volare via
trascinato dalla ruota che vorticava sul mozzo, ticchettando come un metronomo
impazzito.
Prima che il laboratorio venisse devastato da una tempesta di fulmini, decisi di
lanciarmi contro mia figlia per dargli una bella sculacciata; ma il mio pastrano rattoppato
mi schiacciò sul pavimento, divenendo sempre più pesante. Per lo Spirito della Vita! Ero
bloccato riverso, i muscoli mi dolevano e facevo fatica a respirare. – Samara – soffiai
come una biscia presa sotto le ruote di un carro.
- Oh, povero papà. Scusa, scusa, ora mi calmo – gridò Samara.
Si gettò su di me, nascondendo il viso nell’incavo del mio collo. Il mantello tornò
leggero e io mi misi seduto, abbracciandola a mia volta. Singhiozzava e sentii le sue
lacrime colare tra noi fino a bagnare la lanugine bianca che mi ricopre il petto. Diedi uno
sguardo al laboratorio e non mi sembrò ci fossero danni di rilievo, ad eccezione del
montante della porta d’ingresso in parte scavato da solchi ardenti.
- Dai, tiriamoci su. È tutto a posto figliola, sto bene. Certo che hai ripreso tutto da
tua madre, anche lei aveva un caratterino burrascoso.
- Papà, scusa. Mi dispiace tanto – piagnucolò rivolta agli automi decapitati.
- Non preoccuparti, li aggiusterò, non ci vuole niente. Piuttosto siediti e prometti di
ascoltare – alzai le mani, agitandole come quando cercavo di tenere a bada i venditori
ambulanti – Niente “ma”, per favore. Siediti, sta’ calma, e ascolta. Non capisci che sono
preoccupato per te? Devi comprendere che tutto quello che dico e che faccio è solo per
il tuo bene. Come potrei, io, tuo padre, farti del male?
- Mi fai soffrire proibendomi di amare Mikolai – piagnucolò lei per tutta risposta.
- Samara – ripresi io con un cipiglio serissimo – alla tua età sei già una dei migliori
Trimorfi di Nurn: le tue manipolazioni energetiche sono potenti e precise; alteri la
materia tanto da far sì che un solo uomo possa scaricare un intero bastimento, come se
la stiva fosse colma di cuscini di piume d’oca, invece che di casse così pesanti che se il
capitano tracannasse un boccale in più di sidro la nave colerebbe a picco.
Samara fece spallucce e allargò le braccia. - Lo so, lo so – ripresi – lo Spirito ti ha
donato l’Arbitrio del Bene e del Male e per te è del tutto naturale, come per ogni
Trimorfo del resto. Però tutto questo talento non ti porterà a niente se non darai retta a
tuo padre.
- Ma io voglio fare come dici tu, non voglio essere una figlia indegna dell’amore del
proprio papà – miagolò carezzandomi il viso – Se solo tu trovassi il modo di farci stare
pure Mikolai! – ruggì all’improvviso, mettendosi in piedi con i pugni puntellati sui fianchi.
- Basta ora! Ma allora proprio non capisci. Tu sei destinata a far parte
dell’Assemblea dei Comandanti, magari diventare il Capo Trimorfo, un giorno. Ma se
insisti nell’accompagnarti con quell’Osservatore invasato, che è pure arrogante
ancorché squattrinato, non avrai un futuro e ti ridurrai al margine di una strada rotta e
infangata a chiedere quattro soldi per un paio di fulmini scagliati in cielo. Sarai buona
solo a far ridere i monelli!
- Ti odio, e non ti arrostisco qui sul posto e ti spedisco in cielo solo per amore della
mamma.
- Guarda che se tua madre fosse ancora viva la penserebbe come me – gli urlai,
ma le mie parole si scontrarono contro la porta che Samara si chiuse dietro: le ferite
incise nel telaio dell’uscio si ravvivarono e si allungarono.
Feci un po’ d’ordine nel laboratorio e pensai all’appuntamento dell’indomani. Le
mie elucubrazioni mi tennero sveglio per tutta la notte e al mattino fu un sollievo
constatare che il chiarore diffuso da una grgia coltre nuvolosa proveniva da un unico
sole.
Il Considerato Giocattolaio Tubulkain mi ricevette nel salottino allestito all’ultimo
piano della sua abitazione. Le mura rientranti formavano ambienti a tronco di piramide
ed erano rivestite da oggetti prodotti dall’abilità tecnica del figlio: l’allievo Giocattolaio
Lamech. Le lenti, gli specchi e i prismi decoravano la stanza e permettevano di
amplificare la debole luce di quella giornata uggiosa, donandole una calda tonalità.
Tubulkain armeggiava con una lente ustoria per accendere il fuoco nel caminetto e io
ero sprofondato in una poltrona che sembrava cambiare forma non appena trovavo una
posizione comoda.
Alla luce delle prime fiamme del focolare esordii – Consideratissimo Tubulkain,
abile Giocattolaio d’Armi, Prima Scelta dell’Assemblea dei Comandanti...
- Cornelis, ti prego, siamo cresciuti insieme!
- Ma allora, caro amico mio, perché conduci il nostro incontro in un contesto così
riservato? Oggi avremmo dovuto gioire. Come mai né Lamech e né la tua adorata
consorte presiedono al nostro colloquio?
Tubulkain tacque e si diresse alla libreria da dove prelevò una chimera in legno di
sandalo.
- Vuoi mostrarmi una delle tue ultime creazioni? È forse la versione che sputa
fuoco? – chiesi.
Lo fissai mentre si sedeva nella poltrona di fronte a me, e devo dire che feci fatica
a ritrovare il volto del mio amico in quel viso da mummia. Tubulkain poggiò la chimera
sul tavolinetto tra le nostre ginocchia e incrociò il mio sguardo: i suoi occhi evocarono
l’inverno alla mia mente.
Mi scossi e osservai le due metà della statuina: una oscillava ancora, l’altra era
tenuta ferma da un libriccino rilegato in pelle rossa. Lessi, senza pronunciarle, le lettere
che formavano il titolo e il nome dell’autore incise sulla copertina, mi sembrarono
tracciate con l’orina.
Tubulkain prese tra le punte del pollice e dell’indice il libro e lo infilò tra le fiamme.
– Questa era l’ultima copia in mio possesso, ma di certo ne girano altre. L’Assemblea
dei Comandanti sta già discutendo su quale provvedimento prendere.
Boccheggiai e i miei occhi minacciarono di saltar fuori dalle orbite, il mio ospite
continuò - Cornelis, tu e tua figlia dovete assolutamente prendere le distanze da questo
eretico, e dovete farlo pubblicamente, chiedendo clemenza di fronte all’Assemblea.
Prega lo Spirito che dimentichino la vostra parte, amico mio.
- Ma... ma noi non abbiamo fatto e detto nulla – sentii le mie gambe liquefarsi e
ricaddi sulla poltrona, a corto di fiato aggiunsi – denunciai anche il meccanismo che con
l’inganno mi fece costruire... io e Samara...
- Cornelis! – mi riprese il mio amico, scrollandomi per le spalle – Si chiedono
perché mai sia venuto proprio da te. Samara si è incontrata più volte con lui. Pare
esserci un testimone che una notte l’ha visto levitare fino alla finestra di tua figlia. E lui
non è certo un Trimorfo – sputò le parole puntando un indice verso le pagine che
bruciavano nel focolare – tua figlia era consenziente, lo ha sollevato lei!
La durezza di Tubulkain mi scosse, facendomi rendere conto che non c’era più
tempo per difendersi. – Capisco che la mia presenza in casa tua importuna la tua
famiglia, se non, addirittura, la mette in pericolo. Ti ringrazio per avermi ricevuto, andrò
via subito – dichiarai tra un tremore e l’altro delle labbra, dei denti e della lingua.
Uscìì in strada sotto la sferza della pioggia. All’esplosione dei tuoni mi
rannicchiavo convinto che fosse lo Spirito della Vita che mi condannava. Mi voltai
indietro verso la casa di Tubulkain: gli edifici stipati nel vicolo, con i telai in legno a
disegnare confini sugli intonaci bianchi, mi sembrarono carcerati dietro le sbarre; e i tetti
aguzzi erano frecce che indicavano le catene che tiravano per il collo quei miserabili.
Strisciai contro le mura degli edifici erette ad argine dei vicoli, urtando i passanti
costretti ad avventurarsi sotto il temporale. Il garzone di un Giocattolaio prese a
strattonarmi neanche fossi un destriero da battaglia che dovesse arrestare la sua
carica, mentre provava e riprovava a cacciarmi un ombrello tra le mani. Riparato dalla
pioggia, grazie a un Trimorfo manipolatore d’acqua, scrutai un Osservatore che
raccoglieva le gocce che precipitivano dal cielo in ampolle di vetro. – Perché non vai a
coprire lui dall’acquazzone? – chiesi al Trimorfo dei fluidi. Quello, per tutta risposta,
raccolse un volume d’acqua sopra la mia testa e lo scagliò sull’Osservatore.
Sghignazzai e urlai dietro alla vittima di quello scherzo – È inutile, tanto non lo riprendi,
ti farà scivolare in un fiume. Allagherà tutta Nurn!
Mi accasciai a terra e piansi colmo di rancore. In quei pochi minuti avevo avuto
davanti il futuro mio e di Samara: io sarei finito a vendere giocattoli e divertimenti al
bordo della strada, sporco di letame; e Samara, vestita con una sottana sbrindellata,
avrebbe potuto illuminare i vicoli per i signori e magari donare un pugno di tepore alle
dame infreddolite. Giocattolai, Trimorfi e Osservatori da strada, ecco cosa saremo
diventati, a meno di non rimetterci la testa. In quell’istante decisi di uccidere Mikolai,
comunque fosse andata.
Mi accorsi di battere i denti e strizzando i vestiti giudicai di pesare almeno il
doppio. Se volevo vendicarmi non potevo certo lasciarmi morire di freddo o permettere
che le mie ossa si paralizzassero. Aggrappandomi ai ciottoli della strada mi trascinai fin
dentro la locanda più vicina.
Ho giudicato questo posto una vera bettola visto che nessuno si è degnato di
rilevare la presenza di un disperato come me che scalava un pavimento, e magari l’oste
avrà pure confidato che gli pulissi per terra. Il tepore dell’ambiente mi ha ridonato una
vista abbastanza chiara e così ho deciso di guadagnare quest’angolo fumoso. Non ti
nascondo che, prima di svenire ai tuoi piedi, ho anche pensato di sgraffignare qualcuno
dei tuoi aggeggi, giusto per compiere qualche cattiveria anch’io.
- Posso capire, Cornelis, non ti giudico. Ora va meglio, sei quasi asciutto. Ti stai
scaldando?
- Si, grazie. Come hai detto che ti chiami?
- Il mio nome è Sebald.
- E sei un Trimorfo, tu?
- Una specie.
- Hai drenato l’acqua dalle mie vesti e mi hai scaldato con una sfera di calore; tieni
in una bolla di spazio contratto tutta la tua roba, qui, su questo tavolaccio minuscolo.
Direi che possiedi un Arbitrio del Bene e del Male piuttosto versatile.
- Sì, e non solo quello.
- Mi vuoi dire che quei marchingegni li hai costruiti tu? Hai l’abilità di un
Giocattolaio?
- Oh, appena sufficiente per considerarmi uno di quelli modesti, non certo un tuo
pari grado Cornelis.
- Vorrei ben vedere, mio da poco amico Sebald, anche se ti sei dimostrato di certo
non da poco, e di questo ti sono grato. Io sono il Giocattolaio Prima scelta
dell’Assemblea per giochi e divertimenti. Ma ora tutto finirà, saremo bollati come eretici,
io e la mia Samara.
- Chissà, magari ho la soluzione al tuo problema.
- Arrotondi come sicario? No, voglio che Mikolai muoia tra le mie mani, voglio
sentirne lo spirito abbandonare il corpo. Ma questo non risolverebbe niente comunque.
- Immagina, Cornelis, se tu fossi in grado di amministrare l’Arbitrio della Vita, cosa
faresti?
Cornelis quasi rovinò dalla panca. Vide Sebald muovere la mano come per
sciogliere un polso contratto e notò l’opacità di uno schermo sonoro. Sebbene i due
erano in grado di sentire il brusio che invadeva la taverna, potevano abbandonarsi a
pericolose speculazioni senza temere di essere ascoltati.
- No, non è possibile quello che dici. Lo Spirito non ci ha donato l’Arbitrio della Vita
– rispose Cornelis, guadagnando lo spigolo esterno della panca su cui sedeva – E,
forse, lo stesso Spirito non può amministrarlo.
- Cornelis, non immaginavo che tu fossi fedele alla visione dello Scisma. Non credi
quindi in uno Spirito onnipotente? Ritieni che lo Spirito della Vita non sia in grado di
manipolare il tempo?
- Tu sei un compare di Mikolai! Ora mi verrai a dire che l’eresia di quel folle è la
verità e che la Terra gira intorno al Sole. Se solo Samara non si fosse innamorata di
quello scellerato o io avessi compreso prima cosa rappresentavano quegli osceni
disegni.
Sebald si mosse e una forza invisibile contrasse i muscoli del suo interlocutore,
rimettendolo a sedere. Cornelis boccheggiò.
- Adesso calmati Cornelis e perdonami, ti assicuro che da questo momento in poi
non ti tratterrò più. Potrai andartene quando vorrai ma permettimi di mostrarti i miei
strumenti. D’accordo?
Il Giocattolaio in disgrazia sentì i muscoli rilassarsi, per un istante contrasse le
cosce per guizzare via ma poi i visi di Samara e di Mikolai gli si fissarono in mente.
Decise di percorrere qualsiasi strada che gli avrebbe potuto permettere di salvare la
figlia e di vendicarsi di quell’Osservatore eretico.
- Ecco, iniziamo dal meccanismo più semplice – Sebald trasse dalla bolla di spazio
alterato una clessidra in ottone. – Questo non è vetro, è un cristallo puro e durissimo.
La sabbia all’interno proviene da terre remote che rimarranno sconosciute ancora per
molto tempo. In verità non ha nulla di particolare, uso questo sedimento perché
proviene dalla mia terra. Nostalgia.
- Che durata può misurare? – chiese Cornelis, affascinato dalla finitura della
clessidra e dalla tecnica che l’aveva resa possibile.
Sebald scosse la testa sorridendo – La domanda giusta è quale durata può
fermare. Vedi, Cornelis, basta scorrere queste incisioni e pronunciarle mormorando,
così...
Cornelis si guardò intorno e cominciò a sudare freddo. Inquadrò un avventore
inciampato e sospeso in aria a metà della caduta; la cameriera, imporporata in volto,
con i muscoli del braccio in rilievo colti nell’atto di caricare uno schiaffone ai danni del
beone che le strizzava il seno; e le fiamme del focolare che si stagliavano come coralli
nella grassa atmosfera della locanda. Gli sembrò di ammirare un dagherrotipo colorato.
- Ora abbiamo tempo a sufficienza affinché ti mostri gli altri miei strumenti senza
essere disturbati.
Sebald pose al centro del tavolo un anello costituito dall’unione di tre fasce d’oro
poste l’una accanto all’altra. Le più esterne erano fisse e saldate a un occhiello
all’interno del quale passava una catenina chiusa su se stessa. La terza fascia era
mobile e dotata di un foro passante. – Presso alcune città questo strumento è noto
come anello ad altezza – spiegò Sebald – una volta era in uso anche qui a Nurn, prima
dell’introduzione dei dittici. Solo che questo anello non serve per leggere l’ora attuale
ma per conoscere l’ora in cui è accaduto un certo evento, e funziona con qualsiasi fonte
luminosa.
- E quale utilità può avere? – domandò Cornelis, seguendo con gli occhi il
pendolare dell’anello dalle dita di Sebald.
- Capirai, amico mio, che questo anello è di fondamentale importanza per
utilizzare il prossimo meccanismo che ti mostrerò.
Sebald fissò Cornelis – Ti ricordi l’istante in cui hai compreso che Tubulkain non
avrebbe mai acconsentito alle nozze tra suo figlio e tua figlia? – Cornelis mosse la testa
per annuire, Sebald proseguì – Ora mi concentro su questo evento, scorro le incisioni,
fammele mormorare...
Cornelis vide un puntino luminoso formarsi sulla superficie di una delle fasce
interne dell’anello. – Leggi la scala graduata sul lato alla mia sinistra – lo istruì Sebald. –
È l’ora giusta, al minuto, vero?
- È molto preciso – dovette constatare Cornelis.
- Bene, ora completiamo la tua istruzione – disse Sebald, traendo dallo spazio
contratto un marchingegno più grande e complesso dei primi due. – Questo è un
notturlabio – rivelò a Cornelis.
- E non serve solo per leggere l’ora di notte – indovinò il Giocattolaio in disgrazia.
- Con la clessidra ti nascondi agli altri, con l’anello conosci il momento esatto e con
il notturlabio lo raggiungi – cantilenò Sebald e mostrò a Cornelis come allineare il regolo
con i puntatori in cielo e muovere gli altri steli per scegliere l’epoca e l’ora passata. – Ma
attento – ingiunse Sebald – potrai farlo solo una volta all’anno, quando i puntatori, a
mezzanotte, sono posti in verticale nel cielo.
- Quando? – sussurrò Cornelis.
- Stanotte, amico mio.
Con la destra e la sinistra ero riuscita a formare dei fulmini circolari in rotazione
intorno all’asse che congiungeva i miei palmi. Abbassai le braccia verso il piano dello
scrittoio cosparso di limatura di ferro. Quando vidi le minute scaglie metalliche migrare
come l’acqua del fiume incanalata a valle delle chiuse, invece che sparpargliarsi nella
camera, li sentii arrivare.
Mi rifuggiai nell’angolo della stanza opposto all’entrata, di fronte la quale innalzai
una barriera di fiamme. Aumentai il peso della porta fino a sentir scricchiolare il
pavimento e caricai il fulmine tra le mani.
Quando i soldati rivestiti di ceramica buttarono giù la porta chiusa con tutto il
telaio, compresi quanto fossi stata sciocca a non rinforzare anche il muro, ma,
soprattutto, a farmi distrarre dai tonfi rumorosi che le guardie avevano prodotto
risalendo di corsa le scale.
Con la coda dell’occhio feci appena in tempo a rilevare i vetri della finestra andare
in frantumi, scaricai la mia rabbia infuocata e folgorante sui primi della fila e la stretta di
non so quanti Trimorfi mi neutralizzò.
L’unica mia consolazione è di essere, ora, in tua compagnia, amore mio.
- Mia dolce Samara, gioia della mia vita! – esclamò Mikolai.
- Vorrei tanto abbracciarti – Samara sporse un braccio per toccare il suo
innamorato. - Vi prego, metteteci nella stessa cella – implorò la ragazza.
Una figura avvolta in un mantello d’ardesia e con il viso interamente coperto da un
cappuccio alzò una mano e Samara sentì una montagna schiacciarle il torace.
- Smettila maledetto – urlò Mikolai – non fermarle il sangue, basta!
Samara tornò a respirare, giacendo sul pavimento di pietra unta di muffa. Il
sentore di marcio le stuzzicava le narici mantenendola in sé “La tomba deve avere
questo odore” pensò. Mosse la testa in un diniego rivolto a Mikolai che, muto, l’aveva
interrogata con lo sguardo, domandando se fosse in grado di attaccare il carcieriere.
- Sei stata ferita amore mio?
- No, la sua presa è stata la cosa peggiore – rispose Samara, indicando il fondo
del corridoio dove era seduto il loro sorvegliante. – Potrebbe uccidermi in un istante,
prima che possa caricare le mie energie.
- Hanno preso anche tuo padre?
Samara scosse la testa – Non era in casa. L’ho intravisto prima che mi
chiudessero nella gabbia di annullamento dell’arbitrio, è fuggito ma forse l’hanno
raggiunto. Povero papà, correva tutto piegato, oscillando, e trasportava un fagotto sulle
spalle. Non credo sia andato molto lontano.
- Non avrei mai dovuto incoraggiare il nostro amore – si disperò Mikolai – Come
ho potuto infliggerti questa sofferenza, esporti al pericolo, ben sapendo cosa stavo per
rendere noto.
- Io e te amiamo la verità e la libertà, amore mio, così tanto da essere egoisti e
ciechi alle sofferenze che infliggiamo agli altri. E io sono la peggiore tra noi due.
- Perché dici questo? Sono io che avrei dovuto soccombere al mio orgoglio senza
coinvolgervi.
- Ma tu non hai mai avuto nulla da perdere. Io ho distrutto tutto quello che i miei
genitori hanno costruito. Mi sono dannata in una ricerca di non so cosa quando tutto
quello che mi serviva era già mio.
- Rinneghi il nostro amore, Samara?
- Oh no, povero Mikolai, questo no – sorrise, mentre le lacrime bagnavano le sue
guance – Condanno solo me stessa, per non essere stata diversa. Alla fine, perché a
questo siamo giunti, diventa tutto chiaro. Non avresti voluto continuare a credere che il
Sole gira intorno al mondo?
- No, Samara, certo che no, e non me ne pento. D’altra parte non pretendo che tu
capisca.
- Hanno fuso il meccanismo originale, hanno bruciato tutti i tuoi disegni, hanno
distrutto tutte le copie dei tuoi scritti. Anni di impegno e sacrifici andati in fumo. Giornate
e nottate passate a nascondersi, terrorizzati dalla paura di essere presi, come di fatto è
accaduto, e per cosa? Come sei stato ripagato da tutta questa dedizione, dimmi?
- Il mio planetario non esiste più, ma l’ho fatto studiare da altri Osservatori e
Giocattolai, fuori Nurn. I suoi moti orbitali, le sue dimensioni e proporzioni, le sue ruote e
i loro accoppiamenti, sono state fissate nelle menti e nelle annotazioni di altri. La verità
non andrà persa con la mia morte. La vera geometria del cielo prima o poi sarà nota a
tutti.
- E vale la morte? – chiese Samara.
- L’utilizzo dell’Arbitrio, così immediato e senza sforzo per chi lo possiede dalla
nascita, non può far capire il valore dell’abnegazione, del lavoro del proprio pensiero e
delle realizzazioni delle proprie mani. A volte mi chiedo come sia possibile la
convivenza dell’Ingegno e dell’Arbitrio nel nostro mondo e se, prima o poi, l’uno non
prevarrà sull’altro.
- Perché ti sei innamorato di me, Mikolai?
- Mi sono lasciato tentare dalla via in discesa, dimenticando che solo la salita può
farti guadagnare un colpo d’occhio sul mondo tale da comprenderne la forma.
Cornelis sentiva il cuore rimbombargli nel petto e le tempie pulsare.
A ogni sguardo dietro di sé vedeva gli inseguitori più vicini. Con le gambe che
bruciavano di dolore e il pianto negli occhi e nella gola che voleva essere sfogato,
imboccò la gradinata di pietra intagliata nell’argine del fiume. Caracollò sui gradini che a
malapena contenevano la sua impronta e, saggiato l’equilibrio, staccò un balzo per
raggiungere la banchina. Una fitta alla caviglia gli folgorò i nervi e i rumori degli urti dei
meccanismi che teneva nel sacco gli provocarono la nausea. Si infilò nell’ingresso dello
sbocco della cloaca, pressandosi sulle sbarre che la chiudevano. Pregando che la
curva del vicolo da cui era sbucato rendesse incerti i suoi inseguitori quel tanto che
bastava, cercò la clessidra all’interno della coperta annodata che Sebald gli aveva dato
come sporta, la agguantò ma il sudore la fece scivolare via dalla sua stretta e la vide
roteare in aria riflettendo l’antro in cui si era cacciato deformato in un vortice. La
clessidra riccade tra i suoi piedi, cozzando su di un sasso. Cornelis non sentì più
battere il cuore e di riflesso bloccò il pompaggio dei polmoni, pensò che fosse meglio
morire lì invece che sotto tortura. Vide le ombre dei soldati danzare come ballerini
deformi sul pelo dell’acqua insozzata dallo sputo della fogna, e un topo canceroso
rosicchiare un lembo scoperto della sua caviglia. La paura e il dolore rimisero in moto il
sangue e il flusso d’aria dentro di lui, il cervello tornò a elaborare la realtà circostante
informandolo che il cristallo della clessidra non si era infranto.
Un sasso rotolò giù dai gradini, affondando nella mota ai suoi piedi, e le ombre si
allungarono sul fiume. La mano di Cornelis guizzò come una vipera e le dita
cominciarono a scorrerre le incisioni sul bordo della clessidra.
Il Giocattolaio smise di mormorare la litania e scalciò via il topo che era rimasto
nella sua bolla di tempo. Il roditore si arrestò a mezz’aria appena varcato il confine della
discontinuità in cui lui si era rifugiato.
Cornelis avanzò un passo alla volta e confermò la sua ipotesi sul funzionamento
della clessidra: lo schifoso animaletto venne inglobato e percorse un altro breve tratto
della sua parabola di lancio fino a ritornare all’esterno della bolla temporale.
Il Giocattolaio in disgrazia uscì allo scoperto e sfilò di lato ai soldati, seguendo le
strade meno affollate uscì da Nurn e si inoltrò nel fitto di un bosco fino a raggiungere un
grosso albero che cresceva a mezzacosta di un pendio. Cornelis si nascose sotto le
radici che fungevano da acrhitravi a un grappolo di cave naturali. Estrasse l’anello ad
altezza e si concentrò, memorizzò la data e l’ora indicata e, assicuratosi che
sporgendosi in fuori avrebbe potuto traguardare i puntatori della stella polare, con un
profondo sospiro, si mise in attesa.
Il cielo passò da nuvoloso a sereno, dal nero di un velluto con diamanti incastonati
al blu di una notte ancora acerba. Cornelis schioccò un bacio al disco d’argento del
notturlabio e abbandonò il suo nascondiglio.
Giunto alle porte di Nurn si rese conto di non aver progettato un piano preciso:
aveva ancora un’ora per intercettare Mikolai ma non aveva un’arma e non aveva
pensato alla successiva fuga.
“In questo tempo io sono felice, mia figlia è felice. Entrambi non siamo in pericolo”
pensò “salverò Samara, a costo di ucciderlo a morsi!”
Cornelis si incamminò a testa alta, varcò la porta di Nurn e prese per il Viale dei
Comandanti. Non fece caso alla Luna che, lambendo i merli e le torri delle mura della
città, era affiancata da due gemelle più piccole e ammantate da un albedo sfocato.
Salutò i pochi conoscenti che incontrò in strada, osservò la perplessità su un paio
di visi ma non gli importò nulla, avrebbero trovato una scusa per accordare il tutto.
Lasciò la strada principale per svoltare nel vicolo che lo portò nella Piazza dello Spirito
della Vita. Raggiunse la statua che si innalzava nel centro dello slargo e chiese al suo
dio – Hai mandato tu Sebald per diffondere l’Arbitrio della Vita, hai davvero fatto
questo? Se è così, perdonami. Mi sacrifico per mia figlia e per mostrarti che questo
arbitrio deve rimanere segreto.
Raggiunta casa sua, Cornelis guardò in alto, verso le finestre illuminate, e la luce
trasse luccicori puntiformi dalle sue guance. Le ombre che si intravedevano passare
dietro le finestre sarebbero state felici e avrebbero potuto vivere un futuro degno di
questo nome. Bagliori di fuoco si rifransero attraverso i vetri, generati dalle doti innate di
sua figlia; perché quella figura era sua figlia, non la Samara che aveva visto ghermita
come un animale. Si chiese se facesse male ritornare a essere il Giocattolaio che si
muoveva lassù, nel laboratorio.
Scrollò le spalle, non c’era più tempo. Scivolò nel buio sotto i portici e soppesò il
notturlabio: fantasie di pelle spaccata e ossa fratturate presero vita nella sua mente.
Cornelis vide Mikolai comparire a un estremo della strada, stringendo sotto il
braccio il fascio di disegni del suo meccanismo. Soffocò una risata, l’Osservatore non
avrebbe avuto altre possibilità, per lui finiva quella notte.
Mikolai era ormai a pochi passi, Cornelis aspettò che il giovane gli desse le spalle
e, appena prima che l’eretico facesse risuonare il battente sul portone, lo colpì alla
testa, più e più volte.
Il Giocattolaio in disgrazia si inginocchiò sul corpo schiantato a terra del suo
nemico. Una pozza di sangue si allargava sotto il cranio maciullato di Mikolai e pezzi di
cervello colavano come lumache senza guscio lungo il portone; Cornelis sentì una
finestra aprirsi in alto, cercò di trattenersi ma non ci riuscì: sollevò lo sguardo.
Samara soffocò quando vide l’uomo riverso a terra con la testa spaccata. Solo
dopo essere stata tranquillizata dal padre ed aver sorbito una camomilla bollente,
ricordò della polvere che aleggiava sospesa sopra il morto, come un fiotto di nero di
seppia.
Cornelis la fissò con la fronte corrugata ma con occhi pieni di dolcezza e lei gli
sorrise, specchiandosi nello sguardo di lui.
Lo abbracciò tremando, perché poteva giurare che gli occhi del padre, anche se
solo per un istante, l’avevano fissata dall’interno denso e profondo di quella nuvola di
polvere.