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The ring di Gore Verbinski Presentazione critica Introduzione al film La copia come principio The Ring è il remake di Ringu, film di culto nipponico realizzato da Hideo Nakata nel 1998, tratto da un libro altrettanto di culto di Kôji Suzuki che ha dato vita a due seguiti, ad un prequel e addirittura ad una serie televisiva. Verbinski, sotto l’egida della Dreamworks spielberghiana, e seguendo abbastanza fedelmente l’esempio giapponese, imbastisce un discorso critico nei confronti della televisione e della sua presenza invasiva, non rinunciando a condire il tutto con azzeccate pennellate horror che traggono la loro motivazione nel passato del genere: fotografia livida e opprimente, atmosfera perennemente uggiosa, bambini con sensibilità particolari che rasentano la virtù sensitiva (come ne Il sesto senso di M. Night Shyamalan), aspetti minacciosi che ricordano fanciulle precedentemente possedute (alcuni atteggiamenti maligni di Samara, la bambina che convoglia il male, si rifanno esplicitamente a quelli della piccola Regan de L’esorcista di William Friedkin), le modalità stesse con cui è esplicitato il tema della pericolosità terrorizzante della televisione proviene direttamente da Videodrome di David Cronenberg e da Sotto shock di Wes Craven (senza contare il Poltergeist di Tobe Hooper). Ma Verbinski non dimentica nemmeno la storia del cinema vista attraverso le sue avanguardie storiche: che cos’è il filmato visto nella videocassetta maledetta se non un esplicito omaggio all’arte di Salvador Dalì e Luis Buñuel nei due loro metraggi surrealisti Un chien andalou e L’âge d’or? Un film che si ciba di altre pellicole per narrare l’orrore che può trarre origine dall’incomprensione, dalla follia e dalla mancanza d’affetto, il tutto miscelato attraverso una narrazione mozzafiato e un racconto preoccupato di giocare sui ritmi dello svelamento improvviso del terrore. Il ruolo del minore e la sua rappresentazione Il bisogno di affetto e della famiglia The Ring non è solo un film che si diverte a far generare l’angoscia nel suo pubblico, ma è anche un lavoro che veicola un discorso sui guasti irrimediabili cui può portare l’indifferenza e la mancanza d’affetto patite durante l’infanzia. I due bambini presenti nella pellicola, Aidan e Samara, sono fanciulli che con modalità differenti e con esiti finali diametralmente opposti patiscono entrambi una sorta di lacuna affettiva, una frustrazione in quelle che sono le loro aspirazioni nei confronti della famiglia. Aidan è un bambino che la madre, Rachel, giornalista in carriera, troppo occupata dal suo lavoro per dar peso agli eventuali problemi infantili del figlio, dimentica a scuola incurante del difficile momento del bambino, che solo tre giorni prima ha perso la sua cugina preferita, Katie. Aidan mostra segni preoccupanti: disegna personaggi sepolti, depositati sottoterra durante funerali, condizionato non solo dall’evento luttuoso, ma anche da una spiccata sensibilità che ne caratterizza l’esistenza. Come in altre pellicole del genere horror (una fra tutte: La bambola assassina di Tom Holland) si assiste ad un autentico scambio di ruoli, in virtù del quale Rachel agisce forte della sua indole volitiva e per spirito protettivo nei confronti del figlio – a cui vuole evitare una fine tragica come quella della cugina, entrata in possesso della nefasta videocassetta -, 1 The ring – scheda critica ma in cui è Aidan ad affermare ciò che è giusto e ciò che invece è sbagliato fare. Sarà Aidan, infatti, a disilludere la madre che pensa di aver “liberato” Samara dalla schiavitù del Male ritrovandone i resti in fondo al pozzo: la bambina non è stata liberata, ma, all’opposto, le è stata offerta la possibilità di agire indisturbata e di nuocere liberamente come una devastante epidemia. Quasi contemporaneamente, Noah, il padre di Aidan, sarà selvaggiamente ucciso dalla demoniaca fanciulla svincolatasi dagli angusti confini del quadro televisivo cui era relegata nel filmato che la vedeva protagonista, mostrando la verità delle parole del piccolo e insolitamente maturo Aidan. Il dato che accomuna Aidan e Samara, seppur con finalità che conducono su versanti opposti, è il desiderio di famiglia e di affetto: Samara – così come dedotto dalle indagini condotte da Rachel sul passato della famiglia Morgan – è una bambina adottata da Anna Morgan dopo un discreto numero di gravidanze tragicamente fallite, che ha poi mostrato degli evidenti problemi di natura psichica. A questo punto Samara subisce il rifiuto da parte della sua famiglia di adozione, la quale è convinta che la bambina agisca deliberatamente per perseguire il Male: la richiesta di poter vedere la sua mamma e l’accusa verso un padre colpevole di volerla lontana da casa per timore che possa nuocere, che la bambina esprime nel video delle sedute psichiatriche cui è sottoposta, sono un’esplicita richiesta d’aiuto verso una famiglia che non è più disposta ad offrire affetto piuttosto che una raccapricciante minaccia nei confronti del suo nucleo familiare. Anche il relegare la bambina su un soppalco della stalla con l’unica compagnia di un televisore rappresenta – in un film intriso di simboli non sempre di facile intelligibilità – un demandare compiti educativi che nel lungo periodo possono produrre soltanto mostri dell’inconscio pronti a scatenarsi in tutta la loro vendicativa violenza. Su un altro versante, pure Aidan aspira a rimettere insieme il nucleo familiare formato da Rachel e da Noah, suo legittimo padre, incapace però di assumersi le necessarie responsabilità del ruolo. Convinti di aver portato a termine la loro missione con il ritrovamento dei resti di Samara nel pozzo, Rachel e Noah si recano insieme a casa portando con loro Aidan, il quale, posto sul sedile posteriore dell’auto, vede i suoi due genitori che si tengono per mano. Il bambino sorride, ma è solo un breve attimo: in The Ring non esiste un’infanzia soddisfatta, ma solo gradi differenti di frustrazione affettiva. Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici Follie vere e presunte Il confronto con l’originale giapponese realizzato da Hideo Nakata (1998) s’impone per notare le inevitabili differenze sia sul piano stilistico sia in funzione della cultura di riferimento di ciascun film. A livello didattico, entrambe le pellicole possono ambire ad offrire un valido supporto nella discussione relativa all’immaturità di alcuni nuclei familiari nell’assunzione delle diverse responsabilità che l’essere genitori contempla, ma la visione dell’infanzia in The Ring può risultare utile anche per comprendere i pericoli present nell’insistente compagnia del mezzo televisivo come surrogato dell’amicizia, dell’affetto e dell’educazione che famiglia e istituzioni dovrebbero fornire ai minori. Nonostante spesso il film si serva di metafore e simbologie varie, la scena in cui Rachel, sul balcone della sua abitazione nota quante persone siano davanti al televisore in pose più o meno attive e partecipi è esemplare a questo riguardo. Giampiero Frasca 2