La riabilitazione funzionale del paziente con frattura vertebrale su

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La riabilitazione funzionale del paziente con frattura vertebrale su
EUR MED PHYS 2008;44(Suppl. 1 to No. 3)
La riabilitazione funzionale del paziente con frattura vertebrale
su base osteoporotica trattata conservativamente
G. RAFFAETÀ, A. MENCONI, R. TOGO, L. GADDEO
Introduzione
L’osteoporosi è definita come una affezione diffusa dello scheletro, caratterizzata da riduzione della massa ossea e da alterazioni
microstrutturali del tessuto osseo, tutto ciò comporta un aumento
della fragilità ossea e un rischio di fratture accresciuto, soprattutto a
livello di polso, femore e vertebre (Consensus Conferences Hong
Kong 1993 e Amsterdam 1996).
Lo studio prospettico europeo EPOS1 del 2002, su 155 milioni di
uomini e donne, riporta un’incidenza di 1.400.000 fratture vertebrali/anno, traducibile in tre fratture/minuto, questo è causa di disabilità
psico-fisica, dolore, incremento della morbilità e di onerosi impegni
socio-assistenziali. Inoltre studi clinici2 dimostrano che dopo la prima frattura il rischio di subire una nuova frattura aumenta di cinque
volte e, dopo la seconda, il rischio aumenta ulteriormente di dodici
volte.
È importante ricordare e sottolineare il problema della sottostima
delle fratture vertebrali, dimostrato in studi3,4 condotti sia a livello
europeo, che a livello mondiale, perchè le fratture vertebrali rimangono frequentemente misconosciute, in percentuale diversa nelle varie
zone del mondo, a causa del quadro clinico spesso oligo-sintomatico.
In uno studio del 2001 Gold e collaboratori5 descrivono tre conseguenze delle fratture da osteoporosi: ansia e paura di ulteriori fratture, depressione con disturbi del sonno, stanchezza, apatia, con
possibile perdita dell’autostima causata da cifosi, disabilità e dolore.
Occorre sottolineare, poi, che i soggetti con una o più fratture
vertebrali sviluppano un quadro di rachialgia cronica nel 40-89% dei
casi, con un dolore definito moderato-grave nel 50% ed una disabilità (disturbi del sonno, difficoltà nel lavarsi e vestirsi, incertezza nella deambulazione) del 10-15% (Ismail 1999)6. È noto che il dolore
cronico determina una sovrastrutturazione del dolore che condiziona
sensibilmente la vita quotidiana dei pazienti instaurando spesso il
problema del “pain-avoidance behavior”7 ben descritto in numerosi
studi: l’esperienza soggettiva, la memoria, la ricorrenza del dolore
innescano il timore e stimolano il soggetto ad evitare situazioni che
producano dolore. Da qui la tendenza a una progressiva diminuzione della mobilità e delle attività quotidiane, con la tendenza all’astenia, alla depressione, all’isolamento sociale. Quindi nel trattare un
paziente con questo tipo di patologia i punti da seguire saranno:
gestione del dolore, stabilizzare la deformità, curare disabilità e
depressione, per interrompere il circolo vizioso sopra descritto, con
l’obiettivo di risolvere la disabilità e migliorare la qualità di vita dei
pazienti.
In Letteratura non si trovano studi clinici basati sull’evidenza del
trattamento conservativo di pazienti con fratture vertebrali, anzi le
Vol. 44 - Suppl. 1 to No. 3
U.O. Traumatologia, Sezione di Riabilitazione Funzionale
Ortopedica, Università degli Studi di Pisa
recenti pubblicazioni sono in contraddizione: Bonner e coll. (2003)8
propongono per il dolore acuto riposo a letto, analgesici, posture
corrette, corsetti solo in casi selezionati e astinenza dall’attività fisica
di resistenza per 2 mesi dopo la frattura; Heggenes e coll. (2001)8
sconsigliano invece in modo assoluto il riposo a letto e incoraggiano
esercizi di mobilizzazione; Rapado (1996)8, infine, consiglia riposo a
letto per 2-5 giorni, se il dolore continua dopo 2-3 settimane indica
il corsetto, rigido o semirigido, ma per breve tempo, in ogni caso il
paziente farà esercizi di rinforzo muscolare e incremento della resistenza dei muscoli estensori della colonna, degli addominali e dei
muscoli respiratori. Interessante il lavoro di Frost (1998)8 Intermittent
Horizontal Rest Regimen, IHRR, che descrive minuziosamente i tempi da rispettare nella tre fasi, da lui descritte (acuta, tre settimane, di
guarigione ossea, sei settimane, di recupero, tre settimane).
Materiali e metodi
Secondo la nostra esperienza, per il recupero del paziente affetto
da frattura vertebrale su base osteoporotica riteniamo necessaria la
presa in carico globale del soggetto ed un accurato progetto riabilitativo sempre personalizzato che tenga conto sia dei fattori relativi
alla frattura (tipo di frattura, qualità dell’osso, tempi di consolidazione e di carico, etc.) sia delle condizioni generali del paziente (presenza di malattie cardio-polmonari, comorbilità, condizioni psichiche, stato nutrizionale, grado di collaborazione del paziente, aspetti
socio-familiari, ecc.).
Nella stesura del progetto riabilitativo sono state di riferimento le
Linee Guida SIMFER 2005 per il trattamento riabilitativo dell’osteoporosi post-menopausale e senile.
Gli obiettivi9 del progetto riabilitativo sono stati:
– controllo del dolore;
– miglioramento delle funzioni motorie (trattamento e riabilitazione
dei postumi della/e frattura, recupero dell’articolarità e del tonotrofismo muscolare, rieducazione alla deambulazione e ai trasferimenti): tra questi molto importante è l’applicazione di un efficace
programma di rinforzo muscolare, giustificato da una progressiva
perdita di forza muscolare che avviene con l’avanzare dell’età,
per diminuzione della massa magra e per sarcopenia, da cui una
predisposizione crescente alla disabilità nei soggetti anziani; nel
EUROPA MEDICOPHYSICA
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RAFFAETÀ
LA RIABILITAZIONE FUNZIONALE DEL PAZIENTE CON FRATTURA VERTEBRALE SU BASE OSTEOPOROTICA TRATTATA CONSERVATIVAMENTE
caso di soggetti già con fratture da osteoporosi, l’esercizio deve
essere graduale (per evitare carichi eccessivi e fratture da stress),
variabile (dare una stimolazione meccanica dinamica sull’osso
allo scopo di ottenere un effetto di tipo osteoblastico), adattata
al singolo soggetto e costante nel tempo9
– prevenzione delle complicanze da immobilità, in particolare nel
soggetto anziano (piaghe da decubito, complicanze respiratorie,
etc.)
– recupero precoce delle ADL (utile la valutazione funzionale con
scale come Barthel Index)
– mantenimento e/o miglioramento della massa ossea e/o della qualità dell’osso
– correzione di eventuali alterazioni posturali: esiste infatti uno
stretto rapporto tra osteoporosi e anomalie posturali (tipico l’atteggiamento cifo-lordotico), favorite dall’ingente perdita di massa
ossea e dall’ipotrofia muscolare. Questi soggetti avranno una
maggiore difficoltà a mantenere l’equilibrio sia in fase statica, che
dinamica, con un aumentato rischio di cadute10
– educazione del paziente e correzione dei fattori di rischio modificabili: occorre spiegare al paziente cos’è l’osteoporosi, consigliare
norme di stile di vita adeguate, come l’importanza di un’attività
fisica regolare. L’educazione è un punto fondamentale del programma riabilitativo, perchè il paziente deve essere pienamente
consapevole delle problematiche inerenti la sua patologia, per
essere il primo attore del suo recupero. Ciò è confermato anche
dai risultati dello studio AILA 199811 in cui emerge una situazione
di scarsa conoscenza sia sulle indagini diagnostiche dell’osteoporosi (il 70% dei pazienti ha risposto di esserne totalmente all’oscuro), sia sulle norme dietetiche da seguire (solo il 50% dei
pazienti ha risposto correttamente)
– prevenzione delle cadute: all’interno del programma riabilitativo
possono essere inseriti esercizi per il controllo dell’equilibrio, di
coordinazione motoria e di prontezza di reazione.
Presso la Clinica Ortopedica dell’Università di Pisa sono stati
effettuati 75 ricoveri per frattura vertebrale amielica su base osteoporotica, dal 1° gennaio 2002 al 30 giugno 2006: il 30% erano uomini,
il 70% donne, l’età media al momento dell’evento fratturativo era
simile nei due sessi, in media 76 anni. Le fratture erano localizzate
prevalentemente a livello di L1 (36 casi), T12 (21 casi), L2 (19 casi).
Dei 75 pazienti ricoverati: 31 sono usciti dallo studio (11 deceduti,
20 non trovati), 44 sono stati i pazienti analizzati al follow-up, il follow-up è stato massimo di 5 anni e 6 mesi, minimo di 12 mesi.
Nei 44 pazienti analizzati al follow-up sono state riscontrate 50
fratture: queste erano localizzate a livello di L1 (24 casi), L2 (11
casi), T12 (8 casi), T11 (3 casi), L3 (3 casi), T9 (1 caso); in 5 casi si
trattava di fratture multiple. Nel 30% si trattava di uomini, nel 70% di
donne, con età media 71 anni.
I pazienti hanno tutti effettuato il trattamento conservativo, con
riposo a letto, in media per 2 settimane, seguito dal carico con busto
a tre punte per in media 30 giorni, fino allo svezzamento graduale
dal busto in media in 20 giorni. A tutti è stata associata adeguata
terapia farmacologica e somministrato lo stesso protocollo riabilitativo, adeguato in tempi e modi secondo le caratteristiche della lesione
e delle condizioni del paziente.
L’obiettivo dello studio è stato analizzare i risultati a distanza, in
particolare il dolore e la limitazione nelle ADL, per questo è stata
scelta l’Oswestry Low Back Pain questionnaire che indaga l’influenza
del dolore lombare sulle varie aree della vita quotidiana, il punteggio finale è suddiviso in 5 categorie a disabilità crescente.
Il protocollo riabilitativo è stato suddiviso in 3 fasi: la prima dell’allettamento prevede innanzitutto il corretto posizionamento a letto
per prevenire lesioni da decubito, esercizi di mobilizzazione passiva,
coadiuvata e attiva degli arti, esercizi di contrazione isometrica degli
arti superiori ed inferiori, esercizi di ginnastica respiratoria, un ciclo
2
di TENS per combattere il dolore; segue la fase del carico con busto
a tre punte, il paziente inizia il training del passo e della deambulazione, si inseriscono esercizi isometrici ed isotonici dei muscoli spinali, esercizi di equilibrio e di coordinazione motoria; la terza fase è
quella dello svezzamento graduale dal busto, utili sono esercizi attivi
di mobilizzazione della colonna, isometrici ed isotonici dei muscoli
anticifotizzanti, estensori spinali, ed esercizi isometrici dei muscoli
addominali, per recuperare una postura corretta.
Risultati
I risultati all’Oswestry Low Back Pain questionnaire hanno
mostrato che il 54,6% dei pazienti non ha nessuna disabilità, il 13,6%
solo moderata, il 22,7% media, il 9,1% grave, inoltre se sommiamo i
casi con nessuna disabilità e con moderata disabilità possiamo affermare che abbiamo quasi l’80% di risultati positivi.
In dettaglio le attività più penalizzate sono risultate essere le attività domestiche, stare in piedi e deambulare a lungo, spostarsi e
viaggiare.
Conclusioni
Le fratture vertebrali, anche se a volte asintomatiche, possono
sviluppare un quadro di rachialgia cronica, specie se a localizzazione multipla, dove il dolore può arrivare a compromettere le attività
giornaliere, fino ad un vero e proprio stato di disabilità fisica, con
ripercussioni anche sullo stato psicologico.
Un adeguato progetto riabilitativo, associato anche a strategie di
riduzione di disabilità, si è dimostrato utile in questo tipo di pazienti,
soprattutto nel miglioramento dello stato generale e della qualità di
vita, sottolineando anche l’importanza di far superare il retaggio culturale che vede l’esercizio fisico incompatibile con l’anziano.
Il trattamento conservativo delle fratture vertebrali risulta essere
ad oggi la soluzione più praticata, anche se con metodiche spesso
empiriche e non standardizzate. È quindi necessario un approccio
multidisciplinare, che preveda studi clinici sull’uso dei tutori, su adeguate terapie farmacologiche e appropriati programmi fisiocinesiterapici per il ritorno ad una vita normale.
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EUROPA MEDICOPHYSICA
October 2008