Povertà: l`Ue in grave ritardo

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Povertà: l`Ue in grave ritardo
INFORMAZIONE SOCIALE EUROPEA
952015
n.
Ottobre
www.euronote.it
Mensile
Realizzato da
CGIL-CISL-UIL Lombardia
Uno su quattro a rischio di povertà nell’Ue 3 // Rifugiati: il punto sulle azioni dell’Ue 4 //
Clima: la linea dell’Europarlamento 5 // Ces: riportare la negoziazione al centro - Agenda - Appuntamenti 6
Editoriale
Il 17 ottobre si è celebrata la Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà. Oltre a invitare i responsabili politici degli Stati a «presentare
e promuovere attività concrete per l’eliminazione
della povertà e della miseria», la Giornata è l’occasione per celebrare gli enormi sforzi di milioni
di persone che vivono ogni giorno affrontando
la povertà e trovando ancora l’energia per cercare soluzioni che pongano fine alla miseria loro e
delle loro famiglie. «L’esperienza delle persone in
povertà ha bisogno di riconoscimento non solo il
17 ottobre, ma in tutti i dialoghi e forum che cercano di affrontare la povertà e le disuguaglianze
sottostanti» ricorda la Rete europea di lotta alla
povertà Eapn. E in tutte le politiche, con la definizione di parametri da rispettare e obiettivi realistici da raggiungere, esattamente come avviene per i
capitoli economici. Solo con i proclami e senza un
impegno concreto di questo tipo, infatti, i risultati
sono purtroppo evidenti: cinque anni dopo l’Anno
europeo 2010 di lotta alla povertà e la definizione
dell’obiettivo di ridurre il numero di poveri nell’Ue
di 20 milioni entro il 2020, il numero di persone a
rischio di povertà o esclusione sociale è aumentato di 5 milioni e oggi si trova in questa condizione
una persona su quattro nell’Ue, addirittura una su
tre in alcuni Paesi.
Come è successo? L’analisi che l’Eapn ha fatto dei
Programmi nazionali di riforma 2015 lo spiega chiaramente: la lotta alla povertà non è una
priorità nelle politiche dei Paesi dell’Ue, ancora
improntate su quell’austerità che la povertà e le
diseguaglianze ha contribuito ad aumentare. Servono invece investimenti nella lotta alla povertà,
che da un lato diano opportunità di uscita dalla
povertà e possibilità di reinserimento sociale ed
economico, dall’altro supportino le persone in difficoltà per evitare che finiscano sotto la soglia di
povertà. Servono politiche sociali che abbiano una
visione di prospettiva, serve comprendere che il
costo economico dell’investimento in prevenzione
della povertà e dell’esclusione, oltre che necessario
è irrisorio rispetto ai costi economici e sociali della povertà diffusa. Serve un’apertura alle proposte
che giungono dalle organizzazioni della società civile sia a livello europeo che nazionale, come quella del Reddito di inclusione sociale (Reis) che in
Italia porta avanti l’Alleanza contro la povertà con
obiettivi semplici e chiari: «Costruzione di futuro,
inclusione sociale, universalismo».
Basterebbe comprendere davvero che la povertà
non è costituita da numeri ma da persone, la cui
voce andrebbe ascoltata per capire i problemi e
cercare di risolverli. Come quella di un membro
del Glasgow Homelessness Network che nel corso della Conferenza annuale dell’Eapn ha dichiarato: «Ho trascorso più di metà della mia vita in
povertà, ma sono ancora una persona e posso
ancora contribuire alla società».
Povertà: l’Ue in grave ritardo
Con un quarto della popolazione a rischio, l’obiettivo
2020 risulta di fatto irraggiungibile
«La povertà e l’esclusione sociale stanno diventando uno dei problemi più persistenti in Europa. I leader dell’Ue hanno fornito forse alcuni impegni attraverso la strategia Europa 2020, tuttavia, anche per
una mancanza di determinazione nel passare dalle parole ai fatti, i risultati sono scarsi» ha dichiarato il
presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, nel corso della Conferenza annuale organizzata lo
scorso 9 ottobre a Bruxelles dall’European Anti-Poverty Network (Eapn) per discutere dei Programmi
nazionali di riforma (Pnr) 2015 degli Stati membri dell’Ue.
La scarsità dei risultati è evidenziata dalla rilevazione che Eurostat ha pubblicato in occasione della
Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà (17 ottobre): nell’Ue si stimano 122 milioni
di persone a rischio di povertà o esclusione sociale, cioè un quarto della popolazione complessiva; una
percentuale aumentata durante gli anni della crisi e che in alcuni Paesi si estende addirittura a un terzo
della popolazione.
«Non possiamo abbassare la nostra ambizione per quanto riguarda la lotta alla povertà. La situazione
attuale va contro i valori e i principi dell’Ue e mina la fiducia dei cittadini nel progetto europeo. Siamo
determinati a non permettere che una tale situazione continui» ha detto la commissaria europea per gli
Affari sociali e l’Occupazione, Marianne Thyssen. Finora però non è stato così.
Come osservato dalla valutazione dell’Eapn sui Programmi di riforma, le politiche anti-povertà attuate
a livello europeo sono del tutto insufficienti: l’88% dei Pnr 2015 non ha la povertà tra le priorità; il 76%
sostiene ancora l’austerità come obiettivo principale; il 65% si focalizza sulle politiche macroeconomiche e finanziarie e non sugli obiettivi di Europa 2020; nonostante il 47% delle reti nazionali anti-povertà
sia stato consultato, il 76% ha dichiarato di non essere stato preso sul serio.
«Le politiche dell’Ue si concentrano sulla crescita, ma per chi e per che cosa? Finché le disuguaglianze
non saranno affrontate, soprattutto quelle causate dall’austerità, la povertà e l’esclusione continueranno
ad aumentare e con esse il rischio di fallimento dell’Ue» sostiene il presidente dell’Eapn, Sérgio Aires.
Nel 2010, la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva aveva fissato l’obiettivo
di ridurre la povertà di almeno 20 milioni entro il 2020, da realizzare attraverso il ciclo di coordinamento del
semestre europeo. Invece, il numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale nell’Ue non solo non
è diminuito ma è addirittura aumentato di circa 5 milioni dal 2008. Oltretutto, mentre il semestre europeo avrebbe dovuto coinvolgere le
parti interessate nel processo a livello nazionale e comunitario, il
coinvolgimento e la partecipazione sono stati generalmente di
bassa qualità, minando il sostegno all’Ue da parte della società
civile e lo sviluppo di soluzioni sostenibili.
Per modificare la situazione sono necessarie tre azioni
prioritarie, sostiene l’Eapn: assicurare obiettivi sociali nelle politiche macroeconomiche; rafforzare la dimensione
sociale dell’Ue, con una strategia integrata anti-povertà e
standard sociali; coinvolgere seriamente le Ong.
Una lettera aperta ai leader dell’Ue
Alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazione
della povertà l’Eapn ha poi inviato una lettera aperta ai
capi di Stato e di governo dell’Unione europea.
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ottobre
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Ricordando che dal 1987 la Giornata
internazionale invita gli Stati a «presentare e promuovere attività concrete per
l’eliminazione della povertà e della miseria»,
che la strategia Europa 2020 impegna gli Stati
membri a raggiungere un obiettivo di riduzione della povertà, che gli Obiettivi di Sviluppo
Sostenibile delle Nazioni Unite impegnano i
governi a intervenire per «porre fine alla povertà», l’Eapn ha osservato: «È giunto il momento per l’Ue di essere coerente a tutti questi
impegni e adottare una strategia globale e integrata per sradicare la povertà, che sia costruita con e per le persone in povertà».
Secondo il network europeo, la crisi migratoria in corso aggrava la crisi che l’Unione
europea sta vivendo negli ultimi anni, «nata
da politiche che continuano a trascurare il
benessere delle persone e la crescita diffusa
esacerbando le disuguaglianze». Eapn ricorda
innanzitutto che coloro che soffrono di queste
crisi sono persone, che necessitano di risposte adeguate nel rispetto della loro dignità e
ritiene immorale mettere in concorrenza le
esigenze di chi è nella disperazione con le esigenze di coloro che vivono in povertà. «Invece
di creare una concorrenza tra poveri, è giunto
il momento di affrontare le disuguaglianze,
contrastare l’evasione e la frode fiscale, tassare la speculazione finanziaria in modo che la
ricchezza sia ridistribuita per garantire che siano soddisfatte le esigenze di tutte le persone
in povertà. Dobbiamo combattere la povertà
e non combattere i poveri» scrive la Rete europea che, con le sue 31 reti nazionali e i suoi
18 organismi europei che rappresentano più
di 6000 organizzazioni in tutta Europa, ricorda ai capi di Stato e di governo dell’Ue alcune
priorità:
• La povertà è una violazione dei diritti umani
vissuta da oltre 121 milioni di persone e il numero è in crescita.
• L’Unione europea ha la responsabilità di rispondere rapidamente a questa crisi di povertà, con una strategia integrata che consideri la
politica sociale come un investimento e non
un costo e che, in combinazione con sistemi
fiscali/previdenziali equi, può portare a ridurre
la povertà e le disuguaglianze e garantire la crescita inclusiva e sostenibile.
• Le politiche macroeconomiche devono contenere obiettivi sociali, al servizio dell’inclusione
sociale e della coesione. Obiettivi e traguardi di
Europa 2020 devono essere ripristinati al centro delle politiche chiave a livello europeo, tra
cui il semestre europeo.
• Standard sociali comuni a livello europeo devono essere introdotti per garantire un reddito
adeguato per tutti in tutto il ciclo di vita, tra cui
l’adozione di una direttiva quadro per i meccanismi di reddito minimo adeguato.
• L’effettiva partecipazione della società civile
è fondamentale, compresa quella delle perso-
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ne in povertà e delle loro organizzazioni, nella progettazione, attuazione e controllo delle politiche. Tale partecipazione efficace richiede un adeguato e continuo sostegno finanziario per il
lavoro della società civile.
http://www.eapn.eu
INITALIASERVEUNVEROPIANOCONTROLAPOVERTÀ
La povertà si contrasta con un Piano organico e le risorse non sono il principale ostacolo alla sua attuazione, perché se c’è chiarezza sull’obiettivo e sul percorso, ed una forte volontà politica, si può iniziare
da subito. Questo il messaggio lanciato il 14 ottobre scorso a governo e Parlamento italiani dall’Alleanza
contro la povertà in Italia, realtà che raccoglie l’adesione di 35 organizzazioni nazionali appartenenti
alle istituzioni, al sindacato e al Terzo settore. L’Alleanza propone di introdurre un Reddito di inclusione
sociale (Reis) partendo dalle famiglie più indigenti, indipendentemente dall’età o da altre caratteristiche
dei componenti, e di estenderlo progressivamente a tutte quelle in povertà assoluta. Secondo l’Alleanza,
il vero salto di qualità rispetto al passato sarebbe stabilire che ogni povero, in quanto tale, ha diritto a
sperare in un futuro migliore.
«Negli ultimi 12 mesi abbiamo registrato un elevato grado di consenso sulla misura contro la povertà
assoluta proposta dall’Alleanza, il Reis – ha affermato Cristiano Gori, professore dell’Università Cattolica
–. Tre sono gli obiettivi: costruzione di futuro, inclusione sociale, universalismo. Dobbiamo iniziare oggi
un percorso credibile per un Welfare migliore che rimanga domani». Secondo Pietro Barbieri, del Forum
Nazionale del Terzo Settore, «è tempo di smetterla con le sperimentazioni sulla povertà. Chiediamo che
vengano definiti i livelli essenziali di assistenza e che il Paese si faccia carico del tema della povertà e del
Welfare». Vera Lamonica, Cgil, ritiene necessario «un piano strutturale, universale e di prospettiva che
abbia un obiettivo definito, il contrasto della povertà assoluta, da raggiungere con un percorso graduale
che può avere un unico criterio, il grado di povertà: si parte da chi è in condizioni di maggiore difficoltà,
ma ci si deve rivolgere a tutti e non a specifiche categorie. Il contrasto alla povertà deve essere un Livello
essenziale di assistenza garantito in tutto il Paese». Il governo, ha dichiarato Lorenzo Lusignoli della Cisl,
«deve fare uno sforzo per recuperare le risorse necessarie a far partire il Reis in un Piano quadriennale
che contempli sì la gradualità ma anche la certezza sugli obiettivi da raggiungere anno dopo anno, fino
alla completa introduzione di uno strumento organico, strutturale e universale di lotta alla povertà».
http://www.redditoinclusione.it
PERSONE A RISCHIO DI POVERTÀ O ESCLUSIONE SOCIALE NELL’UE,
2008-2014
UE*
Belgio
Bulgaria**
Rep. Ceca
Danimarca**
Germania
Estonia
Irlanda
Grecia
Spagna
Francia
Croazia
Italia**
Cipro
Lettonia
Lituania
Lussemburgo
Ungheria
Malta
Paesi Bassi**
Austria
Polonia
Portogallo
Romania
Slovenia
Slovacchia
Finlandia
Svezia
Regno Unito
% della popolazione
2008
2014
23,8
24,4
20,8
21,2
44,8
40,1
15,3
14,8
16,3
17,8
20,1
20,6
21,8
:
23,7
:
28,1
36,0
24,5
29,2
18,5
18,6
:
:
25,3
28,1
23,3
27,4
34,2
32,7
28,3
27,3
15,5
:
28,2
31,1
20,1
23,8
14,9
17,1
20,6
19,2
30,5
24,7
26,0
27,5
44,2
40,2
18,5
20,4
20,6
18,4
17,4
17,3
14,9
16,9
23,2
:
In migliaia
2008
116.570
2.190
3.420
1.570
890
16.340
290
1.050
3.050
11.120
11.150
:
15.100
180
740
910
70
2.790
80
2.430
1.700
11.490
2.760
9.420
360
1.110
910
1.370
14.070
* I dati per il 2008 escludono la Croazia. I dati per il 2014 includono le stime per gli Stati membri mancanti.
** Bulgaria e Danimarca: serie interrotta. Italia e Paesi Bassi: 2014 dati provvisori.
: Dati non disponibili.
Fonte: Eurostat, 16 ottobre 2015
2014
121.860
2.340
2.910
1.530
1.000
16.510
:
:
3.880
13.400
11.520
:
17.040
230
650
800
:
3.040
100
2.850
1.610
9.340
2.860
8.550
410
960
930
1.640
:
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n.
ottobre
Uno su quattro a rischio di povertà nell’Ue
Sono 122 milioni di persone, in aumento nella maggior parte degli Stati membri
Nel 2014, all’interno dell’Ue erano a rischio
di povertà o esclusione sociale 122 milioni
di persone, cioè il 24,4% della popolazione.
Ciò significa che si trovavano in almeno una
delle seguenti tre condizioni: a rischio di
povertà dopo i trasferimenti sociali (reddito
di povertà), gravemente deprivate materialmente o membri di famiglie con intensità
di lavoro molto bassa. Una percentuale rimasta stabile rispetto all’anno precedente, dopo tre anni consecutivi di aumento,
ma comunque superiore al livello del 2008
(23,8%). È quanto rileva un Rapporto pubblicato da Eurostat in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della
povertà (17 ottobre).
In tre Stati membri addirittura oltre un terzo della popolazione era a rischio di povertà
o di esclusione sociale: Romania (40,2%),
Bulgaria (40,1%) e Grecia (36,0%). Viceversa, le percentuali più basse di persone a
rischio di povertà o esclusione sociale sono state registrate in Repubblica Ceca (14,8%), Svezia
(16,9%), Paesi Bassi (17,1%), Finlandia (17,3%) e Danimarca (17,8%).
L’indicatore del rischio di povertà o di esclusione sociale è aumentato nel periodo 2008-2014 in
14 Stati membri, con i maggiori aumenti rilevati in Grecia (dal 28,1% del 2008 al 36% del 2014,
ovvero 7,9 punti percentuali), Spagna (+4,7%), Cipro (+4,1%), Malta (+3,7%), Ungheria (+2,9%) e
Italia (+2,8%). Al contrario, le diminuzioni più rilevanti sono state osservate in Polonia (dal 30,5%
al ​​24,7%, o -5,8%), Romania (-4%) e Slovacchia (-2,2%).
Considerando i tre elementi che costituiscono il rischio di povertà o di esclusione sociale, mediamente il 17,2% della popolazione dell’Ue nel 2014 era a rischio di povertà dopo i trasferimenti
sociali. Questa percentuale di persone è aumentata sia rispetto al 2013 che al 2008 (+16,6%), con
le percentuali più elevate registrate in Romania (25,4%), Spagna (22,2%), Grecia (22,1%), Bulgaria
(21,8%) e Lettonia (21,2%). Rispetto al 2008, la percentuale di persone a rischio di povertà di reddito è aumentata in 18 Stati membri e diminuita in 5.
Quasi il 9% della popolazione dell’Ue nel 2014 risultava invece in condizioni di grave deprivazione materiale, questo soprattutto in Bulgaria (33,1%), Romania (26,3%), Ungheria (23,9%) e
Grecia (21,5%). Rispetto al 2008, la percentuale di persone in queste condizioni è aumentata
in 11 Stati membri e diminuita in 12. Così come è aumentata in quasi tutti gli Stati membri,
tranne che in Germania, Polonia e Romania, la percentuale di coloro che vivono in famiglie
con un’intensità lavorativa molto bassa, condizione che riguarda l’11,1% della popolazione di
età 0-59 anni.
http://ec.europa.eu/eurostat
COMPONENTI DEL RISCHIO DI POVERTÀ O DI ESCLUSIONE SOCIALE NELL’UE, 2008-2014
A rischio di povertà dopo
i trasferimenti sociali (%)
UE*
Belgio
Bulgaria**
Rep. Ceca
Danimarca**
Germania
Estonia
Irlanda
Grecia
Spagna
Francia
Croazia
Italia**
Cipro
Lettonia
Lituania
Lussemburgo
Ungheria
Malta
Paesi Bassi**
Austria
Polonia
Portogallo
Romania
Slovenia
Slovacchia
Finlandia
Svezia
Regno Unito
2008
16,6
14,7
21,4
9,0
11,8
15,2
19,5
15,5
20,1
20,8
12,5
:
18,7
15,9
25,9
20,9
13,4
12,4
15,3
10,5
15,2
16,9
18,5
23,4
12,3
10,9
13,6
12,2
18,7
2014
17,2
15,5
21,8
9,7
11,9
16,7
:
:
22,1
22,2
13,3
:
19,6
14,4
21,2
19,1
:
14,6
15,9
11,6
14,1
17,0
19,5
25,4
14,5
12,6
12,8
15,1
:
Persone in grave
deprivazione materiale (%)
2008
8,5
5,6
41,2
6,8
2,0
5,5
4,9
5,5
11,2
3,6
5,4
:
7,5
9,1
19,3
12,5
0,7
17,9
4,3
1,5
5,9
17,7
9,7
32,9
6,7
11,8
3,5
1,4
4,5
2014
8,9
5,9
33,1
6,7
3,2
5,0
:
:
21,5
7,1
4,8
:
11,5
15,3
19,2
13,6
:
23,9
10,2
3,2
4,0
10,4
10,6
26,3
6,6
9,9
2,8
0,7
:
Persone di 0-59 anni che vivono in
famiglie con intensità di lavoro molto
bassa (%)
2008
2014
9,1
11,1
11,7
14,6
8,1
12,1
7,2
7,6
8,5
12,1
11,7
10,0
5,3
:
13,7
:
7,5
17,2
6,6
17,1
8,8
9,7
:
:
9,8
12,0
4,5
9,7
5,4
9,6
6,1
8,8
4,7
:
12,0
12,2
8,6
9,8
8,2
11,1
7,4
9,1
8,0
7,3
6,3
12,2
8,3
6,4
6,7
8,7
5,2
7,1
7,5
10,0
5,5
6,4
10,4
:
* I dati per il 2008 escludono la Croazia. I dati per il 2014 includono le stime per gli Stati membri mancanti.
** Bulgaria: serie interrotta su deprivazione materiale. Danimarca: serie interrotta su variabili del reddito. Italia e Paesi Bassi: 2014 dati provvisori.
: Dati non disponibili.
Fonte: Eurostat, 16 ottobre 2015
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Rifugiati: il punto sulle azioni dell’Ue
La Commissione europea ha informato sui progressi compiuti in risposta
alla crisi dei rifugiati
La Commissione ha presentato una comunicazione per aggiornare lo stato dell’attuazione
delle azioni prioritarie nel quadro dell’Agenda
europea sulla migrazione, descrivendo i progressi compiuti riguardo alle misure operative, agli impegni finanziari e alle azioni destinate ad attuare la legislazione dell’Ue.
«La Commissione ha rispettato tutti gli impegni assunti finora – ha sottolineato il presidente Jean-Claude Juncker –, abbiamo: stanziato
maggiori fondi per la crisi dei rifugiati; inviato i nostri esperti in Grecia e in Italia per far
funzionare i “punti di crisi” e il meccanismo di
ricollocazione; incitato tutti gli Stati membri ad
applicare correttamente le norme comuni in
materia di asilo. Abbiamo così ottenuto risultati concreti, ma è necessario che gli Stati membri
si impegnino di più, facendo seguire alle nobili
parole azioni concrete a livello nazionale».
Misure operative
Il metodo basato sui punti di crisi (hotspot)
proposto dalla Commissione sta cominciando
a funzionare: le squadre di sostegno per la gestione della migrazione sono operative a Lampedusa e stanno entrando in azione in Grecia.
Questo ha permesso di realizzare le prime ricollocazioni di richiedenti asilo e di organizzare una serie di voli per rimpatriare i migranti
irregolari. La Commissione ha inoltre collaborato con gli Stati membri per preparare il reinsediamento di persone bisognose di protezione
internazionale direttamente dai Paesi terzi: i
primi rifugiati siriani sono stati reinsediati in
Italia, Repubblica Ceca e Liechtenstein (Stato
associato a Schengen). Affinché questi meccanismi funzionino bene, osserva la Commissione, gli Stati membri devono però rispondere
prontamente alla richiesta di esperti nazionali
che sostengano le operazioni nei punti di crisi, notificare alla Commissione le loro capacità
di accoglienza, identificare i punti di contatto
nazionali che coordineranno le ricollocazioni
con la Grecia e l’Italia, e precisare gli impegni di
reinsediamento a livello nazionale.
Sostegno finanziario
La Commissione europea ha già proposto modifiche ai bilanci del 2015 e del 2016, aumentando di 1,7 miliardi di euro le risorse stanziate:
ciò significa che spenderà in tutto 9,2 miliardi
di euro per la crisi dei rifugiati. Parlamento europeo e Stati membri hanno approvato in pro-
4
cedura accelerata il bilancio rettificativo della Commissione per il 2015. Gli Stati membri devono
ora stanziare le risorse nazionali corrispondenti, come concordato, ma molti devono ancora fornire
finanziamenti corrispondenti a quelli dell’Ue per l’Unhcr, il Programma alimentare mondiale e altre
organizzazioni pertinenti (500 milioni di euro), il Fondo fiduciario regionale dell’Ue per la Siria (500
milioni di euro) e il Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa (1,8 miliardi di euro).
Attuazione del diritto dell’Ue
La Commissione ricorda che le norme del sistema europeo comune di asilo «devono essere applicate correttamente», mentre non ha ancora ricevuto risposta alle 40 lettere di ammonimento inviate
agli Stati membri il 23 settembre, in aggiunta ai 34 casi pendenti, riguardanti violazioni potenziali
o effettive della normativa dell’Ue in materia di asilo. La Commissione sta inoltre collaborando
con la Grecia per garantire che siano migliorate le sue capacità di accoglienza e possano essere
ripristinati entro la fine del 2015 i trasferimenti ai sensi del regolamento Dublino verso il Paese.
Così come la Commissione ha reso noto che sta per formulare un parere circa la proporzionalità
e la necessità della reintroduzione temporanea dei controlli di frontiera da parte della Germania,
dell’Austria e della Slovenia, sottolineando che «continuerà a sorvegliare attentamente la situazione» al fine di «un ritorno al normale funzionamento del sistema Schengen nei prossimi mesi».
Dimensione esterna La diplomazia europea è impegnata a trovare soluzioni politiche alla crisi in Libia e in Siria, a sostegno delle iniziative dell’Onu. Inoltre, è in corso di attuazione il piano d’azione dell’Ue contro il
traffico di migranti e si stanno svolgendo preparativi con i partner africani in vista del Vertice di La
Valletta sulla migrazione che avrà luogo l’11 e 12 novembre prossimi. I rimpatri saranno resi più
efficaci dagli accordi di riammissione attualmente in negoziazione o da una maggiore attuazione
degli accordi già stipulati, come quello con il Pakistan. La Turchia e i Balcani occidentali sono partner strategici. Il piano d’azione sulla migrazione presentato dal presidente Juncker al presidente
turco Erdoğan il 5 ottobre stabilisce una serie di misure concrete su cui collaborare. Inoltre, la
dichiarazione recentemente adottata in occasione della Conferenza ad alto livello sulla rotta del
Mediterraneo orientale e dei Balcani occidentali prepara il terreno a una più stretta cooperazione
con i partner dell’immediato vicinato.
Fonte: Rapid
POCHE DECISIONI AL CONSIGLIO EUROPEO
Nei giorni 15-16 ottobre si è svolto a Bruxelles il quarto Consiglio europeo del 2015 in materia di immigrazione e asilo. «Affrontare la crisi migratoria e dei rifugiati è un obbligo comune che richiede una
strategia globale e un impegno deciso nel corso del tempo, in uno spirito di solidarietà e responsabilità»
si legge nelle conclusioni del Consiglio, anche se in realtà molte decisioni operative sono state rimandate
in attesa del Vertice de La Valletta sulla migrazione del prossimo novembre.
Intanto, tra i governi degli Stati membri non c’è ancora intesa sul meccanismo permanente di ricollocazione dei rifugiati, con le maggiori distanze tra Germania e Svezia da un lato e Spagna e Paesi del
gruppo di Visegrad (Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovacchia) dall’altro. Così come mancano
ancora da parte di molti Stati membri i fondi fiduciari promessi per Africa e Siria nel corso del Consiglio
straordinario del 23 settembre.
Tra le poche decisioni prese dal Consiglio del 15 ottobre, una valutazione positiva del piano d’azione
comune con la Turchia, proposto dalla Commissione e basato su «condivisione delle responsabilità,
impegni reciproci e conseguimento di risultati»: di fatto, è chiaro a tutti il monito del presidente del
Consiglio europeo Tusk che ha sollecitato un accordo per evitare un afflusso straordinario di migranti
dalla Turchia nella primavera prossima. Per il resto il Consiglio europeo ha dato via libera al rafforzamento di Frontex, anche in materia di respingimenti, a «concepire soluzioni tecniche per rafforzare il
controllo delle frontiere esterne» e a «procedere speditamente alla creazione di altri punti di crisi» per
l’identificazione dei richiedenti asilo e dei migranti.
Consiglio europeo
952015
n.
ottobre
Clima: la linea dell’Europarlamento
Indicate le priorità sui cambiamenti climatici in vista della Conferenza di Parigi
In preparazione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, COP21 che si terrà a Parigi
dal 30 novembre all’11 dicembre, il Parlamento europeo ha richiesto all’Unione europea e ai
suoi Stati membri di raggiungere un accordo
su un taglio del 40% delle emissioni di gas a
effetto serra entro il 2030 e un aumento progressivo degli impegni finanziari per le politiche climatiche. Gli eurodeputati, secondo i
quali limitare l’aumento della temperatura a
una media di 2°C non garantisce che saranno evitati impatti negativi significativi, hanno
chiesto che anche i settori del trasporto aereo
e marittimo adottino provvedimenti per limitare le loro emissioni entro la fine del 2016.
«Ci troviamo di fronte alla lotta del secolo. Se
non riusciremo a evitare che il riscaldamento
globale superi i 2°C entro la fine del secolo,
assisteremo sempre più a fenomeni di siccità, inondazioni, scioglimento dei ghiacciai e
scomparsa di terreno coltivabile» ha dichiarato il relatore della risoluzione approvata lo
scorso 14 ottobre, Gilles Pargneaux, ricordando come il cambiamento climatico sarà anche
una delle cause dell’aumento delle migrazioni.
Una minaccia globale reale
I cambiamenti climatici «rappresentano una
minaccia globale urgente e potenzialmente
irreversibile per le società umane e la biosfera» osserva il Parlamento europeo, citando
nella sua risoluzione il quinto Rapporto di
valutazione dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), del 2014, secondo
cui: il riscaldamento del sistema climatico è
inequivocabile; i cambiamenti climatici sono
una realtà di fatto e le attività umane sono la
causa principale del riscaldamento osservato
sin dalla metà del XX secolo; gli effetti diffusi e
considerevoli dei cambiamenti climatici sono
già chiaramente osservabili nei sistemi naturali e umani di tutti i continenti e negli oceani.
Secondo gli ultimi dati dell’Amministrazione
nazionale degli oceani e dell’atmosfera degli Stati Uniti (Noaa), nel marzo 2015 per la
prima volta dall’inizio delle rilevazioni la concentrazione media globale mensile di biossido di carbonio nell’atmosfera ha superato le
400 parti per milione, ricorda la risoluzione
dell’Europarlamento, citando anche l’Adaptation Gap Report 2014 elaborato dall’Unep
(United Nations Environment Programme)
che evidenzia gli enormi costi derivanti dall’inazione, giungendo alla conclusione che i costi di adattamento ai cambiamenti climatici
nei Paesi in via di sviluppo saranno probabil-
mente il doppio o il triplo della cifra stimata di 70-100 miliardi di dollari l’anno di qui al 2050.
Tra il 1990 e il 2013, osserva il Parlamento europeo, l’Ue ha ridotto le sue emissioni del 19%
nell’ambito del protocollo di Kyoto, registrando nel contempo una crescita del Pil superiore al 45%,
mentre nello stesso periodo le emissioni a livello mondiale sono aumentate di oltre il 50%.
Le richieste dell’Europarlamento
Nella risoluzione, che ha conferito il mandato per la delegazione dell’Europarlamento alla COP21,
i deputati europei hanno esplicitamente invitato l’Ue a chiedere:
• una riduzione di almeno il 40% delle emissioni di gas serra;
• un obiettivo di efficienza energetica del 40%;
• un obiettivo del 30% entro il 2030 per le energie rinnovabili.
Il Parlamento europeo invita a un rilancio generale della politica europea sul clima, in linea con l’impegno dell’Ue di ridurre dell’80-95% le sue emissioni di gas serra entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990.
Secondo l’Europarlamento, il nuovo Protocollo 2015 sul clima dovrebbe:
• essere giuridicamente vincolante;
• puntare a eliminare progressivamente le emissioni globali di carbonio entro il 2050 o poco oltre,
in modo da mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C;
• se necessario, prevedere che i lavori inizino nel 2016 per elaborare misure di riduzione supplementari;
• prevedere periodi di impegno quinquennali quale soluzione più appropriata per evitare che i
risultati siano modesti.
L’Ue e i suoi Stati membri, sostiene il Parlamento europeo, dovrebbero concordare una tabella di
marcia per incrementare i finanziamenti, così da raggiungere l’obiettivo complessivo di 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020. In aggiunta, l’Europarlamento propone di destinare alcune quote
di emissione nell’ambito dello Schema di commercio delle emissioni (Ets) come fonti aggiuntive
di finanziamenti per le politiche climatiche, così come i profitti derivanti dalle misure europee e
internazionali sulle emissioni prodotte dai trasporti aerei e marittimi.
La risoluzione sul clima del Parlamento europeo
UN APPELLO PER LA GIUSTIZIA CLIMATICA
La Coalizione Italiana per il Clima, promossa in Italia da numerose organizzazioni nazionali e locali della società civile in vista della Conferenza ONU di Parigi, ha lanciato un appello per la giustizia climatica che pubblichiamo di seguito:
La Coalizione Italiana Clima chiede che dalla COP21 di Parigi scaturisca un accordo equo, legalmente vincolante, che consenta di limitare il riscaldamento globale legato alle attività umane ben al di sotto di 2°C (possibilmente 1,5°C), accelerando la transizione verso la decarbonizzazione e lo sviluppo sostenibile.
L’Accordo di Parigi deve porre le fondamenta per un mondo nel quale l’impatto delle attività umane non danneggi le basi della vita, nel quale le risorse naturali vengano usate in modo sostenibile e vengano distribuite in
modo equo, nel quale gli “scarti” delle attività umane vengano minimizzati e non minino il funzionamento
dei sistemi naturali.
L’Accordo di Parigi deve costituire un impegno per il mondo ad agire insieme, agire in fretta, agire in modo
efficace. Il rispetto per la sovranità nazionale non deve limitare le ambizioni collettive, al contrario deve dare
a ogni Paese maggiori responsabilità nel vincere una sfida dalla quale dipende la sopravvivenza del Pianeta
come lo conosciamo e della stessa civilizzazione umana. L’accordo di Parigi va ancorato alle indicazioni della
Comunità scientifica e, quindi, alla necessità di iniziare da subito una traiettoria di rapido declino delle emissioni di gas serra, a cominciare dalla CO2.
L’accordo di Parigi deve essere equo, tenendo conto del principio delle responsabilità comuni ma differenziate
e delle rispettive capacità, alla luce delle diverse circostanze nazionali; il principio di equità va applicato anche
all’interno dei Paesi, favorendo una giusta transizione che garantisca migliori opportunità alle popolazioni
povere o impoverite e un futuro alle persone e alle comunità colpite dagli impatti del cambiamento climatico.
L’accordo di Parigi deve anche sancire il principio dell’equità intergenerazionale, principio secondo cui il pianeta debba essere consegnato alle generazioni future in condizioni non peggiori rispetto a quelle in cui lo
abbiamo ereditato.
Coalizione Clima
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n.
ottobre
Ces: riportare la negoziazione al centro
Il neo segretario generale Visentini ha indicato la linea del sindacato europeo
«Un’altra e migliore Europa è possibile e il movimento sindacale contribuirà a crearla. Tutti
insieme possiamo vincere».
Con queste parole ha concluso il suo intervento al 13° Congresso della Confederazione europea dei sindacati (Ces), svoltosi a Parigi dal
29 settembre al 2 ottobre scorsi, il neo-eletto
segretario generale Luca Visentini.
Dopo la ventennale esperienza di lavoro nella
Uil, dal 2011 Visentini era segretario confederale della Ces e ora ha preso il posto di Bernadette Ségol alla segreteria generale.
Oltre al segretario generale, il Congresso
Ces ha eletto nuovo presidente il belga Rudy
de Leeuw, due nuovi vicesegretari generali,
Veronica Nilsson (Svezia) e Peter Scherrer
(Germania), e quattro segretari confederali:
Liina Carr (Estonia), Esther Lynch (Irlanda), Monserrat Mir Roca (Spagna ), Thiébaut
Weber (Francia). Il 13° Congresso ha anche
adottato un Manifesto e un Programma d’azione 2015-2019.
Resistere, cercando
il cambiamento
«Veniamo da uno dei peggiori periodi della
storia sindacale europea. Abbiamo resistito ad
attentati e guerre nell’economia e nella società
e troppo spesso i lavoratori e i sindacati sono
stati danneggiati. La missione per il prossimo
mandato sarà di continuare a resistere, ma anche di cercare di cambiare il contesto negativo
in cui ci troviamo, per ripristinare le nostre
prerogative e portare risultati concreti per i
nostri membri» ha dichiarato il neo segretario generale, indicando quale primo compito
il superamento della crisi. Ma, ha aggiunto, se
si vuole battere la crisi, lottare contro la disoccupazione, ripristinare il modello sociale europeo e ottenere migliori condizioni di lavoro
per tutti, «abbiamo bisogno di negoziazione negoziazione - negoziazione».
Negoziare a più livelli
Visentini ha spiegato che, al di là dell’enfasi retorica, la ripetizione indica i tre tipi di negoziazione
su cui il sindacato europeo dovrà impegnarsi: in primo luogo negoziare per rafforzare, ripristinare
e in alcuni Paesi addirittura costruire le istituzioni di contrattazione collettiva e un’adeguata partecipazione dei lavoratori; in secondo luogo negoziare per rilanciare il dialogo sociale, soprattutto
il dialogo sociale bilaterale tradizionale a livello europeo, settoriale e nazionale; il terzo livello di
negoziazione riguarda la governance economica e il processo del semestre europeo, che influenzano qualsiasi tipo di decisione e riforma.
«Dobbiamo negoziare per fare in modo che siano disponibili risorse pubbliche sufficienti e vadano
ai Paesi e ai settori più bisognosi di solide politiche industriali e buoni servizi pubblici, all’innovazione e alla ricerca, all’istruzione e alla formazione, a supporto del capitale umano e della creazione
di occupazione» ha dichiarato Visentini, sottolineando come questa negoziazione dei sindacati
debba avvenire a livello europeo ma anche nazionale, perché i Paesi «dovrebbero essere autorizzati
a investire, allentando le regole di austerità».
Le sfide da affrontare
Secondo Visentini, se si vuole rilanciare il movimento sindacale europeo vanno affrontate alcune
sfide principali. Innanzitutto la capacità negoziale, «per impostare un sindacato autonomo e produrre risultati concreti», e poi la capacità di influenzare il nuovo processo decisionale istituzionale,
«al fine di contrastare l’austerità e contribuire a un’Europa equa e sociale».
Il neo segretario ritiene che vadano anche ripensati e rinnovati la Ces e il sindacalismo europeo: «Meno
burocrazia e più solidarietà e cooperazione; un programma più progressista e iniziative di offensiva;
messaggi più chiari e più forti; più democrazia e trasparenza; maggiore attenzione ai giovani, alle donne, ai lavoratori precari, agli anziani e a tutte le categorie della società trascurate negli ultimi anni: sono
queste le basi di una rinnovata Ces. E sono valide per tutto il movimento sindacale».
UNIONS NETWORK SINDACALE:
UN PORTALE PER IL SINDACALISMO EUROPEO
È on-line Unions Network Sindacale, un nuovo portale che intende raccontare l’azione sindacale sovranazionale e offrire una panoramica dei diritti dei lavoratori su scala globale. Curato del Dipartimento
internazionale della Cgil Lombardia, il portale è sviluppato all’interno della rete sindacale operante nel
progetto Dedalus e Arianna, composta da 10 organizzazioni provenienti da 8 Paesi europei ed extra-europei, tra le quali è presente anche la Cisl Lombardia. Alternando strumenti e forme di comunicazione,
Unions Network Sindacale si pone un duplice obbiettivo: migliorare l’azione sindacale, fornendo supporto ai rappresentati dei lavoratori nei Comitati Aziendali Europei (Cae) e far conoscere al grande
pubblico il senso e l’importanza dell’attività sindacale sovranazionale.
Fare rete e condividere buone pratiche di azione con le organizzazioni di rappresentanza degli altri Paesi
è un priorità assoluta per il sindacato. Per questa ragione, Unions Network Sindacale può essere considerato, oltre che un progetto di comunicazione, anche un progetto di formazione sindacale.
AGENDA // APPUNTAMENTI
26-29 ottobre: Strasburgo, plenaria Parlamento europeo
9 novembre: Bruxelles, Eurogruppo
11 novembre: Bruxelles, plenaria Parlamento europeo
11-12 novembre: La Valletta, Vertice sulla migrazione
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Euronote - Strumento di informazione sociale europea
Mensile n. 95 - Ottobre 2015 (centodecimo numero dall’avvio del progetto pilota sull’informazione sociale europea).
Registrazione n. 1366 del 18.11.1998 presso il tribunale di Monza.
DIRETTORE: Enrico Panero.
EDITORE/PROPRIETÀ: Cisl Lombardia, Via G. Vida 10 - Milano.
REDAZIONE: Miriam Ferrari, Fabio Ghelfi, Enrico Panero.
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO: Stefano Frassetto.
REALIZZATO DA: Cgil-Cisl-Uil Lombardia.
Cgil Lombardia, via Palmanova 22, 20132 Milano, tel. 02 262541 - fax 02 2480944,
www.cgil.lombardia.it
Cisl Lombardia, Via G. Vida 10, Milano, tel. e fax 02 89355203, www.lombardia.cisl.it
Uil Milano e Lombardia, via Campanini 7, 20124 Milano, tel . 02 671103401, fax 02
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PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE: Luca Imerito.
Questo numero è stato chiuso in redazione il 19/10/2015.