Lingua e letteratura italiana Triennio della Scuola

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Lingua e letteratura italiana Triennio della Scuola
Lingua e letteratura italiana
Triennio
della Scuola Secondaria
Indicazioni metodologiche
e proposte di esercizi
Coordinamento didattico: Rosa Castellaro
2. Guida all'analisi del testo
di Rosa Castellaro
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Ti proponiamo l'analisi testuale di un passo de I promessi sposi di Alessandro Manzoni.. Su questa
traccia, compi tu l'analisi del passo del romanzo che trovi indicato come Esercizio.
Testo
Renzo intanto camminava a passi infuriati verso casa, senza aver determinato quel che dovesse fare,
ma con una smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile. I provocatori, i soverchiatori,
tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono,
ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi. Renzo era un giovine pacifico e
alieno dal sangue, un giovine schietto e nemico d’ogni insidia; ma, in que’ momenti, il suo cuore
non batteva che per l’omicidio, la sua mente non era occupata che a fantasticare un tradimento
Avrebbe voluto correre alla casa di don Rodrigo, afferrarlo per il collo e… ma gli veniva in mente
ch’era come una fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata al di fuori; che i soli amici e
servitori ben conosciuti v’entravan liberamente, senza essere squadrati da capo a piedi; che un
artigianello sconosciuto non vi potrebbe entrare senza un esame, e ch’egli sopra tutto … egli vi
sarebbe troppo conosciuto. Si figurava allora di prendere il suo schioppo, d’appiattarsi dietro una
siepe, aspettando se mai, se mai colui venisse a passar solo; e, internandosi, con feroce
compiacenza, in quell’immaginazione, si figurava di sentire una pedata, quella pedata, d’alzar
chetamente la testa; riconosceva lo scellerato, spianava lo schioppo, prendeva la mira, sparava, lo
vedeva cadere e dare i tratti, gli lanciava una maledizione, e correva sulla strada del confine a
mettersi in salvo. “E Lucia?”
Appena questa parola si fu gettata a traverso di quelle bieche fantasie, i migliori pensieri a cui era
avvezza la mente di Renzo, v’entrarono in folla. Si rammentò degli ultimi ricordi de’ suoi parenti, si
rammentò di Dio, della Madonna e de’ santi, pensò alla consolazione che aveva tante volte provata
di trovarsi senza delitti, all’orrore che aveva tante volte provato al racconto d’un omicidio; e si
risvegliò da quel sogno di sangue, con ispavento, con rimorso, e insieme con una specie di gioia di
non aver fatto altro che immaginare. Ma il pensiero di Lucia, quanti pensieri tirava seco! Tante
speranze, tante promesse, un avvenire così vagheggiato, e così tenuto sicuro, e quel giorno così
sospirato! E come, con che parole annunziarle una tal nuova? E poi, che partito prendere? Come
farla sua, a dispetto della forza di quell’iniquo potente? E insieme a tutto questo, non un sospetto
formato, ma un’ombra tormentosa gli passava per la mente. Quella soverchieria di don Rodrigo
non poteva esser mossa che da una brutale passione per Lucia. E Lucia? Che avesse data a colui la
più piccola occasione, la più leggiera lusinga, non era un pensiero che potesse fermarsi un
momento nella testa di Renzo. Ma n’era informata? Poteva colui aver concepita quell’infame
passione, senza che lei se n’avvedesse? Avrebbe spinte le cose tanto in là, prima d’averla tentata in
qualche modo? E Lucia non ne aveva mai detta una parola a lui! Al suo promesso!
Dominato da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch’era nel mezzo del villaggio, e,
attraversatolo, s’avviò a quella di Lucia, ch’era in fondo, anzi un po’ fuori.
A. Manzoni, I promessi sposi in A. Manzoni, Opere, a c. di R. Bacchelli, R. Ricciardi Editore,
Milano . Napoli
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Riconoscimento del passo
Il passo si colloca alla fine del secondo capitolo, come momento di transizione tra le due scene che
hanno per protagonista Renzo, quella del tumultuoso colloquio con don Abbondio e quella del
mesto incontro con Lucia.
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Struttura del testo
Il testo, che costituisce in realtà un’unica sequenza, può essere suddiviso in tre parti minori o
microsequenze: la prima, di carattere descrittivo – espositivo (dall’inizio a: la sua mente non era
occupata che a fantasticare un tradimento), introduce la situazione; la seconda (da Avrebbe voluto
correre alla casa di don Rodrigo… a: a lui! Al suo promesso!), presenta i pensieri di Renzo; la
terza, (da: Dominato da questi pensieri…) alla fine, riprende e conclude la narrazione.
Nel passaggio dalla prima alla seconda microsequenza si osserva un cambiamento nella posizione
del narratore: mentre nella prima mantiene la consueta funzione di narratore onnisciente, che
formula giudizi dall’esterno sul comportamento di un personaggio, nella seconda
si sposta
all’interno del personaggio in azione, assumendo il suo punto di vista e la sua voce. Nella
conclusione il narratore si riapproprierà del suo ruolo di dominatore della narrazione.
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Contenuto del testo
Prima di aprire davanti al lettore l’animo di Renzo, il narratore sente l’esigenza di spiegare e
giustificare i sentimenti violenti che vi appariranno e a questo fine introduce una digressione di
carattere morale sulle conseguenze del male operato dai violenti: nella vita sociale, a suo giudizio,
chiunque compia una prevaricazione nei confronti di un altro deve sentirsi responsabile non solo
della sua colpa, ma anche del male eventualmente compiuto per vendetta o esasperazione da colui
che è stato vittima della sua sopraffazione.
In reazione alla violenza subita da don Rodrigo, infatti, nel cuore di Renzo, un ”giovane pacifico e
alieno dal sangue” alberga ora un feroce desiderio di vendetta, che non s’arresta di fronte alla
prospettiva dell’omicidio. Proprio colui che era stato sempre “nemico d’ogni insidia” medita ora un
atroce agguato, e gioisce al pensiero del sangue versato dalla sua vittima.
In questa prospettiva di corresponsabilità del male che agita la comunità umana, viene descritto
l’affannoso susseguirsi di pensieri che accompagna il percorso di Renzo dalla casa di don Abbondio
a quella di Lucia Il contenuto del passo non è infatti la rappresentazione realistica di un groviglio di
passioni, ma la riflessione morale sulla forza del bene contro il male.
Se nella prima parte del testo viene messa in luce la responsabilità dei prevaricatori nei confronti
delle persone da loro oppresse, che facilmente possono essere indotte a rispondere con la violenza ai
torti subiti, dall’analisi dei sentimenti che si scontrano nell’animo di Renzo emerge un’altra verità:
chi possiede una fede salda può resistere alle tentazioni del male, e provare consolazione dal suo
rifiuto. Infatti nell’animo di Renzo, che si era abbandonato per un istante al piacere istintivo della
vendetta, ritorna presto la certezza della presenza di Dio e subito l’idea del delitto cede a “ migliori
pensieri” . Il giovane si risveglia dalle sue colpevoli fantasticherie “con ispavento, con rimorso, e
insieme con una specie di gioia di non aver fatto altro che immaginare”.
Anche in questa pagina, come nell’intera opera di Manzoni, la rappresentazione del vero, in questo
caso lo sconvolgimento dell’animo di chi subisce un grave torto, si unisce all’utile, inteso come
insegnamento morale: la vera gioia, per chi crede, non consiste nel vendicarsi dell’ingiustizia, ma
nella “consolazione … di trovarsi senza delitti”.
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Caratteristiche formali del testo
Il monologo di Renzo è reso sulla pagina attraverso l’alternarsi di due tecniche del discorso, quella
del discorso indiretto e quella del discorso indiretto libero, usate in modo tale da permettere ora una
visione più distaccata di quel tumulto interiore, ora invece da consentire una ripresa, quasi in diretta,
del nascere e del morire dei singoli pensieri.
Sotto forma di discorso indiretto sono riprodotto i ragionamenti che, pur nella rabbia furiosa del
giovane, mantengono comunque uno sviluppo logico: “ma gli veniva in mente ch’era come una
fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata al di fuori; che i soli amici e servitori ben
conosciuti v’entravan liberamente, senza essere squadrati da capo a piedi; che un artigianello
sconosciuto non vi potrebbe entrare senza un esame e ch’egli sopra tutto… egli vi sarebbe forse
troppo conosciuto” .
Sono invece le emozioni più intime, quelle che hanno per oggetto Lucia, a essere trasferite sulla
pagina attraverso il discorso indiretto libero: “ E Lucia? … E come, con che parole annunziarle una
tale nuova?… Ma n’era informata? Poteva colui aver concepita quell’infame passione, senza che lei
se n’avvedesse? Avrebbe spinto le cose tanto in là, prima d’averla tentata in qualche modo? E Lucia
non ne aveva mai detta una parola a lui! Al suo promesso!”
E’ interessante rilevare che monologo di Renzo segue un percorso circolare: parte dalla figura di
don Rodrigo, rappresentato nella sua veste di spietato tiranno, contro il quale prendono corpo le
“più bieche fantasie” di vendetta in quello che il narratore definisce un “sogno di sangue”, si
sviluppa intorno all’immagine di Lucia, e si conclude con il ritorno della figura di don Rodrigo,
vista ora non solo come un essere abietto, ma anche come un possibile rivale nell’amore per Lucia.
Proprio quando quel dubbio, forse più doloroso ancora del rinvio del matrimonio, nasce nella mente
del giovane, il monologo si interrompe e riprende la narrazione. Renzo è infatti arrivato alla piccola
casa dove Lucia, ignara dell’accaduto, sta abbigliandosi per la cerimonia di nozze.
Si deve osservare che la durata del discorso interiore di Renzo si adegua al breve percorso da lui
compiuto dalla casa di don Abbondio alla sua, mentre la costruzione intera del passo, dalla
punteggiatura (nella quale prevalgono i punti interrogativi e esclamativi), alla struttura sintattica
costituita dall’alternarsi di frasi brevi, collegate in modo paratattico, e di ampi periodi basati
sull’ipotassi, sembra rendere il ritmo concitato dei passi di Renzo.
Tutto il testo, d’altra parte, è costruito con una sapiente strategia retorica, che vede l’uso di diverse
figure: il parallelismo (“un giovane pacifico e alieno dal sangue, un giovane schietto e nemico
d’ogni insidia”), la reticenza (“Avrebbe voluto correre alla casa di don Rodrigo, afferrarlo per il
collo, e…”), l’anafora (si veda la ripetizione della congiunzione che nella prima parte del
monologo), il climax (“riconosceva lo scellerato, spianava lo schioppo, prendeva la mira, sparava”).
ESERCIZIO
Compi l'analisi testuale del seguente passo de I promessi sposi:
Il qual padre Cristoforo si fermò ritto sulla soglia, e, appena ebbe data un'occhiata alle donne,
dovette accorgersi che i suoi presentimenti non eran falsi. Onde, con quel tono d'interrogazione che
va incontro a una trista risposta, alzando la barba con un moto leggiero della testa all'indietro, disse:
"ebbene?" Lucia rispose con uno scoppio di pianto. La madre cominciava a far le scuse d'aver
osato…ma il frate s'avanzò, e, messosi a sedere sur un panchetto a tre piedi, troncò i complimenti,
dicendo a Lucia: "quietatevi, povera figliuola. E voi, - disse poi ad Agnese - raccontatemi cosa c'è".
Mentre la buona donna faceva alla meglio la sua dolorosa relazione, il frate diveniva di mille colori,
e ora alzava gli occhi al cielo, ora batteva i denti. Terminata la storia, si coprì il volto con le mani,
ed esclamò: " o Dio benedetto! fino a quando … !" Ma, senza compir la frase, voltandosi di nuovo
alle donne: "poverette! - disse: - Dio vi ha visitate. Povera Lucia!"
"Non ci abbandonerà, padre?" disse questa, singhiozzando.
"Abbandonarvi!- rispose. - E con che faccia potrei io chieder a Dio qualcosa per me, quando
v'avessi abbandonata? voi in questo stato! voi, ch'Egli mi confida! Non vi perdete d'animo: Egli
v'assisterà: Egli vede tutto: Egli può servirsi anche d'un uomo da nulla come son io, per confondere
un … Vediamo, pensiamo quel che si possa fare.
Così dicendo, appoggiò il gomito sinistro sul ginocchio, chinò la fronte nella palma, e con la destra
strinse la barba e il mento, come per tener ferme e unite tutte le potenze dell'animo. Ma la più
attenta considerazione non serviva che a fargli scorgere più distintamente quanto il caso fosse
pressante e intrigato, e quanto scarsi, quanto incerti e pericolosi i ripieghi. "Mettere un po' di
vergogna a don Abbondio, e fargli sentire quanto manchi al suo dovere? Vergogna e dovere sono un
nulla per lui, quando ha paura. E fargli paura? Che mezzi ho io di fargliene una che superi quella
che ha di una schioppettata? Informar di tutto il cardinale arcivescovo, e invocar la sua autorità? Ci
vuol tempo: e intanto? e poi? Quand'anche questa povera innocente fosse maritata, sarebbe questo
un freno per quell'uomo? Chi sa a qual segno possa arrivare? … E resistergli? Come? Ah! Se
potessi, pensava il povero frate, se potessi tirar dalla mia i miei frati di qui, que' di Milano! Ma! non
è un affare comune; sarei abbandonato. Costui fa l'amico del convento, si spaccia per partigiano de'
cappuccini: e i suoi bravi non son venuti più d'una volta a ricoverarsi da noi? Sarei solo in ballo; mi
buscherei dell'inquieto, dell'imbroglione, dell'attaccabrighe; e, quel ch'è più, potrei fors'anche, per
un tentativo fuor di tempo, peggiorar la condizione di questa poveretta". Contrappesato il pro e il
contro di questo e di quel partito, il migliore gli parve d'affrontar don Rodrigo stesso, tentar di
smuoverlo dal suo infame proposito, con le preghiere, coi terrori dell'altra vita, anche di questa, se
fosse possibile. Alla peggio, si potrebbe, almeno conoscere, per questa via, più distintamente
quanto colui fosse ostinato nel suo sporco impegno, scoprir di più le sue intenzioni, e prender
consiglio da ciò.
A. Manzoni, I promessi sposi in A. Manzoni, Opere, a c. di R. Bacchelli, R. Ricciardi Editore,
Milano . Napoli