Il giardino dell`ospedale a Saint-Rémy
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Il giardino dell`ospedale a Saint-Rémy
«Da quando sono qui, il giardino desolato, alberato da grandi pini sotto i quali cresce mal tenuta un’erba mista a erbacce diverse, mi è stato sufficiente per mettermi al lavoro e non sono ancora andato fuori» (lettera 778/592, 22 maggio 1889) scrisse Van Gogh a Theo, due settimane dopo essere arrivato all’ospedale di Saint-Paul-de-Mausole. Quando dice «andato fuori» intende fuori le mura dell’ospedale. Dipingere all’aperto, nel giardino, era per Van Gogh la speranza che la pittura avrebbe avuto un’influenza positiva sulla sua malattia. Ora che era stato rinchiuso in un ospedale, in mezzo a persone con disturbi psichici, aveva paura d’impazzire. Notò che alcuni pazienti durante gli attacchi sentivano strani suoni e strane voci, proprio come lui e che «anche ai loro occhi le cose sembravano cambiare», ma, scrisse nella stessa lettera, «una volta che capisci che questo fa parte della malattia lo accetti come una cosa qualunque.» In cinque mesi stava gradualmente migliorando e sperava che non avrebbe più vissuto una crisi violenta come quella di Arles. Era convinto che il pericolo maggiore fosse una «letargia rassegnata» di cui soffrivano coloro che si trovavano lì da anni. «Bene, il mio lavoro mi proteggerà da questo.» Il giardino, situato nel lato orientale dell’ospedale, gli fornì una gran quantità di soggetti e già dopo una settimana, stava lavorando a due grandi tele, dipingendo lillà e iris (F608 e F579). Contemporaneamente lavorava in giardino a parecchi disegni e acquerelli, uno dei quali è conservato al Kröller-Müller Museum. Dipinse iris e lillà su tele da 30 in formato orizzontale. Poco tempo dopo prese due tele da 30 in formato verticale per questo quadro e per un quadro con tre tronchi d’albero ricoperti di edera (F609). Per Il giardino dell’ospedale Van Gogh sistemò il cavalletto nell’ala nord del reparto maschile, dove poté adibire a studio le stanze vuote. Intorno al 1900, Frédéric George scattò una fotografia, più o meno dalla stessa posizione, riprendendo la vegetazione che non aveva perso il suo aspetto lussureggiante e le caratteristiche condutture a metà circa della facciata dell’edificio. Mentre nei tre quadri sopra menzionati Van Gogh si era concentrato esclusivamente sulla vegetazione, in questo quadro affianca per contrasto alla ricchezza degli alberi le linee architettoniche dell’edificio dell’ospedale. Dell’edificio però si vede ben poco perché Van Gogh aveva sistemato il cavalletto troppo vicino alla facciata, producendo così un’angolazione insolita, ma di quelle che usava spesso nelle sue composizioni (F659, Il giardino dell’ospedale). Quando lavorava in Olanda, Van Gogh aveva studiato l’uso corretto della prospettiva come mezzo espressivo nel libro di Charles Blanc Grammaire des arts du dessin, pubblicato nel 1867. Come prima cosa, realizzò uno schizzo a matita o pastello nero, ancora visibile in alcuni punti. Dipinse gli alberi con un impasto di colore più denso e più diluito per piccoli, nervosi tocchi di pennello, mentre l’edificio e il fondo sono dipinti in modo meno pastoso. Le cime degli alberi, alcuni in piena fioritura, sono dipinte con variazioni di colore, lavorate “bagnato-su-bagnato”. Per il prato, visibile tra gli alberi, usò pennellate piuttosto piatte per creare una zona di riposo per gli occhi, catturati ovunque dal susseguirsi incessante e marcato delle pennellate. Molti passaggi di questo lavoro avvenivano seguendo la tecnica del “bagnato-su-bagnato”, mentre aveva il soggetto di fronte. Nella fase finale, invece, quando ormai la tela doveva essere abbastanza asciutta, usò pennellate morbide puntinate per applicare tocchi con blu scuro trasparente e rosso, che sono chiaramente visibili su tutta la superficie della tela, utili non solo per bilanciare lo schema cromatico, ma anche per arricchire la composizione, ad esempio, sui rami fioriti. Alla fine appose la firma, come aveva fatto sugli altri tre studi dipinti del giardino in modo simile (F579, F608, F609). Questa firma è significativa perché Van Gogh, quando spedì le tele a Theo in luglio, descrisse solo Lillà (F608) e Alberi con edera (F609) come «tableaux», intendendo con questa parola quadri finiti. Gli altri due, disse «sono più studi dalla natura che soggetti per dei quadri. È sempre così, bisogna farne diversi prima di trovare un insieme che vada bene» (lettera 792/600, 9 luglio 1889). La distinzione tra studio (étude) e quadro (tableau) è un tema ricorrente nelle lettere. Anche se non definisce i due concetti con molta precisione, perché chiama alcuni quadri études e tableaux alternativamente, sembra che per Van Gogh un lavoro non si potesse considerare pienamente concluso se lui non era completamente soddisfatto del soggetto e non l’aveva indagato in tutte le sue possibilità. Era dunque quasi certo che avrebbe avuto bisogno di molti studi per realizzare un quadro soddisfacente. Il formato non aveva un ruolo importante in tutto questo. © Linea d’ombra 2008