A003549 SUICIDA PER VIDEO HARD, `NESSUN COLPEVOLE`
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A003549 SUICIDA PER VIDEO HARD, `NESSUN COLPEVOLE`
A003549, 1 A003549 FONDAZIONE INSIEME Da il corriere della sera del 4/11/2016, <<SUICIDA PER VIDEO HARD, “NESSUN COLPEVOLE”>>, di Fulvio Bufi, giornalista. Vedi anche A003550. Per la lettura completa del pezzo si rimanda al quotidiano citato. La Procura di Napoli chiede l’archiviazione delle accuse contro quattro amici di Tiziana Cantone. Al gruppo la ragazza aveva girato le immagini. Manca la prova che siano stati loro a diffonderle via web. È destinata a fermarsi senza essere giunta da nessuna parte l’inchiesta della Procura di Napoli sulla diffusione in Rete del video di Tiziana Cantone, la trentunenne morta suicida nello scorso settembre dopo mesi in cui le immagini di alcuni suoi rapporti sessuali erano diventate virali su WhatsApp e cliccatissime su numerosi siti porno. Il procuratore aggiunto Fausto Zuccarelli e il sostituto Alessandro Milita hanno inoltrato al gip la richiesta di archiviazione nei confronti dei quattro uomini ai quali la stessa Tiziana inviò i video e che sulla base di una successiva denuncia della donna erano stati indagati per diffamazione. Ora sarà il giudice a decidere, e potrebbe anche respingere la richiesta della Procura. Altrimenti l’indagine sarà definitivamente chiusa. Va avanti intensamente, invece quella avviata dalla Procura di Napoli Nord dopo la morte di Tiziana Cantone. Si procede per istigazione al suicidio, ma ancora non ci sarebbero indagati. I nomi dei quattro uomini per i quali oggi si chiede l’archiviazione furono forniti ai magistrati dalla stessa Cantone quando scoprì che i suoi video erano diventati di pubblico dominio. La giovane donna in un primo momento, probabilmente presa dal panico, dichiarò di aver smarrito il cellulare e di non sapere quindi nulla della diffusione delle immagini. Ma poi fu lei stessa ad ammettere di essere ancora in possesso del suo telefono e di aver inviato quei video —che, aggiunse, aveva girato spontaneamente— a quattro uomini con i quali era in contatto su Facebook. Li indicò (in un caso si trattava di un nickname) e dichiarò di ritenere che fossero stati loro a diffondere le immagini. Anche su questo punto, però, in un successivo momento, corresse il tiro. Confermando di aver inviato i video, ma specificando di non poter essere certa che a diffondere le immagini fossero stati proprio quei quattro, o anche solo qualcuno di loro. Né gli indagati, sottoposti anche ad alcuni accertamenti tecnici su cellulari e computer, hanno mai ammesso di aver inoltrato quei filmini. A003549, 2 Alla Procura di Napoli Tiziana Cantone avrebbe poi fornito anche i risultati di una indagine privata commissionata ad alcuni periti informatici. La donna avrebbe voluto che si procedesse per diffamazione anche nei confronti di tutti quegli utenti Facebook, e furono centinaia se non migliaia, che nei giorni successivi alla diffusione dei video, aprirono gruppi sul social network in cui Tiziana veniva insultata o derisa o ridicolizzata. La parola: DIFFAMAZIONE È il reato, regolato dall’articolo 594 del codice penale, che punisce chi, comunicando con più persone, lede la reputazione, l’onore e il decoro altrui. È punito con la reclusione fino a due anni. Nel 2002 è stata pronunciata la prima sentenza che sanziona anche la diffamazione commessa via Internet. La ragazza tenta invano di rimuovere i video, lascia Napoli. Poi la decisione di farla finita. Di alcuni di questi utenti i consulenti tecnici ai quali si erano rivolti la donna e i suoi avvocati, erano riusciti a rintracciare l’indirizzo Ip, e questi dati sarebbero stati fomiti agli inquirenti. Ma la richiesta di archiviazione farebbe pensare che nemmeno su questo versante si è giunti a qualcosa. Di certo, comunque, i pm napoletani tentativi di scavare in quel groviglio che è Internet ne hanno fatti, e sarà interessante leggere la loro richiesta depositata all’ufficio del gip: sarebbe di una decina di pagine, decisamente tante per chiudere un semplice procedimento per diffamazione. Ma del resto che questa vicenda sia complicatissima lo dimostra anche l’indagine che la Procura di Napoli Nord sta facendo per stabilire se qualcuno ha spinto Tiziana Cantone verso il suicidio. Molti elementi utili alle indagini potrebbero essere contenuti nel cellulare della donna, nelle sue conversazioni sulle piattaforme di messaggistica, soprattutto dopo che aveva preferito chiudere il suo profilo Facebook. Gli inquirenti hanno chiesto alla Apple, attraverso una rogatoria, di sbloccare l’apparato, ma lo stesso procuratore Francesco Greco ammette che sarà complicato ottenere qualcosa, se nemmeno nelle indagini sul terrorismo l’azienda è mai stata particolarmente collaborativa in questo senso.