due parole in disuso: dovere e sacrificio

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due parole in disuso: dovere e sacrificio
Marzo_2013_INT
21-03-2013
9:24
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REDAZIONALE
DUE PAROLE IN DISUSO:
DOVERE E SACRIFICIO
N
on è la solita riunione del primo venerdì del mese, stasera alle nove in sede ci sono le elezioni per
il rinnovo del Consiglio Direttivo. La partecipazione, come sempre è scarsa, sebbene nella convocazione
si evidenziava che la presenza era importante. Alle ore ventuno si comincia, ed il Presidente – come il Papa – aveva
già anticipato la sua decisione di non poter continuare il
mandato e, dopo di lui, a strascico tutti gli altri consiglieri retrocedono. La sala è gelida benché i caloriferi viaggiano al massimo, nessuno interviene, si aspetta una mano
che per prima lancia il sasso nello stagno. Lo faccio io, come sempre, queste situazioni mi alterano il senso della dignità, del dovere e del diritto di appartenenza. Così, piano
piano, si innescano pensieri e parole, anche i giovani iscritti, spronati, non nascondono il disagio del momento o la
paura di essere inseriti in programmi e lavori sconosciuti.
Gli animi si scaldano, qualcuno ripensa alle decisioni prese frettolosamente, dettate più dall’amicizia che dal senso
di appartenenza. È stato riaperto quel baule di oltre cinquant’anni di storia associativa, di emozioni, di passioni e
di tradizioni con la volontà di non disperderne il prezioso
contenuto affinché tutti i presenti potessero offrire nuova
collaborazione.
Alle 22.30 la lista è fatta, si vota: Il nuovo Consiglio Direttivo è festeggiato da un applauso, il neo-eletto Presidente
fa le sue prime dichiarazioni ufficiali.
Nessuno contesta più le scelte degli amici, ogni decisione
personale assunta in quella sala è divenuta un diritto ormai
acquisito, accettato, ammesso che è riuscito a scalzare un
egoismo accertato. Anche in questo caso l’individualismo
ha tentato di contrapporsi, senza riuscirci, al diritto della
socialità. Non si tiene conto che i diritti hanno due limiti:
il prossimo, appunto, ed il dovere istituzionale. La contrapposizione tra due diritti è sempre materia del codice civile:
liti condominiali, controversie edilizie, rumori molesti,
cantine e box trasformati in allevamenti che hanno fornito
e forniscono agli avvocati materiale per i loro studi.
Ci sono diritti però più “nobili” contemplati dalle Carte
Costituzionali di ogni gruppo associativo: diritto all’iscrizione, alla libertà di espressione, di partecipazione ecc., insomma, l’insieme di tutto l’agire del socio per esprimere al
pieno le proprie potenzialità, la propria appartenenza, il
suo pensiero, la sua compartecipazione. Esistono anche dei
limiti, essi sono dettati dal rispetto delle regole che servono a tutelare altri modi di agire, pensare, esprimersi e collaborare, nel quadro della fattiva compartecipazione. Anche la libertà di espressione non deve oltrepassare certi confini in un ottica di salvaguardia della dignità del gruppo.
marzo 2013
Un tempo, da noi, nell’altro millennio,ad ogni riunione se
non arrivavi di buon ora non ti sedevi più, in ogni discussione faceva da argine quel cosiddetto comune senso del
pudore che, essendo stato “abolito”, ha lasciato campo a
linguaggi e comportamenti all’insegna della liberà più sfrenata. Un concetto di libertà errato, sapendo che la “mia libertà non deve travalicare la tua”. Non è moralismo, è solo il rispetto della “morale”, parola anch’essa in disuso. Purtroppo, è ben noto che si sono allentati nel nostro Paese
questi vincoli degenerando comportamenti singoli e collettivi in un’orgia di abusi e disonestà diffusi ad ogni livello
sociale. Il senso del dovere e l’obbligo di agire in conformità, non possono risiedere unicamente in una regola scritta,
ma soprattutto in una interiore; il senso di partecipazione,
di rispetto, di fiducia in ogni azione compiuta, è oramai
quasi un residuo, una mutualità misteriosa che appartiene
ad una sempre più esigua schiera di soci giudicati dai più
come “gli interessati”. I francesi dicono “tout se tient” volendo significare la correlazione fra gli avvenimenti, con legami, a volte inattesi. Il degrado nella società italiana è
“spalmato”, diffuso in proporzioni ovviamente diverse, ma
ciascuno di noi porta il suo contributo, chi un rametto chi
un tronco. Si può anche obiettare che il furto di una mela
non sia paragonabile alla truffa del Monte dei Paschi di Siena, o agli scandali che fanno dell’Italia odierna un girone
dell’inferno dantesco. Certo, vi sono infrazioni e colpe, anche nelle nostre gare ornitologiche, colpe lievi, attenuanti,
ma anche quelle macroscopiche che hanno un background
microscopico. In questo modo il pulviscolo diventa nube
tossica. In ogni Associazione la strada del senso del dovere
e della responsabilità non è mai stata comoda, anzi, di questi tempi è quasi tortuosa. È un percorso quotidiano che
inizia dall’iscrizione, dall’esempio degli anziani, dalle relazioni personali, non dalle affermazioni o dal web che, purtroppo, spesso schizza troppo fango. Nel direttivo di ogni
gruppo non è solo obbligatoria la legalità se non è accompagnata dal sacrificio, pur essendo consapevoli che molti
“sostenitori” di giornata rifuggono al momento del bisogno. Forse anche quelli della mia generazione che hanno
detto o pensato: “Non voglio che mio figlio compia i miei
sacrifici, ignorando che con quel modo di pensare hanno
inculcato la pretesa del “tutto e subito”, sono stati spinti a
trattare gli stessi soci come figli e figliastri. Alla fine della
serata, a pensarci bene, senza quel sasso nello stagno, senza l’apertura del baule, sicuramente sarei ancora qui ad
aspettare il prossimo o i prossimi venerdì senza conoscere
il mio nuovo Presidente di Associazione.
Salvatore Cirmi
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