Estratti dell`intervento di FIlippo Taddei
Transcript
Estratti dell`intervento di FIlippo Taddei
Conference Call con Filippo Taddei (Responsabile Economia e Lavoro, PARTITO DEMOCRATICO) Jobs Act, cosa cambia per le imprese Estratti intervento “[…] Non si può analizzare il Jobs Act in isolamento dagli altri due provvedimenti che sono stati i pilastri di questo stimolo teso a favorire l’occupazione a tempo indeterminato: il Decreto Poletti e la legge di Stabilità. Quest’ultima concentra il fuoco della riduzione fiscale sulla riduzione del costo del lavoro. Lo fa con due tipi di interventi, come è noto: scorporando il costo del lavoro dal computo dell’IRAP e concedendo sgravi contributivi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato. Questa decontribuzione è particolarmente massiccia. Per una remunerazione annuale lorda intorno ai 20mila euro, si tratta di una riduzione del costo del lavoro superiore al 25%. […] Il fine complessivo del Jobs Act è creare il massimo incentivo possibile per chiunque investa in Italia a creare il massimo dei rapporti di lavoro duraturi. Perché? Perché sappiamo che questi, in media e con tutte le eccezioni del caso, sono quelli che conferiscono più competenze. L’economia avanzata compete sul capitale umano, senza competenze non c’è ragione di investire in Italia e, se non ci sono investimenti, non si può nemmeno parlare di una ripartenza della crescita. […] Abbiamo operato una rivoluzione filosofica: il lavoratore non è un posto di lavoro, ma è un insieme di competenze, che conferisce al proprio datore di lavoro attraverso un rapporto fiduciario. Il lavoratore non possiede il proprio posto di lavoro e, se gli viene sottratto, non ha diritto a riavere il posto di lavoro; ha però il diritto di essere indennizzato qualora le sue competenze non siano più richieste per ragioni che non dipendono da lui. Questa filosofia è stata applicata in maniera molto netta, offrendo un nuovo contratto a tempo indeterminato, che scalza il preesistente ed offre costi di separazione chiari, certi, quindi pienamente anticipabili dal datore di lavoro, proporzionali alla durata del rapporto di lavoro. […] Facciamo tutto questo nella consapevolezza che la certezza e la prevedibilità dei costi possano essere un incentivo per chiunque voglia investire e assumere in Italia a farlo, ed a farlo non attraverso una serie di contratti saltuari, bensì attraverso contratti a tempo indeterminato. […] Sappiamo che per favorire al massimo la prevedibilità dei costi contano due cose: la definizione di questi costi in anticipo e la semplicità del processo. Due sono i canali che abbiamo previsto per il licenziamento economico. Il primo è una conciliazione rapida, in cui il datore di lavoro offre, entro 60 giorni dal licenziamento, un’indennità stabilita per legge, pari ad una mensilità per ogni anno di anzianità di servizio (minimo due, massimo diciotto mensilità). Se il lavoratore accetta questo assegno, che è esentasse, il rapporto si interrompe e il lavoratore disoccupato viene preso in gestione dal sistema attraverso il contratto di ricollocazione o l’assegno di disoccupazione. Se, viceversa, il lavoratore decide di rifiutare questa indennità espressa, può rimettersi al giudizio del Giudice, che naturalmente può conferire un’indennità superiore. Questa indennità, tuttavia, non sarà esentasse, non riceverà il beneficio fiscale. L’incentivo del sistema è piuttosto chiaro e nettamente a favore di una soluzione il più possibile consensuale tra le parti. 1 […] I primi due decreti applicativi, cioè il nuovo contratto a tempo indeterminato e tutele crescenti e la nuova ASpI, diverranno operativi in Gazzetta Ufficiale non più tardi del 20 febbraio prossimo. I passi successivi sulla legge delega avranno a che fare con il riordino delle altre forme contrattuali, il riordino degli strumenti della cassa integrazione e delle politiche attive. […] Il tempo medio necessario all’erogazione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria è compreso tra i sei e i sette mesi. I tassi di accettazione sono intorno al 99%: di fatto, qualunque impresa la chieda in Italia, la riceve. Il fatto di avere uno schema assicurativo così farraginoso nell’accesso ma così certo nel conferimento, crea degli incentivi un po’ bislacchi. Infatti, ci sono una serie di imprese che utilizzano la cassa integrazione con una stagionalità molto sospetta e una continuità annuale altrettanto sospetta. Pur nel sostegno alle imprese bisognose, vorremmo che ci fosse un monitoraggio molto attento sull’erogazione della cassa integrazione. Monitoraggio che, ad oggi, non avviene. Dove non c’è monitoraggio, è molto difficile che lo schema non sia soggetto ad abusi. Gli abusi da parte di alcuni vengono poi pagati da parte di tutti, sotto forma di contributi aggiuntivi. L’esempio forse più lampante di questo meccanismo è la cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività. Nel 2013 abbiamo speso 600 milioni di euro, che venivano dal fondo della cassa integrazione, per la cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività: è perlomeno un numero sospetto. È probabile che si stiano semplicemente pagando degli assegni di disoccupazione. Ma se paghiamo assegni di disoccupazione, allora usiamo assegni di disoccupazione, altrimenti dobbiamo sempre presentare il conto a chi non abusa. […] Dobbiamo preservare la cassa integrazione, ma per renderla veramente efficace e magari anche poterla estendere a più imprese abbiamo bisogno di monitorarne l’utilizzo in maniera molto più chiara rispetto al passato, proprio a tutela di coloro che sono più responsabili nell’utilizzo della cassa integrazione stessa. […] Sono stati varati tutti gli incentivi possibili affinché, al termine di un contratto a tempo determinato, si possa assumere con un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Qualunque lavoratore già assunto a tempo determinato, Co.co.pro., Partita Iva, se viene assunto con un contratto a tempo indeterminato a partire dal primo gennaio di quest’anno, riceve la decontribuzione. Su chi è già assunto a tempo indeterminato, c’è anche lo sconto dell’IRAP. L’unico limite è questo: se il lavoratore aveva un rapporto a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti, qualora venisse assunto con contratto a tempo indeterminato, non beneficerebbe degli incentivi. Chi, invece, assume un lavoratore a tempo indeterminato che si trova da almeno sei mesi in disoccupazione o con un contratto a tempo determinato, con un contratto Co.co.pro, o una Partita IVA, può giovarsi della decontribuzione piena. Come voi capite, questa regola è stata messa per evitare che questi contributi per i neo assunti venissero utilizzati per decontribuire il costo del lavoro di chi è correntemente assunto. […] La nostra campagna a favore del lavoro stabile non è una crociata contro le forme di lavoro flessibile o a termine. Quello che vogliamo realizzare è un sistema che tenga ben in conto le esigenze delle aziende produttive. Ci sono esigenze produttive per loro natura saltuarie, dalla sostituzione di maternità al picco produttivo, anche se sono cose che in realtà stanno via via sparendo. Il tempo determinato, il lavoro a termine, naturalmente rimarrà, nello schema e nelle modalità che sono state definite dal Decreto Poletti, cioè la causalità, la possibilità di rinnovo, ecc.. Certo, c’è da dire che con le tutele crescenti avere un contratto a termine per 36 mesi di lavoro diventa veramente meno utile, perché con le tutele 2 crescenti non solo si ha un forte incentivo, una forte decontribuzione in entrata, ma anche una possibilità di interruzione in tutte le fasi del rapporto di lavoro, in particolare all’inizio del rapporto di lavoro. Una delle ipotesi su cui si sta ragionando è infatti quella di ridurre la durata massima del rapporto di lavoro a termine. […] Abbiamo scoperto quando pensavamo, scrivevamo e progettavamo questo decreto, che il mercato del lavoro italiano è molto più dinamico e mobile di quanto non sospettassimo. Per darvi un’idea, il 10% dei lavoratori italiani dipendenti ha un’anzianità di lavoro inferiore all’anno; oltre il 40% della forza lavoro italiana ha un’anzianità di servizio inferiore ai cinque anni. Questa trasformazione del lavoro che comincia dal 2015 in realtà sarà, secondo noi, molto più veloce di quanto non si anticipi, perché la mobilità italiana interna è assai maggiore di quanto pensassimo. […] Il 2015 sarà l’anno degli investimenti, infatti cominciamo l’anno con l’Investiment Compact che adesso è in elaborazione. Tutto quello che facciamo, dalla riforma del mercato del lavoro alla giustizia, ha l’unico obiettivo di recuperare un deficit di investimenti che è semplicemente sproporzionato. Vi do solo un numero, così possiamo andare tutti a casa a lavorare strenuamente con una cattiva notizia del cuore per cercare di cambiarla, che è il seguente: nel 2008 il 21,5% del PIL italiano finiva in investimenti, quindi un euro su cinque; alla fine del 2014 siamo grosso modo al 16% del PIL. Mancano cinque punti di PIL di investimenti all’appello, abbiamo grosso modo 80 miliardi di investimenti da recuperare. Cerchiamo in qualche modo di far sì che il 2015 sia l’anno in cui cominciamo a farlo seriamente. 3