PETRONIO
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PETRONIO LETTERATURA LATINA IN ETÀ IMPERIALE © GSCATULLO Petronio Vita Non abbiamo dati certi circa la vita di Tito Petronio Nigro, i primi sporadici segni della sua opera, il Satyricon, li troviamo nel II secolo d.C., come di un testo non adatto all’uso scolastico, ed associata al nome di Petronius Arbiter che i critici ritengono identificabile con lo stesso Petronio descritto da Tacito nel VI libro degli Annales, nonostante lo storico non nomini mai il testo. Quest’ultimo fatto si potrebbe giustificare ipotizzando che Tacito ritenesse sconveniente una tale citazione che mal si sarebbe sposata con l’austerità della sua opera, e del resto neppure in occasione della descrizione del suicidio di Seneca vengono citate opere legate al filosofo. Di Petronio sappiamo che fu un illustre personalità politica vissuta alla corte di Nerone, ricordato come arbiter in quanto maestro di etichetta dell’Imperatore, fu anche un valido proconsole di Bitinia. Nel 66 d.C. il prefetto del pretorio Tigellino, nel clima di sospetto che seguì la tentata congiura dei Pisoni, ordinò a Petronio il suicidio: lo scrittore si tagliò le vene per poi bendarsele e fermare la fuoriuscita di sangue rallentando la sua morte e vivendo le ultime ore banchettando e festeggiando. Da questa morte teatrale si desume una personalità fortemente anticonformista e spregiudicata. Prima di morire sappiamo che inviò a Nerone dei codicilli, un elenco delle perversioni dell’imperatore: forse parodiando quanti morenti adulavano cesare lasciandogli volenti o nolenti l’eredità; forse per sottolinearne la mancata pubblicazione in quanto appartenente al suo stesso ambiente. Distrusse inoltre il suo sigillo per impedire che qualcuno dopo la sua morte potesse attribuirgli ritrattazioni o scritti non voluti. Sul particolare suicidio di Petronio alcuni critici lo considerano in maniera antifrastica alle morti stoiche, tragiche, altri come una considerazione della naturalità della morte. Satyricon Il Satyricon è un prosimetro, la cui circolazione è semi-clandestina, il che spiegherebbe perché Tacito non lo cita, ed identificato da alcuni critici con i codicilli, ritenendolo un’allegoria dei vizi della corte imperiale. Titolo Il titolo Σατύρικων (Satyricon) è un genitivo greco che significa dei Satiri, simbolo per eccellenza della letteratura parodistico e legati anche alla satura latina. Non possiamo però definire con certezza quali fossero le intenzioni di Petronio nell’attribuire questo titolo: se perché legato ad una rappresentazione comica della realtà o per la pluralità dei temi trattati. Il titolo è legato ai romanzi greci, cinque opere. Datazione La datazione risulta problematica, il terminus ante quem è un passo di Terenziano Mauro che cita il Satyricon per la prima volta (II secolo d.C.), la cosa più probabile è che sia stato scritto in età neroniana, a sostegno di questa ipotesi dobbiamo considerare che vengono citati da Trimalcione il citaredo Menecrate, il gladiatore Petraite e il cantente Apellette, tutti personaggi vissuti in quell’epoca; è trattato il tema della decadenza oratoria, problema diffuso nel periodo; Eumolpo recita il Bellum Civile parodia della Farsalia o di un epos di Nerone, l’effetto parodico sarebbe stato efficace solo se di un elemento recente; sono presenti riferimenti all’economia e alla società del tempo, citate le classi dei commercianti e dei liberti; nell’episodio della Cena di Trimalchione sono descritti piatti e vasi compatibili con quelli del I secolo; il sermo cotidianus “rozzo” utilizzato è lo stesso utilizzato nelle iscrizioni ritrovate a Pompei e al periodo; è presente un gusto espressionista e barocco, dell’orrido e del macabro, già riscontrato negli autori contemporanei a Nerone; sono presenti allusioni all’imperatore sia nella figura di Eumorpo che in quella di Trimalcione; L’opera che ci è giunta è incompleta e lacunosa, forse addirittura inconclusa dallo stesso autore. Alcuni, che la ritengono una parodia dell’Odissea, la vorrebbero composta da ventiquattro libri. Noi possediamo i libri dal quattordicesimo al diciassettesimo. La struttura dell’opera è aperta, non ha un andamento lineare ma sono presenti più blocchi narrativi: le storie sono intrecciate in diversi incastri ben armonizzati. Trama1 Capitoli 1-26. Encolpio, in una scuola di retorica con l’amico Ascilto, discute con il maestro Agamennone delle cause della decadenza dell’oratoria 4; Ascilto però a un certo punto scompare per andare da Gitone, che è amante anche di Encolpio. Costui allora si insospettisce e lo segue verso l’albergo, ma si perde e si ritrova in un bordello. Arrivato finalmente in albergo, Encolpio litiga con Ascilto perché geloso di Gitone e del triangolo amoroso che si è venuto a creare; in seguito i due, riappacificatisi, si recano al mercato, dove compiono alcuni loschi traffici per impadronirsi di una tunica dentro cui sono nascoste delle monete d’oro. Tornati a casa, dove li aspetta Gitone, arriva una sacerdotessa di Priapo, Quartilla, che, con la scusa di purificare i tre da una colpa commessa contro il dio e guarire Encolpio dall’impotenza, li coinvolge in pratiche sessuali di ogni genere. Uscita di scena Quartilla, uno schiavo del retore Agamennone li invita a cena dal liberto Trimalchione. Capitoli 27-78. Dopo essere stati alle terme, i giovani arrivano a casa di Trimalchione (o Trimalcione), il cui portico è affrescato con scene della vita del proprietario e contiene una teca dove viene conservata come reliquia la sua prima barba. Una volta entrati nella sontuosa sala del banchetto i tre si sdraiano sui triclini: dopo ricchi antipasti, fa il suo ingresso a suon di musica Trimalchione, tutto agghindato di gioielli. Durante la cena sfarzosa, con stoviglie d’argento e portate appariscenti che creano sui piatti quadri o sculture, il padrone di casa si esibisce in abili discorsi retorici su vari temi (l’astrologia, la caducità della vita, la volubilità del destino, la condizione degli schiavi) e anche gli altri convitati, per lo più liberti, discorrono di numerosi argomenti, riflettendo su tematiche d’attualità o intrattenedo gli altri ospiti con racconti sorprendenti. La cena è inoltre allietata da rappresentazioni comiche e giochi circensi, e non mancano momenti in cui alcuni convitati si accoppiano con i propri amanti (gli amasi). Durante la cena i tre giovani sono stupiti dall’ostentazione quasi comica del padrone di casa, tanto che Gitone a un certo punto si mette a ridere e viene duramente redarguito da uno dei commensali. La serata si conclude con il finto funerale di Trimalchione e con l’arrivo delle forze dell’ordine per l’eccessivo schiamazzo: del trambusto approfittano i tre ragazzi, che fuggono in albergo. Capitoli 79-141. Una volta a casa, ricominciano le liti per gelosia e Gitone, messo alle strette, sceglie come amante Ascilto. Encolpio, diperato, inizia perciò a vagare per la città: entra dapprima in una pinacoteca, dove incontra il poeta Eumolpo, con cui parla delle proprie vicende e delle cause della decadenza dell’arte. Encolpio si reca poi alle terme, dove ritrova Gitone, che gli dice voler tornare con lui. I due si recano quindi a cena con Eumolpo, il quale si invaghisce a sua volta di Gitone, scatenando di nuovo l’ira di Encolpio. Sulla scena arriva infine anche Ascilto e, tornata la pace dopo alcuni momenti di tensione, decidono di salpare tutti insieme su una nave per riprendere il viaggio. Nonostante problemi con Lica, li proprietario della nave, con cui Encolpio e Gitone hanno dei conti in sospeso, il viaggio prosegue serenamente e viene allietato dai racconti di Eumolpo, che narra anche la celebre novella della matrona di Efeso, fino a quando una tempesta non fa naufragare la nave presso le coste di Crotone. A differenza dei padroni della nave, i quattro amici si salvano ed escogitano un piano per racimolare del denaro: Eumolpo si fingerà un vecchio possidente per incastrare i cacciatori di eredità che pullulano in città e sono disposti a comprare il testamento di qualunque persona ricca di una certa età. Arrivati in città con l’accompagnamento poetico di Eumolpo, che intona un Tratto da http://www.oilproject.org/lezione/satyricon-petronio-arbitro-trimalcione-satira-menippea-fabulamilesia-10872.html 1 poema sulle guerre civili, Encolpio scopre di essere ancora impotente: si reca allora nel tempio di Priapo e si sottomette invano a un rituale di purificazione; egli riacquista la propria virilità solo grazie all’intervento di Mercurio. Eumolpo, intanto, vende la sua eredità con la clausola che il beneficiario del testamento sia disposto a cibarsi del suo cadavere. Personaggi Diversi personaggi si susseguono nella narrazione Encolpio (lett. in grembo) è il protagonista e l’io narrante delle vicende (nonostante la focalizzazione sia plurima), è incapace di prendere decisioni e quindi di affrontare la vita, caratteristica resa con l’impotenza sessuale, essendo la sessualità presso gli antichi vissuta in maniera positiva, mentre Encolpio la vive in maniera cervellotica ricercando la perversione. Tutto ciò è segno della decadenza della società (il “crepuscolo degli dei”) che sta smarrendo i propri valori e punta all’esteriorità costruita più che al contenuto. Gitone, giovane efebo di bell’aspetto e senza famiglia, è perennemente insoddisfatto. È l’oggetto delle attenzioni di Encolpio. Eumolpo, poeta sostanzialmente fallito, una possibile proiezione di Petronio da anziano. Ispirerà probabilmente la figura dei picari nel romanzo spagnolo del ‘600. Trimalcione è un liberto arricchito, un parvenu, che fa citazioni sbagliate, è ignorante ed ha per unico valore il denaro. Gli viene dato ampio spazio da Petronio permettendo una riflessione sulla classe sociale emergente degli schiavi liberati. I liberti I liberti avevano acquistato sempre più diritti, cittadinanza latina con Augusto, romana con gli imperatori successivi, e sotto Claudio e Nerone raggiunsero ruoli rilevanti nella pubblica amministrazione e nel commercio. Petronio non ama questa classe ma ne apprezza la vitalità e la forza rispetto alla decadenza romana, similmente a quanto fa Tacito nel lodare i Germani, pur rozzi, come difensori della libertà. Anche se l’essere diventati la classe dirigente e l’aver fatto proprie tradizioni aristocratiche – come il simposio presente nella cena di Trimalcione – in qualche modo le ha degradate, ha anche conferito loro nuova vita. Il realismo L’episodio della cena di Trimalcione è considerato dalla critica come un esempio di realismo, anche se l’obiettivo di Petronio non è tanto la denuncia sociale quanto la creazione di un’atmosfera grottesca. Ad esempio la descrizione di Crotone come di una realtà degradata e lugubre si evince dalla descrizione dei suoi abitanti che attendono l’altrui morte per arricchirsi. L’unica vera forma di realismo è quello linguistico: Petronio ripropone il linguaggio quotidiano, simile a quello che abbiamo ritrovato sui graffiti, e la lingua sgrammaticata dei liberti che sfoggiano cultura con citazioni dotte, riportate per sottolineare il tentativo della nuova classe di avanzare anche in quel campo. Il linguaggio è tuttavia ricostruito artificialmente. Lingua e stile La lingua è un pastiche che ha per fine la parodia di più generi, del resto la mutevolezza della scrittura è segno della mutevolezza dei tempi. Petronio conia vocaboli generando nel lessico un certo caos segno anch’esso di una realtà caotica in cui vive l’autore. La sintassi però è razionale: l’autore può controllare la caoticità della realtà-lingua. All’asianesimo di Lucano e di Seneca, Petronio preferisce l’atticismo e ricrea una lingua asciutta in cui è stranamente assente il turpiloquio: ma non certo per pudore o reticenza, i temi trattati infatti e le perifrasi che usa non lascia spazio ad ambiguità sul carattere esplicito di alcuni passi. Genere e modelli Il Satyricon, narrazione di vicende inventate ed ambientate in un quadro realistico di vita quotidiana, è generalmente considerato un romanzo, ma costituisce de facto un unicum in tutta la letteratura latina e la sua collocazione in un genere preciso è al quanto difficoltosa. Già nel V-VI secolo tra chi cita l’opera vi è disaccordo: se Macrobio infatti pone Petronio affianco ad Apuleio, autore di narrativa, Giovanni Lido lo riteneva scrittore satirico. Proprio tra i due poli, il romanzo e la satira, può trovare collocazione il testo. Il Satyricon riprende e parodizza infatti il “romanzo” greco, un testo narrativo dalla trama semplice e generalmente di avventura: due giovani d’animo puro, crudelmente separati da una serie di vicissitudini, dopo una serie di peripezie che li portano a rischiare la vita, ed entrambi pronti al suicidio pur di preservare la purezza, si ricongiungono e si sposano. È verosimile che Petronio conoscesse queste narrazioni greche a sfondo erotiche: il cosidetto “romanzo di Nino”, vicenda d’amore tra il re assiro Nino e Semiramide, composto tra il 50 a.C. e il 50 d.C. I temi del romanzo greco, di formazione e con elementi edificanti, vengono però sovvertiti dall’autore latino che rende protagonista della vicenda una coppia omosessuale dedita al tradimento reciproco, esalta le scene patetico-sentimentali, e che contrappone alla benevolenza di Eros ed Afrodite l’ira di Priapo. Non mancano a Petronio modelli narrativi prosimetri di ispirazione comico-satirica: ritrovamenti papiracei ci tramandano un romanzo di Iolao (I secolo a.C.) che narra di avventure e unioni strane e spesso scabrose. Non mancano all’autore del Satyricon dunque linguaggi comici precedenti cui ispirarsi. Così anche il mimo, con i suoi brevi e grotteschi quadretti sentimentali, è stato preso in considerazione. Di carattere più spiccatamente comico-satirico sono le fabulae Milesiae, novelle di contenuto licenzioso raccolte da Aristide di Mileto tra il II e il I secolo a.C., già tradotte e riadattate a Roma da Sisenna. Presenza esplicita di questo tipo di narrazione è nei due racconti di Eumolpo del fanciullo di Pergamo e della matrona di Efeso. Fortemente legata al Satyricon è anche la satura Menippea-varroniana da cui Petronio riprende la libertà d’invenzione narrativa, la libertà nel passaggio da prosa a versi, la riproduzione a fini parodistici di svariati linguaggi (dalla poesia sublime all’orazione, passando per la filosofia), ma anche l’introduzione di situazioni oscene o scabrose, il porre personaggi di cultura scolastica alle prese con avventure picaresche e goliardiche e la narrazione in prima persona. A differenza della satira (e della diatriba) però, e questo ne impedisce l’identificazione con il genere, l’autore non giudica mai i suoi personaggi né interviene nel testo. Il romanzo greco Nella cultura latino e greca esisteva un equivalente del romanzo moderno in un genere assimilabile ad una narrativa “di consumo”, per lo svago di ogni classe sociale. Queste narrazioni erano fittizie (μύθος e historia i termini con cui erano chiamate) e legati al genere comico-drammatico (fabula, mimus, ecc.) come testimonia anche l’accostamento di Macrobio delle narrazioni di Petronio e Apuleio alla commedia menandrea. La ricchissima produzione di romanzi ellenici è andata irrimediabilmente perduta, conserviamo in forma completa solo cinque esemplari, accomunati dalla presenza di luoghi ed elementi avventurosi, nonché il tema ellenistico della fortuna, tutti provvisti di lieto fine. 1. Cherea e Calliroe, otto libri, si contende con gli Hephesiakà di Senofonte Efesio il ruolo di più antico romanzo greco, fu composto tra il I secolo a.C. ed il II d.C. è con buone possibilità anteriore a Petronio. La vicenda tratta di due giovani e bellissimi sposi, Cherea e Calliroe, separati dall’altrui maldicenza si ritrovano dopo mille peripezie alla corte di Arteserse, re dei Persiani, dove si ricongiungono e assieme tornano a Siracusa. 2. La Storia efesia di Anzia e Abrocome, nota come Hephesiakà, opera in cinque libri scritta da un non meglio identificato Senofonte (probabilmente di Efeso), fu composta verosimilmente tra il 100 e il 150 d.C., ne possediamo probabilmente una riduzione giacché è citata in fonti tardo-antiche una versione in otto libri. Due giovani sposi, Anzia e Abrocome, partono per volontà di un oracolo in un viaggio che li vede separarsi. Vagando per il Mediterraneo giungono entrambi a Rodi dove fanno ritorno assieme ad Efeso. 3. La Storia di Leucippe e Clitofonte, in otto libri, scritta da Achille Tazio, probabilmente del III secolo d.C., narra di due innamorati naufragi che dopo varie peripezie con pirati, banditi ed avventure in Egitto, si ricongiungono ad Efeso. Presente una forte componente erotica. La finzione narrativa vuole che sia il protagonista maschile a narrare all’autore le vicende nel bosco sacro di Sidone. 4. La Storia pastorale di Dafni e Cloe, in quattro libri, è presentata dall’autore, Longo Sofista, come trasposizione di un dipinto che gli era capitato di vedere a Lesbo. Databile II secolo d.C., o inizio del III, narra secondo la trama tipica del romanzo erotico di due trovatelli, Dafni e Cloe, che si innamorano e vivono diverse peripezie per diventare amanti e sposi. Nella conclusione i due, scoperte le proprie origini aristocratiche e cittadine, si riuniscono e vivono felici. 5. La Storia etiopica di Teagene e Cariclea, nota con il titolo di Etiopiche, è un racconto in dieci libri, composto nel III o nel IV secolo d.C. da un non meglio identificabile Heliodorus. Cariclea rifiutata alla nascita dalla madre, la regina di Etiopia, perché bianca, giunge a Delfi dove diventa sacerdotessa di Artemide. In occasione di una festa in onore della dea Teagene, nobile della Tessaglia, si innamora di lei e fuggono insieme. Dopo molte vicende giungono a Meroe, città etiope, dove Cariclea viene riconosciuta dai genitori e può sposare Teagene. Fortuna Poco letto in età cristiana, forse per i temi, verrà riconsiderato e apprezzato nella Spagna medioevale dove contribuirà alla nascita del romanzo picaresco. Sarà poi ripreso nell’800 come riferimento per le opere realiste. Realizzato il 17 gennaio 2016 da Paolo Franchi, 5°BC (A.S. 2015/2016) AMDG