Untitled - Garfagnana Identità e Memoria

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Untitled - Garfagnana Identità e Memoria
V Z
dizionario garfagnino
ZAFFO ~ s. m. “Ciò che rimane della
pannocchia del granoturco una volta levati i chicchi; viene (o meglio veniva - n.
d. A.) conservato e utilizzato nell’inverno
per avviar o ravvivare il fuoco”: così letteralmente Lenzi nella sua tesi di laurea.
ZAGNÉTTO ~ s.m. Piccolo zaino, fagot-
tino.
Per l’etimologia ved. infra zagno.
ZAGNO ~ s.m. Zaino, sacco, contenitore
da portare sulle spalle.
Dal long. zain(j)a ‘cesto’ (Devoto-Oli
2698).
ZAMPUGIÓN ~ s.m. Grossa lacrima,
lacrimone. Vocabolo di scarsa diffusione
ed usato prevalentemente al plurale zampugioni. È più comune, con lo stesso significato, lampugión (ved. supra).
ZANCUTE ~ agg. Grassottello, pienotto.
Tipico vocabolo corfinese ricordato dai
fratelli Pier Luigi e Giovanni Santini.
ZANELLA ~ s.f. Canaletta protetta da
una griglia di ferro, per lo scolo delle acque.
ZAPPÉTTA (ZAPPÉTTO) ~ s.f. (s.
m.) Come dice la parola, piccola zappa
con lama di forma triangolare, più larga
di quella del marón (ved. supra), di circa
10/15 centimetri di base e di simile altezza,
corredata da un occhiello ove viene inserito il manico. Si utilizza per pulire e sistemare i solchi dei campi di grano.
Il vocabolo deriva all’evidenza da ‘zappa’ e questo a sua volta dal lat. pop. sappa:
così Passerini Tosi, 1709; tuttavia è più
attraente la tesi di Borgonovo-Torelli, 323
che fa derivare il vocabolo dall’antico italiano ‘zappo’ con il significato di caprone
“forse a sua volta dal grido di richiamo
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ciapp, ciapp ovvero per la somiglianza fra
le corna di questa bestia e i due denti della
zappa”.
ZECCHINÉTTO ~ s. m. Gioco d’azzar-
do che si fa con le carte o con le monete.
È detto anche zecchinetta o zichinina. “La
variante più comune” – leggiamo su Battaglia XXI, 1064 – “prevede che il mazziere
distribuisca a se stesso ed altri giocatori
una carta, scoprendo via via le altre carte
del mazzo fino a trovarne una identica a
quella detenuta da un altro giocatore che
sarà il vincitore e si aggiudicherà quanto
fu inizialmente puntato”. Così spiegato, il
gioco non sembra di facile comprensione: come si potrà infatti trovare una carta uguale a quella nelle mani di questo o
quel giocatore, se si utilizza, come sembra
dalla riferita definizione, un unico mazzo
di carte? Infatti il gioco che si faceva in
Garfagnana prevedeva che si utilizzassero
due distinti mazzi: da uno si “pescavano”
le carte da distribuire ai giocatori, dall’altro si scoprivano via via le carte fino a che
ne usciva una identica a quella detenuta
da qualcuno dei partecipanti alla partita.
Il gioco, essendo d’azzardo, è vietato e ciò
era ricordato in un apposito cartello (affisso nelle botteghe, nei bar, nelle osterie) nel
quale erano elencati, insieme a zecchinetto,
tutti gli altri giochi proibiti dall’Autorità.
Il vocabolo deriva dal ted. (land)-sknecht ‘lanzichenecco’ (Devoto-Oli, 2701),
perché sarebbero stati questi soldati tedeschi ad introdurre il gioco in Italia nel
Cinquecento.
ZENZALA ~ s. f. Zanzara. Il vocabolo, a
noi ignoto, ci è stato fatto conoscere da O.
Bonini, che lo definisce tipico di Sillico.
ZéPPOLA ~ s.f. Zeppa, pezzo di legno
usato per rinsaldare i mobili che tentennano e non posano bene, ovvero per chiudere
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fessure. Si dice anche per indicare la fenditura praticata nel tronco di una pianta per
inserirvi il ramo di un’altra allo scopo di
procedere ad un innesto.
Forse dal longob. zipp ‘punta, cuneo’
(Devoto-Oli, 2703).
ZEPPOLA’ ~ trans. Coniugato come
ama’. Inzeppare, mettere delle zeppe (ved.
supra zéppola) per chiudere fessure, serrare incastri, stabilizzare mobili ed innestare
piante.
ZERLI ~ s.m.plur. Capelli, capigliatura. Il
vocabolo tuttavia viene usato per indicare
non qualunque tipo di capigliatura, ma
quella fluente. Zerli, in buona sostanza,
sono i capelli lunghi (Pennacchi, Il Togno e
’l su’ primo amore, 54: “I tu’ zerli sumijno a
spaghetti /…”).
ZERLÓN ~ s.m. Persona con i capelli
lunghi, non necessariamente spettinati.
Vocabolo antesignano di quello, capellón,
che sarebbe divenuto così di moda nella
seconda metà degli anni Sessanta.
ZÈZZORA 1~ s.f. Vinello aspro, poco
buono, ma anche nome di un’erba spontanea che cresce nei poggi, le cui foglie,
commestibili, hanno un sapore acidulo. È
detta anche erba putta o erba puttanella.
ZÉZZORA 2 ~ s. f. Odorico Bonini afferma che con questa parola si indica, nella
zona di Sillico, l’‘acetosella comune’ (rumex acetosa). È probabile che si tratti dell’erba putta di cui sopra (ved. zézzora 1).
ZEZZORÓN ~ s.m. Con questo nome
si indica un vino prodotto in Garfagnana,
specie quello di un tempo, brusco ed acerbo, che ai garfagnini piaceva, ma che non
poteva esser commercializzato in quanto
non raggiungeva il minimo dei gradi pre-
visti dalla legge; si tratta del vino che, in
altri luoghi della valle è detto striscìn (ved.
supra). Con simpatica iperbole – che si ritrova nella poesia di Santini Lo zezzorón, 19
(di cui riparleremo tra poco) – volta a sottolineare l’asprezza di tale bevanda veniva
detto che, per bere un bicchiere di questo
vino, erano necessarie tre persone: chi lo
beveva ed altre due che tenevano fermo il
primo per impedirgli di fare salti, schizzi
sulla sedia o altri gesti inconsulti. Simpatica è anche la storiella che si racconta, a
proposito di questo vino, nel paese di Sassi, in comune di Molazzana, e relativa alla
volta in cui giunse in paese il Vescovo in
visita pastorale. Dopo le sacre funzioni,
era stato organizzato un gran pranzo durante il quale il Presidente del Comitato di
accoglienza aveva avuto modo di notare
come l’illustre ospite mangiasse a quattro
palmenti le buone cose preparate dalle
donne del borgo, ma bevesse solo acqua; si
decise così a chiedere al Vescovo come mai
non bevesse vino, dicendogli (per fargli
notare come si trattasse di un vino genuino, fatto dai paesani e non adulterato con
strane sostanze): “Guardi, Eccellenza, che
è vino di Sassi!”. Al che il presule, giocando sull’equivoco, avrebbe risposto: “Lo ho
assaggiato e devo dire che, se è di sassi, è
anche buono, ma se per caso fosse d’uva,
sarebbe bene che le viti venissero tagliate
al calcio!”. Allo zezzorón dedica, come dettosi, una poesia dallo stesso titolo il Santini facendosi interprete delle doglianze
dei contadini della Garfagnana che si sentirono particolarmente ed ingiustamente
colpiti quando vennero obbligati a pagare
al Comune sul loro povero vino, la stessa imposta cui erano sottoposti i vini più
pregiati: il poeta, raccogliendo il lamento
della popolazione e descrivendo senza
infingimenti le non eccelse qualità dello
zezzorón, redige un immaginario esposto
al Ministro dell’Agricoltura in termini
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piuttosto energici, pur rimanendo nel solco della deferenza e del rispetto.
ZIGARÈLLO ~ s. m. Zipolo, legnetto
appuntito che serve a turare la spina della botte o altri buchi fatti sulla stessa per
spillare il vino. Il vocabolo è attestato tra le
espressioni del dialetto locale dal periodico “La Garfagnana”.
vocabolo zaffo (ved. supra). In italiano si
trova ‘zincone’, probabile fonte del termine
zingón, nel senso di ‘parte di ramo che resta
attaccata al tronco dopo una potatura mal
eseguita’ (Battaglia, XXI, 1079).
Il vocabolo italiano ‘zincone’, come dettosi
verosimile origine di quello dialettale, deriva
dal longob zinka, da una precedente voce zinna, di origine germ. (Battaglia, op.loc. ult.cit.).
ZINÉPRO (ZINÉBRO) ~ s. m. Ginepro,
arbusto della conifere con rametti muniti
di foglie lineari e pungenti e frutti esternamente di colore blu (detti ‘bacche’ o ‘coccole’ e, in garfagnino, pippurìni o puppurìni), aromatici ed utilizzati in cucina come
spezie o per ricavarne liquori. In passato
la pianta veniva addobbata, in sostituzione
del pino, nel periodo natalizio, ottenendosi una sorta di albero di Natale dei poveri.
Dal lat. iuniperus (Devoto-Oli, 1005,
conf. Borgonovo-Torelli, 27) (ved. supra
ginebro).
ZINGÓN 2 ~ s.m. Sterpi presenti nei
ZINGHINA ~ s.f. Piccola casseruola. Voca-
ZINZÍN ~ s.m. Elastico. La parola, come
bolo ricompreso tra i termini tipici del dialetto garf. nella raccolta del maestro Poli.
ZINGO ~ s.m. Vocabolo, usato per lo più
al plurale, zinghi, con il quale si indicano i
residui rimasti nei campi dopo che si è falciato il grano, il granoturco o simili erbe.
Con il vocabolo si allude anche ai pezzetti
di gambo che spuntano da terra. Il dialetto
della Garfagnana conosce anche la variante zingón (ved. zingón 2).
Per l’etimologia ved. zingòn 1.
campi incolti o residui della falciatura delle messi. Come zingo (ved. supra).
ZINZILLO ~ s.m. Tipo di tabacco da
naso di prima qualità prodotto dal monopolio italiano. Il termine della nostra
lingua (da cui è derivato quello dialettale) oggi ormai desueto – essendo di fatto
scomparsa la pratica di fiutare tabacco – è
‘zenziglio’ (Devoto-Oli, 2703).
Battaglia XXI, 1068 afferma che il vocabolo è di etimo incerto.
la successiva zinzinìn ci è stata riferita da
Giamberto Giorgi Mariani come tipica del
dialetto di Corfino.
ZINZINÌN ~ s.m. Piccola quantità di
qualcosa (Ne vói sèmpre di cagio? Si, dammene un zinzinìn).
ZIRLA ~ s.f. Zigolo, uccelletto dei fringuellidi dal canto stridente e monotono
(Lenzi).
ZITTìN ~ agg. Zitto, silenzioso, chi sta
ZINGÓN 1 ~ s. m. Pianta del granoturco
una volta privata delle foglie e delle pannocchie, utilizzata un tempo come foraggio
ed anche come materiale da ardere. Il giornale “La Garfagnana” menziona il vocabolo tra le parole tipiche del dialetto locale.
Lenzi richiama, con lo stesso significato, il
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(o deve stare) senza parlare né emettere
suoni. Rispetto al comune ‘zitto’, zittìn è
più confidenziale e, in genere, riservato
ai bambini o a persone cui si è legati da
particolari vincoli affettivi (Bonini, Similitudine, 79: “…E stàttini zittin e rintanato”).
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Mestica, 2095 lo fa derivare dal suono
‘ss’ o ‘ts’ che usiamo (spesso portando il
dito indice sulla punta del naso) per far
tacere qualcuno (Conf. Borgonovo-Torelli, 324 e Devoto-Oli, 2707).
parola da ‘cucuzza’ (dal tardo lat. cucutia,
Battaglia, XXI, 1101) mediante la metatesi
‘cuzucca’ e aferesi della prima sillaba; quest’ultima tesi – sposata anche da DevotoOli, 2711 – sembra più convincente.
ZOCCOLONI ~ s.m.plur. Zoccoli, calza-
ZUCCA’ ~ trans. Coniugato come i verbi
ture con la suola di legno, ma con la tomaia
simile a quella di uno scarpone, fissata al
legno da chiodi piantati in una barretta di
latta a reggere, appunto, la tomaia.
Dal tardo lat. socculus dimin. del class.
soccus ‘sandalo’ (Castiglioni-Mariotti, 1363).
in ‘ca’’. Colpire con la testa contro qualcosa. Questa accezione perdura nel dialetto
garf. più che nella lingua italiana, dove ormai il verbo ‘zuccare’ ha assunto il significato generico di ‘urtare’ (specialmente con
allusione agli scontri automobilistici).
ZÓLFA (SÓLFA) ~ s.f. Storia, vicenda,
ZUCCARINO ~ s.m. Zuccherino, usato
avventura; tipica è l’accezione del vocabolo nel senso di ‘ripetizione delle medesime
cose fino alla noia’ (è sempre la solita zolfa!).
al plurale indicava dei dolcetti fatti con lo
zucchero che un tempo rappresentavano
uno dei massimi doni natalizi per i bimbi
(Pennacchi, La vecchina, 121: “I Remagi
portavano, per doni, / cesti di zuccarini e
ciucculata”). Il termine è rimasto per indicare alcuni particolari biscotti, tipici del
periodo dell’Epifania.
Dalla radice di ‘zucchero’ a sua volta
derivato dall’arabo sukkar (Palazzi, 1346,
conf. Passerini Tosi, 1714).
ZOLFANÈLLO ~ s.m. Fiammifero; il
vocabolo allude in particolare ai fiammiferi di legno, detti ‘da cucina’ o ‘familiari’
con capocchia di zolfo e fosforo, altresì
chiamati ‘fulminanti’. Per estensione persona che si inalbera, si accende e scatta per
un nonnulla.
ZOMBOLATA ~ s.f. Involto, fagotto, per
lo più di frutta (mele e pere). Il termine è
contenuto nell’elenco di vocaboli tipici del
dialetto della Garfagnana compilato dal
maestro Poli.
ZUCCA ~ s.f. Pianta delle cucurbitacee,
usata in cucina, come foraggio e per praticare un gioco infantile detto la paura (ved. supra). Il vocabolo (fiori di zucca, semi di zucca) non è ignoto al dialetto garf. che tuttavia
utilizza maggiormente il termine maschile
zucco cui si rimanda (ved. infra). Molto comune anche l’accezione di ‘capo, testa’.
Borgonovo-Torelli, 324 propendono
per una derivazione dal lat. pop. tucca;
Mestica, 2097 preferisce far discendere la
ZUCCATA ~ s.f. Colpo dato con la zucca, cioè con la testa, nonché botta ricevuta sulla testa, di norma per cause involontarie.
ZUCCHìN ~ s.m. Frutto allungato della
zucca, tenero, commestibile; si consuma
cotto al vapore, lessato, fritto o come ingrediente nella preparazione di sformati.
ZUCCO ~ s.m. Zucca, pianta delle Cucurbitacee con foglie larghe e pelose e fiori gialli come quelli degli zucchini, commestibili (principalmente preparati fritti,
ripieni o meno, dopo esser stati passati in
un pastella con uova, farina, sale, latte o, al
posto del latte, birra o acqua minerale). Dà
grossi frutti rotondi di colore giallo, pure
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commestibili; in Garfagnana tuttavia il loro
impiego in cucina trova scarsa applicazione, onde la destinazione prevalente di questi frutti è come foraggio o quali strumenti
di divertimento per bambini e ragazzi che,
dopo averne svuotato l’interno, praticano
(o, meglio, praticavano) delle incisioni sulla corteccia in modo da creare una sorta di
faccia con occhi, naso e bocca ed inserendo all’interno una candela da accendersi la
sera, creandosi la cosiddetta ‘paura’, inconscia anticipazione della ricorrenza di Halloween (ved. supra paura).
ZUCCÓN ~ s.m. Persona con la testa
grossa; solitamente tuttavia assume il significato dispregiativo di ‘capoccione,
persona dalla testa dura, che non riesce a
comprendere le cose’.
ZUCCÒTTO ~ s.m. Colpo ricevuto sulla testa e, per l’effetto, ‘bernoccolo, piccola
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protuberanza’ che quel colpo ha prodotto
sul capo.
ZùFFILO ~ s.m. Zufolo, fischio, suono
che si emette dalla bocca a labbra quasi chiuse. Il vocabolo è usato altresì per
indicare lo strumento a fiato fatto con
un ramo d’albero, facilmente svuotabile
nella parte interna, che presenta un’imboccatura sulla punta o di lato ed alcuni
fori per modulare il suono a mezzo delle
dita.
Dal lat. pop. sufolo, variante di sifilo, a
sua volta variante pop. del classico sibilo
(Borgonovo-Torelli, 324).
ZUPPIDIÀN ~ s.m. Scrigno, cassapanca
per custodire carte, documenti e valori e
per conservare farine (ved. supra suppidiàn).
Dal tardo lat. suppedaneum, sgabello
per i piedi.