Untitled - Garfagnana Identità e Memoria

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Untitled - Garfagnana Identità e Memoria
V Z
dizionario garfagnino
VACCA 1 ~ s.f. La femmina dei bovini
che abbia già figliato. In italiano si usa
più frequentemente ‘mucca’, che sembra
meno volgare, forse perché ‘vacca’ ha assunto anche il significato spregiativo di
‘donna dai facili costumi’; ciò non avviene nel dialetto garfagnino ove ‘mucca’ è
vocabolo quasi sconosciuto (Pennacchi,
Il Togno e il su’ primo amore, 55: “Potrai
munge le vacche di bonora”; Bonini, Mia
credici, 36: “Merendón, merendón giò giò
vinia / il sor Luvigi…/ e i su’ conti facea
tra sé per via / a quanto podea vende la
su’ vacca”. Ancora Bonini, El cuntadìn
del curato, 46: “Le vacche m’èn ritorne al
toro”). Santini, nella poesia Colloquio, 51
usa il termine giocando sull’equivoco, facendo riferimento ora alla bestia, ora alla
figlia di una delle due comari, rimasta
inopinatamente incinta.
Dall’identica parola latina vacca.
VACCA 2 ~ s.f. Chiazza rossastra che si
forma sulla pelle delle gambe stando a
lungo presso il focolare con il fuoco acceso; L. Rossi, op. cit., 15 osserva anche come
le vacche costituissero motivo di battute
ironiche nei confronti delle donne alle
quali fossero comparse.
VAGABÓNDO ~ s.m. Il vocabolo è usa-
to anche al femminile vagabónda, non tanto nel senso di persona che si sposta da un
luogo ad un altro e non ha una sede fissa,
quanto nel significato di individuo ‘svogliato, fannullone, pigro’.
VAGANZA ~ s.f. Vacanza, festa, sospen-
sione temporanea, più o meno lunga,
dell’attività lavorativa o dell’impegno
scolastico (Bonini, La vitaccia che fanno j scolari, 57: “Il giuvitì è vaganza” e
poco dopo “Vaganza per Natale, a Pasqua
pure”).
Dal lat. vacare ‘essere, rimaner libero’.
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VAGELLA’ ~ intrans. Coniugato come
ama’. Vacillare, star in equilibrio instabile,
esser sul punto di cadere.
Dal lat. vacillare.
VALÈNTE ~ agg. Bravo, valido, coscien-
zioso, capace. Si sente spesso anche la variante valento ed il suo femminile, ovviamente con desinenza in a, valenta.
Dal lat. valere ‘esser in forza, esser robusto’.
VALLÉTTO ~ s.m. Tipo di corbello
(ved. supra), cesta di grandi dimensioni fatta con vimini o rami di castagno,
grosso modo a forma di conchiglia. Veniva usato – tenendolo appoggiato sulla
schiena, avvalendosi della bardella (ved.
supra) – principalmente per il trasporto
di frutta (in specie castagne) o di ortaggi (patate), ma era utilizzato anche dai
manovali per portare sassi e mattoni. Il
termine viene impiegato anche per indicare la quantità di cose che possono stare
dentro a tale contenitore (Santini, Fattoria moderna, 34: “Ni volete dell’ove? N’ho
un valletto”). Si veda la figura all’inizio
della lettera ‘V’.
La parola deriva dall’ant. franc. vaslet
‘vassalletto, paggio’ (Palazzi, 1302), dunque ‘persona che aiutava’ e, per estensione,
‘cosa che agevolava il lavoro’.
VALSUTO ~ agg. Valso, servito.
Dal lat. valere.
VANGHÌNO ~ s.m. Supporto della van-
ga. La parola è contenuta nella raccolta,
compilata da O. Bonini, di vocaboli tipici
della zona di Sillico, ma sembra usata anche in altre zone della Garfagnana.
VANTACIO ~ s.m. Vantaggio, utilità,
miglioramento, compenso.
Dal franc. avantage (Battaglia, XXI, 663).
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VARDA’ ~ trans. Coniugato come ama’.
Guardare, osservare, rivolgere lo sguardo
verso qualcosa o qualcuno per osservarlo,
star attento. È diverso da vede’ che indica
il mero fatto di notare una cosa o una persona anche senza volontà e senza intenzione di osservarla attentamente (Santini,
La vacca, 60: “Eppo’, varda, per un guasta’
l’affare, / vi rivo a cento foj, mondo eppo’
boia”).
Dal germ. wardon ‘star in guardia’ (Palazzi, 544, Borgovovo-Torelli, 135). DevotoOli, 1057 richiamano invece il lat. di Francia
guardare, che definiscono ‘parola franca’.
VASìA ~ s.f. Grande bacinella di stagno o
ferro (oggi anche di plastica), originariamente ovale e poi anche rotonda, dotata
di due maniglie ed usata per il trasporto
da casa al lavatoio (o viceversa) dei panni
da lavare (o già lavati).
Dal tardo lat. vasum per il class. vas.
VASSAPE’? ~ locuz. idiom. garf. Pro-
priamente ‘vai a sapere?, chi lo sa?, chissà?’
(Vassape’ cum’ha fatto l’Erìco a rutola’ dalle
scale?).
VASSÓJA (vassÓra) ~ s.f. Attrezzo
di legno formato da due assi tra loro perpendicolari di cui quella di base assai più
larga e leggermente concava e delimitata
ai lati esterni da due elementi triangolari
in cui si ponevano il grano, i fagioli, le castagne, per eliminare la pula (ved. supra),
i pezzetti di buccia, le scorie, muovendo
ritmicamente l’attrezzo. Nel Glossario del
Venturelli, 268, troviamo la variante bassoja. Con il termine vassoja si indicava anche un attrezzo avente la stessa funzione,
ma di forma un po’ diversa, una specie di
paletta concava con un corto manico e le
pareti laterali alte ed oblique usata anche
per prendere le granaglie, lo zucchero o la
farina sfusa.
Da vassoio derivato dalle fusione dei
due termini vas e missorium ‘vaso da portata’, con riferimento alla forma della base
dello strumento.
VASSOJA’ ~ trans. Coniugato come i verbi in ‘ia’. Agitare, muovere adeguatamente
la vassoja (ved. supra) dov’erano stati collocati i cereali, i legumi o le castagne in
modo da eliminare la pula.
Per l’etimologia ved. supra vassója.
VÈCCHIA ~ s.f. Si riporta questo vocabolo, il cui significato primario di ‘donna
avanti con gli anni’ non differisce da quello
italiano, per ricordare l’espressione idiomatica fa’ la vecchia che viene usata nel senso
di ‘strofinare il viso di una persona imberbe
con la propria barba di qualche giorno’, arrecando una sensazione irritativa.
Forma femm. di ‘vecchio’ dal tardo lat.
veclus, per il class. vetulus (Battaglia, XXI,
691).
VECCIÓN (VECCIONE) ~ s.m. Pallino di fucile di grandi dimensioni (Poli).
Dal lat. vicia di origine incerta (Battaglia, XXI, 692).
VEDE’ ~ trans. Irregolare il fut. io vedrò, il pass. rem. io vidi (vedétti, viddi,
véddi),…noi vedémmo (vìdimo, véddimo,
vedéttimo), essi vìdero (vedéttino, vìdino,
vìddino, véddino), il condiz. pres. io vedréi e il part. pass. visto (veduto, viduto).
Vedere, notare, percepire con la vista, individuare, nel significato e con le molte
locuzioni proprie della lingua italiana.
Caratteristica in alcuni modi e tempi la
sostituzione, nella radice, di una i in luogo
della e nonché, alla prima persona plurale
del presente indicativo la forma vegghiàm,
cosa inconsueta ove si pensi che invece io
veggo alla prima persona singolare non si
sente mai. Da notare infine che l’infinito
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a volte fa vede (cfr. Santini, Fijoli d’oci, 43:
“O Luvigìn, sei savio, vammi vede / se quee
du’ vacche edènno intorno al gran”).
Dal lat. videre.
sta di vento e pioggia. Poli menziona anche ventipioa e ventipioggia. Fanfani, 1027,
per indicare lo stesso fenomeno, richiama
‘ventipiovolo’.
VÉJO(A) ~ locuz. idiom. garf. Veglia,
ma nel senso di conversazione serale tra
amici, occasione per raccontarsi a vicenda esperienze realmente vissute o solo
sognate, favole udite raccontare o storie
lette su libri o giornali. Incontro serotino
tra innamorati a casa dell’uno o dell’altra
per chiacchierare, con la speranza di potersi scambiare baci furtivi. (Pennacchi,
Il sogno in del carvato, 62: “Cuminciai la
sera a andacci a vejo”; Bonini, Cumprimenti, 86: “Ditemi un po’quando vinite
a vejo…?”). Una completa descrizione di
questi incontri serali, ormai in via di abbandono, si può trovare nel libro di Lorenza Rossi, più volte citato, pagg. 11 sgg.
Tipica l’espressione, squisitamente garfagnina, Tra Sassi e Ejo van i gatti a vejo per
indicare la distanza brevissima che separa questi due paesi e, per estensione, una
minima distanza tra due luoghi o cose.
Forma masch. di ‘veglia’ deverb. da ‘vegliare’ (Battaglia, XXI, 704).
VèNTOLA ~ s.f. Specie di ventaglio uti-
VENCO ~ s.m. Ramo flessibile (ved. in-
fra vinco).
VENDUJOR ~ s.m. Venditore ambulante. Il vocabolo è compreso tra quelli tipici
del dialetto locale nella raccolta del maestro Poli.
VENTAJÓLA ~ s.f. Vestitino leggero. La
parola è contenuta nella raccolta di vocaboli tipici del dialetto della Garfagnana
compilata da Nello Guido Poli.
Derivato da ‘vento’.
VENTIPIÓVA ~ s.f. Particolare fenomeno atmosferico, consistente in una tempe-
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lizzato per ravvivare la brace dei fornelli,
quando ancora non si usava il gas. Spesso
si trattava di una piccola ruota di paglia
intessuta ed inchiodata in una bacchetta
lunga circa 20 centimetri.
Dalla radice del lat. ventus ‘vento’.
VENTOLA’ ~ trans. Coniugato come
ama’. Vagliare, scuotere il grano, i fagioli,
le castagne nella vassoja (ved. supra) per
far volar via la pula, i pezzetti di buccia, le
scorie in generale.
VERBUMCARO ~ s.m. Una delle prime
espressioni del Vangelo di S. Giovanni (Et
verbum caro factum est; et habitavit in nobis. Giov. 1, 14). Simpatico l’uso di questa
espressione per minacciare una punizione
ai bambini capricciosi (se continui cusì, vederai che ti do il verbumcaro!).
La parola costituisce una libera interpretazione popolare della espressione evangelica sopra riferita, nella quale il vocabolo
caro, inteso non nel senso letteralmente
corretto di ‘carne’, ma in quello di prima
individuazione, cioè ‘caro, costoso, gravoso
da sopportare’, è stato poi impiegato per
minacciare qualcuno di fargli pagare le sue
malefatte a caro prezzo (anche se poi neppur chi la pronuncia sa in cosa possa consistere la minaccia che sta proferendo).
VERDICA’ ~ intrans. Coniugato come i
verbi in ‘ca’’. Verdeggiare, diventare verde.
Dal tardo lat. viridicare, denom. di viridis ‘verde’ (Battaglia, XXI, 768).
VERDO ~ agg. e s.m. Verde, il colore
delle foglie e dell’erba ed anche, specie
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parlando di piante o foglie, ‘vivo, sano,
fresco’. Ma questa è anche l’accezione italiana della parola (con natura di aggettivo); in garfagnino il vocabolo, usato come
sostantivo, ha un suo particolare e curioso significato alludendo ad una forma di
gioco, di sfida tra amici, ma soprattutto
tra innamorati, dichiaratisi o meno, che
aveva luogo nel periodo della Quaresima.
Quando uno di questi incontrava l’altro
(ma comunque in qualsiasi momento,
anche nel corso di una conversazione già
iniziata o di un incontro già avvenuto)
poteva chiamarlo per nome e chiedere:
Il mi’ verdo?. A questo punto l’interrogato non doveva rispondere nulla, ma
mostrare all’interrogante un ramoscello,
in genere di bosso, verde (da cui il nome
del gioco) che doveva sempre avere con
sé, pagando pegno nel caso rispondesse a
voce o non mostrasse il ramoscello. Solo
dopo aver fatto vedere all’altro che aveva
il verdo poteva proseguire nella conversazione. Una variante del gioco prevedeva
che, alla domanda, l’interrogato potesse
semplicemente replicare: Ce l’ho oppure
ce l’ho e nun lo perdo; in tal caso l’interrogante poteva ritenersi pago della risposta
(ed allora questa fase finiva lì) oppure domandare di controllare la veridicità della
replica avuta. A questo punto colui che
aveva affermato di aver con sé il verdo doveva mostrarlo: se lo aveva effettivamente,
vinceva ed era l’interrogante dubbioso a
dover pagar pegno, mentre, se non lo aveva, la penitenza gravava su di lui (e non
di rado i partecipanti al gioco, per non
correre il rischio di farsi trovare senza il
prezioso rametto in caso di incontro fortuito o di improvvisa domanda da parte
della persona oggetto dei propri desideri,
tenevano in bocca un piccolo ramoscello
di bosso da mostrare all’occorrenza). Il
pegno poteva consistere nel donare un
uovo, un dolcetto, ma anche nel compie-
re una qualche manifestazione d’affetto,
tipo una carezza, un bacio e poteva venir
pagato ogni volta ovvero a scadenze prefissate, dopo aver fatto i conti delle volte
in cui i giocatori avevano rispettivamente
mancato all’impegno. Il gioco poteva prevedere anche altre varianti, frutto dell’accordo delle parti, ma, nella sostanza, era
quello sopra descritto. In altre zone della
Garfagnana si utilizzava la locuzione il mi’
bel verde.
Dal lat. viridis ‘verde’, da cui deriva il
vocabolo garf. che, rispetto alla nostra lingua nazionale, presenta il passaggio dalla
terza alla seconda declinazione.
VÈRGULI ~ s.m. plur. Rami flessibili.
Arbusti usati per fissare i rami delle viti,
i mannelli di grano ed altro. Variante di
vinchi (ved. infra vinco).
VERLA ~ s.f. Averla, uccello di passo dei
passeracei (ved. supra guerla).
VERMINACA (VERMINATA) ~ s.f.
Verbena, altro nome della cedrina, dalle
proprietà antinevralgiche ed astringenti.
Vi si ricava inoltre un gradevole liquore
digestivo.
VERNACCHIO ~ s.m. Bastone nodoso,
particolarmente di castagno o di quercia.
Dal lat. volg. hibernaculus ‘invernale’ (Battaglia XXI, 788).
VERNEDÍ ~ s.m. Venerdì. Nome del
quinto giorno della settimana. Etimologicamente giorno sacro, dedicato a Venere, la
dea della bellezza. Se nell’antichità tale giorno, proprio per la sua dedicazione e perché
collegato al pianeta Venere, la prima stella
a spuntare e l’ultima a scomparire, doveva
esser foriero di cose belle, progressivamente
ha avuto un crollo vertiginoso nella considerazione della gente, diventando il giorno
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più infausto della settimana, quello che, oltre tutto, porta jella (forse perché è il giorno
della morte di Gesù).
La dizione garfagnina con metatesi
(non di rado abbandonata per la normale
forma venerdì, Cfr. Pennacchi, L’Alfredo,
142) è una evidente interversione consonantica (Santini, La vigilia, 59 “…’un
è mia ’l verneddì, te lo confesso, / ma la
miseria…”).
VERNIE ~ s.f. plur. Giochi nei prati. Così
il maestro Poli nella sua raccolta di termini
dialettali tipici della Garfagnana.
VÈRNIO ~ s.m. Inverno. Tempo di ripo-
so della campagna.
Dal lat. hibernum (tempus) ‘stagione invernale’ (Passerini Tosi, 791).
VÈRO 1 ~ s.m. Boleto satana. Fungo del
genere dei boleti di cui si è già parlato (ved.
supra guèro) che Lenzi definisce “velenoso,
ma non mortale”. Qui ne trattiamo nuovamente per la sua diffusione nei boschi della Garfagnana, dove molti sono i fungaioli
(esperti e non), e per gli effetti prodotti
dalla sua ingestione, che è bene siano conosciuti, riportandoci a quanto contenuto
nel libro di A. Guillaumin, F. Moreau, C.
Moreau, Mondo Verde (Ediz. Labor, cit.
Vol. I pagg.481 sgg.): “Quantunque il termine Satana, che il micologo tedesco Lenz
ha aggiunto in maniera ormai indissolubile al fungo, non ispiri grande fiducia e nonostante il cappello biancastro, i pori rossi, il gambo grosso e soprattutto il colore
bluastro che assume la sua carne quando
viene spezzato, gli conferiscano un aspetto
poco rassicurante, la diffidenza che ispira
è molto esagerata. La sua commestibilità è
controversa, alcuni lo mangiano impunemente quando è giovane e ben cotto. Per
chi ha lo stomaco delicato e per i bambini,
questo fungo non è indicato perché può
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causare disturbi intestinali; anche i sofferenti di fegato sembra ne risentano danno.
In conclusione il boleto Satana va escluso
dall’alimentazione, almeno finchè non si
sarà effettivamente stabilito il suo effettivo
valore commestibile”.
VERO 2 ~ agg. Reale, esistente. Ma l’ag-
gettivo assume nel dialetto garfagnino un
significato tipico, unito a sarà diventando
una locuzione idiomatica. Sarà vero si usa
infatti, quasi come intercalare, per alludere ad un qualcosa che ci si aspetta a breve
distanza di tempo, come a dire ‘forse, secondo me, è probabile’ (sarà vero, prima di
sera piove) o anche, con significato quasi
opposto, ‘credo poco, non ritengo’ (sarà
vero che sarai promosso: ’un t’ho mai visto
studia’).
VERO ME ~ locuz. idiom. garf. Modo di
dire per rafforzare un concetto (vero me, se
’un te le stiocco!).
VÈRSO ~ prep. e s.m. Direzione appros-
simativa ad un luogo, intorno, circa. Come
sostantivo, ‘senso’ e con i molti altri significati rinvenibili in qualunque dizionario
della lingua italiana, noti anche al dialetto garf., nel quale tuttavia l’accezione più
tipica si trova quando il vocabolo segue
l’espressione ’un avé nel senso di ‘non riuscire a trovare il giusto modo di prendere una persona, di farla ubbidire, di farle
fare quanto deve’: ’un si n’ha verso, si dice
per alludere ad un individuo che non si sa
mai come prendere per il suo caratteraccio
(così si legge nel volume “La gente garfagnina dicea…così”, 97).
VÈSPRA ~ s.f. Vespa, insetto simile all’ape.
Dal lat. vespa.
VESPRÓN ~ s.m. Calabrone, insetto si-
mile alla vespa, ma più grosso, dal colore
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nero con alcune striature gialle. Detto anche scorzafrassini o scossafrassini o ammazzacavalli, può arrecare, con il pungiglione
(di cui è dotata la femmina), dolorose
punture sulle quali molto si favoleggia, al
punto da sostenersi che tre punture possano uccidere un uomo e sette un toro. Forse
non sarà un dato scientifico e sicuro, ma è
certo che la loro pinzatura è dolorosissima
e non sono rari i casi di morte per shock
anafilattico causato dal veleno iniettato da
questi insetti.
VETRICIA ~ s.f. Vetrice, salice da vimini,
i cui rami vengono utilizzati per costruire
panieri ed altri simili contenitori.
Dal lat vetrix (Palazzi, 1320). Passerini
Tosi, 1677 invece lo fa derivare da vitex
tradotto da D’Arbela, Annaratone, Cammelli, 1248 con ‘agnocasto’ che è pur sempre una specie di vetrice (conf. Castiglioni-Mariotti, 1603).
VETRÌNAIO ~ s.m. Veterinario
La sincope della seconda ‘e’ rispetto
alla parola italiana, forse dovuta a ragioni
eufoniche, non modifica certo l’evidente
derivazione dal vocabolario italiano, a sua
volta rampollante dal lat. veterinus ove è
chiara la radice vetus ‘vecchio’ perché gli
animali vecchi hanno bisogno di magiori
cure (Battaglia, XXI, 823)
VETROLA ~ s.f. Biglia di vetro con cui
giocavano un tempo i ragazzi (ved. supra
svietra).
la cima di un monte o, con riferimento alla
piante (specialmente le conifere), la loro
sommità. La vétta rappresentava anche
uno strumento per infliggere punizioni
corporali ai ragazzi autori di malefatte,
come il furto di frutti dai rami degli alberi altrui. In questi casi, ove fossero stati
scorti, non era raro il caso che i contadini,
per castigarli e farli desistere dal reiterare
simili azioni, si ponessero al loro inseguimento, armati di un ramoscello flessibile,
ma resistente, una vetta appunto, con cui
percuotevano sulle gambe i piccoli ladri,
qualora fossero riusciti a raggiungerli. Da
qui la parola ha assunto anche il significato traslato di ‘frusta’.
Dal lat. vetta ‘nastro’ con successiva evoluzione semantica (Battaglia, XXI, 828).
VETTATA ~ s.f. Frustata. Come si disse
sopra (cfr. vetta) un tempo, quando ai ragazzi venivano inferte punizioni corporali
per le loro marachelle, i genitori, o coloro che erano (o si ritenevano) autorizzati
a farlo, non di rado li percuotevano sulle
gambe con rami di giunco, di vimini, di
salcio, detti, appunto, vette.
VETTINGA ~ s.f. Vimine, vetta (ved.
supra). Il vocabolo è contenuto nella raccolta del Poli.
VETTINGATA ~ s.f. Come vettata (ved.
supra). Il maestro Poli cita questo vocabolo e lo definisce colpo di vimine.
VETTONA’ ~ trans. Coniugato come
VÉTTA ~ s.f. Ramoscello sottile e flessibi-
le, dotato per lo più di una certa consistenza, come un giunco (Pennacchi, Poveracci
e signori, 110: “…e per straccali un pezzo
di curdìn / e quand’e s’arumpeva anco una
vetta”). Evidente dunque la differenza rispetto al significato che il vocabolo ha nella lingua italiana, dove per ‘vetta’ si intende
ama’. Percuotere, colpire qualcuno con
una vetta.
VEZZADRO ~ s.m. Vitalba. Le foglie di
questa pianta erano usate come erba per
conigli, mentre i rametti venivano impiegati anche per ‘svezzare’ i vitelli dal latte
ed abituarli a mangiare l’erba. Proprio da
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questo utilizzo è derivato il vocabolo garfagnino (Gian Mirola op. cit., 23). Lenzi
precisa che le sue foglie sono ottime anche
per frittate, ma al riguardo si tenga presente cosa dice fra’ Benedetto Mathieu a proposito della ‘vitalba’ (ved. infra vitabbia).
VIÉTRO ~ s.m. Vetro, minerale fragile e
trasparente usato per costruire recipienti,
oggetti d’arredamento, riempire intelaiature di porte e finestre e per molti altri
impieghi.
Dal lat. vitrum ‘vetro’.
VIA ~ s.f. Strada, percorso, nelle varie
accezioni e con lo stesso significato che
la parola ha nella lingua italiana. Singolare invece, nella parlata dei garfagnini,
l’espressione dar la via nel senso di ‘mandar fuori, liberare, lasciar partire’, riferito
in specie ad animali selvatici.
VIGLIA ~ s.f. Spazzola. Il vocabolo ricor-
VICÈNDA ~ s.f. Cura, dietro compen-
so, dei maiali altrui. Un tempo era usanza
dei contadini della Garfagnana acquistare uno o due piccoli maiali, da macellare
poi a fine anno. Per allevarli, essendo essi
impegnati nei campi, incaricavano una
persona anziana (in genere trattavasi di
una donna) che si prendeva cura di questi suini, conducendoli fuori la mattina
sino a mezzogiorno, quando li riaccompagnava al porcile per portarli all’aperto
di nuovo, dopo pranzo, fino a sera. Questa attività durava per quasi tutta l’estate
e si chiamava vicenda; per il suo impegno
quella donna aveva diritto a consumare il
pasto a casa dei proprietari dei suini ricevendo inoltre, a titolo di compenso, un
quarto di farina di granturco ed un quarto di farina di neccio.
Dal lat. volg. vicenda neutro plur. di un
gerundio da vicere (terreno da coltivare a
turno Battaglia, XXI, 849).
VIETRINA ~ s.f. Vetrina, bacheca, occhio
di negozio, armadio a vetri (Pennacchi,
Mezzo sogno di una notte di Capodanno,
19: “Mi sognai d’esse in d’una camerina /
tutta accomoda cume una vietrina”).
Il vocabolo ha la stessa etimologia di
viétro (ved. infra).
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re nel dialetto corfinese.
VILLUTÌN ~ s.m. Aristolochia, pianta
erbacea spontanea dal fiore vellutato, da
cui il nome: questa identificazione non
convince fra’ Benedetto Mathieu che ritiene invece si tratti dell’Hermodactylus
tuberosus, pianta delle Iridacee comune in
Garfagnana in vigneti, oliveti, siepi e incolti vari.
VILÙCCHIORO ~ s.m. Convolvolo,
pianta con fiori a campanella di vari colori.
VIN ~ s.m. Vino, bevanda alcolica ottenuta
dalle fermentazione di uva pigiata. Citiamo
il vocabolo – che non presenta differenze di
significato rispetto all’italiano ‘vino’ – per
la sua grande diffusione e per il fatto che
viene utilizzato comunemente dagli scrittori dialettali garfagnini. A mero titolo di
esempio, ricordiamo Pennacchi, Mangiari
di casa noscia, 29: “...tenlo un pajo d’òre /
a bagno in mezzo aceto e mezzo vìn”; Santini, Lo zezzorón, 19: “...e ’l vin che fan / edè
tant’agro, tant’acquoso e arzillo / che un ci
vole a bello, e due a tenillo).
Dal lat. vinum con lo stesso significato.
VINARÈLLO ~ s.m. Vinello, vino di pochi gradi e di qualità scadente (Santini, Lo
zezzorón, 20: “Però, se a no’ quel vinarello
liscio / …/ ci garba béllo, a chi faccian del
danno?”).
VINATA ~ s.f. Preparazione tipica della
Garfagnana. Si riporta fedelmente quanto
dizionario garfagnino
scrive Adriana Gallesi, op. cit., 17: “Nelle
fredde serate d’inverno i vecchi usano fare
la vinata che si diceva avesse anche proprietà terapeutiche, ‘polpava la tosse’. Nel
paiolo si fa una polenta scria, scria ‘molle,
molle’ di ‘farina di neccio’ e vino novello,
meglio se asprino, torchiatura e picciolo.
Si fa cuocere per circa mezz’ora, si versa
fumante nelle scodelle. Una volta la vinata
avanzata nel paiolo faceva una fine dispettosa. I ragazzi di nascosto ci impiastravano
le serrature degli usci dei vicini che non
erano troppo simpatici o che avevano
commesso qualche torto”. Per la preparazione culinaria cfr. supra farinata (prima
voce); per una migliore spiegazione della
burla ved. supra svinata.
VINCASTRA’ ~ trans. Coniugato come
ama’. Frustare, picchiare con una vetta
(ved. supra). Il vocabolo è contenuto anche nell’elenco di termini tipici di Sillico
compilato da Odorico Bonini, che usa peraltro la forma vengastrare.
alcuni animali (ruminanti, conigli), da cui
il verbo svinciglia’ o svincija’ (ved. supra).
Il vocabolo viene anche usato come sinonimo di fascina. Poli ricorda anche la variante vencijo cui attribuisce il significato
di: “fascine di rami frondosi di castagno, o
di quercia, preparati, dopo averli stivati in
capanna, come cibo invernale per le pecore”. Questa accezione è ricordata anche da
Odorico Bonini di Sillico. In alcune zone
con lo stesso vocabolo si indica la ‘clematide’ o ‘vitalba’, pianta comune nelle siepi.
Forma masch. di vinciglia deriv. dal lat.
vincilia, da vinculum, da cui anche vinciglium e vincilium (Battaglia, XXI, 883).
VINCO ~ s.m. Vinco, arbusto dai rami
flessibili usati per fissare i tralci delle viti,
fare oggetti di vimini; ramo flessibile. Come
vetta e vincastro (ved. supra). È spesso usato
come sinonimo di salice. Nel dialetto garf.
ricorre anche la variante venco.
Dal tardo lat. vinculare ‘stringere, legare’,
a sua volta derivato da vinculum ‘legaccio’.
VINCASTRATA ~ s.f. Mazzata, frustata
data con un ramo di vincastro. La parola
è citata come tipica anche del dialetto di
Corfino da Maria Luisa Santini che propone pure la variante vingastrata.
VINÈLLA ~ s.f. Sorta di vino leggero,
VINCASTRO ~ s.m. Arbusto sottile e
flessibile, impiegato dai contadini e dai
pastori per stimolare gli animali. Sostanzialmente identico è il termine vetta (ved.
supra).
Da vinco (ved. infra).
VIN DI GRANA ~ s.m. Vino passito.
Questa originale locuzione è richiamata,
con tale significato da O. Bonini, che la
include nella sua raccolta di parole tipiche
di Sillico.
VINCHEGGIA’ ~ intrans. Coniugato
come i verbi in ‘gia’’. Ondeggiare, flettere.
Il verbo contiene la radice di vinco
‘ramo flessuoso’.
VINCIJO ~ s.m. Fascio di rami con le foglie provenienti da piante di cui si cibano
ricavato dalla vinaccia, lasciata, mista ad
acqua, per circa 30 giorni in un contenitore (Lenzi).
Dimin. (dispregiativo) di vin.
VINI’ (VENI’) ~ intrans. Pres. indic.
io vèngo (véngo), tu véni, egli vièn (vèn)
noi veniàm (viniàm), viniàn, veniàn venghiàn), voi venite (vinite) essi vèngono
(vènghino, vénghin); imperf. io venivo
(vinivo, vinìo); fut. io verò (verrò); pass.
rem. io venitti (vinitti, vénni, vènsi), tu
venisti (vinisti), egli venitte (vinitte, vén-
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dizionario garfagnino
ne, vènse) noi venimmo (vinimmo, vinittimo, venittimo, vènsimo), voi veniste
(viniste), essi venìttero (vinìttero, vénnero, vènsero, vènsino); cong. pres. (che)
io vènga; cong. imperf. (che) io venissi
(vinissi) …(che) essi venìssero (vinìssero,
venìssino, vinìssino); part. pass. venuto
(vinuto). Verbo di uso generalissimo;
venire, recarsi dove si trova o dove va
la persona cui si parla; giungere (vini’
da fora, da lontàn), provenire (è un vin
che vièn dalla Sicilia), riuscire (la torta
’un m’è vinuta bèn); (riferito al tempo)
diventare (è vinuto freddo); (di un’idea,
un pensiero) sorgere, nascere (come t’è
vinuta quest’idea?) e con gli altri significati propri della lingua italiana. Lo si
segnala esclusivamente per la sua frequenza nel linguaggio della gente di
Garfagnana, che lo impiega anche in
molte altre accezioni per le quali l’italiano prevede termini appositi. Similmente
alla lingua italiana, sostituisce esse nella
forma passiva di molti verbi (il buro vèn
usato in cucina; Giovanni vièn chiamato
Baffo, il pan vèn levato dal forno quand’è
cotto). Caratteristica, come per il verbo
tene’ (ved. supra), la conservazione della
radice veng alla prima persona singolare
ed alla prima e terza plurale del presente
indicativo nonché al presente congiuntivo (dove sta progressivamente scomparendo alla seconda persona plurale) ed
alla terza persona singolare, alla prima
e terza persona plurale dell’imperativo,
che la lingua italiana ha conservato solo
per la prima singolare e la terza plurale
del presente indicativo, per le prime tre
singolari e la terza plurale del presente
congiuntivo e per la terza persona singolare e plurale dell’impertativo.
Dal lat. venire.
VINI’ MALE ~ locuz. idiom. garf. Far
fatica ad arrivare in un certo luogo per
580
le avverse condizioni di tempo o di luogo
(’un so come fa’ per vedetti, perché da te si
vèn male, con quella stradaccia, adesso po’
ch’è piouto!). L’espressione trova impiego
anche nel senso di ‘andar in un certo luogo
controvoglia’: cfr. Bonini, Regalo mal retribuito, 95 ove una ragazza parla del fidanzato che, prima, veniva spesso (a trovarla)
e in seguito, una volta scambiatesi tra di
loro le fotografie, “nun vènse più o, se vinitte, vènse malamente”.
VIOLA ~ s.f. Il maestro Poli riporta il vo-
cabolo non riferito al bel fiore primaverile,
ma con il significato di ‘coccinella’.
VÌÓLO ~ s.m. Viottolo, stradello, redola
nei campi.
VIÒTTORO ~ s.m. Viottolo, stradina
serpeggiante, tracciata in mezzo ai prati o
ai lati dei campi in seguito al passaggio di
uomini o animali; sentiero, redola; come
vìolo (ved. supra).
È ben evidente la derivazione da via.
VISCHIA ~ s.f. Foglia del granturco.
Come vistia (ved. infra).
VISIBBULA ~ s.f. Malattia della pelle,
specialmente del viso. Il vocabolo è riportato tra quelli tipici della zona di Corfino
da Maria Luisa Santini. A Sillico, ci fa sapere Odorico Bonini, il vocabolo suona
visìpola.
VÌSPERO ~ agg. Vispo, arzillo. La parola
rientra tra quelle citate come locali dal periodico “La Garfagnana”.
Battaglia, XXI, 925 definisce il termine
voce di origine espressiva e Devoto-Oli,
2671 onomatopeica.
VISPRO ~ agg. Vispo, arzillo. Ved. supra
vìspero.
dizionario garfagnino
VISTIA ~ s.f. Cartoccio. La parola allude
in particolare alle foglie secche del granoturco di cui la parte più a contatto con la
pannocchia veniva usata per avvolgere il
tabacco e far sigarette (ved. supra sfógliora
nonché vischia).
VISTITO ~ s.m. ed agg. partic. Vestito,
abito, capo d’abbigliamento indossato da
una persona o tenuto nell’armadio. Come
aggettivo ‘abbigliato, coperto con vestiti’.
Nel primo senso Bonini, 2 Novembre, 96:
“mia mèttesi giamò peso el vistito / se nun
si vol dal freto tremolà”; nel secondo senso ancora Bonini, Eppo’ dichino che i morti
nun tornino, 90: “la notte nun podetti mai
durmi’ / tant’è che la matina, all’albica’, /
mezza vistita e mezza da visti’ / golai dal
prete a fammi cunsijà”. (Ved. anche Pennacchi, Il Togno e la Garfagnana antiqua,
87: “a scolta’…d’i signori / e delle donne,
tutti bèn vistiti”).
Dal lat. vestis.
VITA ~ s.f. La pianta della vite.
Dal lat. vitis ‘vite’.
VITABBIA ~ s.f. Vitalba (ved. supra vez-
zadro). Il vocabolo è ricordato da Gian
Mirola, op. cit., 23. È assai interessante segnalare quanto riferitoci da fra’ Benedetto
Mathieu per il quale questa pianta, da lui
identificata nella Clematis vitalba, è da utilizzare con precauzione in cucina perché
specie velenosa, al pari delle altre Ranuncolacee, e capace di provocare eruzioni
cutanee (al punto che, in passato, i mendicanti erano soliti “usare le foglie fresche
della vitalba per procurarsi vistose piaghe
e intenerire i cuori)”. Non di meno i getti
primaverili si possono consumare a mo’ di
asparagi, avendo però l’accortezza di farli
cuocere, dato che, cuocendo, perdono i loro
principi acri e tossici. Sulla scorta del fatto
che i rametti più giovani di tale pianta altro
non sarebbero che il vezzadro – utilizzato
per “svezzare i vitelli dal latte ed abituarli a mangiare l’erba” (Gian Mirola, op.loc.
ult. cit.) – fra’ Benedetto Mathieu ritiene
però che con il termine vitabbia si alluda,
“più che alla clematis vitalba, all’humulus
lupulus, assai simile a quella ed egualmente
diffuso in Garfagnana, i cui turioni giovani
sono più dolci dei getti della vitalba”.
VITÓLLO ~ s.m. Betulla, albero i cui
ramoscelli vengono utilizzati per costruire scope, dette, appunto, ‘scope di vitollo’
(Lenzi).
VITORE ~ s.m. Vitigno. Vocabolo com-
preso tra quelli tipici del dialetto della
Garfagnana nella raccolta di Nello Guido
Poli.
VITUPRI’ ~ trans. Coniugato come i
verbi con il suffisso ‘isc’. Vituperare, rimproverare, ma anche ‘offendere, insultare’.
Con lo stesso significato abbiamo le varianti vistupri’, svitupri’ e svetturi’.
VIVA! ~ interiez. esclamativa. Evviva.
Oltre alla locuzione beneaugurante comune alla lingua italiana, la parola indica
un divertimento di ragazzi consistente nel
rispondere con tale espressione allorchè si
incontrava un altro giovane (con il quale
ci si era precedentemente accordati per
giocare appunto, a viva!) il quale pronunciava il nome del primo, salutandolo.
Una risposta diversa da Viva! provocava la
perdita di un punto. “Siccome il conto dei
punti si teneva a mente, si verificavano con
una certa frequenza”, nota Lorenza Rossi,
op. cit., 125, “contestazioni ed interminabili discussioni che spesso determinavano
la fine anticipata del gioco”.
VIZZO ~ agg. Avvizzito, appassito, cosa
o persona che ha perso la sua freschezza.
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dizionario garfagnino
Il vocabolo si usa in particolare con riferimento alla pelle delle persone anziane
o cotte dal sole, che non si presenta più
liscia, ma piena di rughe. Nel canto popolare Ninetta, dal momento che t’ho vista, un
anziano spasimante chiede la mano di una
giovane dicendole d’essersene innamorato
fin dal primo momento che la vide, promettendo di farla sua sposa, se lei ricambierà il suo amore. Ma Ninetta rifiuta il
maturo dongiovanni, rispondendogli, un
po’ impertinentemente: “Io lo vo’ bellino
e giovanino / che di notte mi possa baciare / e quando è freddo mi possa scaldare /
invece te stai sempre lì a tremare / sei vecchio e vizzo e cosa ne debbo far?”.
Dal lat. victius, ‘appassito’ (Devoto-Oli,
267). Battaglia, XXI, 961, propone invece
una derivazione dal lat. vietius (comparativo neutro di vietus), ‘troppo maturo’, a sua
volta da viescere, ‘cominciare ad appassire’.
VO’ ~ Pron. pers. Oltre che come pro-
nome (vo’ che dite?) è caratteristico l’uso
quale interiezione Oh, vo’ non solo nel significato di ‘ehi, voi’, ma anche di ‘ebbene,
allora, chissà’. Singolare è l’usanza di rivolgersi con il voi ai bambini piccoli (e vo’, cicchìn, che fate?; e vo’ di quala sète? nel senso
‘di chi sei figlio?,chi è tua madre?’).
VOALTRI (VOJALTRI) ~ Pron.pers.
plur. Voi, con un significato rafforzativo.
VÓJA ~ s.f. Voglia, desiderio che proviene da uno stimolo involontario (ho vója di
be’). Anche come ‘desiderio effimero, capriccio’. Il vocabolo indica poi anche una
macchia, un angioma cutaneo di color
rosso vinoso presente sulla pelle fin dalla nascita, attribuibile, secondo un’antica
credenza popolare, ad un desiderio che
ebbe la mamma nella fase della gravidanza e che non venne realizzato (ved. anche
supra palastra).
582
Come vole’ (ved. infra) deriva dal tardo
lat. volere per il class. velle (pres. indic. volo).
VOLÀNO ~ s.m. Volante, manubrio di
forma circolare che serve a governare lo
sterzo delle automobili.
VOLASTRO ~ agg. Uccello che sta im-
parando a volare, volatore non ancora abile. Per estensione chi è alle prime armi. Il
periodico “La Garfagnana” segnala anche
la variante golastro.
VOLATA ~ s.f. Scoppio simultaneo di
più mine. Con la stessa accezione, sia pure
non come suo significato primario, la parola è ricordata da Battaglia, XXI, 980.
VOLE’ ~ trans. Pres. indic. io vójo, tu
vói, egli vòle, noi vogliàn (vojàn), voi volete,
essi vójon (vojin); imperf. io voléo (volevo);
fut. io vorò; pass. rem. io volétti (vòlsi, vòlli), tu volésti, egli volétte (vòlse, vòlle), noi
voléttimo (vòlsimo, volémmo), voi voléste,
essi voléttero (vòlsino, vòllero); cong. pres.
(che) io voglia; part. pass. volsùto (vulsùto;
voluto). Volere, desiderare ardentemente,
richiedere, pretendere. Ma anche ‘decidere, ritenere giusto, preferire’ (il mi’ omo
volle prende l’iscurciòn). Come in italiano,
usato insieme a bèn e male, significa ‘provare affetto’ (mi pa’ mi vol bèn) o ‘nutrire
avversione’ (quella donna vòl male alle bestie). È caratteristico il significato traslato
attribuito al verbo vole’ dal dialetto garf.,
corrispondente a ‘non opporsi, lasciar
fare’. Per comprendere quella che sembra
un’anomalia linguistica bisogna partire
dal concetto che in passato i contadini
venivano divisi dai ragazzi, desiderosi di
impossessarsi di qualche frutto dei loro alberi o di qualche prodotto del loro orto, in
due categorie, quelli che si opponevano a
detta attività e quelli che, ogni tanto, chiudevano un occhio: per indicare l’atteggia-
dizionario garfagnino
mento dei primi si usava l’espressione ’un
vole’ – con sottinteso ‘che gli si portino via
le cose sue, che si entri nei suoi campi’,
rovinando i raccolti (attento se vai a ruba’
le mele al Rocco; lu’ ’un vole) – mentre per
riferirsi al comportamento dei secondi si
diceva vole’. Ora, se quanto alla prima accezione non vi sono particolarità da notare (‘non volere’ significa, anche in italiano,
‘opporsi, essere contrario’), più singolare è
l’uso del verbo volè nel significato di ‘tollerare, non opporsi’, in quanto – almeno
nella lingua italiana – tra ‘non opporsi,
sopportare’ e ‘volere’ c’è una bella differenza. Ma se impiegare il verbo ‘volere’
per ‘tollerare’ è un non senso in italiano,
non è così nel dialetto della Garfagnana
che, per la circostanza sopra descritta, dà
all’espressione vole’ proprio quel significato e dunque dire andiàm a pijà le mele nel
campo del Michele che vòle non significa
che costui desiderasse gli venisse rubata la
frutta, ma solo che non avrebbe inseguito
con la vetta i ladruncoli: in sostanza, se è
vero che in italiano il corretto contrario di
‘non volere’ (’un vole’) – nel senso di ‘impedire, proibire, vietare’ – non è ‘volere’
(vole’), ma ‘tollerare, sopportare’ (supporta’), è anche vero che il dialetto garf., forse
per ragioni di semplicità, ritiene giusto
opporre a ’un vole’ il verbo vole’. Ciò, va
detto, vale per la fattispecie illustrata perché negli altri casi il significato del verbo
non diverge dall’italiano ‘volere’.
Dal tardo lat. volere per il class. velle.
VÓLGORA ~ s.f. Piccolo strumento fissato sulla stanga della finestra (ved. supra
stanga) che consentiva di tenere chiusi
entrambi gli scuri, impedendo l’ingresso
della luce. Poli ricorda tra le parole tipiche del dialetto della Garfagnana vórgola,
definendola saliscendi di legno. Probabilmente trattasi della stessa parola con
metatesi di l e r.
VOLONTÉRA ~ avv. Volentieri, di buon
grado. Ved. infra vulintieri, forse maggiormente diffuso.
VÓLPA ~ s.f. Volpe, mammifero della
dimensione di un cane di media taglia,
dotato di lunga e folta coda: è ritenuta
emblema della furbizia. Molteplici sono
le novelle che hanno questo animale per
protagonista.
Variante fonetica rispetto al vocabolo
italiano ‘volpe’ derivato dal lat. vulpes, con
passaggio dalla terza alla prima declinazione.
VOLTA (DAR LA) ~ locuz. idiom. garf.
Rovesciare, ribaltare, usato anche come
riflessivo.
VOLTORÈLLO ~ s.m. Spirale. Particolare forma di cucitura, propria dei sarti. Il
vocabolo si trova nella raccolta del Poli.
VOLTORI’ ~ intrans. Coniugato come i
verbi con suffisso ‘isc’. Questa voce verbale
è inclusa nella rubrica ‘Parole del dialetto
nostro’ dal periodico “La Garfagnana”, che
la dice utilizzata per indicare il ‘bollire dei
biroldi’ (ved. supra).
VOLTORÓN ~ s. m. Capriola. Il vocabolo è contenuto nella raccolta di parole
tipiche di Sillico messa insieme da O. Bonini. Va però osservato che il termine più
comune in Garfagnana per indicare le capriole è mazziculi (ved. sopra).
VOLTORÓN (A) ~ avv. Voltoloni, giran-
do e rigirando su se stessi.
VOSCIO ~ agg. e pron. poss. Vostro. Si
usa sia come aggettivo (Indù è casa voscia?)
che quale pronome (di chi è quest’ombrello? è’ il voscio!). È usato comunemente, sia
nel linguaggio parlato che in poesia (cfr.
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dizionario garfagnino
Bonini, I becuri, 34; Cumprimenti, 86; Pennacchi, Le prumesse, 24; Il Togno e il censimento, 95; Santini, I Pionieri, 69).
Deriva intuitivamente da vostro, a sua
volta da ricondursi al latino vestrum. La differente dizione rispetto al vocabolo italiano
è probabilmente dovuta a ragioni eufoniche o a facilità d’espressione, così come per
il corrispondente nòscio (ved. supra).
d’i gelati, / scatole vote e piatti di cartón”).
Impiegato come sostantivo indica anche la
‘bottiglia, il fiasco del vino’, una volta esaurito il contenuto (Santini, Lo zezzorón, 20:
“Un quintal di quel vin, creda, nun gosta, /
gnanco col vóto, i soldi dell’imposta”).
Battaglia, XXI, 1030 propone una derivazione dal lat. volg. vocitus per vacitus,
part. pass. di vacere per vacare.
VOTAFUSI ~ s.m. Guindolo, bindolo. Il
vocabolo, contenuto nella raccolta compilata dal maestro Poli, deriva etimologicamente dalla funzione che svolge.
VRUCA ~ s.f. Verruca. La parola è citata
da Gian Mirola nel suo studio sul dialetto
garfagnino e i suoi poeti, a pag. 29.
VULINTIÉRI ~ avv. Volentieri, di buon
VÓTO (VÒTO) ~ agg. e s.m. Vuoto, che
non contiene nulla o quasi. Anche senza
persone (quella casa è vòta nel senso di disabitata). (Pennacchi: Il Togno e la Garfagnana moderna, 90: “… alle polle bicchieri
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animo, con piacere (Bonini, Soliti lamenti,
71: “…tutto è dovuto a que’ peccati / che le
ragazze fan vulintieri / co’ j uminacci d’oci
e di ieri”).
Dal lat. libenter.