Tema: Il mio nome è Athena - Wel-fare.it

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IL MIO NOME È ATHENA
La neve scendeva placidamente dalle labbra del cielo e quando toccava la finestra dell’aula si dissolveva
velocemente. I fiocchi avevano un ritmo lento e cadenzato. Il cielo stranamente era di un grigio tetro,
sembrava che piangesse e in ogni fiocco di neve c’era una goccia di dolore. Il cielo aveva un cuore
ghiacciato… oppure ero io ad essere così fredda nei miei giudizi? Mi chiesi se anche a casa stesse nevicando.
D’un tratto qualcosa travolse il mio poetare e venni bruscamente riportata alla realtà. Università di Harvard.
Lezione di chirurgia cardiaca. Era suonata la campanella. Il professore aveva un’espressione di disappunto.
La prima regola di Harvard era: mai interrompere. La seconda era costanza, serietà e disciplina. Il professore
ci fece cenno che la lezione era terminata. I miei compagni di corso erano tutti uomini, io ero l’unica
fanciulla coraggiosa iscritta alla facoltà di chirurgia. Senza contare che avevo la media più alta di tutti i miei
compagni. Mi stavo dirigendo all’uscita, quando David si avvicinò e mi propose di unirsi ad una festa per
quel sabato sera organizzata dall’allegra brigata maschile. David apparteneva alla grande categoria di
persone che si trovano nelle università private: ricco, snob, pieno di sé, ma estremamente carino. Le feste che
organizzava la famiglia di David erano dei balli di Gala, dove si beveva champagne e il caviale era la portata
principale. Non mi sarei stupita se fosse stato presente anche qualche primo ministro. David era un ragazzo
simpatico, ma i suoi party non erano di mio gradimento, anche perché i ragazzi e le ragazze invitati si
ubriacavano e fumavano (meglio non specificare cosa) in una lussuosa suite della sua villa di campagna. No,
le feste di David non erano proprio del mio genere. Rifiutai l’invito e gli sorrisi. Una volta arrivata alla sala
caffè potei gustarmi un cappuccino. Il caffè mi ricordava la mia vecchia vita. Ogni tanto, quando i miei
genitori erano liberi dagli impegni lavorativi, portavano me e mio fratello la mattina presto a fare colazione
in pasticceria. Io ordinavo sempre un cappuccino con una fetta di Sacher Torte. Ma poi tutto è cambiato e io
mi sono trasferita all’estero.
La mia famiglia mi aveva sempre considerato una bambina particolare. All’età di 7 anni sapevo già che sarei
diventata un medico. Mi piacevano tantissimo le lingue straniere e le studiavo senza sosta; il mio progetto
era quello di trasferirmi all’estero e fare carriera. Al termine del liceo feci domanda per la facoltà di medicina
in Italia, superai tutti i test. La lettera d’ammissione arrivò dopo una settimana: ero stata accettata nel
prestigioso ateneo di Padova. Finalmente potevo realizzare il mio sogno: avrei studiato chirurgia e mi sarei
fatta un nome ed una posizione. La colta dottoressa Cristaldi, sì, suonava bene. Nella mia famiglia alleggiava
aria di festeggiamenti, ma io non ero entusiasta. Il giorno stesso in cui arrivò la lettera della facoltà di Padova
arrivarono anche altre lettere. Il problema era che le università si trovavano dall’altra parte del mondo. Una
di quelle lettere conteneva la mia ammissione ad Harvard.
Mi accorsi che avevo finito il caffè. Ero cosciente del fatto che la mia mente stesse divagando sulla mia
vecchia vita e non ne ero entusiasta, di solito non mi facevo mai trasportare in maniera forte e intensa dai
sentimenti. Mi godevo il momento, certamente, ma il mio carattere estremamente combattivo e razionale mi
impediva di sognare ad occhi aperti come una dodicenne. Ritornai in classe, presi il materiale, lo misi in
borsa ed uscii con passo deciso. Guardai l’orologio del campus. Segnava l’una. Dovevo muovermi per
tornare a casa prima di Richard.Per raggiungere il mio alloggio mi ci vollero 10 minuti. Richard doveva
arrivare per l’una e trenta, avevo ancora 20 minuti tutti per me. Appena sentii la serratura che si allentava
entrai di tutta corsa nel mio rifugio, mi tolsi il cappotto e appena alzai lo sguardo verso lo specchio
dell’ingresso urlai. OH MIO DIO! Sembravo un barboncino con due occhiaie penzolanti. In quei 20 minuti
dovevo fare un miracolo. Frequentare una delle più prestigiose università al mondo ha anche i suoi risvolti
negativi e le mie ore di studio della serata precedente avevano superato nettamente quelle di sonno. Mi
pettinai i capelli; Richard li adorava, diceva sempre che erano color dell’oro. Mi misi un velo di correttore
per nascondere le mie occhiaie penzolanti e un po’ di lucidalabbra. Tutto in soli quindici minuti, ero fiera di
me. All’una e trenta suonarono il campanello, doveva essere Richard, quel ragazzo era sempre stato
puntuale. Aprii la porta e mi ritrovai di fronte ad un mazzo di rose che nascondevano un volto. Rimasi
allibita, nell’altra mano la persona misteriosa mi stava porgendo un libro. Il titolo era “Galilei divin uomo”.
Solo una persona che mi conosceva bene poteva regalarmi un libro di Antonino Zichichi.Presi le rose e una
figura mi si stagliò davanti: era magra ma muscolosa, gli zigomi sporgenti, le labbra ben disegnate e rosse
lasciavano trasparire un sorriso smagliante, i denti erano curati e bianchi, aveva un po’ di barba che gli
conferiva un’aria estremamente attraente. Non lo guardai in faccia. Se avessi avuto il coraggio di guardarlo
negli occhi, mi sarei lasciata andare. Richard mi faceva questo effetto, gli potevo leggere l’anima.
D’improvviso mi cinse la vita e mi baciò. Richard ed io eravamo una coppia particolare; io non lo presentavo
mai come il mio fidanzato e lui nemmeno. Semplicemente andiamo oltre le etichette di semplici partner.
Siamo una coppia normale, ma allo stesso tempo sembriamo ottimi amici. Non so come classificarci: io lo
amo e lui anche, ma dobbiamo superare ancora molti ostacoli, uno in particolare. Io non ho mai voluto fare
l’amore con lui. Richard è il primo nella top ten dei ragazzi più avvenenti di Harvard, senza contare che è
molto intelligente, frequenta l’ultimo anno di giurisprudenza ed ha una media che tocca le stelle; inoltre è
gentile ed educato, la sua famiglia è molto ricca e lo sostiene nei suoi studi, senza contare che ci adorano.
Personalmente non ho nulla da lamentarmi dalla vita, ho una salute buona, una famiglia che mi vuole bene,
sono intelligente e la mia suocera mi adora. Non posso avere di più non è vero? Ma nonostante questo, non
ho voglia di andare a letto con Richard. Io lo amo, ma devo superare ancora un ostacolo: devo imparare ad
amare il mio corpo. Io soffrivo di disturbi dell’alimentazione, ora grazie al cielo non ho più questi problemi,
ma mi vergogno a mostrarmi così nel profondo, perché quando fai l’amore ti concedi totalmente. Due
persone che fanno l’amore esprimono sentimenti ed emozioni, è un atto che riguarda il cuore e l’anima, ma
anche la testa, perché deriva dall’ascolto del proprio corpo e di quello del partner.
“My darling, what are you thinking of?” “Do you like the book?” I miei neuroni si riaccesero, mi ero lasciata
trasportare dal bacio e non mi ero accorta che Richard mi stava guardando allibito aspettando una risposta
“Sì Richard, il libro mi piace”.Lui sorrise. Tra le molte cose che sapeva fare quel ragazzo una era baciare
bene, l’altra era parlare l’italiano. Il sorriso che aveva stampato in faccia però non prometteva nulla di buono
e infatti mi sfidò chiedendomi: “E il bacio?” io avevo voglia di scherzare e lo provocai “Puoi fare di meglio”.
La sua reazione fu immediata. “Aspetta che riprovo”. Io però mi misi a ridere e rifiutai il bacio. Lui capì e mi
sorrise ugualmente ed entrò nell’appartamento. Non parlammo molto, Richard doveva partire per Oxford. Le
valigie erano già pronte e lui sarebbe partito fra poco. Le sue lezioni erano terminate oggi, io invece avrei
avuto lezione ancora per una settimana e poi sarei partita per l’Italia. Avevamo stabilito che ci saremmo
rivisti fra due settimane a Venezia e poi saremmo andati a festeggiare il Natale dalla mia famiglia. Il resto lo
avremmo deciso sul momento; Richard per i viaggi mi sorprendeva sempre. La sua famiglia, essendo molto
ricca, si poteva permettere di tutto.“Amore io ora devo partire, in bocca al lupo per gli esami, conterò i
minuti che ci separano dal viaggio a Venezia”. Io gli sorrisi e lo ringraziai. Mi abbracciò forte e quando mi
baciò mi sussurrò all’orecchio che mi amava. Non ebbi il tempo di rispondere, che con passo deciso uscì.
Sulla soglia della porta si voltò verso di me e gli dissi con lo sguardo che lo amavo. Lui mi sorrise, aveva
capito e chiuse la porta. Finalmente sola.
Decisi che non avrei studiato, mi sarei dedicata del tempo per me. Quel giorno non riuscivo a mantenere la
mente lucida per lo studio, mi perdevo troppo in pensieri filosofici. Mia madre mi diceva sempre che
pensavo troppo. Sorrisi all’idea di averla accanto. Mi distesi sul sofà, avevo bisogno di dormire, la notte in
bianco della serata precedente mi stava facendo delirare, un riposino pomeridiano mi avrebbe rinfrescato le
idee. Mi tolsi i vestiti e rimasi in biancheria intima. Mi guardai allo specchio. È per questo che noi donne
veniamo respinte? Per il nostro corpo? Se siamo troppo magre non va bene, se abbiamo qualche curva in più
ecco che corriamo ai ripari con qualche abbonamento in palestra dell’ultimo minuto. Ma chi ce lo fa fare?
Corriamo dalla mattina alla sera e non abbiamo mai tempo per riflettere. Perché tutta questa responsabilità
sulle nostre spalle? Chi ci messo in testa che dobbiamo essere belle, brave e buone? E io? Perché ho scelto
chirurgia? Perché mi sono trasferita dall’altra parte del mondo per studiare? La risposta a questa domanda
risulta chiara. Ho scelto chirurgia perché mi piace aiutare le persone e salvare le vite e non vedo alcun
problema a conciliare i miei impegni lavorativi e la mia vita privata. Studiare medicina mi fa star bene e
allora perché non farlo? Non mi è mai importato dei commenti di chi valutava la mia scelta in maniera
negativa. Le persone chiacchierano e io le lascio fare. Non ho mai tollerato la frase “Dietro ad un grande
uomo c’è sempre una grande donna”. Sì, è vera, perché grandi uomini del nostro tempo hanno delle mogli
che li supportano e li sopportano. Ma perché dobbiamo restare dietro? Non è meglio la frase “Dietro ad una
grande donna c’è sempre una grande madre”, o no? Io nutro una stima incredibile per mia madre, è a lei che
devo tutto, la mia cultura, il mio carattere, la mia decisione. È lei che mi ha insegnato a lottare per quello che
voglio. Le madri fanno tanto per i figli, ma forse i figli non se ne rendono conto, pensano che l’amore che
ricevono sia scontato. Ma l’amore è sacrificio. Mia madre è un grande manager, lei è la mia figura di
riferimento, non è solo bella, brava e buona, ma è anche umana e nella sua umanità è bellissima. Mia madre
mi manca, mi manca tanto. Quello che abbiamo lei ed io non si riduce al tipico legame tra madre e figlia, ma
è un gioco di ammirazione. “Lei” ha insegnato ad una bambina che ha dei diritti in campo lavorativo e
sociale, che può affermarsi, però questo richiede fatica e dedizione; le ha insegnato ad amare gli uomini per
quello che sono e le ha detto che aveva un grande cuore. La bambina le ha creduto e dopo dieci anni ha
messo in pratica quello che le è stato insegnato.
“Mamma, ma perché mi ha dato un nome così strano?” “Il tuo nome non è strano, è unico, come lo sei tu”
“Perché ti piaceva allora?” “Perché la signora di cui porti il nome era la dea della sapienza, della ragione e
della guerra. Il nome mi piaceva perché la dea era forte, decisa ed intelligente.Per questo ti ho chiamata così”
Mi distesi sul sofà, ero molto stanca. Mi coprii con una coperta e chiusi gli occhi. Mia madre mi aveva dato
un nome con una motivazione precisa. Mia madre mi ha chiamato Athena. Ma io mi chiamo veramente così?
Un nome può dirci chi siamo? Io ero forte come la dea di cui portavo il nome?
Stavo per assopirmi, però avevo la certezza che il tempo avrebbe risposto alle mie domande. Siamo noi che
decidiamo del nostro destino e io lo stavo facendo. Stavo decidendo chi volevo essere. Forse durante il
soggiorno a Venezia avrei fatto l’amore con Richard.
Stavo crescendo, non c’è dubbio. Mia madre mi ha dato tanto, anche il coraggio per affrontare gli ostacoli.
Mi addormentai definitivamente. L’avrei rivista fra pochi giorni. L’idea mi piacque e sorrisi.