Lavandare da Myricae Temporale da

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Lavandare da Myricae Temporale da
10 poesie di Giovanni Pascoli
di Elisa Bianco
Le dieci poesie che ho scelto di G. Pascoli (1855-1912) fanno parte delle raccolte “Myricae” (1891)
e “Canti di Castelvecchio” (1903) e trattano i temi delle piccole cose, degli affetti intimi. Questi,
vengono trattati attraverso piccoli quadri di natura e con un linguaggio spezzato.
Lavandare
da Myricae
In questa poesia il poeta passeggia nella campagna autunnale, tra i campi, ascolta il canto di un gruppo
di lavandaie al lavoro. La poesia nasconde numerosi significati simbolici: il canto triste delle lavandaie
richiama una situazione di abbandono, di solitudine malinconica…
NOTE
“ Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
La metà grigia è quella ancora non arata, quella nera
resta un aratro senza buoi, che pare
quella già arata
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato nella gora viene
lo sciabordare delle lavandaie
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
E dal canale (gora) si sente ritmico (cadenzato), il rumore
dei panni battuti con forza nell’acqua (lo sciabordare),
accompagnato dal canto delle lavandaie
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.”
Le foglie cadono come fiocchi di neve
Abbandonata come l’aratro rimasto in mezzo al campo
ANALISI
Abbiamo una situazione di abbandono, di solitudine: le lavandaie che cantano (lunghe cantilene)
tristemente e…qualcuno che non ritorna. Infatti notiamo che la prima strofa descrive i colori, la seconda i
rumori, e la terza sviluppa il paragone (come sono rimasta! Come l’aratro in mezzo alla maggese”), una
corrispondenza tra l’aratro abbandonato e una di quelle lavandaie, magari abbandonate dai loro
compagni.
Temporale
Myricae
Un bubbolìo lontano…
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare;
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.
da
Questa poesia è una rappresentazione della natura negli attimi che
precedono lo scoppio del temporale. Nel contesto, appare un unico
elemento umano: il casolare, simbolo degli affetti familiari, che appare
comunque succube dalla furia degli elementi.
“…bubbolìo…”: parola onomatopeica che indica il rumore del tuono che si
ode in lontananza.
“…affocato…”: infuocato
“…stracci di nubi…”: nuvole sfilacciate
ANALISI
In questa poesia, costruita su una serie di metafore (es.: “come affocato”, “nero di pece”, “stracci di nubi”),
il temporale non arriva subito. Nel nero s’intravede un casolare…ma che cosa si può vedere esattamente?
Anche un’ala (una!) di gabbiano: è libero, ma non può volare via…potrebbe trattarsi di un desiderio
nascosto del poeta.
1
La poesia “Il lampo” fa parte della raccolta
ultimata da Giovanni Pascoli (1894) dal titolo
“Myricae”. Nella poesia, riferita ad un periodo ben
preciso della vita dell’autore, si nota subito una
descrizione della natura molto cupa: il cielo appare
addirittura tragico, e la terra ansante, come se fosse
in attesa di qualcosa.
Con la luce del lampo una casa appare per un
breve momento, proprio come un battito di ciglia
quasi impercettibile che fa apparire l’occhio per un
breve istante, ritornando subito alla notte nera…
ANALISI:
Tutta la poesia è basata su quell’attimo di luce
inaspettato, il lampo, che di notte squarcia il cielo
(“disfatto”) e scuote la terra (“in sussulto”),
facendo intravedere una casa.
Nelle poesie di Pascoli, la natura si ricollega
sempre a qualcosa di tragico. Il lampo, in questo
caso, è una corrispondenza (o meglio un “flash”)
che rievoca al poeta la morte del padre: paragona
quindi il lampo allo sparo, al colpo di pistola che
lo uccise.
Il
lamp
o
Il lampo è una luce improvvisa e abbagliante
prodotta da scariche elettriche nell’atmosfera.
- “…in sussulto…”, ovvero un movimento
repentino, uno scossone.
“E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera.”
TACITO TUMULTO: un tumulto non
può essere tacito, è una contraddizione
voluta perché, in questo caso, il
silenzio, in realtà, nasconde una finta
tranquillità.
Perché il lampo, il “flash”, gli permette di vedere proprio una casa? Per rispondere a questa domanda, ho provato a pensare
alla casa come nucleo familiare (valore molto importante per Pascoli): con lo sparo/lampo e la morte del padre questo
nucleo si spezza, “l’occhio esterrefatto” si chiude e, svanito il lampo, non è più possibile intravedere la casa, la famiglia
unita…
Il
tuon
o
Anche “Il tuono” fa parte di “Myricae”.
Nella notte oscura, improvvisamente il silenzio
è infranto dal rumore cupo e rimbombante del
tuono, simile a quello della roccia che frana.
Ma nella poesia ci sono anche altri suoni, come
ad esempio il canto di una madre…
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono ripiombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s’udì di madre, e il moto di una culla.
- “E nella notte nera come il nulla…”: la
poesia inizia con un paragone, il nero della notte
è come il nulla, ossia l’ignoto e il misterioso, che
provoca un senso di paura e smarrimento.
- “…rimaneggiò rinfranto…”: risuonò più smorzato, come l’onda del mare che si spezza contro la
riva e ritorna indietro indebolita.
ANALISI: Anche in questo caso, come ne “Il lampo”, abbiamo un fenomeno naturale che trasmette
delle sensazioni al poeta. Il “canto soave” di una madre gli evoca l’amore consolatorio di una
famiglia. Secondo me, se tramite “Il lampo” il poeta subiva una specie di “flash”o “istantanea”, “Il
tuono” sembra invece più inerente a un ricordo vero e proprio.
2
Scalpitio
La poesia “Scalpitio” fa parte della raccolta ultimata da Giovanni Pascoli (1894) dal titolo
“Myricae”. Nella poesia, il senso più sfruttato dal poeta è l’udito: il rumore del “galoppo lontano”
sarà presente e in progressivo aumento fino alla fine della poesia. L’ambientazione invece è un
“deserto arido”, un posto sempre uguale e senza fine dove di vivo troviamo solo il poeta e alcuni
“uccelli smarriti”. Fuggendo via da qualcosa (da qualche “remoto sfacelo”), questi lasciano
solamente le loro ombre, e mentre il ritmo della poesia si accelera, ci si chiede chi stia arrivando al
galoppo…
SCALPITIO
NOTE
Si sente un galoppo lontano
(è la…?)
che viene, che corre nel piano
con tremula rapidità.
“(è la…?)”: incertezza, il poeta non sa da dove
proviene il suono del galoppo.
Un piano deserto, infinito;
tutto ampio, tutt’arido, eguale:
qualche ombra d’uccello smarrito,
che scivola simile a strale:
non altro. Essi fuggono via
da qualche remoto sfacelo;
ma quale, ma dove egli sia,
non sa né la terra né il cielo.
Si sente un galoppo lontano
più forte,
che viene, che corre nel piano:
la Morte! la Morte! la Morte!
Non c’è nessun altro, solo il poeta.
Letteralmente, “strale” significa “freccia”,
“saetta”: credo che il poeta si riferisse alle
ombre che si muovevano (“scivolavano”)
sul piano…
Gli uccelli
Aumenta il rumore del galoppo che sembra
sempre più vicino…
Lontano: questa
parola è presente due
volte nella poesia:
all’inizio e alla fine.
Questo mi fa
pensare…se fosse
solo un’allusione
quella della morte
vicina? Infatti, il
galoppo è lontano
nella prima strofa
proprio come lo è
nella quarta.
Analisi della poesia
In questa poesia, il rumore del galoppo che si sente sempre di più (però non si capisce da dove
provenga …) rappresenta la morte che arriva. Il fatto è che il poeta tratta questo tema attraverso una
specie di filastrocca. Il perché l’abbia fatto non lo so con sicurezza, ma ho provato ad analizzare
questo fatto da un mio punto di vista.
Mi sono chiesta: qual è la tendenza della maggior parte delle persone di fronte alla morte? Di
prenderla alla leggera, sottovalutandola. Ed ecco il punto. Ecco perché Pascoli ha fatto in modo che
“Scalpitio” diventasse una specie di cantilena o filastrocca per bambini, pur parlando dell’ansia che
precede la morte. Per far assumere alla poesia un aspetto IRONICO, per prendere in giro
l’atteggiamento umano del “fare finta di niente” di fronte alla morte.
Ma ovviamente questa è solo una mia ipotesi…
3
La mia sera
da “Canti di Castelvecchio”
NOTE
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'é un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una pioggia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
-Di giorno c’era stato un temporale che si è
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.
- Tra poco si vedranno le stelle
- Penso che il cielo sia “vivo” per
E', quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
-Tempesta che pareva non finire mai
-CANORO per i versi delle rane
O stanco dolore riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.
-Alla fine della giornata, cioè alla sera, si sentono tutte
le fatiche accumulate durante il giorno…
Che voli di rondini intorno!
che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Né io... e che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don... Don... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là voci di tenebra azzurra...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era...
sentivo mia madre... poi nulla...
sul far della sera.
calmato la sera
-Le rane nelle pozzanghere lasciate dal temporale
L’acqua rimasta sulle foglie le fa “tremolare”…
la sua capacità di cambiare,
di regalare sempre paesaggi diversi
-Il temporale è ASPRO e CUPO, mentre la sera è DOLCE
-Nuvole colorate al tramonto
-Sono, secondo me, i reclami dei piccoli di rondine che
verso sera hanno fame: chiamano il papà e la mamma
(che gli stanno procurando il cibo:”…che voli di rondini
intorno!”) dai loro nidi
Il “manifesto” di Pascoli
-canti di culla: NINNE NANNE!
ANALISI
Perché “TENEBRA AZZURRA” è il “manifesto” di Pascoli? Perché queste due parole così diverse
rappresentano il suo modo di rappresentare NON tragicamente,una tragedia.
TENEBRA/PAURA; AZZURRO/TRANQUILLITA’
Le ultime righe (sottolineate) sono molto significative: è come se il poeta, con i rumori della sera, le
campane (Don…Don…), le rondini, sentisse la voce di sua madre mentre cantava una ninna nanna a lui
bambino (“…che fanno ch’io torni com’ero…”).
4
Il gelsomino notturno
da Canti di Castelvecchio
Pare che Pascoli abbia dedicato questa poesia a due suoi amici che si erano appena sposati.
Il tema è una notte del gelsomino notturno, fiore che d’estate si apre di notte e si chiude di giorno.
E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso a' miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape tardiva sussurra
Trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolìo di stelle.
Per tutta la notte si esala
l'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano; s'è spento...
E' l'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti: si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.
I gelsomini si aprono al tramonto/”nell’ora che penso
a’miei cari”
SINESTESIA
Gli uccelli appena nati dormono protetti nei loro nidi
ODORE GELSOMINO/ODORE VINO
Calici aperti: i fiori
Aspetto fanciullesco
Il vento trasporta i vari odori e le persone che Pascoli
osserva, vanno a dormire…
Il fiore sarà stato impollinato: FECONDAZIONE (avvenuta
anche nella casa…)
Parola chiave: “urna”; Pascoli paragona l’urna (dove si depositano le ceneri dei morti) ad una donna gravida e
ribadisce: “non so che felicità nuova”.
PROSPETTIVA = MORTE
BELLISSIMA: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle.”
La costellazione delle Pleiadi è paragonata a una chioccia con il suo “pigolio di stelle”.
5
L’ora di Barga
da Canti di Castelvecchio
Al mio cantuccio donde non sento
se non le reste brusir del grano,
il suon dell'ore viene col vento
dal non veduto borgo montano:
suono che uguale, che blando cade,
come una voce che persuade.
Il poeta si sente protetto dalla natura, il suo “cantuccio”.
A un certo punto il vento porta il suono delle ore, ma il “Don…”
gli sembra una voce che lo vuole convincere a fare qualcosa…
Tu dici, E` l'ora; tu dici, E` tardi,
voce che cadi blanda dal cielo.
Ma un poco ancora lascia che guardi
l'albero, il ragno, l'ape, lo stelo,
cose ch'han molti secoli o un anno
o un ora, e quelle nubi che vanno.
È importante vedere che si sofferma a
guardare i particolari (il ragno, lo stelo…),
proprio con la curiosità di un bambino, o
meglio, di un fanciullino.
Lasciami immoto qui rimanere
fra tanto moto d'ale e di fronde;
e udire il gallo che da un podere
chiama, e da un altro l'altro risponde,
e, quando altrove l'anima é fissa,
gli strilli d'una cincia che rissa.
Tutto si muove intorno a se stesso immobile: vuole solo
guardare.
Allitterazione
E suona ancora l'ora, e mi manda
prima un suo grido di meraviglia
tinnulo, e quindi con la sua blanda
voce di prima parla e consiglia,
e grave grave grave m'incuora:
mi dice, E` tardi; mi dice, E` l'ora.
La giornata stà per finire e il campanile inizia a parlare
con Pascoli, cerca di convincerlo a ritornare…
Tu vuoi che pensi dunque al ritorno,
voce che cadi blanda dal cielo!
Ma bello è questo poco di giorno
che mi traluce come da un velo!
Lo so ch'è l'ora, lo so ch'è tardi;
ma un poco ancora lascia che guardi.
Dice: sono belli questi ultimi momenti in cui la luce
arriva come un velo.
Lascia che guardi dentro il mio cuore,
lascia ch'io viva del mio passato;
se c'è sul bronco sempre quel fiore,
s'io trovi un bacio che non ho dato!
Nel mio cantuccio d'ombra romita
lascia ch'io pianga su la mia vita!
Vorrebbe provare a rivivere in qualche modo delle
emozioni passate o scoprire di avere qualche rimpianto.
Il poeta è triste.
E suona ancora l'ora, e mi squilla
due volte un grido quasi di cruccio,
e poi, tornata blanda e tranquilla,
mi persuade nel mio cantuccio:
è tardi! è l'ora! Sì!, ritorniamo
dove son quelli ch'amano ed amo.
Alla fine, l’ora lo convince e lui può fare ritorno a…casa?
In realtà, è come se Pascoli andasse al cimitero perché così può raggiungere i suoi cari (“ritorniamo
dove son quelli ch’amano ed amo): stava dialogando con la Morte (campanile).
Si tratta di una vera e propria poesia sulla solitudine.
Quindi, c’è un contrasto tra il desiderio intimo di evadere, e quello di ritornare alla realtà.
6
Nebbia
da Canti di Castelvecchio
“Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!
Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valeriane.
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!
Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane…
Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch’io veda il cipresso
là solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.”
NOTE
La nebbia appare al poeta come un fumo che scaturisce
sul far del mattino e sembra venire dai lampi della notte e
da crolli e da frane avvenuti nel cielo notturno (aeree).
- rampolli: sgorghi, fluisci
- quello ch’è morto: quei morti che tormentano il mio
passato
-valeriane: pianta medicinale che produce un effetto
tranquillante
- peschi…meli: insieme con la siepe, l’orto, il muro,
sono le piccole cose concrete a cui Pascoli si aggrappa
per opporsi al dolore del ricordo
- che vada: che ritorni a esse col pensiero, soffrendo di
nuovo
- involale…cuore: sottraile agli slanci del mio cuore
ANALISI
In questa poesia, il poeta chiede alla nebbia, che nasconde le cose lontane nello spazio, di nascondergli
anche le cose lontane nel tempo, in modo che davanti ai suoi occhi rimangano solo immagini rassicuranti
di un mondo presente: la siepe dell’orto, i peschi e i meli, il cane che sonnecchia.
Tutta la poesia è costruita sul contrasto tra il passato e il presente. La nebbia è il riparo che impedisce lo
sguardo sull’ignoto oltre la siepe; le cose lontane sono il mistero della vita, quelle vicine la sicurezza a
cui afferrarsi per sopportare i dolori.
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X AGOSTO
da Myricae
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.
NOTE
- arde e cade: s’incendia e precipita dal cielo(allude al
fenomeno delle stelle cadenti)
-perché…sfavilla: perché un così grande pianto
risplende nella volta celeste
- spini: rovi spinosi
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
- come in croce: con le ali aperte come se fosse
inchiodata su una croce
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero;disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…
- un uomo: è il padre del poeta
- al suo nido: alla sua casa
- restò…grido: il poeta qui vuole dire che la morte
improvvisa non ha lasciato al padre neppure in tempo
di emettere un grido
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo dall’alto dei mondi
Sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!
- addita: mostra, indica
- Oh! d’un pianto…Male: il poeta si rivolge al Cielo
affinché inondi di un pianto di luce (stelle) la terra
(atomo) oscura (opaco) perché è il regno del Male
In questa poesia, Pascoli rievoca l’uccisione del padre avvenuta il 10 Agosto 1867, nel giorno di
San Lorenzo. Il tragico evento suggerisce al poeta l’interpretazione del fenomeno delle stelle
cadenti, particolarmente evidente nella notte di San Lorenzo: le stelle cadenti altro non sono che le
lacrime del cielo per la malvagità che regna sulla terra.
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