Syd Barrett e la sindrome di Asperger. La tesi nel

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Syd Barrett e la sindrome di Asperger. La tesi nel
Syd Barrett e la sindrome di
Asperger. La tesi nel libro
di Mario Campanella
A dieci anni dalla morte del “diamante pazzo” Syd Barrett, il
geniale chitarrista fondatore dei Pink Floyd, una nuova
biografia a lui dedicata firmata dal giornalista scientifico
Mario Campanella. Barrett con il tocco della sua creatività
rendeva graffiante e unico il sound della band britannica. Già
a 14 anni la sua passione per la musica era forte al punto
da condurlo a fondare un gruppo con i suoi amici Roger Waters
e Bob Klose, i Pink Floyd Sound che solo in seguito, con
l’aggiunta di Nick Mason e Richard Wright al posto di Klose
diventeranno nel 1965 i Pink Floyd. Un nome legato ai suoi
bluesmen preferiti, Pink Anderson e Floyd Council, oppure come
sostenne, un nome suggerito da alieni. Lo stato di salute di
Barrett cominciò a peggiorare nel tempo a causa di gravi
problemi mentali e per l’abuso di droghe. Decise di
abbandonare la sua band. Toccò a David Gilmour sostituirlo,
mentre lui tentò una carriera da solista, una corsa in
solitaria verso il baratro. Nel 1975 i Pink Floyd pubblicarono
l’album Wish You Were Here, dedicato a Barrett, con la perla
Shine On You Crazy Diamond. Barrett si presentò negli studi
dei Pink Floyd con aria sfatta, senza sopracciglie, obeso,
brandendo uno spazzolino da denti, tanto irriconoscibile che
nemmeno i suoi ex compagni si accorsero della sua presenza.
Gilmour capì dopo tempo che era lui e si sciolse incredulo in
un pianto. Al termine dell’insolita visita scomparve nel
nulla, così come era venuto. In passato ad essere considerata
causa principale dei suoi mali fu una presunta schizofrenia di
cui sarebbe stato affetto. Solo recentemente è emerso che in
realtà “Syd Diamond” soffrisse della sindrome di Asperger,
così come rivela il libro di Campanella, attraverso documenti
e testimonianze inedite sul genio folle del rock. Ne abbiamo
parlato con l’autore.
Com’è nata l’idea di scrivere un libro su Syd Barrett?
Syd Barrett è sempre stato uno dei miei miti adolescenziali,
diciamo il secondo dopo Maradona . La sua personalità mi
affascinava e cercavo, parliamo di fine anni ottanta, notizie
che erano difficili da reperire.
Nel suo libro sono riportate testimonianze inedite di amici e
parenti di Barrett, con un’analisi accurata della sua
personalità. Quanto è durato il suo lavoro di ricerca prima e
di scrittura del libro?
L’anno scorso ho scritto una pubblicazione scientifica per
Giovanni Fioriti sull’argomento tradotta anche in russo e
riportata da Wikipedia. Quando Vincenzo Martorella, direttore
editoriale di Arcana, mi ha proposto di farne un libro mi è
sembrato naturale. Ho lavorato circa un anno per raccogliere
testimonianze, interviste, fonti.
Nel suo libro sostiene che Barrett, ritenuto schizofrenico,
avesse in realtà una forma ad alto funzionamento della
sindrome di Asperger, aggravata da abusi di droga. Puo’
spiegarci come è arrivato a tale conclusione?
Syd Barrett non era schizofrenico. Assolutamente. Lo hanno
detto i medici che lo visitarono all’epoca. Le sue
manifestazioni patologiche furono causate da un uso di LSD e
Mandrax senza precedenti. Arrivava a consumare l’equivalente
di 250 dosi attuali e questo lo ha fatto per tre anni. Quella
droga ha mangiato i suoi neuroni. L’Asperger era una forma di
spettro autistico che aveva , e lo si nota dai suoi
comportamenti, e che non gli avrebbe dato alcun fastidio senza
le droghe. Ancora oggi c’è una forte ignoranza sull’autismo.
Intanto, non è una psicosi. Poi, ci sono diverse sue forme
compatibili con la normalità. Pensi che, per quanto riguarda
l’Asperger, pare che ce l’abbiano due grandissimi americani
del settore informatico e social e il Presidente della più
importante nazione europea.
Lei è membro del Comitato Scientifico della Fondazione BRF
Onlus- Istituto per la Ricerca Scientifica in Psichiatria e
Neuroscienze che ha tra le sue finalità quella di migliorare e
approfondire la conoscenza delle neuroscienze ed avere una
maggiore consapevolezza sulle malattie mentali. Crede che
questo libro possa aiutare tale consapevolezza?
Brf è nata grazie a due grandi scienziati italiani, Armando
Piccinni e Donatella Marazziti, e ha al suo interno grandi
nomi delle neuroscienze. Brf fa ricerca sulle nuove frontiere
delle neuroscienze, dal rapporto intestino cervello alle
ripercussioni autoimmunitarie e infettive. Forse questo libro
non ha attinenza con Brf ma è importante divulgare le sue
attività .
Esiste, secondo lei, una relazione tra la follia e la
genialità?
Guardi, credo sia un falso mito. Van Gogh era epilettico,
Trabucchi sosteneva che Dino Campana fosse sifilitico, così
come sappiamo che lo era Nietzsche. Avevano malattie fisiche
che si riflessero sul cervello ma la loro genialità dipendeva
da altro.
Secondo lei allora cos’è la genialità? La si puo’ spiegare
scientificamente?
La genialità è attivata da alcuni processi neuronali secondo
gli studi dei grandi neuropsicologi. Già Lurja fece esprimenti
in tal senso. Preferisco, da profano, pensare che la vena
artistica sia presente in ognuno di noi , anche se (per fare
un esempio) le allucinazioni epilettiche furono determinanti
per aprire la mente di De Chirico o per suggerire grandi trame
a Dostoevskij.
di Anna Esposito
Mario Campanella, Syd Diamond. Un genio chiamato Barrett,
Arcana Edizioni-Lit Edizioni, 2016, pagg.190, Euro 16,50
Gabriele
Lavia
e
Rita
Marcotulli
lunedi
16
al
Vascello di Roma
Gabriele Lavia legge Il sogno di un uomo ridicolo di Fedor
Michajlovic Dostoevskij, accompagnato da Rita Marcotulli
pianista italiana tra le più apprezzate a livello
internazionale.
Chi è l’uomo ridicolo? E’ un uomo del sottosuolo, ma a
differenza degli altri questo uomo ha scoperto il segreto
della bellezza e della felicità, il segreto per rimettere
tutto a posto. Ama gli altri come te stesso. E appunto
nell’assurda proposta d’amore per il prossimo si trova tutta
la sua ridicolaggine. Ma, attenzione, questo uomo ridicolo è
consapevole dell’impossibilità di riuscita del suo progetto,
eppure nel raccontare, nel predicare la vecchia verità trova
il senso più profondo e l’unico scopo possibile della vita:
mostrare la via di salvezza agli uomini pur sapendo che non vi
è possibilità di riuscita e di vittoria. Dunque non c’è altra
opportunità che raccontare, raccontare e ancora raccontare.
lunedì 16 maggio ore 21
una produzione La Fabbrica
Culturale Controchiave
dell’Attore
e
http://teatrovascello.it/2011/schede/doppio16.htm
Biglietti: euro 20,00 intero, 15,00 ridotto
Associazione
Dostoevskij, la leggenda del
Grande Inquisitore
Di Mariano Colla
La leggenda del “Grande Inquisitore”, capitolo del romanzo “I
fratelli Karamazoff” di F. Dostoevskij, sembra riproporre, con
sorprendente attualità, l’irrisolto rapporto tra idealismo e
realismo. Gustavo Zagrebelsky, in una recente conferenza
tenuta all’Accademia dei
Lincei, ne traccia una nuova
esegesi, evidenziando le tensioni che il racconto fa emergere
fra i simboli della fede e del potere. Il Cristo e il Grande
Inquisitore a confronto, un dialogo forse improponibile, in
realtà un monologo dell’Inquisitore in cui egli afferma la sua
visione del mondo e i valori guida dell’umanità, finalmente
affrancata, in tale visione, da inquietudini e ansie
esistenziali.
Ritratto di Innocenzo
X, Francis Bacon
Due simboli salvifici a confronto, ognuno con sulle spalle il
peso della salvezza dell’umanità, il Cristo per renderla
libera e l’Inquisitore per renderla schiava. Ma ciò che pone
il suggello al presunto contraddittorio tra i due personaggi,
dove chi parla è l’Inquisitore, mentre il Cristo è
tremendamente silenzioso, è il bacio finale. In quel bacio del
Cristo all’Inquisitore si manifesta la profondità e la poesia
dell’opera di Dostoevskij. Con quel bacio si apre un dilemma
aperto a più interpretazioni.
Il bacio del Cristo provoca nel vecchio un fremito, la
percezione di un atto inatteso che irrompe, con la sua
dolcezza , nella fredda corporeità dell’Inquisitore. Il
sentimento, anche se brevemente, fa capolino nella gelida
razionalità dell’uomo che, con metodo, cinismo e logica
freddezza, cerca di contrastare il messaggio evangelico del
Cristo. Ma anche l’Inquisitore, dietro al fremito di quel
bacio, fa
emergere la fragilità
umana, l’impossibilità,
anche nei momenti più estremi, di bandire totalmente il
sentimento dalla propria natura. Il cuore del vecchio
Inquisitore, di fronte a un puro atto d’amore, un bacio non
strumentalizzato, fa sentire la sua voce e apre la porta a uno
scenario imprevedibile, non deterministico, luogo di
riconciliazione, di recupero di un sentimento mai morto, di un
dubbio. Un bacio non tanto da intendere, sostiene Zagrebelsky,
come rivincita del religioso sul dogmatico, ma atto umano,
semplice e concreto, che riafferma la luce del bene sulle
tenebre,
della libertà sull’oppressione. L’effetto,
imprevedibile, sull’Inquisitore è tale da fargli convertire
la condanna al rogo, già pronunciata nei confronti del Cristo,
in un perentorio invito a non tornare mai più, per non
sovvertire l’ordine che la gerarchia ha stabilito per
governare e controllare l’uomo secondo la “ragion del volgo” e
non la “ragion di fede”.
Il monologo si svolge nelle cupe prigioni dell’arcivescovado
di Siviglia, nella plumbea atmosfera di quel tragico e
infausto periodo del cristianesimo. L’Inquisitore, nel suo
ruolo salvifico, cela, dietro una immagine esangue, quasi a
competere con le sofferenze del Cristo, la fredda
determinazione dell’uomo di potere. Cristo, pur riconosciuto
dal vecchio uomo di Chiesa, viene sottoposto, 1500 anni dopo,
a un nuovo processo
e condannato,
perché l’amore e la
libertà non sono di questa terra. Ragioni che, in estrema
sintesi, ripropongono il contrasto e la lotta perenne tra
libertà e autoritarismo. Cristo è l’eponimo della libertà.
Tentato, nel deserto, da Satana che gli offre la ricetta del
governo degli uomini, fatta dal pane, dal mistero e dal potere
politico, egli rifiuta, affermando la sua indipendenza dai
mali che costringono l’uomo in schiavitù, privilegiando una
diversa scala di valori etici e morali. Con questo atto il
Cristo propone la libertà e scardina la dipendenza che priva
l’uomo di un dono inestimabile per affermare la propria
individualità e dignità. Ed è qui che l’Inquisitore gli dice
“tu hai voluto essere adorato in libertà dello spirito e non
sulla base della coartazione dell’animo degli uomini.
Richiamando gli uomini alla libertà tu li hai sottoposti a una
peso che non vogliono sopportare, perché l’uomo preferisce
essere guidato, piuttosto che essere autonomo nell’ orientare
la sua esistenza e, vedrai che nel nome del pane, del mistero,
e del potere, l’uomo seguirà noi e non te ”.
L’ordine del mondo è troppo prezioso per metterlo a rischio
con il ritorno delle parole del Cristo. In questa affermazione
l’Inquisitore abbraccia un ruolo apparentemente benigno,
perché, valorizzando la precedente ricetta, salva l’uomo dal
pericolo ma, nel contempo, lo priva della libertà. “L’umanità
va gestita come un gregge e noi questo lo sappiamo fare e tu
non puoi disturbare questo nostro progetto. La tua possibilità
l’hai avuta ora tocca a noi”, sostiene l’Inquisitore.
Cosa aspettarsi di fronte a tali affermazioni? Dostoevskij
privilegia un gesto, che, semmai, avrebbe potuto essere
violento, affermativo della autorità del Cristo, ma una tale
scelta avrebbe contraddetto la legge della libertà contro la
legge della necessità rappresentata dall’Inquisitore e,
quindi, lo scrittore propone un gesto d’amore. Ma il bacio può
essere considerato come un gesto di connivenza o di convivenza
tra i due attori, quasi un accordo tra il bene e il male, tra
libertà e autoritarismo? L’interpretazione dicotomica del
dialogo, che impone al lettore la decisione di schierarsi o
con il Cristo o con l’Inquisitore, sembrerebbe favorire una
interpretazione non basata sul bacio come mediazione, come
compromesso.
Dostoevskij da che parte sta? Non è chiaro. E’ come se la
interpretazione della leggenda sulla libertà fosse lasciata
alla libertà. E questa libertà riguarda ognuno di noi, ieri
come oggi. Nella leggenda vi si legge una condanna del corpo
secolare della Chiesa, costantemente compromesso con il potere
e l’autoritarismo, spacciati a fin di bene, dell’uso politico
della religione e della fede in Cristo come l’unica via per
giungere alla verità, con l’esclusione della altre fedi per
salvarsi dalla logica del nichilismo. Ma nella rinuncia
dell’uomo alla libertà, Dostoevskij ci fa anche intuire come
le cause del nichilismo siano non tanto una conseguenza del
cristianesimo ma, in qualche modo, contenute nel cristianesimo
stesso, il quale sposta i valori nella metafisica,
abbandonando il mondo a se stesso, separando, appunto, il
senso dal mondo.
Dostoevskij vive nel periodo in cui nella filosofia si afferma
l’esistenzialismo di Kierkegaard, Shopenhauer e Nietzsche.
Essi affermano il principio della individualità dell’uomo. La
ragione dialettica hegeliana è accusata di totalitarismo,
perché non dà conto di tale individualità, della filosofia
della vita. Peraltro lo stesso Dostoevskij ne “I fratelli
Karamazoff” afferma: “ il segreto dell’uomo non consiste nel
sopravvivere ma nell’avere qualche cosa per cui valga la pena
di vivere”. In tale ottica il bacio può essere il segno di un
rapporto e di una comunicazione, l’invito al recupero di una
propria sensibilità, di una propria interiorità. Afferma
Zagrebelsky che se noi concediamo al Cristo il mondo
dell’ideale e a quello dell’Inquisitore il mondo del reale,
questi due mondi possono essere messi in tensione senza essere
reciprocamente
distruttivi,
come
invece
sosteneva
l’Inquisitore che temeva il ruolo distruttivo dell’ideale.
Potrebbe esserci quindi una tensione teologica generata dal
bacio che, secondo la interpretazione di Bonhoeffer, genera un
rapporto tra le cose ultime di Dio e le penultime dell’uomo.
In sostanza il Cristo ognuno se lo deve dare secondo la sua
libertà morale, o come fede umana o come fede religiosa, ed è
questo un messaggio che manifesta tutta la sua attualità in un
periodo di forte contrasto tra presunto relativismo e
incombente dogmatismo.
Ecologia del vivere: “La
bellezza salverà il mondo”
Di Stefania Taruffi
La frase, tratta da L’Idiota, del grande romanziere russo F.
Dostoevskij, vede protagonista un essere assolutamente buono,
il principe Myskin, alle prese con un mondo invece
completamente malvagio. La missione di questo eroe atipico
sarà appunto quella d’instillare il seme della bellezza, di
cui lui è portatore, in un contesto di assoluta desolazione
spirituale. Missione che lui stesso fallirà inesorabilmente;
La bellezza domina questo capolavoro, dalla prima all’ultima
riga, aleggiandovi ed esercitando sui lettori un’irresistibile
fascinazione. Bellezza che, in altri termini, non può che
essere di derivazione platonica. Infatti, sia Platone sia
Dostoevskij, non credevano in questo mondo, preda della
bruttezza, bensì non smisero mai di credere nell’oltre mondo
della bellezza – intesa come fuoriuscita da un mondo
inferiore.
Mai come oggi occorre soffermarsi ancora sul concetto di
Bellezza. Forse perché assistiamo malinconicamente al suo
declino, osservando le tante cose brutte che incontriamo ogni
giorno sulla nostra strada.
Da secoli filosofi e intellettuali hanno cercato di
descriverla, artisti di raffigurarla, comuni mortali di
perseguirne l’ideale e di goderne. Perché lei, nonostante
tutto, è sempre esistita ed esiste ancora. E ci fa stare bene
solo a guardarla. La troviamo nella natura, nelle opere
d’arte, nelle emozioni, nel corpo, nell’anima, nei pensieri,
nelle azioni, nelle parole, nei gesti e nelle cose. E’ ovunque
come la Bruttezza, a contendersi con questa il destino del
mondo: Bene o Male, Salvezza o Distruzione. Ne deriva quindi
anche un’eticità del Bello (Platone docet), perché le cose
Belle devono essere anche Buone e piene di qualità e il loro
effetto, sono il Bene. Sì, perché fin dalle origini della
nostra civiltà l’energia creativa della bellezza è stata il
motore dell’esistenza umana, ha suscitato desideri e passioni,
sollecitato azioni e pensieri positivi. Perché la Bellezza è
armonia. La stessa armonia insita nella natura, che incarna la
bellezza più grande che sia stata mai creata e che tutti
cercano di devastare senza riuscirci: la bellezza della
natura, che è superiore al male. Ciò che più mi spaventa, sono
i miti alimentati da una parte dell’umanità, che stanno
devastando il Bello e il Bene: la brama di potere, la corsa al
denaro, la bellezza esteriore, il possesso, che altro non
producono che avidità, corruzione, livellamento della qualità
verso il basso, mancanza di meritocrazia, superficialità e
ingiustizia.
Gli ‘esteti’, seguaci di un’etica del vivere sana, armoniosa
e positiva spesso perdono le loro piccole battaglie. E si
scoraggiano osservando inermi la vittoria della Bruttezza e
del Male. Tuttavia essi risorgono sempre dalle loro ceneri,
come la fenice. Perché le sentinelle della Bellezza hanno
l’energia inesauribile prodotta dalla stessa fonte che
proteggono e non sono mai sole: la forza del Bello e del Bene
risiede nella solidarietà, nella condivisione, nello spirito
di gruppo, nella generosità, nella passione, nell’amore, nella
speranza, nell’onestà intellettuale, nelle piccole opere
quotidiane, nel perdono, fonti potentissime che sprigionano
energia creativa e propulsiva e da sempre salvaguardano il
mondo.