D) Rilevabilità del difetto di giurisdizione nei confronti dei giudici

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D) Rilevabilità del difetto di giurisdizione nei confronti dei giudici
CAPITOLO IV – IL GIUDICE E I SUOI AUSILIARI
D) Rilevabilità del difetto di giurisdizione nei confronti dei giudici speciali e della
pubblica amministrazione
Diversamente da quanto si è visto in ordine alla rilevabilità del difetto di giurisdizione
italiana nei confronti dei giudici stranieri (cfr. par. precedente), la disciplina della
rilevabilità del difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti dei giudici
speciali o della pubblica amministrazione è ispirata al criterio dell’inderogabilità.
Pertanto, da un lato non è consentito alle parti di derogare convenzionalmente ai
criteri legali di attribuzione della giurisdizione; dall’altro lato, ai sensi dell’art. 37,
primo comma, c.p.c., il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in
qualunque stato e grado del processo”.
Questa regola, peraltro, deve essere coordinata con il principio del giudicato, che non
consente (c.d. giudicato interno v., Infra, Parte II, Cap. III, Sez. I, Par. 2) di rimettere in
discussione nei successivi gradi di giudizio questioni già decise nei gradi precedenti
che non abbiano formato oggetto di specifica impugnazione.
La giurisprudenza di legittimità, anzi, tende ad interpretare in senso restrittivo l’art.
37, primo comma, c.p.c., attribuendo rilevanza ostativa anche al giudicato
meramente implicito.
Pertanto, ferma la rilevabilità del difetto di giurisdizione durante tutto il giudizio di
primo grado, dopo l’emissione della sentenza di merito la questione di giurisdizione
può essere esaminata solo se la pronuncia, anche implicita, su di essa abbia formato
oggetto di gravame.
I. GIURISPRUDENZA: Rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione e limite del giudicato
interno, anche di carattere implicito
Secondo l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, l’interpretazione
dell’art. 37 c.p.c. deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del
processo, nonché della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di
competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità
statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la
realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli.
Alla luce di tali criteri interpretativi, l’ambito applicativo della disposizione in esame si delinea in
senso restrittivo e residuale, conseguendone che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito
dalle parti fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di
primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di
appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il
giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4)
il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia
formato il giudicato esplicito o implicito.
In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia
stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che
implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato
quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti
che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta
infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non
rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito
rispetto a quelle di merito (Cass. civ., Sez. Un., 11 aprile 2012, n. 5704; Cass. civ., Sez. Un., 28
gennaio 2011, n. 2067; Cass. civ., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883).
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PARTE I – PRINCIPI E DISPOSIZIONI GENERALI
3. Le questioni di giurisdizione. La translatio judicii e la perpetuatio
iurisdictionis.
In seguito al rilievo – officioso o su eccezione di parte – del difetto di
giurisdizione, sorge la questione di giurisdizione, e cioè la questione se il potere
di conoscere la causa spetti al giudice ordinario adìto o al giudice (straniero o
speciale) indicato dall’eccipiente o, ancora, se nel caso di specie venga in
considerazione, non già un potere di natura giurisdizionale, ma piuttosto un
potere discrezionale della pubblica amministrazione.
La questione di giurisdizione, analogamente a quella di competenza, costituisce
una questione pregiudiziale di rito e dunque, sotto il profilo logico, deve essere
affrontata e risolta prima delle questioni preliminari di merito (ad es. l’eccezione
di prescrizione) e del merito in senso proprio.
Dal punto di vista cronologico, invece, la priorità o meno della decisione sulla
questione di giurisdizione è rimessa alla discrezionalità del giudice:
precisamente, il giudice può decidere la questione di giurisdizione prima e
separatamente dal merito quando la decisione può definire il giudizio (dando
così luogo ad una sentenza definitiva o non definitiva a seconda che neghi o
affermi la propria giurisdizione, impartendo, in quest’ultimo caso, i
provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa), ma può anche disporre che
la questione di giurisdizione sia decisa unitamente al merito (art. 187, secondo e
terzo comma, c.p.c.; art. 279, secondo comma, nn. 1 e 4, c.p.c.).
La decisione sulla questione di giurisdizione – sia che si tratti di decisione
separata da quella sul merito e contenuta in una sentenza definitiva o non
definitiva, sia che si tratti di decisione (anche implicita) contenuta nella sentenza
definitiva di merito – può formare oggetto di autonoma impugnativa, e dunque
dapprima di appello e successivamente di ricorso per cassazione.
La Corte di Cassazione decide, quale giudice di ultima istanza, le questioni di
giurisdizione, non solo in seguito a ricorso proposto avverso le sentenze pronunciate
in grado di appello o in unico grado dai giudici ordinari (art. 360, n. 1, c.p.c.), ma
anche in seguito a ricorso proposto avverso le decisioni in grado di appello o in unico
grado dei giudici speciali (art. 362, primo comma, c.p.c.).
Con ricorso per cassazione, inoltre, possono essere denunciati in ogni tempo i
conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra i giudici speciali o tra questi e i giudici
ordinari, nonché i conflitti negativi di attribuzione tra la pubblica amministrazione e il
giudice ordinario (art. 362, secondo comma, c.p.c.).
„ La possibilità di ricorrere per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di
Stato e della Corte dei Conti per motivi attinenti alla giurisdizione, del resto, è
prevista dalla stessa Costituzione (art. 111, ultimo comma, Cost.).
La Corte di Cassazione, pertanto, non è soltanto il supremo giudice ordinario, ma,
conformemente al disegno costituzionale, in quanto titolare del potere di decidere in
ultima istanza sulle questioni di giurisdizione, è l’organo di raccordo dell’intero ordine
giurisdizionale.
„ Sulle questioni di giurisdizione la Corte di Cassazione decide, di norma, a Sezioni
Unite. Tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio
di Stato e della Corte dei Conti, il ricorso può essere assegnato alle sezioni
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semplici se sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le
sezioni unite (art. 374, primo comma, c.p.c.).
In sede di decisione delle questioni di giurisdizione assumono particolare rilevanza –
rispettivamente, sotto il profilo processuale e sotto il profilo sostanziale – due istituti:
la translatio judicii e la perpetuatio iurisdictionis.
La translatio judicii costituisce un meccanismo processuale destinato ad
operare nell’ipotesi in cui venga riscontrato il difetto di giurisdizione, al fine di
consentire la proseguibilità del giudizio nel passaggio dal giudice che ha negato
la propria giurisdizione al giudice indicato come munito di giurisdizione. Nel
sistema del codice di procedura civile un simile meccanismo era previsto
soltanto per la competenza (v., Infra, Sez. II), per modo che, nell’ipotesi di
sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione, il giudizio avrebbe dovuto
essere iniziato ex novo dinanzi ad un giudice diverso, restando la parte esposta
al pericolo della maturazione dei termini di prescrizione e di decadenza. La
lacuna è stata colmata dall’art. 59 della l. n. 69/2009, che, pur non
intervenendo direttamente sul codice di procedura civile, integra la disciplina
codicistica della decisione delle questioni di giurisdizione, stabilendo che: 1) il
giudice che dichiara il proprio difetto di giurisdizione ha l’obbligo di indicare il
giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione, ove esistente; 2) la
pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è
vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo (c.d. efficacia
panprocessuale); 3) se, nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in
giudicato della sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione, la causa è
riassunta dinanzi al giudice ivi indicato, sono fatti salvi gli effetti sostanziali e
processuali della precedente domanda, ferme restando le preclusioni e le
decadenze intervenute prima della domanda medesima; 4) il giudice davanti al
quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, fino alla prima
udienza fissata per la trattazione del merito, la questione di giurisdizione davanti
alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sempre che queste non si siano già
pronunciate; 5) l’inosservanza del termine perentorio per la riassunzione
determina l’estinzione del processo ed impedisce la conservazione degli effetti
sostanziali e processuali della domanda; 6) in ogni caso di riproposizione della
domanda davanti al giudice munito di giurisdizione, le prove precedentemente
raccolte possono essere valutate come argomenti di prova. Va, infine,
evidenziato che il meccanismo della translatio judicii va incontro ad una
disciplina particolare nell’ipotesi in cui il difetto di giurisdizione venga rilevato dal
giudice amministrativo o in favore di esso: in questa ipotesi, infatti, non trova
applicazione la regola generale dettata dall’esaminato art. 59 della l. n.
69/2009 ma la regola speciale dettata dall’art. 11 d.lgs. n. 104/2010 (Codice
del processo amministrativo).
La perpetuatio iurisdictionis costituisce un criterio sostanziale di decisione delle
questioni di giurisdizione, dando fondamento alla regola secondo la quale la
giurisdizione, al pari, come si vedrà (cfr., Infra, Sez. II), della competenza, si
determina con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al
momento della proposizione della domanda, non assumendo rilevanza, rispetto
ad essa, gli eventuali mutamenti sopravvenuti dello stato di diritto o dello stato
di fatto (art. 5 c.p.c.).
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PARTE I – PRINCIPI E DISPOSIZIONI GENERALI
II. GIURISPRUDENZA: Perpetuatio iurisdictionis e limiti all’irrilevanza dello ius superveniens e
dei mutamenti sopravvenuti dello stato di fatto
Secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord.16 luglio 2010, n. 16667 e,
precedentemente, tra le tante, Cass. civ., Sez. Un., Ord.13 settembre 2005, n. 18126), poiché la
regola di cui all’art. 5 c.p.c. trova fondamento proprio nell’esigenza di favorire, non già di impedire,
la c.d. perpetuatio iurisdictionis, essa non può essere interpretata nel senso che i mutamenti della
legge successivi alla domanda siano sempre irrilevanti.
Precisamente, ai fini della determinazione della giurisdizione come anche della competenza, lo ius
superveniens assume rilievo esclusivamente nell’ipotesi in cui attribuisca la giurisdizione al giudice
adìto (nel qual caso il giudice, sebbene non munito di giurisdizione al momento della domanda,
deve trattenere ugualmente la causa), mentre non assume alcun rilievo nell’ipotesi in cui privi della
giurisdizione il giudice adìto, nel qual caso il giudice, sebbene abbia perduto la giurisdizione in un
momento successivo alla domanda, deve trattenere la causa in quanto era munito di giurisdizione
al momento della domanda.
4. Il regolamento di giurisdizione.
Come si è veduto, l’ultima parola sulle questioni di giurisdizione spetta alla Corte di
Cassazione, dinanzi alla quale possono essere impugnate, per motivi attinenti alla
giurisdizione, le decisioni rese in grado di appello o in unico grado sia dai giudici
ordinari che dai giudici speciali.
Questa regola, se da un lato appare la necessaria implicazione del riconoscimento
alla Cassazione del ruolo di organo supremo di raccordo dell’intero ordine
giurisdizionale, in piena conformità al disegno costituzionale (art. 111 Cost.),
dall’altro lato non è sempre compatibile con le esigenze di economia processuale, in
quanto, specialmente nelle ipotesi di decisione negativa volta a capovolgere quella, di
segno opposto, emessa, unitamente al merito, dai giudici di primo grado e di appello,
comporta la sopravvenuta inutilità dell’intera attività processuale medio tempore
compiuta e di tutta l’attività istruttoria, che dovrà essere espletata ex novo dinanzi al
giudice fornito della potestas judicandi.
Al fine di scongiurare questa negativa eventualità, l’ordinamento predispone un
istituto che consente di adire preventivamente le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, ottenendo l’immediata decisione della questione di giurisdizione senza
dovere attendere la pronuncia del giudice del merito.
Questo istituto è il regolamento di giurisdizione, previsto dall’art. 41 c.p.c., la cui
disciplina andremo ora ad esaminare, sotto il profilo dei presupposti, delle forme e
degli effetti.
Si menzionerà, infine, il regolamento di giurisdizione proposto dalla pubblica
amministrazione che non è parte in causa.
a) I presupposti. Ai sensi dell’art. 41, primo comma, c.p.c. “finché la causa non sia
decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alla Sezioni unite
della Corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui
all’articolo 37”. Avuto riguardo alla summenzionata funzione dell’istituto, la
legge prevede, dunque, che esso possa essere utilizzato solo finché non sia
intervenuta una decisione di merito. Tale presupposto è interpretato dalla
giurisprudenza di legittimità in senso estensivo, in quanto si ritiene preclusiva
dell’ammissibilità del regolamento di giurisdizione non solo l’emissione di una
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decisione di merito ma anche l’emissione di una decisione di rito,
eventualmente sulla stessa giurisdizione. Diversamente dal regolamento di
competenza (che, come si vedrà, costituisce un mezzo di impugnazione), il
regolamento di giurisdizione, pertanto, non solo non ha carattere impugnatorio
ma non tollera l’emissione di alcuna precedente pronuncia, né sulla
giurisdizione né sul merito, essendo deputato alla risoluzione in via preventiva
delle questioni di giurisdizione. Si chiariscono, dunque, i rapporti del
regolamento di giurisdizione con l’appello e con il nuovo istituto della translatio
judicii sopra esaminato, evidenziandosi, in relazione al primo, l’impossibilità del
concorso tra l’appello e il regolamento di giurisdizione e, in relazione al secondo,
l’impossibilità del concorso tra il regolamento e la prosecuzione del giudizio
davanti al giudice indicato come munito di giurisdizione, in quanto tanto l’appello
quanto la translatio presuppongono una pronuncia sulla giurisdizione impeditiva
della proposizione del regolamento.
b) Le forme. L’art. 41, primo comma, c.p.c. prevede che “l’istanza si propone con
ricorso a norma degli articoli 364 e seguenti.”. Si applicano, dunque, le normali
forme del giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale decide a Sezioni
Unite, con ordinanza in camera di consiglio (art. 375, n. 4, c.p.c., come sostituito
dalla l. n. 89/2001).
c) Gli effetti. La proposizione dell’istanza di giurisdizione non introduce un nuovo
grado di giudizio ma, conformemente al veduto carattere non impugnatorio
dell’istituto, apre soltanto una parentesi nel giudizio di primo grado, parentesi
destinata a chiudersi con l’ordinanza delle Sezioni Unite con cui viene decisa la
questione di giurisdizione. La relativa pronuncia, benché contenuta
nell’ordinanza, integra la sentenza di primo grado anche se questa parte della
sentenza non è impugnabile (MANDRIOLI).
Più analiticamente, poiché, ai sensi del più volte citato art. 41, primo comma,
c.p.c., l’istanza di regolamento di giurisdizione “produce gli effetti di cui
all’articolo 367” – il quale, al fine di evitare l’uso strumentale e dilatorio
dell’istituto, esclude che alla proposizione dell’istanza segua automaticamente
la sospensione del processo ed impone al giudice del merito di disporre in tal
senso, con ordinanza, soltanto “se non ritiene l’istanza manifestamente
inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata”
–, possono verificarsi, in concreto, le seguenti due ipotesi alternative:
1. il giudice del merito sospende il processo, ritenendo che non ricorrano i
presupposti della manifesta inammissibilità dell’istanza o della manifesta
infondatezza della contestazione della giurisdizione: in questa ipotesi, la
parentesi sulla giurisdizione si svolge senza che parallelamente prosegua
il giudizio di merito, il quale, nel caso in cui la Cassazione dichiari la
giurisdizione del giudice ordinario, dovrà essere riassunto, pena
l’estinzione, nel termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione
dell’ordinanza (art. 367, secondo comma, c.p.c.);
2. il giudice del merito non sospende il processo, ritenendo che l’istanza sia
manifestamente inammissibile (ad es., perché già è intervenuta una
pronuncia non definitiva sulla stessa giurisdizione o su altra questione
pregiudiziale di rito o preliminare di merito) o che la contestazione della
giurisdizione sia manifestamente infondata: in questa ipotesi, la parentesi
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PARTE I – PRINCIPI E DISPOSIZIONI GENERALI
sulla giurisdizione si svolge parallelamente al giudizio di merito (la cui
eventuale definizione, con sentenza anche passata in giudicato, non
preclude la pronuncia sul regolamento) e, nel caso in cui la Cassazione
dichiari la giurisdizione del giudice ordinario, la pronuncia andrà ad
integrare, come già si è sopra accennato, la sentenza di merito, mentre,
nel caso contrario in cui la Cassazione dichiari il difetto di giurisdizione del
giudice ordinario, la pronuncia, secondo il prevalso orientamento
giurisprudenziale, avrà efficacia caducatoria della sentenza di merito.
d)
Il regolamento di giurisdizione proposto dalla pubblica amministrazione che
non è parte in causa. Nell’ipotesi (esaminata, Supra, Par. 2.2.) in cui si ponga la
questione se la potestas judicandi del giudice ordinario sia limitata, non già dalla
giurisdizione attribuita ad un giudice speciale, ma dai poteri discrezionali
assegnati alla pubblica amministrazione, l’art. 41, secondo comma, c.p.c.
concede a quest’ultima la possibilità di esperire una speciale forma di
regolamento di giurisdizione.
Stabilisce, infatti, la norma in esame che “la pubblica amministrazione che non
è parte in causa può chiedere in ogni stato e grado del processo che sia
dichiarato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione il difetto di giurisdizione
del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge alla
amministrazione stessa, finché la giurisdizione non sia stata affermata con
sentenza passata in giudicato”.
Trattandosi di istituto finalizzato a far valere l’assoluta mancanza di potere
giurisdizionale nel caso concreto, non soggiace alla preclusione propria del
regolamento di giurisdizione comune, ma può essere esperito in ogni stato e
grado del processo, salvo, naturalmente, il limite del giudicato.
Le forme per la proposizione di tale speciale forma di regolamento di
giurisdizione sono previste dall’art. 368 c.p.c., il quale prevede che la richiesta
sia formulata dal Prefetto con decreto motivato, notificato alle parti e al pubblico
ministero. In seguito alla richiesta, il processo viene sospeso e la Corte di
Cassazione è investita con ricorso a cura della parte più diligente.
QUESTIONARIO
1. Cosa identifica la giurisdizione civile come parte della giurisdizione generale e quali
ne sono i limiti? 1. 2.
2. Qual è la differenza tra il regime della rilevabilità del difetto di giurisdizione nei
confronti dei giudici stranieri e il regime della rilevabilità del difetto di giurisdizione
nei confronti dei giudici speciali? 2.1. 2.2.
3. Cosa si intende per translatio judicii? 3.
4. Qual è il significato del principio della perpetuatio jurisdictionis? 3.
5. Quali sono i presupposti e quali gli effetti dell’istanza di regolamento di giurisdizione
? 5.
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