di Medicina Interna - Benvenuto sul sito del Dr. Marco Delle Monache
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Giornale Italiano di Medicina Interna Vol. 3 - N. 4 Dicembre 2004 Organo Ufficiale Italian Journal of Internal Medicine Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti Direttore Responsabile: Sandro Fontana Progetto grafico: Roberto De Gregorio Redazione: In-folio - Torino Impaginazione: Kino Stampa: MS Litografia - Torino Direzione, Amministrazione, Segreteria Redazionale: Centro Scientifico Editore Via Borgone, 57 10139 Torino Tel. 011 3853656 Fax 011 3853244 E-mail: [email protected] Comitato di Redazione: Giovanni Battista Ambrosio Paolo Biagi Francesco Cipollini Christoph Dickmans Giuliano Lo Pinto Ettore Malacco Italo Portioli Aurelio Puleo Giovanni Ruotolo Gian Carlo Secchi Francesco Sgambato Caterina Trischitta Il Giornale Italiano di Medicina Interna è pubblicato trimestralmente. Il costo annuo dell'abbonamento è di € 50 per le persone fisiche e di € 60 per Enti e Società, da versarsi con assegno bancario non trasferibile intestato a: Centro Scientifico Editore s.r.l. Il costo per l'estero è di € 77. I fascicoli singoli arretrati hanno un costo di € 21. A norma dell'art. 74 lett. C del DPR 26/10/72 n. 633 e successivo DM del 09/04/93, il pagamento dell'IVA, assolta dall'Editore sugli abbonamenti o sui singoli numeri, è compreso nel prezzo di vendita. Pertanto non verrà in alcun caso rilasciata fattura. Il Giornale Italiano di Medicina Interna viene inviato per abbonamento; si prega di comunicare tempestivamente il cambio di indirizzo a Centro Scientifico Editore, via Borgone 57 -10137 Torino Tel. 011.385.36.56 - Fax 011.385.32.44 © 2004 Centro Scientifico Editore Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati, compreso quello di traduzione. I manoscritti e le fotografie, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È vietata la riproduzione anche parziale (fotocopie, microfilm, etc.) senza speciale autorizzazione dell'Editore. In attesa di registrazione presso il Tribunale di Torino. Spedizione in abbonamento postale. Presidente Nazionale: Ido Iori - Reggio Emilia Presidente Eletto: Giovanni Mathieu - Torino Segreteria: Via Tolmino, 5 00198 Roma Tel. 06 85355188 Fax 06 85345986 E-mail: [email protected] Past President: Salvatore Di Rosa - Palermo Segretario: Claudio Pedace - Arezzo Tesoriere: Luciano Addis - Tempio Pausania (SS) Trentino Alto Adige Mauro Mattarei Friuli Venezia Giulia Alessandro Bulfoni Lombardia Ettore Malacco Veneto G. Battista Ambrosio Piemonte Rodolfo Cavaliere Emilia Romagna Liguria Domenico Panuccio Nicola Acquarone Marche Toscana Paolo Agostinelli Raffaele Laureano Umbria Abruzzo Mauro Berrettini Andrea Biocca Lazio Puglia Francesco D’Amore Molise Giacomo Lucarelli Cecilia Politi Sardegna Francesco Flumene Campania Mario Visconti Basilicata Andrea Sacco Calabria Bruno Madaffari Sicilia Margherita Manfrè Giornale Italiano PAG I N A di Medicina Interna Vol. 3 - N. 4 Dicembre 2004 Italian Journal of Internal Medicine 161 EDITORIALE 161 Riflessioni di biostatistica ed epidemiologia clinica S. Fontana, S. Corrao 162 METODOLOGIA CLINICA sommario 162 Dai dati alle variabili S. Corrao 165 RASSEGNE 165 L’eco(color)doppler nell’insufficienza vertebro-basilare: un esame… spesso impropriamente “richiesto” G.M. Salvaggio 170 Approccio all’addome acuto in ambiente internistico G. Chesi, F. Boni, P. Zoboli, A. Catania, M. Ferretti, F. Dall’Orto 186 ARTICOLI ORIGINALI 186 Beta-bloccanti e scompenso cronico di cuore G. Vescovo 193 Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3. Il paziente a rischio cardiovascolare I. Iori, S. Di Rosa, S. Fontana, G. Vescovo, M. Lanti, A. Menotti 204 CASI CLINICI 204 La sindrome di Weil: descrizione di un caso clinico P. Bertucci, R. Toscano, F. Serione, P. Bertello 209 Watermelon stomach: descrizione di due casi e rivisitazione della letteratura R. Risicato, B. Zazzaro, G. Passanisi, G. Cascone, S. Romano, M. Stornello 217 Bullosis diabeticorum: una problematica diagnosi clinica di esclusione C. Trenti, E.A. Negri, A. Casali, U. Petrelli, S. Asioli, I. Iori Giornale Italiano di Medicina Interna Norme per gli Autori Il Giornale Italiano di Medicina Interna, Organo Ufficiale della Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti, pubblica in lingua italiana articoli riguardanti la Medicina Interna e il management clinico, rassegne e articoli speciali su argomenti attinenti alla materia. Friedberg DH, Schamroth L. Atrial Parasystole. Br Heart J 1970;32:172-180. CATEGORIE DEGLI ARTICOLI Editoriali Management clinico Rassegne Articoli originali Casi clinici Linee guida Procedure diagnostiche Journal Club Recensioni Lettere al Direttore Per il libri vanno riportati l’Autore/i, il titolo, la città della Casa Editrice, la Casa Editrice, l’anno di pubblicazione del libro e le pagine iniziale e finale della parte citata. PREPARAZIONE DELL’ARTICOLO • Il manoscritto va organizzato come segue: 1. Pagina del titolo, comprendente il titolo in Italiano, gli Autori, I’lstituzione dove è stato svolto il lavoro, il titolo breve (non oltre 45 caratteri) e l’indirizzo per la corrispondenza, completo di numero telefonico, di fax e possibilmente di e-mail. 2. Titolo e riassunto in Inglese (non richiesto per le rassegne e gli editoriali). 3. Riassunto in Italiano, con alla fine da 3 a 6 parole chiave (non richiesto per le rassegne e gli editoriali). 4. Testo. 5. Bibliografia. 6. Didascalie delle figure. 7. Tabelle. BIBLIOGRAFIA • Le voci bibliografiche vanno numerate progressivamente secondo l’ordine di citazione, non alfabetico. I numeri di riferimento vanno inseriti nel testo in parentesi. Ciascuna voce bibliografica deve comprendere i cognomi e le iniziali dei nomi degli Autori, citandoli tutti se il loro numero non è superiore a 6, mentre in caso contrario vanno elencati i primi 5 seguiti dalla dizione “et al.”. In caso di riviste va citato, con le abbreviazioni utilizzate in Index Medicus, il nome del giornale, I’anno, il numero del volume e le pagine iniziale e finale. Per gli Abstract, il termine "abstract" racchiuso fra parentesi va anteposto al nome della rivista. Esempi: Wellens HJJ, Atiè J, Smeets JLRM, et al. The electrocardiogram in patients with multiple accessory pathways. J Am Coll Cardiol 1990;16:745-751. Lesh M, Van Hare GF, Kwasman MA, et al. Curative radiofrequency (RF) catheter ablation of atrial tachycardia and flutter. (Abstract) J Am Coll Cardiol 1993;21:374A. Esempio: Schamroth L. I disordini del ritmo cardiaco. Roma: Marrapese, 1981:59-67. Per i capitoli di libri vanno riportati: titolo, Autori, Editor(s) seguiti dalla dizione “ed” o “eds” (in parentesi), città della Casa Editrice, Casa Editrice, anno di pubblicazione del libro, pagine iniziale e finale. Esempio: Waldo AL, Carlson MD, Henthorn RW. Atrial flutter: transient entrainment and related phenomena. In: Zipes DP, Jalife J (eds). Cardiac electrophysiology from cell to bedside. Philadelphia: WB Saunders, 1990:530-537. FIGURE • Le illustrazioni (fotografie in bianco e nero o stampe da computer ottenute con stampante laser) devono essere numerate con numeri arabi e identificate scrivendo sul retro a matita il nome del primo Autore e il numero della figura. TABELLE • Vanno numerate con numeri arabi e devono comprendere un titolo e/o una breve didascalia esplicativa delle abbreviazioni usate. I manoscritti vanno indirizzati a: Centro Scientifico Editore Segreteria Redazionale Giornale Italiano di Medicina Interna Via Borgone, 57 10139 Torino Tel. 011 3853656 Fax 011 3853244 E mail: [email protected] È richiesto l’invio di 3 copie del testo e delle figure e di un dischetto contenente il testo, scritto possibilmente con il programma Word. Per gli articoli originali è necessaria la dichiarazione, firmata dal primo Autore, che il lavoro non è stato pubblicato né è oggetto di esame per la pubblicazione su altra rivista. Editoriale Riflessioni di biostatistica ed epidemiologia clinica Il primo passo verso la condivisione di un linguaggio è quello di dare un significato ben preciso alle parole. Il linguaggio tecnico, pertanto, non rappresenta mai e in nessun caso un mero sfoggio culturale, ma una precisa modalità espressiva in ambito tecnico, che permette di esprimere cose e concetti in maniera compatta ed efficiente. Con questa serie di “riflessioni di biostatistica ed epidemiologia clinica” vogliamo favorire lo sviluppo di una cultura statistica adeguata al clinico che è ormai conditio sine qua non anche quando si voglia semplicemente leggere i lavori scientifici senza doverne subire, per così dire, “l’influsso magico”. Modalità di analisi della letteratura scientifica che non siano basate sulla lettura critica degli obiettivi, metodi, risultati e conclusioni rischiano di influenzare la pratica clinica anche quando ci si trova (inconsciamente) ad attingere pseudoconoscenza da lavori scientifici che forniscono al lettore dati e deduzioni di scarsa qualità o che non sono adeguati né nel disegno né nella scelta del campione di soggetti oggetto di studio. In definitiva, si rischia di dare significato a informazione scientifica di scarso valore per giustifi- care cambiamenti della pratica clinica. Inoltre, l’internista ospedaliero ha anche degli obblighi nel campo della ricerca clinica ed è auspicabile, pertanto, una sua crescita in modo da diventare parte attiva nel processo di produzione scientifica. Per arrivare a ciò è necessario conoscere le basi di quella scienza che nasce proprio per raccogliere, descrivere, analizzare i dati e poterne trarre deduzioni, dal nostro punto di vista, utili per la pratica clinica. Questa serie cercherà di soddisfare la voglia di comprendere intimamente le cose più semplici per potere pensare di approfondire le tematiche più complesse al di fuori di approssimazioni pericolose, non solo deprecabili culturalmente ma soprattutto per i pessimi risultati che possono produrre. Siamo sicuri che un linguaggio tecnico condiviso e la comprensione di altri aspetti della complessità, tanto cara al mondo degli internisti nel campo clinico, possa contribuire a rafforzare la figura di un internista moderno che sa dove vuole andare, utilizzando i migliori strumenti a disposizione. Sandro Fontana Salvatore Corrao 161 Metodologia clinica Dai dati alle variabili S. Corrao Responsabile Scientifico Centro Studi FADOI U.O. Metodologia ad indirizzo Epidemiologico-Statistico ARNAS Civico e Benfratelli, Palermo GIMI 2004;3(4):162-164 I metodi statistici essenzialmente sono degli strumenti per processare informazione. Informazione che è di tipo numerico e che può derivare da diverse modalità di misurazione. Infatti, le procedure statistiche a nostra disposizione partono da differenti assunzioni che dipendono proprio dal tipo di dati raccolti sia quando si voglia descrivere il mondo che ci circonda sia quando si vogliano trarre delle vere e proprie deduzioni. Ma attenzione, proprio per questi motivi, per potere ottenere elaborazioni piene di significato il tipo di procedura statistica deve essere adeguata al tipo di dati. Ricordiamo, inoltre, che se la qualità dell’informazione di base è scadente (per esempio per una errata metodologia di raccolta dati o di semplice errore di misurazione) avremo informazione scadente anche dopo un’elaborazione statistica congrua per scelta di procedura. Ad ogni modo, è comunque indispensabile tenere ben presente che ci sono diversi tipi di misure, ognuna con specifici proprietà, vantaggi e limitazioni. Solo dopo si potrà applicare correttamente la metodologia statistica per la rappresentazione dei dati e per le deduzioni conseguenti. proprietà generale di ciò che può essere misurato con le differenti modalità a disposizione. Ogni singolo dato misurato prende il nome di variata. Nel caso della Pressione Arteriosa Sistolica (PAS) essa rappresenta una variabile se ci si riferisce per esempio all’insieme dei valori di PAS di un gruppo di soggetti. Il termine variabile indica di per sé che i risultati del processo di misurazione variano rispetto al tempo o all’oggetto della misurazione. Pertanto, il termine si applica anche a tipi di dati differenti dalla pressione arteriosa e che discuteremo più avanti. Il concetto di variabile è ovviamente opposto a quello di costante (il pi greco per esempio) e di parametro (Altman e Bland, 1999) che, quest’ultimo, risulta da un calcolo che utilizza tutto il contenuto informativo di una o più variabili. La media aritmetica della pressione arteriosa di un gruppo di soggetti è quindi un parametro e risulta dalla sommatoria di tutti i dati contenuti nella variabile diviso il numero complessivo dei dati a nostra disposizione. TIPI DI DATI VARIABILI E PARAMETRI Il concetto di variabile è molto simile a quello di contenitore ed esattamente rappresenta la Per la corrispondenza: Salvatore Corrao U.O. Metodologia Clinica Azienda Ospedaliera Civico e Benfratelli Piazza Nicola Leotta 90127 Palermo tel. 091-6662608 fax 091-6662310 e-mail [email protected] 162 Il punto di partenza per iniziare un discorso sul tipo di dati è quello di considerare i tre tipi fondamentali di atti che permettono di misurare: contare, ordinare e categorizzare. Contiamo quando misuriamo il battito cardiaco, la pressione arteriosa, l’altezza, il peso corporeo ecc. Ordiniamo quando non siamo in grado di misurare l’esatta distanza tra un valore e un altro ma sappiamo che un valore è inferiore o superiore a un altro (ad es., il grado istologico di una neoplasia). Categorizziamo quando i nostri dati ricadono in categorie che non possono essere messe in ordine in maniera oggettiva (il sesso, Dai dati alle variabili il gruppo sanguigno, il colore di capelli, l’etnia ecc.). Il tipo di variabile dipende dalle modalità con cui possiamo misurare e pertanto possiamo fare subito una divisione grossolana tra variabili di tipo quantitativo e qualitativo. MISURE E VARIABILI DI TIPO QUANTITATIVO Tali variabili dipendono dal fatto che misuriamo sempre quantità, dall’intervallo tra un dato e quello immediatamente successivo e dalla presenza di uno zero assoluto. La variabile scalare è quella variabile che può assumere qualunque valore anche se il metodo di misurazione che è possibile utilizzare non è preciso. Per esempio, quando misuriamo la maggior parte delle variabili biologiche o antropometriche sappiamo che tra due valori successivi non vi è uno scarto (tutti gli infiniti valori sono possibili), ma in realtà lo scarto c’è a causa dello strumento di misurazione e delle modalità di rappresentazione dei dati. Pensiamo al peso: tra 80,0 e 81,0 kg tutti i valori intermedi sono possibili (con infiniti valori dopo la virgola), anche se la bilancia ha una precisione di mezzo kg o nel migliore dei casi di 100 grammi. In quest’ultimo esempio esiste uno zero assoluto, ma nel caso della temperatura lo zero non esiste come limite inferiore (infatti la temperatura può assumere valori sotto lo zero). Nel secondo caso la scala di misura viene detta a rapporti e la variabile rimane ovviamente di tipo quantitativo scalare (scalare o continua). Una variabile quantitativa è detta invece discreta quando la misurazione consiste nella mera conta di eventi tramite i numeri cardinali (1, 2, 3 ecc.). Con questo tipo di variabili (di tipo quantitativo) è possibile applicare tre tipi di misure composte: la somma, la media e le differenze tra misure. Date per ovvie le prime due misure composte, è bene precisare che quando si ha a che fare con differenze tra misure (ad es., una variabile che contiene la differenza tra PAS di base e dopo terapia) la scala di misura diventa “a rapporti” (i dati possono diventare negativi – si veda sopra), anche se la scala della variabile di partenza non lo era. Inoltre, e questo vale per tutte le variabili quantitative, queste misure composte hanno senso se le scale hanno distanze uguali (la distanza tra una PAS di 100 e 110 è uguale a quella tra 110 e 120). Pertanto, non avrebbe senso utilizzare queste misure composte con una variabile continua trasformata, ad esempio, in logaritmi. MISURE E VARIABILI DI TIPO SEMIQUANTITATIVO E QUALITATIVO La relazione di tipo ordinale è quella che permette la comparazione di due o più misure esprimendo un giudizio del tipo “più grande di” o “inferiore a”. Ogni elemento che è il risultato di una misurazione, pertanto, può essere messo in relazione con gli altri elementi secondo un ordine di grandezza. Ovviamente ogni scala di misurazione ha implicita la possibilità di ordinamento delle varie misurazioni che utilizzano quella determinata scala. Tuttavia, per scala ordinale non ci si riferisce alle scale intervallari sopraesposte ma a quelle scale che misurano solo i rapporti di tipo ordinale. Ad esempio, nella graduazione (grading) di una neoplasia non si utilizza mai una scala intervallare ma si danno valutazioni di merito che permettono di far rientrare in una delle possibili categorie il campione bioptico della neoplasia di un paziente. Per esempio, il grado istologico del carcinoma della prostata viene graduato su di una scala a cinque livelli detta di Gleason (dal medico che l’ha messa a punto). La valutazione del campione istologico utilizza valutazioni dell’anatomopatologo che sulla base di caratteristiche strutturali relative alla cellularità del campione tumorale attribuisce uno dei 5 gradi. Pertanto, non viene utilizzata una scala intervallare ma una valutazione qualitativa che permette tuttavia comunque e sempre (condizionata comunque dall’esperienza di chi valuta) di potere ordinare i vari referti sulla base di una migliore o peggiore prognosi. Naturalmente, anche i dati misurati con una scala intervallare possono essere ridotti in categorie che a loro volta è possibile ordinare. In quest’ultimo caso, però, trasformiamo una scala intervallare in una ordinale con perdita comunque di informazione. Questa operazione, tuttavia, può risultare utile in casi specifici. Un’altra questione di non poca importanza è la confusione che a volte può insorgere tra scala intervallare e scala a punteggi (rating scale). Lo sfigmomanometro è un classico esempio di strumento che usa una scala intervallare, così come un termometro. D’altro canto una scala VAS (visuo-analogica) o un altro tipo di score offrono una modalità di misura che in qualche modo è maggiore di una semplice valutazione ordinale (primo, secondo, terzo ecc.). Infatti, tali scale o il riferimento a un punteggio offrono la sensazione che ciò che si misura sia simile a una misura intervallare. In realtà, bisogna considerare che, per quanto superiori a una mera graduazione, 163 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna i punteggi non garantiscono in alcun modo un uguale intervallo tra un numero e quello immediatamente successivo, lungo tutti i possibili valori, e pertanto le variabili che fanno riferimento a tali misurazioni vanno ritenute a tutti gli effetti di tipo ordinale. Questo tipo di variabili non hanno le proprietà tipiche delle variabili quantitative che originano da misurazioni con scala intervallare e non permettono, quindi, tutti i vari tipi di operazioni matematiche che si applicano a queste ultime. Quando i valori di una variabile sono riferibili a due o più categorie che non sono ordinabili logicamente la variabile si definisce nominale. Il genere maschile/femminile è un esempio, così come il gruppo sanguigno, l’etnia ecc. Questo tipo di variabili riducono ulteriormente lo spazio per le operazioni matematiche, ma in medicina hanno un grande valore per lo studio delle associazioni così importanti in particolare per le valutazioni prognostiche (ad es., fattori di rischio cardiovascolare). PROPRIETÀ DELLA MISURAZIONE Misurare non vuol dire necessariamente che abbiamo dati che possano permettere un’analisi corretta. Infatti, alla misura dobbiamo legare due concetti fondamentali in grado di rendere vana o robusta un’analisi statistica: l’affidabilità (reliability) e la validità (validity). La pratica di laboratorio permette di avere chiaro rapidamente il significato e la conseguente importanza del concetto di affidabilità. Un test di laboratorio 164 come la glicemia se ripetuto nello stesso campione di sangue nelle medesime condizioni può portare a risultati differenti: tre valori identici, tre valori molto simili, tre valori molto differenti. Nel primo caso si parla di elevata affidabilità della misurazione (nel linguaggio laboratoristico si parla più correttamente di precisione), nel secondo di una buona affidabilità, nel terzo di nessuna affidabilità. Il concetto di validità è relativo invece a ciò che la misura vuole rappresentare. Ad esempio, per dimostrare o meno l’efficacia di un farmaco, nei trial clinici, si può scegliere una misura cosiddetta “surrogata”. Nel caso di un trial sull’ipertensione scegliamo banalmente i valori pressori per stabilire l’efficacia terapeutica. Tuttavia, oggi sappiamo che utilizzare la pressione arteriosa come misura di efficacia è poco valido visto che la comunità scientifica internazionale e il clinico, in particolare, si aspettano dal trattamento ipertensivo una riduzione degli eventi cardio- e cerebrovascolari e/o di mortalità e non il mero calo dei valori pressori. La validità è quindi una condizione che dipende fortemente dal ricercatore e dagli obiettivi dichiarati dallo studio. LETTURE CONSIGLIATE Altman DG. Practical statistics for medical reseach. London: Chapman & Hall, 1991. Altman DG, Bland JM. Statistics notes: variables and parameters. British Medical Journal 1999;318(7199): 1667. Armitage P, Berry G. Statistical methods in medical research. Oxford: Blackwell Scientific Publications, 1987. Rassegna L’eco(color)doppler nell’insufficienza vertebro-basilare: un esame… spesso impropriamente “richiesto” G.M. Salvaggio Ambulatorio di Neurosonologia e diagnostica vascolare non invasiva, U.O. Medicina Interna, Azienda Ospedaliera S. Antonio Abate, Trapani GIMI 2004;3(4):165-169 PREMESSA È a tutti noto l’indiscutibile vantaggio che, nel corso degli ultimi 20 anni, hanno portato le metodiche ultrasonografiche a effetto doppler nel definire gli aspetti anatomo-funzionali, fisiopatologici e clinici del distretto carotideo. Termini come paziente carotideo, TIA carotideo, placca emboligena, ecc., entrati nel gergo clinico per definire situazioni specifiche e tipologie di pazienti, devono la loro comparsa proprio all’utilizzo del doppler CW prima e dell’ecodoppler poi. È peraltro innegabile come, grazie a queste tecniche, si siano potuti modificare comportamenti terapeutici e definire protocolli più appropriati per il trattamento della malattia aterosclerotica delle carotidi e la prevenzione dell’ictus cerebrale. L’alta affidabilità della metodica nella diagnostica del distretto carotideo ne ha decretato il successo e il successo ha sempre di più accresciuto l’interesse alla metodica: protocolli tecnici di esecuzione, standard di misurazione, linee guida, indicazioni specifiche, definizione di limiti, ecc. rappresentano il frutto di una ricerca continua e costante che arricchisce sempre più operatori e tecnica. Altrettanto successo e interesse non si è rilevato nella diagnostica ecodoppler del distretto succlavio-vertebrale. I motivi di ciò vanno indubbiamente ricercati in primo luogo nella minore affidabilità che una tecnica ecografica ha nello studio di un distretto per buona parte “coper- Per la corrispondenza: Giovanni Maurizio Salvaggio Via dell’Ostello, 20 91016 Erice C.S. (TP) tel. 0923/568354 e-mail [email protected] to” da strutture ossee. D’altro canto, le relazioni tra danno vasale in questo distretto e manifestazioni cliniche rimangono a oggi chiare solo in situazioni “selezionate” e in genere di non frequente riscontro, come avviene in caso di occlusione delle arterie cerebrale posteriore, vertebrale (o suoi rami) e tronco basilare (Tab. 1).1 Più spesso, invece, tali relazioni fisiopatologiche appaiono alquanto nebulose, supportate più da teorie che si sono consolidate a livello aneddotico che da vere e proprie evidence. L’insufficienza vertebro-basilare (IVB) manifesta, nella genericità del termine stesso, questa scarsa conoscenza dei precisi meccanismi fisiopatogenetici che stanno alla base di una serie di situazioni cliniche che si tende a tutti i costi ad accomunare in un unico probabile quadro, basato sul “deficit del circolo vertebrale”. La dimostrazione chiara di tale deficit, tuttavia, non è sempre possibile e ancor meno possibile appare dimostrarne il reale legame con le manifestazioni cliniche. Tali problematiche, ben note agli “ecodoppleristi” che si occupano contemporaneamente di “clinica”, hanno, come già detto, attenuato l’interesse degli stessi nell’approfondire tecniche e protocolli più affidabili e standardizzati. Di contro, si è assistito sempre di più alla crescita della “domanda” di ecodoppler dei tronchi sopra-aortici (TSA) promossa sia dai medici sia dagli stessi pazienti, nell’affannosa ricerca di una “giustificazione strumentale” al sintomo presentato, prescindendo, purtroppo spesso, da un attento esame clinico. Il sintomo che di gran lunga più di ogni altro promuove la domanda dell’esame, specie come prestazione ambulatoriale, è la vertigine. 165 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna TABELLA 1 Quadri clinici associati a occlusione di arterie del distretto vertebro-basilare ARTERIA CEREBRALE POSTERIORE (a) Occlusione dei rami perforanti: – Sindromi talamiche – Sindrome di Weber – Emiballismo – Emicorea – Sindrome di Korsakoff – Amnesia globale transitoria (b) Occlusione dei rami corticali monolaterali: – Emianopsia laterale omonima – Quadrantopsia laterale omonima superiore – Metamorfopsie – Alessia, agnosia amnestica, anomie, prosopoagnosia (c) Occlusione bilaterale dei rami corticali: – Cecità corticale pura – Sindrome di Balint – Sindrome di Korsakoff – Scotomi centrali ARTERIA VERTEBRALE E SUOI RAMI – Sindrome di Wallemberg – Sindrome bulbare mediana ARTERIA BASILARE – Coma – “Locked-in” sindrome – Sindromi alterne (Weber, Millard-Gubler, Foville, ecc.) CASISTICA PERSONALE E METODICA DI INDAGINE Sono state prese in esame le richieste di ecodoppler dei TSA pervenute all’ambulatorio di Neurosonologia e diagnostica vascolare non invasiva dell’U.O. di Medicina Interna dell’Azienda Ospedaliera S. Antonio Abate di Trapani. Sul totale di 1200 esami ne sono stati selezionati 490, cioè quelli la cui richiesta formale indicava le seguenti motivazioni: sindrome vertiginosa, vertigini, acufeni, IVB, sospetta IVB, vertigini + cervicoartrosi, IVB + cervicoartrosi, intendendo esortare l’esaminatore a un più accurato esame del distretto succlavio-vertebrale (Tab. 2). I pazienti esaminati erano stati inviati sia dalle strutture extraospedaliere (medici di base, poliambulatori specialistici) sia dalle UU.OO. nell’ambito del Dipartimento di Medicina dell’ospedale (Medicina Interna, Cardiologia, Neurologia, Pneumologia, Psichiatria). TECNICA D’ESAME In quasi tutti i pazienti è stato possibile esaminare le vertebrali all’origine, lungo il tratto V1 (prima dell’impegno del vaso nel forame trasversario di C6) e al Tillaux, ponendo la sonda 2-3 cm in basso dietro le mastoidi (Fig. 1). In alcuni casi, si è potuto esaminare bene solo l’ultimo tratto del vaso a causa della presenza di un collo troppo corto e tozzo. L’esame del tratto intertrasversario delle arterie vertebrali è notoriamente limitato dallo sbarramento acustico delle strutture ossee e in verità poco agevole; pertanto, è stato possibile individuarlo solo in alcuni casi, in genere soggetti giovani e snelli. TABELLA 2 Richieste di ecodoppler TSA % n. eco(color)doppler TSA Motivazioni della richiesta 40,8% 490 Sindrome vertiginosa, vertigini posizionali, vertigini + cervicoartrosi, IVB, IVB + cervicoartrosi, sospetta IVB, acufeni 59,2% 710 TIA, ictus cerebrale, deficit neurologici focali, ipertensione, dislipidemia, diabete, soffio carotideo, amaurosi, disartria, lipotimia, pregressa TEA carotidea TOTALE 166 1200 L’eco(color)doppler nell’insufficienza vertebro-basilare A B Figura 1. Buona visualizzazione della vertebrale all’ansa atlantoidea. In accordo con la letteratura specializzata e i protocolli di base da tempo adottati da tutti i doppleristi1 (si vedano anche le Linee guida della Società Italiana di Diagnostica Vascolare G.I.U.V. anno 2000), si è proceduto alle misurazioni del diametro dei vasi nei vari tratti esplorabili e alle valutazioni velocimetriche del flusso ematico mediante l’utilizzo contemporaneo del modulo colore e del doppler pulsato sui volumi campione. RISULTATI Gli esami giudicabili “positivi” sono stati 158 sui 490 (32%) selezionati per lo studio specifico del distretto vertebrale (Fig. 2). Come sintetizzato in Fig. 3, nella maggior parte di essi è stato possibile ricavare valutazioni velocimetriche tendenti a rilevare le modificazioni emodinamiche globali dell’arteria, evocanti in maniera indiretta un probabile effetto stenosante (rallentamento della velocità di flusso, aumento delle resistenze, ecc.). In altri casi, è stato possibile rilevare la presenza di segni diretti di verosimile stenosi (accelerazione e turbolenza del flusso al color-doppler) al Tillaux (Fig. 4 e 5), laddove peraltro sono possibili innumerevoli condizioni capaci di indurre in errore l’operatore. I dati di un più significativo effetto stenosante sono stati rilevati solo in 8 casi (5%), ove si è potuto documentare un marcato decremento del segnale doppler in un asse rispetto al controlaterale, non influenzato dai movimenti del capo e con buona visualizzazione ecografica del vaso stesso. In 2 casi si è posto il sospetto di occlusione della vertebrale sulla scorta dell’assenza del segnale doppler a fronte di una buona immagine ecografica esami negativi 332 esami positivi 158 400 300 200 100 0 Figura 2. Esami richiesti per sospetta patologia vertebro-biliare. 100 rid. vel. flusso acc. + turb stenosi franca aum. resist. occlusione 96 49 8 2 2 80 60 40 20 0 Figura 3. Quadri ecodoppler rilevati sui 158 esami positivi. dell’asse e di un incremento globale (compensatorio) del flusso sul vaso controlaterale. In un caso si è documentata una riduzione di calibro di una vertebrale (Fig. 6), ma con modeste ripercussioni emodinamiche caratterizzate da un flusso a velocità bassa e senza alterazioni al colordoppler. 167 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna Figura 4. Vistosi segni di turbolenza di flusso all’ansa. Figura 5. Spettrogramma che mostra netta accelerazione di flusso con dispersione delle frequenze da verosimile stenosi al Tillaux. COMMENTO I dati fin qui esposti, lungi dal meritare valenza statistica, rappresentano il frammento di una realtà sulla quale è bene spendere qualche parola. Un dato che va subito messo in risalto è certamente l’alta percentuale di richieste di eco(color)doppler dei TSA per “sospetta patologia del distretto vertebrale” (490/1200 = 40,8%), specie se rapportata alla ricchezza di informazioni che invece tale esame fornisce nello studio dei vasi carotidei. Altro dato incontrovertibile è il numero ridotto di test giudicabili positivi (158/490 = 32%). Tale riscontro, tuttavia, non può essere addebitato a una scarsa affidabilità del test, la quale, anche se ridotta rispetto allo studio dei vasi carotidei, si mantiene su livelli abbastanza alti, con sensibilità del 70-90% e specificità del 95%.2,3,4 Peraltro, esperienza insegna che anche un approc168 Figura 6. Asse vertebrale lievemente ipoplastico (2,6 mm circa) all’origine. cio “frettoloso” nella conduzione dell’esame produce piuttosto falsi positivi: è infatti possibile più spesso che l’assenza di una corretta visualizzazione del vaso o del segnale doppler possa indurre l’operatore a refertare come patologico un asse vertebrale sano! Una risposta circa questa grossa discrepanza fra esami effettuati e riscontro di patologia va ricercata a monte, risalendo alle reali motivazioni che hanno indotto alla richiesta dell’esame stesso. In un recente workshop promosso dal Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze (GIMBE) (Como, 9-11 maggio 2003) è stato sottolineato come l’eco(color)doppler sia un’indagine a elevato grado di inappropriatezza. Due i motivi principali: in primo luogo, la sovrastima delle possibilità diagnostiche della metodica (specie per quanto concerne il distretto vertebrale), altro motivo è la prescrizione dell’esame senza l’osservanza delle corrette indicazioni. Questi aspetti si fanno oltremodo evidenti e trovano l’esempio paradigmatico allorquando viene proposto l’ecodoppler a un paziente con vertigini (posizionali) isolate, notoriamente dovute per la stragrande maggioranza dei casi a patologia funzionale a localizzazione labirintica, ma che a oggi evocano ancora in molti medici e “nell’immaginario collettivo” ipotetiche condizioni che “turbano” il circolo dei vasi cerebroafferenti. Sembra opportuno a questo punto fare un cenno circa le raccomandazioni e le linee guida per la diagnostica vascolare con eco(color)doppler (CeVEAS – Centro per la Valutazione dell’Efficacia dell’Assistenza Sanitaria – seconda revisione febbraio 2003), laddove si ribadiscono le condizioni cliniche sospette per TIA L’eco(color)doppler nell’insufficienza vertebro-basilare vertebro-basilare e pertanto meritevoli dell’indagine in oggetto: • cecità bilaterale improvvisa • deficit sensitivo e/o motorio bilaterale o crociato • vertigini centrali e diplopia, disfagia e cadute (combinate). L’ esame è inoltre raccomandato nelle vertigini solo se persistenti, con esclusione delle vertigini intese come disturbi dell’equilibrio a carattere francamente rotatorio e/o posizionale, insorti acutamente e/o in remissione spontanea in 24-48 ore. CONCLUSIONI L’affidabilità dell’eco(color)doppler nello studio del circolo succlavio-vertebro-basilare, per quanto minore rispetto al distretto carotideo, rimane decisamente alta. L’uso improprio dell’esame, bypassando gli aspetti clinici, è spesso fonte di enormi “delusioni” per paziente e operatore. Va pertanto lanciato un appello che esorti alla corretta utilizzazione dell’eco(color)doppler che, come per ogni forma di indagine strumentale, non può prescindere da un’attenta valutazione anamnestica e un accurato esame clinico del paziente. Questi due momenti, affiancati alla conoscenza delle corrette indicazioni (con l’ausilio delle linee guida), non possono che dar luogo a risultati sempre più affidabili nella ricerca del “ruolo patogeno” del reperto clinico-strumentale. BIBLIOGRAFIA 1. Rabbia C, Gillio S. Aspetti generali. In: Eco-colordoppler vascolare. Torino: Edizioni Minerva Medica, 1997:99-112. 2. Keller HM, Meier WE, Kumpe DA. Non-invasive angiography for the diagnosis of vertebral artery disease using doppler ultrasound (vertebral artery doppler). Stroke 7 1976b:364-369. 3. von Reutern GM, Poucelot L. Cardiac cycle dependent alternating flow in vertebral arteries with subclavian artery stenoses. Stroke 9 1978:229-236. 4. Hennerici M, Aulich A. Ultraschall-Doppler-Sonographie. Mediuz 3 1979:168-179. 169 Rassegna Approccio all’addome acuto in ambiente internistico G. Chesi, F. Boni, P. Zoboli, A. Catania, M. Ferretti, F. Dall’Orto Dipartimento di Area Internistica U.O.C. di Medicina Interna Ospedale “C. Magati”, Scandiano (RE), AUSL Reggio Emilia GIMI 2004;3(4):170-185 INTRODUZIONE Scrive William Silen nel Capitolo 14 della 14a edizione dell’Harrison (Principi di Medicina Interna):1 “La diagnosi di ‘addome acuto o chirurgico’, assai comune nei centri di Pronto Soccorso, è inaccettabile perché fallace ed erronea. Può accadere infatti che l’addome acuto più evidente non richieda intervento chirurgico e che un dolore addominale di lieve entità, invece, sia sintomo iniziale di condizioni morbose che necessitano di un urgente trattamento chirurgico. In poche altre situazioni cliniche sono richieste maggiore esperienza e capacità di giudizio, poiché è possibile prevedere il più drammatico degli eventi attraverso il riconoscimento di segni e sintomi apparentemente trascurabili e mai, come in questo caso, la raccolta di un’anamnesi dettagliata e l’esecuzione meticolosa dell’esame obiettivo sono della massima importanza”. In effetti, anche presso i nostri ospedali e i nostri Pronto Soccorso non raramente tutto ciò che esordisce come sottodiaframmatico o addominale viene ritenuto di pertinenza chirurgica e sottoposto pertanto direttamente all’attenzione e alla gestione del chirurgo. Tuttavia, le cause di dolore addominale acuto, che da ora in poi definiremo per brevità e per convenzione con l’espressione “addome acuto”, secondo quanto indicato anche in letteratura,2 sono veramente molteplici e tra esse si Per la corrispondenza: Giuseppe Chesi Dipartimento di Area Internistica Ospedale “C. Magati” Viale Martiri della Libertà, 8 42019 Scandiano (RE) tel. 0522/850447 e-mail [email protected] 170 mescolano situazioni tipicamente e nettamente di pertinenza chirurgica a situazioni nelle quali le cause possono essere esclusivamente di tipo internistico o nelle quali, almeno inizialmente, un approccio conservativo non chirurgico può essere consigliabile (1° episodio di diverticolite acuta, colecistite acuta ecc.). Va precisato a questo proposito che in letteratura2 l’addome acuto viene considerato tale quando giunge all’osservazione entro le 24 ore dal suo esordio. Va inoltre ricordato come l’aumentare dell’età della popolazione generale faccia sì che siano sempre più numerosi i soggetti anziani che giungono all’osservazione con patologie addominali acute che coesistono con altre significative comorbilità, in particolare a carico dell’apparato cardiocircolatorio e respiratorio.3 In tali soggetti dovrebbe essere particolarmente indicata una valutazione collegiale e multidisciplinare volta a stimare e a definire correttamente il rapporto rischio-beneficio di ogni eventuale atto terapeutico, evitando inutili aggressioni a vantaggio, quando possibile, di atteggiamento più conservativo e più attento alle problematiche complessive della persona stessa. La nostra trattazione tuttavia esula dal considerare in maniera analitica tutte le possibili cause di addome acuto, ma si concentrerà sulle possibili cause di addome acuto di tipo internistico, sulla loro diagnostica differenziale e su quella che potrebbe diventarne una definizione possibile, trattando poi in maniera privilegiata alcune sindromi che potremmo definire come cause più autentiche di dolore addominale non chirurgico. Non ci soffermeremo neppure, infine, per brevità sulle caratteristiche e sulla patogenesi del dolore addominale, per il cui approfondimento ci limitiamo a indicare alcune sintetiche e dettagliate fonti bibliografiche.1,2,4 Approccio all’addome acuto in ambiente internistico DEFINIZIONE L’addome acuto internistico potrebbe essere definito come un dolore addominale acuto o subacuto di tipo accessionale e con caratteristiche di evolutività che, tuttavia, è in grado di regredire spontaneamente o con terapia medica e si complica ed evolve verso la necessità di una terapia chirurgica in una minoranza di casi. In questa tipologia di pazienti, i criteri diagnostici enfatizzano l’importanza di un’anamnesi accurata e di un esame obiettivo attento e meticoloso, mentre le metodiche di imaging sono per lo più utilizzate in maniera mirata e volte all’esclusione di cause effettivamente di pertinenza chirurgica. CLASSIFICAZIONE Non è per nulla facile classificare ed elencare in sottogruppi affini l’addome acuto, specie con un taglio internistico. In particolare, poi, la difficoltà consiste nel fatto che una separazione tra addome acuto internistico e chirurgico presenta confini alquanto sfumati, poiché poche sono le forme effettivamente appannaggio esclusivamente dell’internista o del chirurgo. Nella maggior parte dei casi è possibile che, a seconda del momento in cui è posta la diagnosi, dell’evoluzione della patologia e della presenza di comorbilità importanti, il paziente debba essere gestito prevalentemente dal chirurgo o prevalentemente dall’internista. Fondamentale rimane comunque la collaborazione tra queste figure professionali anche quando il paziente debba essere sottoposto a intervento chirurgico, in quanto all’internista competono in ogni caso l’ottimizzazione delle condizioni cliniche prechirurgiche e il concorso alla precisa definizione del rapporto rischio/beneficio e alla scelta più opportuna del timing chirurgico stesso. Nella Tabella 1 viene riportato un tentativo complessivo di classificazione per l’addome acuto osservato con un’ottica di tipo internistico che cercheremo poi di analizzare più in dettaglio. “peritonite” diffusa o distrettuale. Non raramente coesiste l’interessamento di sierose anche di altri distretti, quali articolazioni, pleura e pericardio. Sierositi primitive Il prototipo delle forme aspecifiche primitive è costituito dalla febbre familiare mediterranea, capofila del gruppo delle cosiddette febbri periodiche.5 La febbre familiare mediterranea è una patologia su base genetica caratterizzata da un difetto autosomico-recessivo costituito da una mutazione puntiforme identificata a livello dell’esone 10, cosiddetto gene MEFV, sito sul braccio corto del cromosoma 16.6 La malattia si esprime con ricorrenti brevi episodi di durata variabile tra meno di 24 ore e 1 settimana, caratterizzati da febbre, artralgie, dolore addominale simulante una peritonite, dolore toracico di tipo pleuritico o, più raramente, di tipo pericarditico, talora accompagnato da rash cutaneo erisipeliforme. L’età di insorgenza è quella adolescenziale giovanile e non raramente questi giovani pazienti giungono alla diagnosi dopo che in occasione di attacchi precedenti sono stati sottoposti a inutili interventi chirurgici per lo più di appendicectomia o di colecistectomia. Sierositi secondarie Nel contesto delle sierositi va ricordata la possibilità di forme secondarie a vasculiti e collagenopatie,7 non dimenticando che talora possono essere anche la prima manifestazione della patologia in questione. Frequentemente si associano a mucositi e quindi a quadri clinici caratterizzati da diarrea cronica. Alterazioni vascolari in prevalenza rappresentate da aneurismi o manifestazioni ostruttive, specie nell’ambito delle vasculiti, ma anche nell’ambito delle collagenopatie (questa volta particolarmente in presenza di forme già conclamate e sistemiche), possono coesistere e dare problemi nella diagnostica differenziale. MANIFESTAZIONI VASCOLARI SIEROSITI Vengono comprese in questo gruppo quelle patologie addominali in cui il momento etiopatogenetico è rappresentato dalla flogosi della membrana sierosa peritoneale in grado di venire a configurare un vero e proprio quadro di Come ricordato poc’anzi a proposito di sintomatologia addominale nell’ambito delle vasculiti e delle collagenopatie, una causa importante di addome acuto è costituita da patologie di tipo vascolare. In questo ambito, oltre che riconoscere la patologia acuta causa del dolore addominale, è anche importante definire il profilo di 171 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna TABELLA 1 (Continua) Classificazione addome acuto in ambiente internistico SIEROSITI – Aspecifiche (febbre familiare mediterranea, altre febbri periodiche [iperIg D, febbre periodica associata al recettore del TNF]) – Specifiche (vasculiti, collagenopatie) PROBLEMI VASCOLARI (TROMBOSI, ISCHEMIE) – Ischemia intestinale (aterosclerosi, ateroembolismo, LES e vasculiti (PAN), Takayasu, Kawasaki, ecc.) – Infarto splenico – Trombosi dei grossi vasi Intestinali (LES, sindrome da antifosfolipidi, trombofilie) CAUSE EMATOLOGICHE – – – – Microinfarti intestinali e dei visceri addominali nell’anemia a cellule falciformi Pseudocolica renale nella crisi emolitica acuta Infarti splenici nelle sindromi mieloproliferative Trombosi di grossi vasi intestinali nelle sindromi mieloproliferative croniche STATI D’ANSIA, PSICOSI E SINDROMI ANSIOSO-DEPRESSIVE (?) CON SOMATIZZAZIONI DISFUNZIONI NEUROVEGETATIVE ACQUISITE O CONGENITE – Gastroparesi nella chetoacidosi – Disturbi congeniti della motilità intestinale • Malattia di Hirschsprung e altre agangliosi – Distensione addominale pseudo-ostruttiva (pseudo-ostruzione intestinale) • Diselettrolitemie • Farmaci • Idiopatiche – Su base infiammatoria • Megacolon tossico (RCU, colite pseudomembranosa, ecc.) SPASMI VISCERALI – Colica biliare – Colica renale Si possono associare quadri come da “Ileo dinamico” con distensione addominale più o meno marcata FORME ACUTE PRIMITIVAMENTE INFIAMMATORIE – Pancreatite acuta edematosa non biliare – Distensione della glissoniana in corso di epatopatie acute rischio e la probabilità a priori di un determinato paziente di sviluppare una quadro clinico acuto di natura vascolare, per mettere in atto, quando possibile, misure di tipo preventivo. Le manifestazioni vascolari possono interessare sia il versante arterioso sia il versante venoso dell’apparato circolatorio addominale e spesso si inseriscono nel contesto di forme morbose sistemiche (ad es., aterosclerosi) o di diatesi trombofiliche ereditarie o acquisite. 172 Patologia vascolare arteriosa Per quanto riguarda il versante arterioso, la patologia ischemica solitamente è da considerare di pertinenza chirurgica nella sua fase più acuta, ma sottese vi sono importanti cause di tipo internistico che possono essere non raramente passibili di interventi di tipo correttivo o preventivo, quali ad esempio una ben condotta terapia anticoagulante.8 L’aterosclerosi può a buon diritto Approccio all’addome acuto in ambiente internistico TABELLA 1 (Continuazione) Classificazione addome acuto in ambiente internistico – Gastroenterite o postgastroenterite acuta • Spasmi di tipo colico • Ileo dinamico postinfiammatorio – Malattie infiammatorie intestinali croniche con la possibilità anche di megacolon tossicoTI CAUSE METABOLICHE ED ENDOCRINOLOGICHE – – – – – Uremia Ileo e gastroparesi nello scompenso diabetico Porfiria acuta intermittente Crisi addisoniane Tempesta tiroidea REAZIONI DI IPERSENSIBILITÀ E TOSSICITÀ DA METALLI E FARMACI – – – – Intossicazione da piombo Intossicazione da digitale o teofillina Diverse categorie farmacologiche Veleno di rettili o insetti CAUSE ALLERGICHE O DA IPERSENSIBILITÀ – Angioedema ereditario CAUSE NEUROGENICHE – – – – – Radicoliti Neoplasie spinali, perispinali e dei nervi periferici Herpes zooster (nella fasi iniziali) Tabe dorsale Epilessia addominale CAUSE “DI PARETE” – Ematomi dei muscoli retti (specie nelle fasi iniziali) – Tumori – Affezioni acute muscolotendinee CAUSE “SOVRADIAFRAMMATICHE” – Addome acuto metapneumonico • Polmoniti, pleuriti, infarto polmonare, specie se a carico dei lobi inferiori – Cause cardiache • Infarto miocardico acuto (inf.) • Scompenso cardiaco (fegato da stasi per distensione della glissoniana) essere considerata, specie nei soggetti di età più avanzata e nei soggetti di sesso maschile, come la causa più frequente di fenomeni ischemici a livello addominale e talora, specie nell’anziano, la prima manifestazione può esserne costituita da un infarto intestinale da occlusione dell’arteria mesenterica superiore.9 Di fronte a questa diagnosi e anche, come vedremo dopo, di fronte a una diagnosi di infarto splenico nella diagnostica differenziale etiopatogenetica va sempre considerata la possibilità di una genesi ateroembolica o cardioembolica,10 specie se il paziente presenta un ritmo cardiaco come da fibrillazione atriale. Cause meno frequenti, ma sempre da considerare di fronte a un paziente di età più giovane o con scarsi fattori di rischio cardiovascolare sono le collagenopatie (LES11 e sclerodermia fra tutte) e le vasculiti, siano esse da piccoli vasi secondo la classificazione di Fauci come la panarteri173 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna te nodosa,12 siano esse da medi o grossi vasi come la malattia di Takayasu,13 frequente specie nei soggetti asiatici e di sesso femminile, e l’arterite temporale, che invece si pone in diagnostica differenziale nei soggetti più anziani e di sesso maschile con l’aterosclerosi. Nell’ambito delle manifestazioni vascolari del versante arterioso, oltre a fenomeni occlusivi o subocclusivi vanno considerati gli aneurismi. Se l’aneurisma dell’aorta addominale riconosce un’etiologia prevalente nell’ambito della malattia aterosclerotica, aneurismi dei vasi di minor calibro del territorio splancnico, specie se multipli e associati ad aspetti stenotici e in soggetti di età più giovanile, possono fare pensare a vasculiti14 o collagenopatie. Spesso questi aneurismi sono del tutto silenti e la loro prima manifestazione, talora catastrofica, può essere la rottura spontanea, che ovviamente trasforma il quadro in un’urgenza chirurgica.15 Infarto splenico Particolare attenzione merita, nell’ambito della diagnostica differenziale dell’addome acuto internistico per quanto concerne le cause vascolari arteriose, l’infarto splenico.16 Questa patologia si può presentare come un dolore acuto, talora trafittivo, talora gravativo, accompagnata non di rado da resistenza di parete e peritonismo ai quadranti superiori di sinistra e spesso da blocco antalgico della respirazione con diagnostica differenziale non facile nei confronti di una pleurite acuta. La cause, riportate schematicamente nella Tabella 2, possono essere diverse e riconoscere una genesi cardioembolica,17 come nei pazienti con fibrillazione atriale, da discrepanza,18 come nei pazienti affetti da patologie sistemiche con importante splenomegalia, o, infine, da torsione del peduncolo vascolare come in caso di milza “wandering”.19 In presenza di tali situazioni, una sintomatologia quale quella sopra descritta dovrebbe sempre fare porre il sospetto clinico e dare inizio a un iter diagnostico strumentale in grado di confermarlo o escluderlo. Patologia vascolare venosa Per quanto riguarda la patologia addominale acuta del versante venoso, si tratta per lo più di trombosi venose dei grossi vasi addominali (vena mesenterica superiore, trombosi portale, vena renale, ecc.).20 Esse solitamente si presentano in 174 TABELLA 2 Possibili cause di infarto splenico • Splenomegalie di qualsiasi tipo (il rischio è proporzionale alla dimensione) • Diatesi trombofilica: malattie mieloproliferative in particolare • Fibrillazione atriale* • Pazienti con aterosclerosi polidistrettuale di rilevante entità • Milza migrante, per torsione del peduncolo. Possibile soprattutto in presenza di documentata milza accessoria *Causa da considerare specialmente nel paziente anziano. maniera subdola e lenta e nel momento del dolore acuto peritonitico o da ileo paralitico riflesso possono divenire già di pertinenza chirurgica (infarto intestinale, ad esempio, nella trombosi della vena mesenterica superiore). Queste forme non di rado appannaggio di persone di una fascia di età più giovanile possono essere favorite dalla presenza di una diatesi trombofilica,21 congenita o acquisita, oppure essere secondarie alla presenza di neoplasia. A differenza delle altre forme, invece, la trombosi portale22 si può più facilmente manifestare nell’ambito di una cirrosi conclamata con ipertensione portale ed essere caratterizzata, così come la sindrome di BuddChiari, 23 da un quadro clinico di ascite ingravescente refrattaria, più che da dolore addominale isolato. CAUSE EMATOLOGICHE Tra le possibili cause ematologiche di dolore addominale acuto, come riportato nella Tabella 3, possiamo trovare le sindromi mieloproliferative croniche in grado di determinare sia infarti splenici,24 spesso mediati anche dalla presenza di imponenti splenomegalie, sia fenomeni trombotici del letto vascolare splancnico in grado di interessare il versante arterioso e, più frequentemente, il versante venoso.25 Possiamo ricordare inoltre come la crisi emolitica acuta possa esordire talora con un quadro di addome acuto accompagnato dall’emissione di urine “scure” caratterizzate dalla presenza di intensa emoglobinuria.26 Approccio all’addome acuto in ambiente internistico TABELLA 3 Possibili cause ematologiche di dolore addominale acuto • Sindromi mieloproliferative croniche – infarti splenici – trombosi del letto vascolare splancnico specie venoso • Crisi emolitica acuta • Anemia a cellule falciformi – infarti intestinali • Porpora trombotica trombocitopenica – infarti intestinali • Coagulazione intravascolare disseminata – fenomeni trombotico-ischemici – fenomeni emorragici Altri quadri possono comprendere infarti intestinali multipli quali possono verificarsi nell’anemia a cellule falciformi27 o nella porpora trombotica trombocitopenica, ove tuttavia il quadro clinico prevalente interessa per lo più altri distretti (cervello, rene). Infine, un addome acuto accompagnato da importante fenomenologia emorragica può verificarsi in corso di coagulazione intravascolare disseminata,28 per lo più secondaria ad altre patologie, che vanno in questo caso opportunamente ricercate per attuare il più precocemente possibile, oltre che una terapia sintomatica, anche una terapia. DISTURBI PSICHICI E MENTALI Stati d’ansia, psicosi e sindromi ansioso-depressive possono determinare, nell’ambito di somatizzazioni d’organo, quadri clinici di dolore addominale acuto o subacuto talora accompagnato a turbe dell’alvo che, in particolari situazioni, possono mimare quadri clinici di addome acuto internistico.29 Questi quadri possono talvolta porre problemi di diagnostica differenziale nei confronti di sindromi cliniche come la porfiria acuta intermittente (PAI),30 ove nelle crisi acute una sintomatologia addominale acuta può intrecciarsi con una vera e propria sintomatologia di tipo psichiatrico. La stipsi alternata a diarrea, specie diurna e mattutina e con il corteo di dolore addominale accessionale a tipo colico, costituisce il tipico quadro clinico del colon irritabile, non raro da osservare in soggetti con problemi psichici.31 Questa sindrome clinica potrebbe crea- re, almeno all’esordio, se più di tipo doloroso piuttosto che diarroico, qualche problema di diagnostica differenziale nei confronti di altre patologie addominali acute organiche, come ad esempio l’ileo meccanico nelle sue prime fasi. Altre volte, i quadri clinici addominali di questi pazienti possono essere modulati e precipitati dall’impiego di farmaci come i neurolettici o gli antidepressivi, che possono concorrere a realizzare quadri noti come pseudo-ostruzione intestinale.32 Altre volte ancora, a causare i sintomi possono essere abitudini erronee a cui questi soggetti sono avvezzi, come aerofagia spinta o l’ingestione incongrua di corpi estranei o altro (capelli, tegumenti, ecc.). Infine, va ricordato che nel paziente psichiatrico, specie nel soggetto trattato con farmaci più pesanti e con dosaggi più elevati, la percezione dei sintomi può essere resa meno efficiente dalle terapie psichiatriche e pertanto il vero addome acuto può presentarsi con caratteristiche più torpide ed ingannevoli. Nel malato “mentale”, pertanto, il dolore addominale e la sintomatologia addominale richiedono un approccio particolarmente attento e l’esperienza dell’internista può svolgere un ruolo cruciale nell’orientarsi tra problemi di tipo psicosomatico, quadri addominali precipitati o indotti da farmaci e quadri al contrario mascherati dallo stato del paziente e dai farmaci stessi. DISFUNZIONI NEUROVEGETATIVE ACQUISITE O CONGENITE CON DISTENSIONE INTESTINALE Il sistema neurovegetativo è in grado di regolare, attraverso complessi e ben articolati processi, tutta la dinamica della motilità del tubo gastroenterico. È evidente come alterazioni a livello dei centri di regolazione o a livello delle fibre nervose preposte alla trasmissione dello stimolo o della placca di giunzione neuromuscolare possano indurre situazioni critiche a livello intestinale, con quadri clinici di blocco del transito e/o di abnorme distensione delle anse. La Tabella 4 riporta un elenco delle possibili cause etiopatogenetiche. Disregolazioni neurovegetative possono essere presenti in diverse condizioni morbose, a partire dall’anziano con quadri di parkinsonismo, che talora possono coesistere con una grave compromissione del sistema nervoso autonomo, la quale trova la sua espressione culminante, caratterizzata prevalentemente da una gravissima ipotensione ortostatica, nella cosiddetta sindrome di Shy-Drager. Nel pazien175 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna TABELLA 4 Diagnostica differenziale delle pseudo-ostruzioni e delle distensioni intestinali addominali Distensione addominale pseudo-ostruttiva (pseudo-ostruzione intestinale) • Diselettrolitemie • Farmaci • Idiopatiche – Su base infiammatoria • Megacolon tossico (RCU, colite pseudomembranosa, ecc.) – Disturbi congeniti della motilità intestinale • Malattia di Hirschsprung e altre agangliosi Ostruzione intestinale – – – – – Volvolo ciecale Intussuscezione o invaginazione Briglie aderenziali Neoplasia Altro te con abuso etilico cronico e ancora di più nel paziente diabetico, la disfunzione del sistema nervoso autonomo, specie durante fasi di scompenso acuto, può determinare a livello addominale vere e proprie “paresi” intestinali, con significativa distensione dei visceri cavi e in particolare dello stomaco e con quadri clinici come da addome acuto, ascrivibili tuttavia ad abnorme gastrectasia. pio traumatismi, chirurgia recente o infezioni. Il criterio diagnostico maggiormente enfatizzato dai diversi autori è quello di un diametro traverso del colon misurato alla Rx addome diretto uguale o maggiore di 9 cm. La pericolosità della sindrome è legata al rischio di rottura del viscere, con complicanza peritonitica che diventa particolarmente incombente qualora il diametro trasverso superi i 12 cm. Un ruolo particolare nel determinismo di un quadro di pseudo-ostruzione intestinale, quale concausa o quale fattore scatenante, è svolto dai farmaci e dagli squilibri idroelettrolitici.33 In questo ambito, particolarmente importante è il ruolo delle ipokaliemie, frequenti in particolare nei soggetti anziani che si ipoalimentano o che vengono trattati per lungo tempo con farmaci diuretici non risparmiatori di potassio. Tra i farmaci, invece, possono essere in causa gli oppiacei,34 diversi farmaci attivi sul SNC, in particolare i neurolettici e gli antidepressivi triciclici,35 ma anche i calcio antagonisti e i farmaci dopaminergici. Spesso la terapia consiste esclusivamente nella correzione degli squilibri idroelettrolitici presenti, nella sospensione o, qualora non possibile, nella riduzione dei farmaci potenzialmente in causa e nell’utilizzo a scopo detensivo, specie nelle fasi iniziali, di un SNG e di una sonda rettale. In qualche caso, e soprattutto se il diametro del colon si avvicina ai livelli di rischio, è possibile tentare con la dovuta cautela una decompressione per endoscopia o, in casi di estremo rischio o gravità, una ciecostomia decompressiva di emergenza. Sul piano prettamente farmacologico vi sono pochi dati ed esclusivamente sull’impiego dei vagomimetici, quali la neostigmina per iniezioni refratte sottocutanee da considerare in assenza di controindicazioni, quali, fra tutte, specie nell’anziano, la bradicardia. Pseudo-ostruzione intestinale Il quadro clinico di più frequente riscontro in ambito internistico, considerata l’attuale età media assai avanzata dei pazienti ricoverati, è quello cosiddetto di pseudo-ostruzione intestinale.33 Tale forma, definita come sindrome di Ogilvie quando interessa prevalentemente il colon destro e il cieco, si contraddistingue per una progressiva marcata distensione dei diversi segmenti del colon, con un quadro clinico in grado di simulare un ileo ostruttivo. Si sviluppa prevalentemente in pazienti ospedalizzati e nel 95% dei casi costituisce una sequela o complicanza di precedenti patologie di tipo internistico, chirurgico o traumatologico, quali ad esem176 Distensione intestinale infiammatoria o megacolon tossico Un’altra causa, meno frequente, di importante distensione intestinale, specie colica in ambito internistico è il cosiddetto megacolon tossico.36 Per correttezza e precisione dobbiamo rimarcare come alcuni autori non separino questa forma dalla cosiddetta pseudo-ostruzione intestinale o sindrome di Ogilvie che abbiamo poc’anzi trattato. Una distensione delle anse intestinali, talora non solamente localizzata al colon, ma anche all’intestino tenue, si può verificare in via riflessa secondariamente a diverse forme infettive L’eco(color)doppler nell’insufficienza vertebro-basilare acute intestinali e seguire fasi di diarrea di breve durata. Solitamente queste forme, così come il sintomo diarrea, si autolimitano e non di rado la distensione intestinale successiva può anche venire favorita dall’incongruo impiego di farmaci antidiarroici, quali ad esempio la loperamide. Il vero e proprio megacolon tossico acuto consiste però in una distensione improvvisa e ingravescente del colon, di solito in tutta la sua segmentazione, che avviene durante la fase di acuzie di una malattia infiammatoria intestinale cronica e in particolare nella rettocolite ulcerosa. Il megacolon tossico viene definito tale quando il paziente presenta una dilatazione del colon trasverso di diametro superiore a 5-6 cm accompagnata da perdita delle haustrature. Anche in questo caso, come per la pseudo-ostruzione intestinale, vi possono essere fattori concausali costituiti dall’incongruo impiego di farmaci (oppiacei fra tutti) e/o diselettrolitemie. Un precoce riscontro di megacolon tossico in corso di fase attiva di rettocolite ulcerosa consente di intervenire con successo utilizzando la terapia medica come per l’attacco acuto della rettocolite ulcerosa con boli di corticosteroidi.37 Megacolon congenito (malattia di Hirschsprung) Anche se rare, nell’ambito della diagnostica differenziale delle distensioni addominali vanno comunque ricordate le forme congenite, cui prototipo è la cosiddetta malattia di Hirschsprung.38 Essa determina una dilatazione del colon quale risultato di un’ostruzione funzionale (usualmente a livello del retto) mediata da una congenita assenza del plesso neurale intramurale a quel livello (anche definita aganglionosi). Talora, anche se non frequentemente, la diagnosi può essere posta in età giovane-adulta39 e può porre problemi di diagnostica differenziale soprattutto nei soggetti che giungono all’attenzione per dolore addominale, nausea e vomito, che spesso, nel caso del megacolon congenito, è accompagnato da una lunga storia di stipsi ostinata. Diagnostica differenziale delle pseudo-ostruzioni e distensioni addominali (Tab. 4) Ovviamente, in presenza di un quadro di dolore addominale acuto e importante distensione addominale, prima di formulare la diagnosi di pseudo-ostruzione o megacolon tossico va esclu- sa la presenza di vera e propria ostruzione meccanica, ovvero di un ileo ostruttivo.40,41 In questo ambito, è fondamentale una stretta collaborazione fra internista e chirurgo mirata a una precisa e puntigliosa raccolta anamnestica e a un meticoloso esame obiettivo. A essi andrà associata una diagnostica strumentale che si avvarrà della Rx addome diretta in tutte le sue diverse proiezioni, cui potrà essere associata, a seconda delle circostanze un Rx tubo digerente con contrasto (eventualmente iodato) e/o un Rx clisma opaco, onde verificare la presenza o meno di canalizzazione intestinale. Specie nelle fasi precoci, l’utilizzo di bario è da evitare a vantaggio di mezzi di contrasto iodati, anche perché la sua presenza a livello intestinale nei giorni successivi può inficiare l’utilizzo di altre metodiche diagnostiche come ad esempio la tomografia assiale computerizzata. Va ricordato che nell’ileo meccanico, soprattutto nelle prime fasi di insorgenza, il dolore si presenta di tipo “colico”, caratterizzato da spasmi intestinali associati a vivaci borborigmi, a differenza delle forme pseudo-ostruttive dove la peristalsi e i rumori intestinali sono drasticamente ridotti fino al silenzio totale. La nausea e il vomito nelle ostruzioni più distali, analogamente a quanto accade nei quadri pseudo-ostruttivi, possono essere sintomi sfumati e comparire solo tardivamente, a differenza invece di quanto accade nelle ostruzioni “alte”. SPASMI VISCERALI In questo gruppo di affezioni possiamo inserire a buon diritto le coliche epatiche42 e renali.43 Per i pazienti che hanno già presentato analoghi episodi e che vantano in anamnesi la presenza di nota calcolosi biliare o renale, un episodio doloroso con caratteri accessionali di spasmo, accompagnato, specie per la colica renale, a intensa fenomenologia neurovegetativa e localizzato all’emiaddome ove è nota la presenza delle formazioni litiasiche (ovviamente a destra per la colica biliare), configura un quadro di diagnosi non difficile. Un po’ più complessa è la diagnosi di primo episodio, soprattutto in soggetti più anziani e con sintomatologia non del tutto tipica. In questi casi, può effettivamente essere di aiuto il laboratorio in grado di svelare sia le eventuali conseguenze della “colica”, quali ipertransaminasemia, iperbilirubinemia e movimento dei principali indici di stasi, sia gli eventuali fattori predisponenti, quali, ad esempio, nelle coli177 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna che renali, iperuricemie e ipercalcemie. Ovviamente, l’analisi del sedimento urinario sarà in quest’ultimo caso un altro valido ausilio diagnostico. Dirimente infine può risultare un esame ecografico, ormai alla portata di quasi tutti i Pronto Soccorso e dei reparti di Medicina Interna, il quale direttamente evidenzia le formazioni litiasiche e le loro eventuali conseguenze (idronefrosi, idrope o distensione della colecisti, ecc.), divenendo così un mezzo diagnostico insostituibile proprio per le forme cliniche più gravi o protratte e più resistenti alle iniziali terapie. FORME PRIMITIVAMENTE INFIAMMATORIE In corso di infiammazioni d’organo o malattie infiammatorie sistemiche, ma con tropismo a livello dei visceri addominali si possono avere quadri di addome acuto che solitamente si risolvono con la risoluzione della forma infiammatoria primitiva alla base dell’etiologia del quadro. Possono associarsi a gastroenteriti acute44 o seguirne il decorso caratterizzandolo con la prevalenza di dolore a tipo “colico” accessionale. Possono a volte, seppur raramente, esitare in un quadro come da megacolon tossico, di cui abbiamo già parlato in precedenza. Nella stragrande maggioranza dei casi, tuttavia, la risoluzione è tanto rapida quanto lo è stata la fase acuta. Altre volte il dolore acuto addominale è collegato alla distensione capsulare di un viscere quale il fegato, come può accadere all’esordio di un’epatite acuta.45 Il quadro clinico è talora reso di più difficile interpretazione dalla presenza associata di una colecisti che può presentare aspetti riflessi sia di distensione sia di contrazione e ispessimento parietale tali da far sospettare anche un’eventuale colecistite. Tuttavia, nel dolore addominale da distensione della glissoniana epatica da epatopatia acuta la durata della fase algica è alquanto limitata nel tempo e con caratteristiche di tipo gravativo continuo subcontinuo e non spastico accessionale. Inoltre, nelle epatopatie acute solitamente l’enzimogramma epatico mostra incrementi di transaminasi rapidi e di livelli tali (x 10-20) quali molto difficilmente una colica biliare può far raggiungere. Nell’ambito della patologia infiammatoria acuta causa di “addome acuto” possiamo anche inserire la pancreatite acuta,46 da sospettare sempre in soggetti con dolore violento non accompagnato da evidenti segni di peritonismo, specie in presenza di una storia clinica di litiasi della 178 colecisti o di abitudini etiliche. Infine, da tenere presenti in diagnostica differenziale, soprattutto nelle fasi di esordio, sono sia le malattie infiammatorie intestinali croniche47 come la rettocolite ulcerosa e il morbo di Chrohn, a volte caratterizzate da presentazione con dolore diffuso addominale, segni di peritonismo e diarrea profusa, sia infezioni acute, a livello intestinale, anche se di più raro riscontro, almeno nei nostri Paesi. In questo ambito, specie nei soggetti più anziani, la presenza di dolore addominale quando eventualmente associato a segni di peritonismo e localizzato in prevalenza ai quadranti inferiori a sinistra dovrebbe sempre fare sospettare una possibile diverticolite acuta,48 che, almeno per quanto riguarda il primo episodio, viene considerata come patologia “medica” e come tale da sottoporre a trattamento conservativo e non chirurgico. Analogamente, anche se localizzato ai quadranti superiori di destra, il dolore addominale acuto riferibile a empiema della colecisti49 potrebbe ormai essere considerato, almeno nella fase acuta, date l’età avanzata e la comorbilità della maggior parte di questi pazienti, una patologia di interesse internistico, da gestire comunque in collaborazione con il chirurgo, soprattutto nei casi ove per motivi di recidiva o di non ottimale risposta alla terapia medica può prospettarsi come opportuno l’atto chirurgico. CAUSE METABOLICHE ED ENDOCRINOLOGICHE Si tratta di etiologie non particolarmente frequenti, ma che in ambito internistico e di Pronto Soccorso dovrebbero essere sempre tenute presenti in quanto potenzialmente letali se non tempestivamente riconosciute e trattate. Oltre all’uremia,50 quadro tuttavia sempre di accompagnamento a un’ingravescente insufficienza renale per lo più progressiva nel tempo, che si caratterizza anche per la presenza di addominalgie, inappetenza marcata, nausea e vomito e alla possibilità di ileo paralitico e gastrectasia da gastroparesi nell’ambito di una chetoacidosi diabetica51 più spesso appannaggio di pazienti di età relativamente giovane e di non difficile riconoscimento, sono essenzialmente tre le sindromi endocrinometaboliche in grado di mimare un addome acuto. Si tratta della porfiria acuta intermittente (PAI),52 della crisi addisoniana nell’insufficienza corticosurrenalica acuta53 e della cosiddetta Approccio all’addome acuto in ambiente internistico “tempesta tiroidea” dell’ipertiroidismo iperacuto.54 Porfiria acuta intermittente (PAI) Appartiene al gruppo delle porfirie, patologie relativamente rare caratterizzate patogeneticamente da difetti di una o più tappe enzimatiche della catena dell’eme. Spesso ne sono colpite giovani donne con problemi psichiatrici o psicologici, che, pur legati alla malattia, a volte per anni, prima di arrivare alla diagnosi vera e propria portano questi soggetti a essere considerati e trattati esclusivamente come tali e a interpretare gli altri sintomi come possibili somatizzazioni. La PAI si presenta solitamente con attacchi ricorrenti che possono presentare aspetti di tipo proteiforme. Sintomo cardinale degli attacchi è il dolore addominale, che può essere intenso, talora con aspetti crampiformi o accompagnato a distensione addominale. A differenza dell’addome acuto chirurgico, non coesistono rialzi febbrili, neppure con la rilevazione rettale, e non è solitamente presente leucocitosi neutrofilica. Possono far parte del corteo sintomatologico dell’attacco acuto, inoltre, nausea e vomito o, al contrario, stipsi ostinata. Problemi a carico del sensorio che possono coesistere con sintomi neurologici centrali, con quadri anche di estrema gravità di tipo sia eccitatorio (stati convulsivi) sia depressorio (respiro periodico e arresto respiratorio) possono creare situazioni di pericolo per la vita del paziente. In taluni casi non viene risparmiato neppure il sistema nervoso periferico, con quadri di neuropatia isolata o multipla che, unitamente alla giovane età dei soggetti colpiti, possono evocare nell’ambito della diagnostica differenziale una sindrome vasculitica acuta. A livello addominale55 può essere dominante un sintomo disurico fino a una vera e propria ritenzione acuta di urina con globo vescicale. Nell’ambito del quadro di una sofferenza globale del paziente in grado di mimare un addome acuto si possono inoltre osservare tachicardia, sudorazione e tremori. Ovviamente, gli esami strumentali non sono di ausilio, risultando in questi casi negativi, mentre il laboratorio può a volte aiutare svelando un’iponatriemia che, non di rado particolarmente grave, è espressione di una SIADH (sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico).56 Durante l’attacco acuto, ispettivamente le urine possono assumere il caratteristico colorito rosato scuro cosiddetto color “porto”, dal nome dell’omonimo famoso vino. Tale colorazione è mediata dalla presenza di pigmenti di degradazione dell’eme, quali il porfobilinogeno e l’acido delta aminolevulinico, la cui determinazione nelle urine della fase acuta consente di confermare il sospetto diagnostico. Crisi addisoniana acuta (insufficienza corticosurrenalica acuta) Un ipocorticosurrenalismo acuto tale da determinare il quadro clinico della cosiddetta crisi addisoniana può essere scatenato da situazioni di stress conseguenti a patologie acute di diversa natura, quali ad esempio infezioni o aggressioni chirurgiche. Tant’è che in soggetti con noto ipocorticosurrenalismo la posologia steroidea sostitutiva andrebbe sempre adeguata in aumento qualora si verifichino tali situazioni di rischio. Il quadro clinico è caratterizzato da ipotensione, inizialmente di tipo ortostatico e successivamente anche in condizioni basali, astenia, dolori addominali accompagnati da marcata inappetenza, nausea e vomito. L’addome, tuttavia, è di solito trattabile e non presenta segni di peritonismo, né significativa distensione delle anse. Il caratteristico profilo bioumorale è costituito da iposodiemia e tendenziale iperkaliemia, talora accompagnata da alcalosi metabolica, lieve insufficienza renale (prerenale) e leucocitosi con neutrofilia e, a volte, eosinofilia. Dati recenti57 sottolineano come, specie nel paziente anziano, in disparate situazioni patologiche, possa slatentizzarsi un’insufficienza corticosurrenalica relativa e per questo in precedenza misconosciuta e come tale dato debba essere preso in considerazione e, se necessario, considerato per un opportuno trattamento sostitutivo di supporto. La determinazione dell’ACTH (che risulterà elevato) ed eventualmente una curva da carico con ACTH (che risulterà piatta o quasi) potrebbero consentire la conferma diagnostica, che potrà essere avvalorata, come criterio ex juvantibus, anche dalla rapida risposta alla terapia sostitutiva steroidea. Tempesta tiroidea (thyroid storm) A differenza dello pseudoaddome acuto della crisi addisoniana, la fase iperacuta dell’ipertiroidismo si caratterizza più per focalizzazioni d’organo diverse dei visceri addominali58 (apparato cardiocircolatorio in primis) che per la sintomatologia addominale. Tuttavia, nell’ambito di tale quadro clinico, anche se non frequente179 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna mente, si può avere dolore addominale più spesso di tipo accessionale colico o distensione addominale54 che, accompagnato a diarrea talora profusa e febbre, può mimare il quadro di malattie infiammatorie croniche intestinali in fase di recrudescenza o di altra patologia addominale acuta. Orienterà in questo caso verso una diagnosi corretta la coesistenza di calo ponderale, tachicardia o fibrillazione atriale, diaforesi, agitazione e tremori, sintomi tutti più o meno invariabilmente presenti e da interpretare correttamente e in maniera unitaria. Ovviamente, la conferma diagnostica verrà poi della determinazione di TSH e frazioni tiroidee ormonali libere. REAZIONI DA IPERSENSIBILITÀ O TOSSICITÀ DA METALLI O FARMACI Appartiene ormai alla storia della medicina il quadro di pseudoaddome acuto descritto nel saturnismo acuto o intossicazione da piombo descritto nei lavoratori addetti alla lavorazione di manufatti contenenti piombo.59 Oggigiorno, i controlli preventivi eseguiti dalla medicina del lavoro rendono altamente improbabile una tale evenienza. Così come molto rare, per lo meno nei Paesi occidentali, sono le reazioni all’inoculazione di veleno o sostanze irritanti da parte di animali velenosi capaci di realizzare anche sintomatologia acuta di tipo addominale.60 Diverso, invece, e in continua espansione è l’ambito iatrogeno a livello addominale, dove farmaci vecchi e nuovi costituiscono un’ampia miscellanea che ogni internista tuttavia dovrebbe sempre tenere bene a TABELLA 6 Farmaci e addome acuto: interazioni e interferenze al di là dell’effetto diretto 1. Possono precipitare patologie in grado di dare quadri addominali acuti a) Pseudo-ostruzione intestinale (oppiacei, anticolinergici) b) Porfiria acuta intermittente (antiepilettici, neurolettici, ecc.) 2. Possono trattare quadri addominali acuti dovuti a cause extraddominali a) Antiepilettici nella abdominal epylepsia 3. Possono mascherare i sintomi di patologie addominali acute anche di possibile pertinenza chirurgica a) Oppiacei, antidolorifici, neurolettici, cortisonici 4. Possono orientare la diagnosi verso problematiche non organiche a) Farmaci psichiatrici in pazienti giovani con pochi fattori di rischio per addome acuto mente e ipotizzare già all’atto di un’accurata indagine anamnestica che, ovviamente , non può non considerare i farmaci assunti, la durata della loro assunzione e la loro posologia.61 La Tabella 5 riporta un elenco indicativo di farmaci e classi di farmaci potenzialmente in grado di mimare o determinare un vero e proprio addome acuto.32,34,64-74 Nella Tabella 6 vengono invece elencate le interazioni che alcuni farmaci possono avere nei confronti della patologia acuta addominale. In questo settore, come già ricor- TABELLA 5 Farmaci in grado di determinare situazioni simil-“addome acuto” • Digitalici62 e teofillina63 Situazione spesso preceduta da inappetenza, nausea e vomito e da sintomi significativi extraddominali • Anticolinergici,64 oppiacei,34 calcio antagonisti,32 tocolitici65 Pseudo-ostruzione intestinale, globo vescicale (maschio) • FANS,66 chemioterapici antineoplastici (irinotecan, 5FU, taxani),66,67,68 antibiotici69 Quadri di ileite o colite ulcerativa acuta o subacuta oppure enterocolite necrotizzante • Simpaticomimetici,70 ergotaminici,71 cocaina72 Infarti anche a livello intestinale • Estroprogestinici73 Trombosi del tratto splancnico • Anticoagulanti ed eparine 74 180 Ematomi (di parete) con quadri acuti o pseudoacuti Approccio all’addome acuto in ambiente internistico dato, il ruolo dell’anamnesi diventa fondamentale per riuscire a stabilire la possibile relazione causale tra farmaco e dolore addominale acuto, considerando anche attentamente i fattori concausali in gioco, quali ad esempio il ruolo di un peggioramento della funzionalità renale nel determinismo di un’intossicazione digitalica. CAUSE ALLERGICHE O DA IPERSENSIBILITÀ Angioedema ereditario Causa non frequente, ma prettamente internistica di quadri clinici in grado di mimare in tutto e per tutto un vero e proprio addome acuto chirurgico è l’angioedema ereditario.75 Si tratta di una malattia rara, trasmessa per via autosomico-dominante e caratterizzata da ridotte concentrazioni plasmatiche di C1 esterasi inibitore (tipo 1) o dalla presenza di C1 esterasi inibitore funzionalmente non attivo (tipo 2). Solitamente, la presentazione clinica è caratterizzata da attacchi comprendenti la comparsa di angioedema, che può essere localizzato al volto, alla lingua o ad altre regioni dell’apparato tegumentario, nella maggior parte dei casi ad autorisoluzione nell’arco di 24-72 ore. Sono descritti tuttavia casi particolari in cui l’espressione clinica degli attacchi è quella di dolore addominale colico ricorrente, che può accompagnarsi a versamento ascitico e mimare gli aspetti dell’addome acuto, ponendo non poche difficoltà nella diagnostica differenziale. Una volta posto il sospetto diagnostico, lo stesso va confermato con il dosaggio del C1 esterasi inibitore e della sua attività. Nel caso di attacchi di particolare gravità, la terapia sintomatica può essere affiancata da una terapia causale a base di concentrati di C1 esterasi inibitore. CAUSE NEUROGENICHE Nella diagnostica differenziale del dolore addominale acuto vanno anche prese in considerazione potenziali cause neurogeniche.76 Sono cause rare e di cui ancor più raro è un esordio acuto d’emblée. Possiamo ricordare in questo ambito la possibilità che radicoliti o neoplasie spinali, perispinali o dei nervi periferici possano dare quadri dolorosi addominali, solitamente settoriali e segmentali (lungo il decorso o nell’irradiazione dei tratti nervosi coinvolti). Meno raro l’herpes zoster a carico dei metameri lombosacrali nel quale, talora, la fase dolorosa può precedere anche di giorni la comparsa dell’esantema vescicolare localizzato tipico dell’affezione. Del tutto eccezionali possono ormai essere considerati la tabe dorsale e quella particolare forma di epilessia definita “addominale”. In tutte queste situazioni, l’assenza di segni peritoneali, la negatività della Rx addome diretto e, quando eseguiti, di ecografia addominale e TC deve indurre l’internista a ricercare sindromi cliniche alternative all’addome acuto e l’ambito neurogenico deve comunque essere tenuto presente nella diagnostica differenziale. CAUSE “DI PARETE” Se si presta attenzione all’anamnesi e, in questo particolare caso, anche a un meticoloso esame obiettivo, le cosiddette cause “di parete” sono assai facilmente riconoscibili. In primis, tra esse va ricordata la possibilità di un ematoma sottofasciale dei muscoli retti dell’addome,74 causa sempre da considerare quando compaia dolore addominale abbastanza localizzato in detta sede e in soggetti posti in trattamento con preparazioni di eparina calcica o a basso peso somministrata sc. Anche stiramenti o contratture dovute a movimenti incongrui possono esordire con dolore addominale acuto che, come nel caso dell’ematoma sottofasciale, si presenta ben localizzato e decisamente peggiorato dalla palpazione superficiale, associandosi nelle fasi successive a possibili segni locali quali tumefazione e/o arrossamento. CAUSE SOVRADIAFRAMMATICHE Come alcune irradiazioni dolorose di organi sottodiaframmatici possono localizzarsi in aree sovradiaframmatiche (caratteristico è l’esempio del dolore alla spalla espressione di patologia acuta di colecisti e fegato), così può accadere anche il contrario. Cause cardiache In ambito cardiovascolare è ben noto come un dolore epigastrico acuto, specie se di tipo gravativo costrittivo e accompagnato da spiccati fenomeni neurovegetativi, può ben essere espressione 181 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna di infarto miocardico acuto della parete inferiore o posteriore del cuore ed essere a volte scambiato per una patologia acuta addominale di tipo peptico o di tipo epatopancreatico.77 Inoltre, sempre in questo settore di patologia possono esservi pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico, in cui la prevalenza di scompenso destro può determinare un fegato da stasi particolarmente importante ed esordire con intenso dolore all’ipocondrio destro, espressione di distensione acuta della glissoniana. Cause pleuropolmonari (o addome acuto metapneumonico) Analogamente, processi patologici pleuropolmonari, come una polmonite o una pleurite basale, possono esordire con dolore intenso in regione ipocondriaca, cui si può anche accompagnare una resistenza antalgica parietale addominale in grado di far mimare in tutto e per tutto una situazione di addome acuto.78 Anche se percentualmente inferiori, altri processi patologici in grado di interessare i foglietti pleurici, come un infarto embolico polmonare o un processo neoplastico, possono dare quadri similari, ma caratterizzati da un minor grado di acuzie. collaborazione interdisciplinare sempre più stretti tra internisti, chirurghi, gastroenterologi, endoscopisti e radiologi. In questa maniera e con un utilizzo sempre più estensivo “on line”, sul campo, delle tecniche ecografiche all’interno dei nostri reparti di Medicina Interna si potrà migliorare e velocizzare la diagnostica, evitare interventi chirurgici incongrui o inappropriati, migliorare il timing di quelli necessari e rendere più efficace il trattamento medico preoperatorio e postoperatorio. Certamente tutto ciò comporta la necessità che gli internisti degli anni Duemila mantengano una vocazione olistica all’approccio delle malattie, evitando fughe troppo precoci od esclusive in direzione delle branche specialistiche, come non di rado accade. Al contrario, va accettata la sfida di una Medicina Interna che sempre di più si pone e si propone come la Medicina della complessità. Una medicina pertanto unica che, mettendo al centro la persona, vuole curare il paziente nella sua globalità e non nel singolo sintomo. Essa sa soppesare nella giusta maniera qualità e quantità della vita, nella consapevolezza che curare è comunque sempre possibile, anche quando non si può guarire, e che solo nel dubbio, nell’applicazione costante allo studio e nel confronto sistematico tra colleghi è possibile realizzare la cura migliore per ogni malato. CONCLUSIONI Non è certamente facile il tentativo di delineare un approccio “internistico” all’addome acuto. Abbiamo cercato in maniera sintetica di classificare e definire con criteri prevalentemente di tipo etiopatogenetico i numerosissimi quadri clinico-patologici in grado di determinare una sindrome come da addome acuto, termine considerato da noi e dalla maggior parte degli autori in letteratura come sinonimo di dolore addominale acuto. Ne scaturisce un’elencazione nell’ambito della quale e al termine della quale a nostro giudizio lo spazio per l’internista appare molto ampio nell’ambito sia della diagnostica sia della terapia. Crediamo sia venuto il momento in cui i reparti di Medicina Interna possano riappropriarsi della patologia addominale, per troppo tempo ed erroneamente ritenuta solamente di pertinenza chirurgica. Deve essere altrettanto chiaro, comunque, che non si tratta di un’esclusività, ma che è necessaria un’ampia collaborazione tra diverse figure professionali e che, all’interno dei nostri ospedali, seguendo le linee dei nuovi modelli dipartimentali, devono crescere, proprio intorno a questi malati molto complessi, modelli di 182 RIASSUNTO Gli autori definiscono l’addome acuto o dolore addominale acuto “internistico” come un dolore addominale acuto o subacuto di tipo accessionale e con caratteristiche di evolutività che lo rendono capace di regredire spontaneamente o con terapia medica e complicarsi ed evolvere verso la necessità di una terapia chirurgica in una minoranza di pazienti. Passano poi in rassegna sinteticamente i diversi quadri clinici e le diverse patologie in grado di presentarsi con le caratteristiche dell’addome acuto. Il tentativo di classificazione da essi proposto elenca questi diversi capitoli: (a) sierositi aspecifiche (febbre familiare mediterranea in particolare) o specifiche; (b) problemi vascolari con ischemia intestinale, infarto splenico e trombosi dei grossi vasi intestinali; (c) cause ematologiche; (d) disturbi psichici e mentali con somatizzazione d’organo; (e) disfunzioni neurovegetative acquisite o congenite con distensione intestinale con i quadri di pseudo-ostruzione intestinale acquisita o congenita e con il megaco- Approccio all’addome acuto in ambiente internistico lon tossico; (f) spasmi viscerali comprendenti fra tutti la colica biliare e quella renale; (g) forme primitivamente infiammatorie con la pancreatite acuta non biliare quale sindrome più significativa; (h) cause metaboliche ed endocrinologiche, da considerare eminentemente di tipo “medico” con sindromi quali la porfiria acuta intermittente, e quadri clinici di ambito endocrinologico, quali quelli della crisi addisoniana e della tempesta tiroidea; (i) reazioni da ipersensibilità o tossicità da metalli e farmaci, molto meno rari di quanto si possa pensare; (l) cause neurogeniche, rare ma possibili, quali ad esempio un esordio di herpes zoster dei metameri lombari; (m) cause “di parete”, come ad esempio l’automa acuto subacuto sottofasciale dei muscoli retti; (n) cause sovradiaframmatiche, quali ad esempio l’infarto miocardico della parete inferiore e processi pleuropolmonari a carico dei segmenti inferiori e diaframmatici. Infine, viene sottolineata l’importanza del ruolo dell’internista nel concorrere alla definizione diagnostica e al trattamento, frequentemente di tipo conservativo, di queste forme, definendo anche un team collaborativo insieme al chirurgo, al radiologo e, di volta in volta, ad altri specialisti di settore. BIBLIOGRAFIA 1. Silen W. Abdominal pain, Chapter 14. In: Harrison’s Principles of Internal Medicine, 14th edition (ed. AS Fauci et al.). New York: McGraw-Hill, 1998:77-78. 2. Glasgow RE, Mulvihill SJ. Abdominal pain, including the acute abdomen, Chapter 5. In: Feldman M, Scharschmidt BF, Sleisenger MH, et al. (eds.). Sleisenger & Fordtran’s Gastrointestinal and Liver Disease, 6th ed. Philadelphia: WB Saunders, 1998:8089. 3. Buglios TF, Meloy TD, Vukov LF, et. al. Acute abdominal pain in the elderly. Ann Emerg Med 1990;19: 1383-1386. 4. Janig W, Morrison JFB. 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I beta-bloccanti, infatti, hanno dimostrato di essere in grado di migliorare la capacità di esercizio e i sintomi nei pazienti con scompenso di cuore, ma soprattutto hanno fatto diminuire la mortalità cardiovascolare e la riospedalizzazione. Questi vantaggi si hanno in tutti i gradi di severità della sindrome e vi sono dimostrazioni che i dati sono applicabili alle popolazioni giovani, ma anche agli anziani. I farmaci che si sono finora dimostrati utili sono il metoprololo succinato, il bisoprololo, il nebivololo e il carvedilolo. Per il bucindololo sostanzialmente è stata provata una neutralità. Nella scelta del farmaco vanno tenuti presenti non solo le evidenze che vengono dai trial di confronto (COMET), ma anche i presupposti fisiopatologici che possono far sì che la molecola presenti vantaggi maggiori per il paziente. Queste proprietà ancillari sono la capacità di bloccare i recettori sia beta1 sia beta2 e anche alfa1, la capacità vasodilatatrice, quella antiossidante, antiapoptotica, che possono avere effetti sulla contrattilità ventricolare, sul rimodellamento e anche sui tessuti periferici, quali il muscolo scheletrico, che ha una funzione importante nel determinare la capacità di esercizio dei pazienti. Parole chiave: beta-bloccanti, scompenso cronico di cuore, carvedilolo, bisoprololo, metoprololo, nebivololo. SUMMARY The use of beta-blockers in patients with chronic heart failure has been proposed only in the recent years but it is now a milestone for the treatment of this syndrome. Beta blockers have been shown able to ameliorate exercise capacity and symptoms, butmore importantly survival and rehospitalisation rate. These advantages have been proven for all the NYHA classes and degree of severity of the disease, as well as for elderly. The drugs for which we have clinical eveiidences available are metoprolol succinate, carvedilol, bisoprolol and mebivolol. A large clinical trail testing the efficacy of bucindolol has non provided a clear advantage of this drug. When a clinicial has to face the choice of which drug to use for a given patient, it is cricial to keep in mind not only the evidence derived from clinical trials comparing different agents (for instance COMET where carvedilol was tested against metoprolol tartrate, but also the physiopathological background that makes a molecule better tailored for the patient we have to treat. Another important issue is the advantage that a molecule can offer thanks to its ancillary properties. For instance the ability to block both beta1, beta2 and alpha 1 receptors, the vasodi- Per la corrispondenza: Giorgio Vescovo Medicina Interna 1 Ospedale S. Bortolo Vicenza tel. 0444-992462 e-mail [email protected] 186 Beta-bloccanti e scompenso cronico di cuore lating, antiapoptotic and antioxidative properties which are offered by carvedilol. These properties are important not only at myocardial but also at skeletal muscle level where the block of apoptosis and the prevention of myofibrillar protein peroxidation can prevent muscle atrophy and dysfunction with a favourable effect on exercise capacity. Key words: beta-blockers, chronic heart failure, carvedilol, bisoprolol, metoprolol, nebivolol. INTRODUZIONE Il trattamento dello scompenso cronico di cuore resta una sfida clinica per il cardiologo e per l’internista. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’introduzione di nuove terapie che hanno modificato in maniera significativa la prognosi dei pazienti con scompenso; ciononostante, la mortalità, la morbilità e l’ospedalizzazione restano elevate. L’aumento della vita media, l’elevata incidenza di questa patologia nelle classi di età più avanzata e l’aumento della prevalenza dei fattori di rischio fanno sì che le figure legate a questa patologia e il carico economico legato alla sua cura siano destinati ad aumentare. Inoltre, nonostante l’attuale armamentario terapeutico a nostra disposizione, la mortalità a 5 anni per scompenso nei maschi è diminuita dal 70% (negli anni ’50-69) al 59% (nel decennio ’90-99). Il trattamento di questa sindrome è comunque ispirato a ben precise linee guida che trovano supporto in trial clinici randomizzati controllati disegnati per studiare mortalità e morbilità. Questi studi clinici hanno avuto il vantaggio di dare informazioni scientifiche precise, di definire i benefici e i rischi legati agli interventi, di individuare la tipologia dei pazienti che maggiormente beneficiano del trattamento e di determinare il numero di pazienti che devono essere trattati per prevenire un evento.1 Purtroppo, questi trial clinici non sono in grado di darci informazioni sullo “stato dell’arte” della medicina, non sono in grado di rispondere a tutte le domande, hanno un disegno poco flessibile, non sono applicabili a tutti i pazienti del mondo reale, sono costosi e si focalizzano su end-point misurabili (quali ad esempio la morte o l’ospedalizzazione) più che sulla qualità della vita. Negli ultimi due decenni sono stati pubblicati almeno 100 trial che hanno affrontato il problema del trattamento dello scompenso di cuore. Sono stati studiati ACE-inibitori, beta-bloccanti, antagonisti dell’angiotensina II, calcio antagonisti, isotropi, vasodilatatori e dispositivi quali ICD e PM con resincronizzazione. Molti trial recenti hanno avuto un impatto terapeu- tico notevole sul trattamento dei pazienti con scompenso cronico di cuore. Tra gli ultimi farmaci di cui è stata dimostrata un’efficacia nel trattamento dello scompenso sono i beta-bloccanti. Gli studi sono stati mirati a diverse classi di gravità, a diverse popolazioni etniche, a pazienti anziani e sono stati perfino confrontati farmaci con caratteristiche diverse. Le evidenze supportano in maniera inequivocabile l’uso di questi farmaci nei pazienti con scompenso cronico di cuore. Questi studi hanno inoltre fornito il razionale per il loro impiego e le motivazioni per l’uso preferenziale di un farmaco piuttosto che di un altro.1 RAZIONALE FISIOPATOLOGICO PER L’USO DEI BETA-BLOCCANTI NELLO SCOMPENSO Scompenso cardiaco e attivazione neuro-ormonale Il trattamento dello scompenso cardiaco è principalmente mirato a combattere l’attivazione neuro-ormonale che caratterizza questa sindrome. ACE-inibitori, antagonisti dei recettori dell’angiotensina II e antialdosteronici vengono usati per antagonizzare il sistema renina-angiotensina-aldosterone che, insieme al sistema adrenergico, è il maggior responsabile degli effetti negativi a lungo termine sul miocardio, sulle strutture vascolari e sugli organi bersaglio. Se il blocco del RAAS è stato ormai accettato da molto tempo, per quanto riguarda il blocco del sistema adrenergico, questo è stato solo recentemente preso in considerazione con l’uso dei beta-bloccanti. Va ricordato, inoltre, che i beta-bloccanti non solo antagonizzano l’effetto delle catecolamine, ma anch’essi, come bloccanti del rilascio di renina, sono farmaci che interferiscono con il RAAS. Le evidenze che mostrano la riduzione di mortalità del 35% in pazienti con scompenso cardiaco a cui venivano somministrati beta-bloccanti contro placebo una volta che la terapia con diuretici e ACEI era stata ottimizzata sono state pubblicate solo negli ultimi anni. Nonostante ciò, alcuni quesiti rimanevano aper187 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna ti, quali l’applicazione di queste evidenze a tutte le classi di severità della sindrome e a tutte le classi di età. Razionale dell’uso dei beta-bloccanti nello scompenso è antagonizzare l’attività del sistema nervoso adrenergico che nello scompenso, come detto, è esagerata. I livelli di catecolamine circolanti, quali la noradrenalina (NA), sono aumentati e i livelli sono tanto maggiori quanto più grave è la sindrome. Aumentato è anche il rilascio delle catecolamine a livello presinaptico. Tutto ciò fa sì che si verifichi una desensitizzazione dei recettori beta-adrenergici che poi evolve verso una vera e propria down regulation. La desensitizzazione e la down regulation sono prevalentemente a carico dei recettori beta1 cui consegue una prevalenza di numero e funzione dei recettori beta2. L’aumentata attività del sistema nervoso simpatico esita in un progressivo deterioramento della funzione ventricolare sinistra, che può essere secondaria alla tossicità diretta delle catecolamine stesse sui cardiomiociti, all’aumento del postcarico da vasocostrizione e dello stress parietale con conseguente ischemia miocardica e stress ossidativo. Le più importanti cause comunque di depressione della funzione ventricolare sono la desensitizzazione recettoriale e la down regulation.2 La desensitizzazione/down regulation del recettore beta1 adrenergico è un processo complesso che vede la fosforilazione del recettore a opera di una chinasi specifica (bARK), un’internalizzazione del recettore e una sua successiva endocitosi con distruzione del recettore stesso. Mentre il processo di fosforilazione avviene rapidamente e altrettanto rapidamente è reversibile, l’endocitosi del recettore necessita la risintesi dello stesso perché avvenga una risensitizzazione. La conseguenza della desensitizzazione è la diminuzione della produzione e quindi della concentrazione citosolica del cAMP, con diminuzione dell’efficienza contrattile e di rilasciamento del miocita.3 La terapia con beta-bloccanti si prefigge quindi di bloccare l’effetto dell’eccesso di catecolamine e di prevenire la desensitizzazione e la down regulation recettoriale. I beta-bloccanti sono inoltre in grado di prevenire la tossicità miocardica beta-recettore mediata. Uno dei quesiti recentemente avanzati è se i beta-bloccanti non selettivi, ovvero con capacità di bloccare i recettori sia beta1 sia beta2 e anche alfa1, siano superiori ai beta1-selettivi nel trattamento dello scompenso cronico di cuore. Vi sono motivi di ritenere che il blocco beta1, beta2 e alfa1 sia superiore in quanto la tossicità diretta della noradrenalina si esplicherebbe attraverso tutti e 188 tre i recettori e quindi il loro blocco avrebbe una funzione maggiormente protettiva. Il rilascio di noradrenalina presinaptico è mediato dal recettore beta2 e quindi anche questo fattore giocherebbe in favore dei beta-bloccanti non selettivi. Il terzo dato in favore dei non selettivi è che nello scompenso di cuore i recettori beta1 sono diminuiti, mentre i beta2 sono aumentati. Il blocco dei beta2 potrebbe fornire un vantaggio ulteriore. Alcuni beta-bloccanti con azione vasodilatatrice periferica, quali il carvedilolo e il nebivololo, possono diminuire le resistenze periferiche e il postcarico che sono sempre aumentati nello scompenso cronico di cuore, con effetto quindi benefico sulla funzione cardiaca. Non dobbiamo inoltre dimenticare le proprietà ancillari di alcuni beta-bloccanti che avrebbero effetto addizionale del blocco del recettore adrenergico. Tra queste ricordiamo l’azione antiossidante, antiaritmica, antiapoptotica, antiproliferativa, antiendotelina, ecc. In alcuni casi, i beta-bloccanti in genere sono stati accusati di avere effetti negativi sul metabolismo glucidico e lipidico, ma recentemente alcuni autori hanno suggerito che il carvedilolo non abbia questi effetti sfavorevoli. Scompenso cardiaco e stress ossidativo Nello scompenso cronico di cuore vi è un aumento dello stress ossidativo a livello sia miocardico sia di altri tessuti. Lo stress ossidativo è mediato dall’esagerata attivazione del RAAS e del sistema nervoso simpatico. Analogamente, anche la vasocostrizione periferica e la conseguente ischemia relativa sono in grado di attivare l’NFkB e le citochine proinfiammatorie quali il TNF-alfa. La produzione di ROS è aumentata anche per l’incrementata attività della iNOS. I ROS sono prodotti dai mitocondri, dalla xantina ossidasi, dal NADPH e inducono perossidazione delle membrane, delle proteine contrattili sia cardiache sia del muscolo scheletrico e la sintesi endoteliale di cNOS. Conseguenze di questi processi sono una diminuita vasodilatazione endoteliodipendente e una minore efficienza contrattile sia cardiaca sia muscolare scheletrica. Alcuni beta-bloccanti, il carvedilolo in particolare, posseggono capacità antiossidanti, ovvero sono in grado di bloccare la perossidazione. L’azione antiossidante è dovuta alla struttura carbazolica della molecola che inibisce lo stress ossidativo grazie alla capacità scavenger di radicali liberi e blocca inoltre la sintesi dei radicali liberi stessi sequestrando gli ioni ferrici neces- Beta-bloccanti e scompenso cronico di cuore Red Ponceau Oxyblot MW (kDa) 150 –– 100 –– 75 –– 50 –– 37 –– 25 –– 20 –– A B C A B C Figura 1. Effetto del carvedilolo sul muscolo scheletrico (soleo) di ratto con scompenso cardiaco cronico. Red Ponceau staining indica l’identica quantità di proteine caricate sul gel; Oxyblot mostra il diverso livello di ossidazione delle proteine contrattili (actina, miosina e tropomiosina). A, ratto di controllo; B, ratto con scompenso cardiaco; C, ratto con scompenso cardiaco trattato con carvedilolo. Si evidenzia che la perossidazione delle proteine miofibrillari è notevolmente aumentata nello scompenso di cuore e che questa diminuisce notevolmente con il trattamento con carvedilolo. sari per la produzione dei radicali idrossilici. Inoltre, il carvedilolo è in grado di aumentare i livelli cardiaci di enzimi antiossidanti, quali la SOD e la glutatione perossidasi. Il carvedilolo blocca inoltre nFAT e la produzione di citochine proinfiammatorie NFkB-dipendenti. In una recente serie di esperimenti condotti su un animale sperimentale di scompenso cardiaco, cioè il ratto con scompenso destro secondario a ipertensione polmonare indotta con la somministrazione di monocrotalina, abbiamo dimostrato che lo scompenso induce per ossidazione proteine contrattili (actina, miosina e tropomiosina) del muscolo scheletrico. Il trattamento con carvedilolo era in grado di prevenire la perossidazione delle proteine contrattili miofibrillari nei muscoli sia lenti (soleo) sia rapidi (EDL) (Fig. 1). Tale effetto può tradursi in una maggiore efficienza contrattile del muscolo scheletrico. Poiché è noto che il muscolo scheletrico è uno dei fattori in grado di influenzare la capacità di esercizio nello scompenso a causa dell’a- trofia, dello shift delle fibre verso le isoforme rapide e della perossidazione delle proteine contrattili,4 è chiaro che il carvedilolo può quindi aiutare a migliorare la performance muscolare e quindi la capacità di esercizio. Anche l’effetto antiapoptotico di alcune molecole non deve essere trascurato. L’apoptosi a livello cardiaco è causa di perdita di miociti e quindi di massa contrattile, a livello muscolare scheletrico è causa di atrofia, che è come detto precedentemente una delle determinanti della capacità di esercizio.4 Il blocco di molecole proapoptotiche come il FAS e la caspasi 3 è in grado di prevenire l’apoptosi. Questa proprietà è stata dimostrata per il carvedilolo. I GRANDI TRIAL CON BETA-BLOCCANTI L’efficacia dei beta-bloccanti nel migliorare la capacità di esercizio nei pazienti con scompen189 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna so di cuore è stata dimostrata in alcuni studi anche di confronto.5 Tuttavia, l’end-point principale, ovvero la diminuzione della mortalità, è stato dimostrato in una serie di studi che sono partiti negli anni ’90 e alcuni di quali sono terminati solo molto recentemente. Lo studio MERITHF6,7 (Metoprolol CR/XL Randomized Intervention Trial in Heart Failure) ha dimostrato che il metoprololo succinato ha un effetto favorevole sulla sopravvivenza di pazienti con scompenso cardiaco. Sono stati arruolati 3991 pazienti in classe NYHA II-IV con FE <40% e in terapia ottimizzata. I pazienti in classe II erano randomizzati a 25 mg di metoprololo e quelli in classe III-IV a 12,5 mg. Quindi sono stati titolati fino alla massima dose tollerata (anche 200 mg). La mortalità totale e l’ospedalizzazione erano ridotte del 19% (p <0,001). Lo studio CIBIS II (Cardiac Insufficiency Bisoprolol Study),8 condotto su 2647 pazienti con scompenso di cuore prevalentemente di classe NYHA III-IV con FE <35% con bisoprololo (da 1,25 a 10 mg), ha mostrato una diminuzione della mortalità cardiovascolare e totale (RR 0,66; p <0,0001) e delle morti improvvise (RR 0,56; p <0,0011). In questo studio, nonostante fossero compresi anche alcuni pazienti in IV classe NYHA, i risultati dello studio non potevano essere estrapolati a tutti i pazienti con scompenso di cuore di grado severo. Analogamente, lo studio americano con carvedilolo (US Carvedilol Heart Failure Trial)9 ha dimostrato l’efficacia del carvedilolo nel migliorare la qualità di vita, la morbilità e la mortalità in pazienti prevalentemente con scompenso cronico di cuore in classe II-III. In 1094 pazienti con FE <35%, la mortalità è stata del 7,8% nel placebo e 3,2% nel gruppo trattato con carvedilolo (riduzione del RR del 65%; p <0,001). In 366 pazienti con FE <35% vi è stata una riduzione del 48% della progressione dello scompenso (p <0,008). Trial più recenti hanno permesso di estendere le nostre conoscenze. Lo studio COPERNICUS10,11 (Carvedilol Prospective Randomized Cumulative Survival) ha testato l’efficacia del carvedilolo rispetto al placebo in 2289 pazienti classe NYHA 3b-IV. La FE dei pazienti arruolati era <25%. Questo studio ha mostrato per la prima volta in pazienti con scompenso di cuore di grado più severo, anche se in condizioni non gravissime in quanto non avevano segni di congestione grave (dovevano essere euvolemici e in dosi stabili di ACE-inibitori al momento della randomizzazione), una diminuzione di mortalità rispetto al place190 bo del 35% in un follow-up medio di 10,4 mesi. Lo studio è stato fermato dal Safety Monitoring Board perché il braccio trattato con carvedilolo aveva mostrato vantaggi significativi in termini di sopravvivenza. Nello studio c’era stata anche una riduzione del 24% dell’end-point combinato mortalità da tutte le cause e ospedalizzazione e un 27% di riduzione della mortalità cardiovascolare e ospedalizzazione. Inoltre, questo studio ha dimostrato che nelle 8 settimane successive alla randomizzazione si aveva lo stesso beneficio di quello ottenuto nel successivo follow-up, ad indicare che il trattamento con beta-bloccante non è rischioso nell’immediato inizio della terapia, ma che addirittura i suoi benefici erano rapidi. Lo studio CAPRICORN12 (Carvedilol Post Infarction Survival Control in Left Ventricular Dysfunction) ha mostrato in pazienti post-MI con FE <40% e PA sistolica >90 mmHg una riduzione della mortalità con RR 0,77 (p = 0,031). Era noto già dagli anni ’80 che i beta-bloccanti erano in grado di diminuire la mortalità nel post-infarto, ma in questi studi erano stati rigorosamente esclusi tutti i pazienti con scompenso cardiaco per la paura di precipitare un edema polmonare, ipotensione grave o addirittura shock cardiogeno. Il trial CAPRICORN ha randomizzato circa 2000 pazienti con IMA acuto e disfunzione ventricolare sistolica, con o senza scompenso. Questo è stato il più grande trial con beta-bloccanti postinfarto condotto in era post-trombolitica. I pazienti arruolati avevano una FE <40% e avevano ricevuto un ACEi per almeno 48 ore. I pazienti in carvedilolo hanno mostrato una diminuzione di mortalità totale del 23%, simile a quella di altri trial con beta-bloccanti post-infarto, ma in cui non erano stati arruolati pazienti scompensati. La mortalità CV era ridotta del 25% e il reinfarto non mortale del 41%. Tra i pazienti randomizzati al carvedilolo vi era una significativa riduzione delle aritmie sia sopraventricolari sia ventricolari (52% e 63% vs placebo). Non sono state comunque dimostrate riduzioni della mortalità per morte improvvisa, morte da scompenso o end-point combinati per mortalità totale e ospedalizzazione. Lo studio BEST13,14 (Beta Blockers Evaluation Trial) condotto con il beta-bloccante bucindololo, che ha attività vasodilatatrice diretta, non ha mostrato efficacia sui parametri di mortalità rispetto al placebo. Lo studio è stato condotto su 2708 pazienti classe NYHA III (92%) e IV e la mortalità è stata del 33% nel placebo e 30% nel bucindololo. La mancata efficacia è stata attribuita a cause diverse tra cui le carat- Beta-bloccanti e scompenso cronico di cuore teristiche della popolazione arruolata (afroamericani e donne che sono notoriamente meno sensibili ai beta-bloccanti). Questi dati hanno fatto riflettere sull’effetto di classe di questi farmaci nello scompenso di cuore, per cui i vantaggi ottenuti con alcuni non sono verosimilmente estendibili a tutti gli altri. Lo studio COMET15 (Carvedilol or Metoprolol European Trial) ha confrontato il metoprololo tartrato (short acting) con il carvedilolo su 3000 pazienti, dimostrando la superiorità per quest’ultimo beta-bloccante non selettivo e con determinate proprietà vasodilatatrici e alcune ancillari che abbiamo descritto anche in precedenza sulla mortalità sia cardiovascolare sia totale. Lo studio era stato condotto su pazienti con scompenso lieve-moderato. Questo trial ha dato origine a una lunga serie di polemiche prevalentemente legate alla scelta del metoprololo tartrato (short acting), che avrebbe dato una copertura meno durevole nelle 24 ore del carvedilolo e che avrebbe ridotto la frequenza cardiaca in maniera lievemente inferiore. Infatti, il metoprololo succinato, longacting, che è stato usato nello studio MERIT-HF non era disponibile. In questo trial testa a testa, il carvedilolo ha mostrato quasi una riduzione del 20% della sopravvivenza comparato con il metoprololo in un periodo di 5 anni. La frequenza cardiaca media raggiunta dopo 16 mesi di trattamento con i due farmaci dimostrava, a seconda degli Autori, un’equivalenza nell’effetto beta-bloccante. Un altro aspetto che non era stato chiarito dai trial precedenti era l’eventuale vantaggio nel trattare con beta-bloccanti i pazienti anziani. Nel CIBIS, l’età media dei pazienti era 61 anni, nel MERIT 64, nel BEST 60, nello US Carvedilol 58 e nel Copernicus 63. Per questo motivo, è stato disegnato lo studio SENIORS16 (Study of Effect of Nebivolol Intervention on Outcomes and Rehospitalisation In Seniors with Heart Failure). I pazienti avevano più di 70 anni e FE <35%. Sono stati randomizzati 2135 pazienti prevalentemente in classe NYHA II-III. La dose media di farmaco è stata 7,7 ± 3,6 mg/die di nebivololo. Il nebivololo ha mostrato una riduzione di mortalità totale e di riospedalizzazione con RR 0,88 (p = 0,039). La mortalità totale era da sola lievemente, ma non significativamente diminuita. Analogamente, era significativamente diminuito l’end-point combinato mortalità-ospedalizzazioni. Nelle analisi dei sottogruppi, traevano maggior vantaggio dal trattamento i pazienti con meno di 75 anni. Questo trial per la prima volta ha confermato i vantaggi del trattamento con beta-bloccante nello scompenso dell’anziano, anche se le significatività sono verosimilmente inferiori a quelle ottenute nei trial in cui erano stati arruolati pazienti più giovani. Vi sono dati che vanno ulteriormente valorizzati per quanto riguarda il trattamento dello scompenso di cuore con beta-bloccanti. Questi sono la presenza di fibrillazione atriale, diabete mellito, aritmie ventricolari e potenziale di morte improvvisa. Lo studio CAFE17 (Carvedilol and Atrial Fibrillation) ha studiato gli effetti del carvedilolo e della diossina separatamente su 47 pazienti con FA persistente e FE <24%. Digossina e carvedilolo si sono dimostrati più efficaci della digossina da sola sia nel mantenere la FC ridotta sia nel migliorare la FE, suggerendo che l’aggiunta del carvedilolo alla diossina nella pratica clinica può portare a un miglioramento della funzione ventricolare e delle condizioni cliniche. Uno dei motivi per cui i medici hanno evitato l’uso dei beta-bloccanti nei pazienti con cardiopatia ischemica e fattori di rischio molteplici è stato il timore di peggiorare non solo l’assetto lipidico, ma soprattutto il profilo glicemico. Altro punto fondamentale è la controindicazione all’uso di beta-bloccanti nei pazienti diabetici in terapia insulinica, in quanto il beta-blocco può mascherare le crisi ipoglicemiche. Una metanalisi di 6 trial con beta-bloccanti, 3 dei quali con carvedilolo (New Zealand, US, Copernicus), ha mostrato che anche i pazienti diabetici si giovano di questo trattamento. Nel confronto con il metoprololo, il carvedilolo ha mostrato nello studio COMET15 un rischio inferiore al 22% nello sviluppare un nuovo diabete o conseguenze del diabete come la gangrena, il coma diabetico e lo scompenso glico-metabolico. Questo è stato attribuito verosimilmente al fatto che la vasocostrizione periferica è la causa anche delle complicanze metaboliche vascolari dei beta-bloccanti. I beta-bloccanti di ultima generazione, che mostrano proprietà vasodilatatrici, non avrebbero un impatto così negativo come le vecchie generazioni di beta-bloccanti. Per quanto riguarda le caratteristiche antiaritmiche, queste sono legate al blocco del recettore beta-adrenergico, alle proprietà lipofiliche della molecola, all’attività stabilizzatrice di membrana, nonché alla capacità di bloccare i canali del sodio, del calcio e del potassio. Nello studio CAPRICORN,12 il carvedilolo ha mostrato una riduzione delle aritmie ventricolari del 63% e in particolare del 73% delle aritmie maligne. Nello studio, i pazienti trattati con 191 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna carvedilolo hanno mostrato una riduzione del rischio di morte improvvisa del 26%. CONCLUSIONI È ormai evidente dagli studi clinici in nostro possesso che l’uso dei beta-bloccanti ha fatto diminuire la mortalità cardiovascolare e la riospedalizzazione nei pazienti con scompenso cronico di cuore. Questi vantaggi si hanno in tutti i gradi di severità della sindrome e vi sono dimostrazioni che i dati sono applicabili alle popolazioni giovani, ma anche agli anziani. I farmaci finora dimostratisi utili sono il metoprololo succinato, il bisoprololo, il nebivololo e il carvedilolo. Per il bucindololo sostanzialmente è stata provata una neutralità. Nella scelta del farmaco vanno tenute presenti non solo le evidenze che vengono dai trial di confronto (COMET), ma anche i presupposti fisiopatologici che possono far sì che la molecola presenti vantaggi maggiori per il paziente. Queste proprietà ancillari sono la capacità di bloccare i recettori sia beta1 sia beta2 e anche alfa1, la capacità vasodilatatrice, quella antiossidante, antiapoptotica, che possono avere effetti sulla contrattilità ventricolare, sul rimodellamento e anche sui tessuti periferici, quali il muscolo scheletrico, che ha una funzione importante nel determinare la capacità di esercizio dei pazienti. BIBLIOGRAFIA 1. Young JB. Management of chronic heart failure: what do recent clinical trials teach us? Rev Cardiovasc Med 2004;5(Suppl 1):S3-9 [Review]. 2. Stroe AF, Gheoghiade M. Carvedilol: beta-blockade and beyond. Rev Cardiovasc Med 2004;5(Suppl 1):S18-27 [Review]. 3. Vescovo G, et al. Contractile abnormalities of single right ventricular myocytes isolated from rats with right ventricular hypertrophy. J Mol Cell Cardiol 1989;21 Suppl 5:103-111. 4. Vescovo G, et al. Improved exercise tolerance after losartan and enalapril in heart failure: correlation with changes in skeletal muscle myosin heavy chain composition. Circulation 1998;98(17):17421749. 192 5. Metra M, et al. Differential effects of beta-blockers in patients with heart failure: A prospective, randomized, double-blind comparison of the long-term effects of metoprolol versus carvedilol. Circulation 2000;102(5):546-551. 6. Wikstrand J, et al. Dose of metoprolol CR/XL and clinical outcomes in patients with heart failure: analysis of the experience in metoprolol CR/XL randomized intervention trial in chronic heart failure (MERIT-HF). J Am Coll Cardiol 2002;40(3):491498. 7. Jalmarson A, et al. Dose of metoprolol CR/XL and clinical outcomes in patients with heart failure: analysis of the experience in metoprolol CR/XL randomized intervention trial in chronic heart failure (MERIT-HF). J Am Coll Cardiol 2002;40(3):491498. 8. CIBIS-II investigators. The Cardiac Insufficiency Bisoprolol Study II (CIBIS-II): a randomised trial. Lancet 1999;353(9146):9-13. 9. Packer M, et al. The effect of carvedilol on morbidity and mortality in patients with chronic heart failure. U.S. Carvedilol Heart Failure Study Group. N Engl J Med 1996;334(21):1349-1355. 10. Domanski MJ, et al. A comparative analysis of the results from 4 trials of beta-blocker therapy for heart failure: BEST, CIBIS-II, MERIT-HF, and COPERNICUS. J Card Fail 2003;9(5):354-363 [Review]. 11. Packer M, et al. Effect of carvedilol on the morbidity of patients with severe chronic heart failure: results of the carvedilol prospective randomized cumulative survival (COPERNICUS) study. Circulation 2002;106(17):2194-2199. 12. Dargie HJ. Effect of carvedilol on outcome after myocardial infarction in patients with left-ventricular dysfunction: the CAPRICORN randomised trial. Lancet 2001;357(9266):1385-1390. 13. Anderson JL, et al. Failure of benefit and early hazard of bucindolol for Class IV heart failure. J Card Fail 2003;9(4):266-277. PMID: 13680547. 14. BEST investigators: A trial of the beta-blocker bucindolol in patients with advanced chronic heart failure. N Engl J Med 2001;344(22):1659-1667. 15. Poole-Wilson PA, et al. Comparison of carvedilol and metoprolol on clinical outcomes in patients with chronic heart failure in the Carvedilol Or Metoprolol European Trial (COMET): randomised controlled trial. Lancet 2003;362(9377):7-13. 16. Coats AJ. SENIORS. ESC Meeting Munich 28 August-1 September 2004. 17. Khand AU, Rankin AC. Carvedilol alone or in combination with digoxin for the management of atrial fibrillation in patients with heart failure? J Am Coll Cardiol 2003;42(11):1944-1951. Articolo originale Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3. Il paziente a rischio cardiovascolare I. Iori,1 S. Di Rosa,2 S. Fontana,3 G. Vescovo,4 M. Lanti,5 A. Menotti,5 per i Ricercatori degli studi FAPOI-1, FADOI-2 e FADOI-36 1 Medicina Interna 1, Centro Emostasi e Trombosi, AO Arcispedale Santa Maria Nuova, Viale Umberto I, 50 Reggio Emilia; 2Medicina Interna, PO Villa Sofia, Piazza Salerno 1, Palermo; 3Medicina Interna, Ospedale di Biella, Biella; 4Medicina Interna, Ospedale di Adria (Rovigo); 5Medrisk, Via Tolmino 5, Roma GIMI 2004:3(4):193-203 RIASSUNTO Un follow-up di 1 anno è stato condotto su un sottogruppo di Unità Operative e di pazienti arruolati nello studio osservazionale FADOI-3, “Il paziente a rischio cardiovascolare”, su un totale di 4285 pazienti dei due sessi e di età iniziale pari o superiore a 35 anni. Durante tale periodo si è verificata una mortalità del 211 per 1000, che per il 42% è stata attribuita a malattie cardiovascolari. L’incidenza di nuovi eventi cardiovascolari maggiori fatali e non fatali è stata del 180 per 1000. Sia la mortalità sia l’incidenza cardiovascolare erano più elevate tra le donne che tra gli uomini, a causa della più elevata età media delle pazienti. Nei sopravvissuti si è verificata una riduzione nell’impiego di farmaci antipertensivi tra gli ipertesi (dall’84,9% al 68,7%), un incremento nell’uso di farmaci ipolipemizzanti tra i dislipidemici, con particolare riguardo per le statine (complessivamente dal 25,3% al 33,9%). Anche tra i pazienti con cardiopatia coronarica, quelli con accidenti cerebrovascolari, tutti quelli con malattie cardiovascolari, tra i diabetici e in tutti i pazienti complessivamente si sono verificati sostanziali incrementi nell’uso di statine. Questi risultati sembrano indicare una diversificazione nella strategia di prevenzione nei riguardi del rischio cardiovascolare globale. Parole chiave: malattie cardiovascolari, rischio, prevenzione secondaria. SUMMARY A follow-up of 1 year has been carried out in a sub-group of centres and patients enrolled in the observational study FADOI-3, “The patient at cardiovascular risk”, for a total of 4285 patients of both sexes, aged 35 years or more at entry. During the follow-up total mortality was of 211 per 1000, attributed for 42% to cardiovascular diseases. Incidence of new major cardiovascular events has been of 180 per 1000. Both mortality and incidence from cardiovascular diseases were higher among women than among men, owing to the higher age of women. In the survivors there has been a decrease in the use of antihypertensive drugs among the hypertensives (from 84.9 % to 68.7%), an increase in the use of hypolipidemic drugs, particularly statins, among dyslipidemic patients (overall from 25.3% to 33.9%). A similar increase in the use of statins was found among patients with coronary heart disease, cerebrovascular disease, cardiovascular diseases in general, diabetes and overall in all patients. These findings suggest a different preventive strategy, compared to the past, in patients with high cardiovascular risk. Key words: cardiovascular disease, risk, secondary prevention. Per la corrispondenza: Alessandro Menotti Medrisk srl Via Tolmino, 5 00198 Roma* tel. 06-85358952 fax 06-85358952 e-mail [email protected] * elenco in Appendice INTRODUZIONE Nell’ambito di tre studi osservazionali condotti dalla FAPOI, successivamente FADOI, in pazienti dimessi da Divisioni di Medicina Interna, è stata messa in rilievo l’elevata frequenza di pazienti con patologia cardiovascolare che rappresentano l’assoluta maggioranza.1-3 Nel corso di tali studi, 193 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna denominati FAPOI-1, FADOI-2 e FADOI-3, “Il paziente a rischio cardiovascolare”, è stata anche documentata la presenza di un elevato rischio cardiovascolare legato in gran parte all’età molto avanzata dei pazienti in questione, ma anche alla presenza di elevate proporzioni di ipertensione arteriosa, diabete e altri fattori di rischio cardiovascolare. Contemporaneamente, è stato osservato come la proporzione di soggetti ad alto rischio cardiovascolare sotto adeguato trattamento preventivo non sia molto elevata, eccetto che per il trattamento antipertensivo tra gli ipertesi che si è rivelato abbastanza soddisfacente. Tutto ciò indica che, anche nel settore della Medicina Interna, uno dei problemi focali per frequenza e gravità è rappresentato dalla patologia cardiovascolare e che molta più attenzione va posta nelle procedure di identificazione del rischio e in quelle di intervento ai fini di prevenzione primaria e secondaria. Successivamente alla conduzione del secondo studio (FADOI-2, “Il paziente a rischio cardiovascolare”) è stato possibile eseguire un followup di un anno4 che ebbe discreto successo. Venne dimostrato che, nel corso di quel periodo di osservazione, si verificò un incremento nella proporzione di soggetti a rischio trattati adeguatamente con farmaci antipertensivi e ipolipemizzanti, suggerendo un trend favorevole nell’attenzione per questo problema da parte dei medici ospedalieri, dei medici di famiglia e dei pazienti stessi. Si è ritenuto pertanto di grande interesse replicare la sezione follow-up anche per lo studio FADOI-3, sempre per un periodo di osservazione di un anno. Gli scopi dell’inchiesta erano multipli e cioè: documentare la mortalità e le cause di morte; stimare l’incidenza di nuovi eventi cardiovascolari; valutare la validità della stima del rischio cardiovascolare eseguita alla linea base; documentare le eventuali variazioni nell’impiego di farmaci diretti alla prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari. MATERIALE E METODI Nell’ambito dello studio osservazionale FADOI3, “Il paziente a rischio cardiovascolare”, è stato eseguito un follow-up a un anno su un sottoinsieme di pazienti osservati alla linea base. Vi hanno partecipato 223 Divisioni Ospedaliere di Medicina Interna (sulle 517 originarie, 194 con una partecipazione del 43,1%), con 4563 pazienti arruolati di cui 4518 seguiti per 1 anno, quota corrispondente a una partecipazione del 97,1% . L’analisi ha riguardato, come per lo studio di base, i soggetti di età pari o superiore a 35 anni e con dati validi, per un totale di 4285 pazienti (2077 uomini; 2208 donne). Il follow-up è stato eseguito tramite un’inchiesta telefonica con il paziente oppure con i famigliari o il medico curante dello stesso, a distanza di 12 mesi dalla dimissione. L’inchiesta, basata su un questionario standard, prevedeva la verifica dello stato in vita e l’eventuale data e causa di morte; la registrazione di informazioni su eventuali riospedalizzazioni; la registrazione di eventuali nuovi eventi cardiovascolari; e la registrazione dell’impiego di un selezionato numero di farmaci utili nel settore della prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari. La stima del rischio cardiovascolare è stata eseguita con una funzione di rischio per malattie cardiovascolari derivata dal software Riscard 2002,5 modificata con l’aggiunta di un coefficiente che tiene conto della presenza di una malattia cardiovascolare pregressa. L’analisi ha riguardato la stima della mortalità, dell’incidenza di nuovi eventi cardiovascolari e delle riospedalizzazioni; la stima del rischio cardiovascolare in relazione agli eventi effettivamente verificatisi e la descrizione delle variazioni di impiego di alcuni farmaci utili alla prevenzione cardiovascolare. RISULTATI La distribuzione per sesso ed età dei pazienti seguiti al follow-up è riportata nella Tabella 1. Esistono ampie differenze tra i due sessi, nel senso che le donne presentano un’età molto più avanzata. Peraltro, la distribuzione per sesso ed età di questo sottogruppo seguito al follow-up non si discosta in modo significativo da quella di tutti i pazienti osservati alla linea base. A distanza di un anno si è verificata una mortalità del 211 per 1000 (221 per gli uomini e 201 per le donne) con una ripartizione tra le cause più comuni come indicato nella Tabella 2. Come atteso, le malattie cardiovascolari dominano la situazione, con un contributo del 41,2%, seguite dai tumori e dalle altre cause. La mortalità cardiovascolare è risultata più elevata tra le donne che tra gli uomini, mentre il contrario è avvenuto per i tumori. Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3 TABELLA 1 Distribuzione per sesso ed età della popolazione in studio Età Uomini Donne Totale 35-44 45-54 55-64 65-74 75-84 85+ 116 197 376 625 590 173 97 162 293 560 706 390 213 359 669 1185 1296 563 Totale 2077 2208 4285 Chi-quadro per differenza di distribuzione tra maschi e femmine: 109,01 con 5 g.d.l. (p <0,001). TABELLA 2 Mortalità a 1 anno tra i pazienti seguiti al follow-up Quozienti per mille Cause di morte Malattie cardiovascolari aterosclerotiche di cui Cardiopatia coronarica* Accidenti cerebrovascolari Arteriopatie periferiche Tumori Altre cause Totale Uomini Donne Proporzione Tutti % sul totale 75 54 19 2 80 66 98 66 32 0 41 62 87 60 25 1 60 64 42,1 28,4 11,8 0,5 28,4 30,4 221 201 211 100,0 *Compreso lo scompenso cardiaco quando non attributo ad altra causa specifica. L’incidenza di nuovi eventi cardiovascolari classificati in 3 grandi categorie è riportata nella Tabella 3, dove risulta che complessivamente essa è stata più elevata tra le donne che tra gli uomini, specie per il maggior contributo degli eventi cerebrovascolari. Disaggregando i dati per singole patologie, tra le manifestazioni che hanno caratterizzato tale incidenza, le più comuni sono risultate quelle cerebrovascolari (70 per 1000), quelle coronariche acute (63 per 1000) e lo scompenso cardiaco (55 per 1000). Tali proporzioni, peraltro, non sono mutuamente esclusive in quanto più manifestazioni possono essere comparse ed essere state registrate nello stesso paziente. Il 41,6% di tutti i pazienti è stato ricoverato almeno un’altra volta nel corso dei 12 mesi di osservazione e tra le cause del ricovero le malattie cardiovascolari contribuiscono per quasi il 30%. D’altra parte, tenendo conto della diagnosi di dimissione iniziale, i pazienti che hanno subito la maggiore frequenza di nuovi ricoveri sono stati quelli affetti da un tumore (53,3%) e scompenso cardiaco (52,0%). Sui pazienti che hanno partecipato al followup è stato stimato il rischio cardiovascolare in funzione di alcuni fattori di rischio rilevati al tempo del ricovero (sesso, età, indice di massa corporea, pressione arteriosa media fisiologica, colesterolemia HDL e non HDL, diabete, consumo di sigarette, frequenza cardiaca e presenza o meno di una malattia cardiovascolare). La funzione di rischio impiegata deriva da quelle prodotte per il software Riscard 2002, con l’aggiunta di un coefficiente per la presenza o meno di una malattia cardiovascolare. L’end-point era costituito dal primo evento cardiovascolare maggiore. La stima è stata possibile in soli 1988 pazienti (meno della metà) poiché per eseguirla era necessario disporre di tutte le misure dei fattori di rischio sopra citati, mentre in effetti in circa la metà mancava la misura della colesterolemia HDL e anche altri fattori più comuni 195 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna TABELLA 3 Incidenza di nuovi eventi cardiovascolari, fatali e non fatali, in 1 anno tra i pazienti seguiti al follow-up Quozienti per 1000 in un anno Eventi Uomini Donne Tutti 133 43 15 176 135 55 8 184 134 49 11 180 Coronarici maggiori Cerebrovascolari maggiori Arteriosi periferici maggiori Tutti erano spesso non disponibili. Poiché il modello predittivo era tarato a 10 anni, mentre il followup eseguito è stato di un solo anno, la validità della predizione è stata testata solo in termini di rischio relativo, correlando la frequenza di casi attesi e osservati in decili di rischio stimato. Tale correlazione è risultata soddisfacente, con un coefficiente di correlazione di 0,97 (Fig. 1). Tra i sopravvissuti è stato possibile valutare le variazioni nel consumo di alcuni farmaci comunemente impiegati nella prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari. Tra gli ipertesi si è registrata una sostanziale e significativa riduzione nel consumo di farmaci antipertensivi (dall’84,9% al 68,7%). Tale fenomeno ha riguardato tutte le principali famiglie di farmaci di questo tipo, come evidente dalla Tabella 4. In un’analisi non riportata in dettaglio, è stato dimostrato che all’atto della dimissione l’impiego di farmaci antipertensivi non era più comune tra gli ipertesi che successivamente sono deceduti. Tra i pazienti dislipidemici, invece, si è verificato un sostanziale incremento nell’impiego di farmaci ipocolesterolemizzanti determinato quasi esclusivamente da un aumento importante nell’uso delle statine (Tab. 5). Complessivamente, si è passati dal 25,3% al 33,9% nell’impiego di tali farmaci. Tale tendenza a un maggior impiego di statine è confermata anche dall’incremento verificatosi tra tutti i pazienti, complessivamente, tra i pazienti portatori di una cardiopatia coronarica, tra quelli con patologia cerebrovascolare, tra quelli con patologia cardiovascolare in senso lato e tra i diabetici. I dati corrispondenti sono sintetizzati nella Tabella 6. La diminuita prescrizione di antipertensivi, accompagnata da un aumento del consumo di statine, potrebbe rappresentare un nuovo approccio che mira alla riduzione del rischio cardiovascolare globale agendo sulla modifica- Proporzione di casi osservati 25 FIGURA 1. Proporzione di casi osservati e di casi attesi in decili di rischio cardiovascolare stimato in 1988 pazienti seguiti per 1 anno. R = 0,97. 20 15 10 5 0 0 196 5 10 15 Proporzione di casi attesi 20 25 Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3 TABELLA 4 Variazioni nell’impiego di farmaci antipertensivi tra gli ipertesi sopravvissuti 1 anno (n = 2677) Proporzione % P di test Farmaci Base Follow-up delle proporzioni ACE-inibitori Alfa-bloccanti Beta-bloccanti Ca antagonisti Diuretici Antagonisti A2 42,3 6,1 13,2 24,0 49,7 14,8 35,9 4,6 10,8 19,7 36,3 8,7 <0,001 0,017 0,008 <0,001 <0,001 <0,001 Totale 84,9 68,7 <0,001 TABELLA 5 Variazioni nell’impiego di farmaci ipolipemizzanti tra i pazienti dislipidemici sopravvissuti 1 anno (n = 1310) Proporzione % P di test Farmaci Base Follow-up delle proporzioni Fibrati Resine a scambio ionico Statine, di cui Simvastatina Atorvastatina Altre o non definite Altri farmaci 0,9 0,2 23,9 13,6 6,5 3,8 1,5 0,7 0,1 31,4 20,7 5,5 5,2 1,8 0,722 0,052 <0,001 <0,001 0,320 0,102 0,630 Totale 25,3 33,9 <0,001 zione di più fattori di rischio, piuttosto che sul trattamento di uno unico in maniera maggiormente aggressiva. DISCUSSIONE La partecipazione al follow-up e la completezza delle informazioni sono state complessivamente soddisfacenti. La mortalità a un anno di questa casistica è risultata un po’ più elevata che nell’analoga analisi eseguita nello studio FADOI-2 follow-up (211 per mille contro 185 per mille), ma la differenza è largamente spiegata dalla diversa distribuzione per età che è più elevata nello studio FADOI3. In questa esperienza, la mortalità sia coronarica sia per accidenti cerebrovascolari e per malattie cardiovascolari arteriosclerotiche è risul- tata più elevata tra le donne che tra gli uomini. Anche questo fenomeno è in gran parte spiegato dalla diversa età media e distribuzione tra uomini e donne. Tra queste ultime, infatti, l’età media iniziale era di 72,3 anni contro 69,0 negli uomini e la proporzione di pazienti di età ≥75 anni era del 50% contro il 37% osservato tra i pazienti uomini. L’incidenza a un anno di nuovi eventi cardiovascolari è stata elevata, attorno al 18%, come peraltro era attendibile per una popolazione anziana costituta in gran parte da pazienti cardiopatici. La predizione del rischio cardiovascolare, per lo meno in termini relativi, utilizzando un piccolo numero di fattori di rischio, è risultata soddisfacente. Le riospedalizzazioni entro un anno sono molto frequenti (oltre il 40%), confermando la gravità della patologia di cui sono portatori i pazienti 197 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna TABELLA 6 Variazioni nell’impiego di farmaci anti-dislipidemici in alcune categorie di pazienti sopravvissuti 1 anno Proporzione % P di test delle Pazienti Base Follow-up proporzioni Tutti i pazienti (n = 3394) di cui statine 16,3 15,4 24,0 20,7 <0,001 <0,001 Pazienti con cardiopatia coronarica (n = 864) di cui statine 26,8 26,5 34,8 33,2 <0,001 <0,001 Pazienti con accidenti cerebrovascolari (n = 740) di cui statine 20,3 19,2 27,8 26,1 <0,001 0,002 Pazienti con malattie cardiovascolari (n = 1458) di cui statine 23,7 23,0 31,6 30,0 <0,001 <0,001 Pazienti con diabete (n = 809) di cui statine 21,2 20,8 31,8 29,9 <0,001 <0,001 dimessi dalle Divisioni di Medicina Interna. Nel corso di un anno si è verificata una sostanziale riduzione della proporzione di pazienti ipertesi trattati con farmaci specifici. Questo fenomeno è di difficile spiegazione. Come già sopra indicato, l’impiego di tali farmaci alla linea base non era più comune tra coloro che successivamente sono deceduti rispetto ai sopravvissuti. Inoltre, si è constatato che la riduzione nell’impiego si è verificata per tutte le famiglie di farmaci, compresi quelli meno costosi come i diuretici, escludendo in tal modo che il problema sia stato legato a una deliberata tendenza verso la riduzione della spesa. Se questa si è verificata tra i medici prescrittori (in questo caso e per questo periodo di tempo in gran parte – probabilmente – medici di famiglia) è stata quindi generalizzata andando a penalizzare la categoria di pazienti – gli ipertesi – che notoriamente assorbono la maggior quota della spesa farmaceutica. Contemporaneamente si è verificato un incremento complessivo nell’impiego delle statine, nelle più varie categorie di pazienti, suggerendo il crescente interesse per questo approccio terapeutico. Il fenomeno rappresenta la conseguenza di favorevoli risultati ottenuti da recenti trial di prevenzione eseguiti con statine6,7 e forse anche di una certa liberalizzazione prevista nella prescrivibilità di tali farmaci con costo a carico del Servizio Sanitario Nazionale.8-10 198 Ciononostante, le quote di pazienti dislipidemici (sia pure definiti in modo arbitrario), di pazienti coronaropatici, di pazienti cerebrovascolari e di diabetici osservati in questo studio che ancora non sono trattati con statine sono molto elevate. Oscillano infatti tra il 65% e oltre il 70% e richiedono ancora attenzione da parte di chi è deputato ad ottimizzare le procedure di prevenzione secondaria. BIBLIOGRAFIA 1. FAPOI Study Group. Assessment of risk factors for coronary artery disease in divisions of internal medicine. J Cardiovasc Risk 2000;7:147-152. 2. FADOI-2 Research Group. Cardovascular risk factors in patients discharged from departments of internal medicine: the Italian FADOI-2 study. Eur J Int Med 2002;13:44-51. 3. Iori I, Di Rosa S, Fontana S, et al., for the FAPOI1, FADOI-2 and FADOI-3 studies Investigators. Time trends in three trennial surveys of cardiovascular risk factors and their treatment among patients discharged from divisions of internal medicine. The FAPOI-1, FADOI-2 and FADOI-3 studies. 2004. Eur J Int Med, in press. 4. Puddu PE, Lanti M, Menotti A, et al., a nome del Gruppo di Ricerca FADOI. Studo FADOI-2: followup a 1 anno. G Ital Med Intern 2002;1:1-12. 5. Menotti A, Lanti M, Puddu PE, et al. The risk functions incorporated in Riscard 2002: a software for the prediction of cardiovascular risk in the gene- Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3 ral population based on Italian data. Ital Heart J 2002;3:114-121. 6. Heart Protection Study Collaborative Group. MRC/BHF Heart Protection Study of cholesterollowering with simvastatin in 20536 high risk individuals: a randomised placebo-controlled trial. Lancet 20002;360:7-22. 7. Heart Protection Study Collaborative Group.MRC/ BHF Heart Protection Study of cholesterol-lowe- ring with simvastatin in 5963 people with diabetes: a randomised placebo-controlled trial. Lancet 2003;361:2005-2016. 8. Bollettino d’Informazione sui Farmaci, Ministero della Sanità (BIF) 2000;7:1-96. 9. CUF, Ministero della Sanità, Nota 13. 2001 10. Bollettino d’Informazione sui Farmaci, Ministero della Salute (BIF). Le note CUF 2004: lavori in corso. 2004;11:3-5. APPENDICE Elenco Riceratori degli studi Fapoi-1, Fadoi-2, Fadoi-3 PIEMONTE Zampaglione Vito Lanza Gabriele Bargero Giuseppe Montalenti Felice Ghezzo Giuseppe Bennicelli Federico Traversa Barbara Cadario Giovanni Ruga Alberto Campanini Mauro Damnotti Federica Panagini Daniele Cassani Pietro Cusumano Salvatore Colombo Paolo De Mori Elena Favro Mauro Borgno Enrico Bersi Mario Ferrara Giuseppe Fiore Giuseppe Gasparini Carlo Gioria Aldo Trecate Lara Ghiazza G. Franco Grassi Giacinto Ezio Giuso Roberto Leccardi Enrico Piccinelli Valeria Montanaro Giorgio Cardano Sergio Bignoli Cristina Qalqili Alfred Pinna Giuliano Barolo Stefano Scassa Enzo Caire Giovanni Vanni Armando Trovato Giuseppe Meineri Ines Bertello Pierdomenico Peasso Paolo Cavaliere Rodolfo Norbiato Claudio Dore Maurizio La Brocca Attilio Gabasio Sergio Corino Andrea Marengo Claudio Frediani Roberto Cantino Elena Mathieu Giovanni Marandino Alberto Senatore Fulvio Grossi Antonietta Gagliardo Sara Conte Riccardo Ferraro Paola Ghiberti Gianfranco Diana Antonio Tatì Mario Scaroina Francesco Gai Valerio Schinco Patrizio Molino G. Paolo Pasquino Milena Sardi G. Franco Molina Germano Meneghin Gabriella Pascale Claudio Bosio Angelo Fornengo Paolo Gurioli Lorenzo Latteri Miriam Imperiale Gianlorenzo Torta Francesco Rossi Alessandro Romano Silvia Botto Barbara Giannini Marco Marinone Carlo Martinelli Massimo Ratti Carla Gollè Giovanni Panzone Sergio Manildo Matteo Monaco Eugenia Muzzolini Carlo Giusti Massimo Cottino Aldo D’Arrigo Attilio Murante Nicolangelo Rollero Alessandro Bosso Pietro LOMBARDIA Attardo Parrinello Giuseppe Caprioli Severino Cattaneo Roberto Carpinella Giovanni Duratorre Edoardo Richichi Italo Magnani Luigi Lucioni Ferdinando Maioli Maurizio Margaroli Pietro Scaltritti Marco Daverio Adriano Mazzone Antonino Rondena Maurizio Savastano Angelo Pozzati Alberto Bargiggia Angelo Ragazzi Monica Bordin Giorgio Mancarella Sandro Brunati Sergio Signorini Giuliano Comin Umberto Sarto Giuseppina Fossati Carlo Cappello Pietro Fugazza Luciano Esposito Ciro Gioventù Mauro Gellmann Eva Graziani Giorgio Berra Cesare Lanfredini Mario Castelli Mario Leggieri Ennio Martinenghi Sara Magni Sergio Zaffaroni Marco Marino Pietro Candiani Tiziana Massarotti Giorgio Bellobuono Antonio Grimoldi Daniela Neri Vittorio Merlo Enrico Maria Ortolani Claudio Catenacci Alessandro Palmieri Giancarlo Fiorini Gianfrancesco Pisani Ceretti Aldo Gnocchi Pierluigi Lombardi Alberto Pelosi Giancarlo Magrucci Maurizio Ponti G. Battista Magatelli Renata Porro Tommaso 199 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna Casiraghi Stefano Serino Giorgio Giacomazzi Francesca Sommariva Domenico Colombo Maurizio Torri Adriana Turconi Roberta Stabilini Roberto Aimo Giampiero Aliprandi Giovanni Garatti Giuseppe Strazzeri Roberto Molinari Stefano Bellogini Giancarlo Cantalamessa Antonio Pastorelli Raffaella Beretta Angelo Bertuzzi Alberto Bobbio Pallavicini Enrico Cavatorta Angelo Lazzari Flavio Crippa Massimo Ettori Stefano Cocciolo Massimo Codeluppi Massimo Cremonesi Giuseppe Sala Nadia Botrugno Livio D’Ingianna Enzo Tettamanti Pietro Di Stefano Ottavio Grassi Vittorio Fariello Raffaele Iorini Mario Lombardi Gianfranco Mascheroni Doris Roffi Luigi Menozzi Guido Pascal Giancarlo Piccoli Alfonso Piubello Walter Procopio Luigi Radaeli Enrico Zuccato Fausto Ballini Antonio Comelli Aurelio Magnani Viviana Minetti Bruno Cammà Anna Maria Thiella Giuseppe Pasotti Carlo Poli Maurizio Rosà Ruggero 200 Bollati Paola Tarsia Caterina Colombo Enrico Sironi Claudiano Barone Gianfranco Malacco Ettore Franzini Claudio Venegoni Mauro Boschiero Annamaria Misiani Rocco Baio Pierangelo TRENTINO ALTO ADIGE De Venuto Giuseppe Cozzio Susanna Fiorentini Franco Marchesi Mario Mattarei Mauro Dalrì Paolo De Vigili Giorgio Amor Helmuth Kossler Ulrich Oberhofer Reinhold Weger Siegfried Pedrazzoli Mauro Armelao Franco Valli Alberto Segna Micaela FRIULI VENEZIA GIULIA Bulfoni Alessandro De Carli Stefano Bulfoni Adolfo Ariatta M. Cristina Damato Rosaria Carniello Giorgio Siro La Porta Nicola Medeot Lucio Di Bella Gaetano Donada Carlo Loru Franco Basile Antonio Tonizzo Maurizio Palladini Giorgio Stupar Gianfranco VENETO Ambrosio Giovanni Battista Bortoluzzi Cristiano Contavalli Claudio Mazzanti Giovanni Favro Sabrina Lusiani Luigi Maccioni Antonio Brocco Enrico Patrassi Giovanni Velo Emanuela Pauletto Paolo Scannapieco Gianluigi Puglisi Antonio Narciso Pietro Santanastaso Massimo Zambelli Vito Barbato Cristina Minniti Francesco Donà Giuseppe Zanchi Paolo Pagan Giorgia Nogara Anna Olivieri Piergiorgio Bergamo Sante Garofano Massimo Bonfanti Francesco Faggioli Maurizio Fazzini Pietro Faccincani Giuseppe Galvanini Guido Laspada Antonino Pancera Paolo Casaril Massimo Dal Santo Mario Angelini Giuseppe Fongaro Emilio Greselin Alberto Beltramello Giampietro De Antoni Mario Maraschin Bruno Vescovo Giorgio Zamboni Sergio Bonanome Andrea Barbuiani Marco Pinto Filippo Caldironi Maria Wanda Longhin Pierluigi Boscolo Bariga Angelo Inglese Margherita Diodati Giulio LIGURIA Durante Roberto Tassara Rodolfo Rondelli Elio Martini Franco Bonanni Franco Parodi Lionello Zavarise Gianmaria Artom Alberto Zunino Enrico Sanfilippo Marco Rizzi Guido Canetti Silvio Scudelletti Marco Lopinto Giuliano Grillo Giuliano Ligas Bruno Comaschi Marco Filorizzo Salvatore EMILIA ROMAGNA Ajolfi Corrado Brianti Marco Catelli Efrem Cavanna Luigi Civardi Giuseppe Baldini Alessandro Muratori Rosangela Bellodi Giorgio Muratori Luigi Bendinelli Stefano Tolomelli Stefano Carapezzi Carlo Gilioli Fabio Casoni Tito Cioni Giorgio Chesi Giuseppe Zoboli Patrizia De Micheli Enrico Greco Milena Sacchetti Carla Grandi Marco Poli Norma Iori Ido Negri Emanuele Masiello Ottorino Zamboni Luisella Napoli Angelo Nardi Roberto Borioni Daniele Terni Angela Panuccio Domenico Rossi Ermanno Perazzoli Franco Ventrucci Maurizio Anzolin Francesca Zucchelli Serafino Pradelli Marcello Del Noce Antonio Gamberini Susanna Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3 Fellin Renato Gallerani Massimo Scanelli Giovanni Zoli Giorgio Monda Vincenzo Parenti Mario Pirazzoli Alessandra Morelli Domenico Bondi Antonella Conti Claudio Beccari Giampiero Miserocchi Fabio Ferretti Piergiorgio Mazzocchi Angela Maiolo Pasquale Fratesi Elisabetta Pazzi Paolo Salvi Paolo Chiatti Roberto TOSCANA Nardini Alessandro Andreucci M. Cristina Biagi Paolo Boddi Walter Cappelletti Carlo Nenci Gabriele Castro Rosario Cipriani Marcello Alessandri Massimo Tredici Laura Corradi Franco Di Natale Massimo Micheli Serena Lomi Mario Degl’Innocenti Dino Fierro Alfredo Auner Ingrid Prattichizzo Fernando Ghetti Augusto Landini Giancarlo Laureano Raffaele Tonarelli Lucia Alessandrì Antonio Pedace Claudio Bernardini Milena Seghieri Giuseppe Porta Carlo Breschi Carla Silvestrini Edoardo Rimediotti Roberto Venturi Antonella Neri Daniele Tafi Alessandro Cipriani Franco Gori Anna Rinaldi Guidantonio Bertieri Maria Chiara Bertoncini Gianfranco Gheri Fabio Bravi Prassede Nozzoli Carlo Bacci Francesca Morettini Alessandro Bruscoli Maddalena Fabrizi Be Biani Guido Mazzoli Marcello Pieralli Franco Ralli Luciano Parca Gino Giannuzzi Ugo Lucarini Maida Vitali Claudio Lombardini Francesco Sfondrini Giovanna Giacomelli Giorgio Giannelli Giuseppe Pasquinelli Paolo Marino Ornella Castiglioni Maido Gioacchino Paladini Marco Carrai Mario Boccolini Elena Venturini Gianluigi Andreini Roberto Cecchi Luigi Vecchiarino Sabrina Baldasseroni Samuele Scarti Luca Manini Maurizio Mannucci Annalisa Carnicelli Aligi Cantini Fabrizio Baroncelli Tiziana Mugnaioni Grazia Meucci Giancarlo Mollaioli Maurizio Migliacci Rino Berni Giancarlo Biagioni Cristina Giusti Massimo Morosi Linda Marinacci Lina Panciarola Rosita Boldrini Venanzo De Caridi Vincenzo Filipponi Paolo Luchetti Maurizio Battochi Paolo Garognoli Oriana Lombardi Rosario Coletti Arnaldo Parise Pasquale Paliani Ugo Rondoni Marcello UMBRIA Bartolucci Leonardo Benemio Guglielmo Berrettini Mauro Biscottini Bruno Boccali Andrea LAZIO Bernardi Renato Ocelli Claudio Delle Monache Marco Falla Orazio Brundisini Bruno MARCHE Cipollini Francesco Zega Gualtiero Lembo Giovanni Mancini Stefania Marcheggiani Gabriele Pinciaroli Pietro Caporalini Roberto Morosini Pierpaolo Roiati Augusto Pelliccia Gennaro Antonellli Bruno Grossi Loris Lattanzi M. Cinzia Frausini Gabriele Lucarelli Giulio Latella Giovanni Chiappini Luana Marulli Raffaele Sabotino Paola Lamura Lydia Maniscalco Giorgio Baldini Patrizia Possanzini Gabriele Sgarro Gaetano Belogi Marco Palmieri Lucia Fioravanti Paolo Benedetti Piero Agostinelli Paolo Bordoni Enrico Ciabattini Francesca Ghirelli Pierantonio Dell’Unto Orlando Ceccon M. Antonietta Di Rollo Francesco Doddi Marcello Scolieri Palma Giannuzzi Roberto Marci Massimo Panzini Enrico Lozzi Iberto Pastorelli Ruggero Puoti Claudio Romagnoli Giancarlo Gatta Enrico Russo Francesco Temperilli Luigi Rotondi Mario D’Amore Angelo Agostino Attilio Alegiani Filippo Manfellotto Dario Aiello Pasquale Cappelli Alessandra Bruzzese Vincenzo Colella Franco Contini Stefano Santero Mauro Di Giorgio Mauro Di Lascio Giuseppe Camastra Caterina Fanelli Marcello Persichino Lidia Merolli Giovanni Campagna Giuseppe Rogacien Anna Piccinni Leopardi Maurizio Scotti Emilio Aracri Nicola Bottone Andrea Bianchi Sergio Cau Claudio Stazi Giancarlo Pignalosa Maurizio Tiberi Paolo Vari Enzo Rivera Paolo Emilio Vozzolo Vincenzo Dalmaso Serenella De Martino Rosaroll Guido Pignatelli Valeria Dionisi Amerigo Alimonti Pietro Gentiloni Nicola Travaglino Francesco 201 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna Pagano Adalberto Latini Angelo Leoni Marco Di Giacomo Giuseppe Casaldi Stefania ABRUZZO Biocca Andrea De Blasis Domenico Del Forno Lucio Petrella Emerenziana Di Michele Dario Morelli Giuliano Truscelli Francesco Collacciani Antonio Traisci Giancarlo De Feudis Lucrezia MOLISE Vecchiarelli Salvatore CAMPANIA Agozzino Aldo Vecchiato Agostino Stanziano Giovanni Cesareo Errico Cianciullo Marco D’Avanzo Antonio De Cristofano Raffaele Esposito Catello De Riso Luigi Di Lorenzo M. Giovanna Di Cunzolo Giovanni Piantadosi Sinibaldo Zuccoli Alfonso Visconti Mario Armogida Nicola Russo Innocenzo Balsamo Giuseppe Bellis Paolo Buono Giovanni Rinaldi Massimo Arciello Teresa Capurro Romolo Capezza Francesco Uomo Generoso Carnovale Antonio Caruso Domenico D’Avino Maria D’Avanzo Felice Chiarello Giuseppe Mercaldo Enrico Cicia Giovanni 202 Cristiano Pasquale Francesca Giuseppe Pannella Giandomenico Gargiulo Anna Vinciguerra Antonio Grasso Ernesto Iovinella Vincenzo Laviscio Raffaele Pino Ida Lo Russo Francesco Paolo Luongo Manfredi Serino Nunziante Mayer Maria Carolina Bruno Pannone Brighina Giuseppe Minicone Perla Palomba Domenico Domenico Annunziata Rabitti Piergiorgio Piscopo Gennaro Scala Aldo Russo Pasquale Sensale Pasquale Santoro Raffaele Sgambato Francesco Tresca Domenico Verrengia Luigi Frasca Alfonso Pisaturo Alfonso De Risi Francesco Romis Leone Russo Antonio Caruso Ciro Napolitano Luigi Velotti Maria Spera Catello Anaclerio Salvatore Sannino Alfonso Ritorto Vincenzo D’Amato Saverio Sassi Giovanna Guariglia Ciro Basile Antonio Aliperta Agostino D’Auria Salvatore Iannuzzi Arcangelo Brescia Morra Alberto Perna Pasquale Pisacane Ernesto Mattia Donato De Vita Emanuele D’Angella Rosario Rescinito Aldo Bellizio Antonietta Giugliano Giovanni Mega Vincenzo Carpinelli Crescenzo Sorrentino Sabato Ciano Giovanni Rauseo Luigi Forte Gabriele Antonio Fabiano Sossio De Lucia Tommaso Frullone Salvatore Mazzocca Salvatore Bevilacqua Domenico Berardino Lorella Alfano Gerardo Caputo Dario De Roberto Matteo PUGLIA Arbore Saverio Saracino Egidio Campanozzi Fausto Sportelli Patrizio Rodriguez Mirella Cannone Michele D’amato Michele Cappello Giuseppe Abbattista Maria Fata Leonardo Pinto Angela Fera Giacomo Giannatempo Carmela Ferri Francesco Lattanzi Vincenzo Pascale Lisangela Lo Ragno Vincenzo Fasiello Vito Lucarelli Giacomo Nettis Giuseppe Maiorano Giuseppe Mascolo Eugenia Miglietta Antonio Mongelli Sergio Barone Nicola Mossa Giovanni Piccillo Silvia Putignano Angelo Putignano Luca Acquafredda Nicola Quinto Vincenzo Renzetti Doda Ruggiero Domenico Sguera Carmelo Vitale Carmine Tomanelli Mario Amico Antonio Antonucci Giuseppe Saracino Pasquale Bisceglia Antonio Totaro Giuseppe Errico Massimo Carrieri Vito Cavalera Cesare D’Addetta Giovanni De Florio Sergio Di Taranto Alfredo Iadarola Giuseppe Losavio Antonio Martello Carlo Pace Giuseppe Morelli Gennaro D’Alagni Giancarlo Muscogiuri Antonio Galiberti Verdiana Fabietti Ferdinando Nuzzi Giuseppe Pisa Giuseppe Politi Giuseppe Santoro Domenico Potì Raffaele Caroli Piero Talarico Serafino Tomaiuolo Michele Mavilio Rosanna Ragone Giuseppe Sansò Giovanni Sansò Luigi Vincenti Cesare Sarli Alfredo Casilli Oriana Elena Sconosciuto Carmelo Serra Maria Grazia Ramundo Stefano Stefanachi Umberto Ria Luigi Valente Silvano Battista Salvatore Zecca Alessandro Fellini Giuliano Carozza Ugo BASILICATA Annese Mauro Dragonetti Anna M. Colarusso Diadoro Martini Maria Cristina Mazzarella Antonio Follow-up a 1 anno dello studio osservazionale FADOI-3 Lagonigro Giuseppe Casorelli Pasquale Murano Giulia Tramice Gianfranco Buccianti Nello Sacco Andrea CALABRIA Anastasio Luigi Bertucci Carmelo Buccieri Mario Settembrini Vincenzo Cerbella Ernesto Federico Domenico De Lio Angelo Tramontano Luciano Ferraro Francesco Nucera Antonino Gabriele Giuseppe Amoruso Raffaele Galasso Domenico Cimino Rosella Giancotti Saveria Gulli Giovanni Madaffari Bruno Scopelliti Francesco Mancuso Gerardo Crescenzo Anna Bartone Mosè Mauro Gaetano Ferraro Maria Mazzuca Luigi Croce Emilio Miceli Francesco Manno Valerio Musca Giuseppe Carpino Carmine Cauteruccio Antonella Naccarato Francesco Bova Giovanni Noto Alfonso Pellegrini Roberta Passavanti Giov. B. Mangone Antonio Russo Francesco Balsano Mario Samà Nicola Griffo Gerardo Sprovieri Mario Scrivano Pietro Tucci Vincenzo Falbo Mario Vigna Luigi Nudo Giuliana Zimatore Giuseppe Cimellaro Vincenzo SICILIA Abate Damiano Vaccaro Sergio Raimondo Francesco Cristiano Augello Giuseppe Attardo Tiziana Augugliaro Michele Di Nolfo Giuseppe Ventimiglia Giuseppe Bajardi Antonio Mandalà Vittoria Cagnina Francesco Corbo Archimede Baldacchino Angelo Cosimo Pulizzi Francesco Pantaleo D’Angelo Audenzio Fazio Maria Stassi Maria D’Anna Salvatore Curcio Salvatore Di Rosa Salvatore Schirò Vincenzo Hamel Pasquale Indelicato Pietro Violante Concetta Pecorella Michelangelo Palazzolo Maria Fradà Giovanni Di Palermo Giuseppe Amato Pietra Scalisi Ignazio Gioia Giuseppe Maringhini Alberto Leone Mario Marino Giovanni Barracco Vito Minasola Girolamo Azzarello Tommaso Morreale Salvatore Pusateri Ercole Gargano Francesco Benintende Anna Maria Calcara Giovanni Brischetto Rosario Ciffo Filippo Arena Sebastiano Condorelli Benito Perracchio Guido Cutaia Gaetano Lanzafame Luigi Di Blasi Fausto Venuto Pietro D’Andrea Graziella Fiore Carmelo Erio Tessitori Maria Teresa Gurrisi Salvatore Alario Antonio Inserra Vincenzo Arena Antonino Lorefice Manlio Manfrè Antonietta Margherita Raffaele Addamo Francesco Sciacca Nunzio Sara Adamo Mignemi Luigi Rizzo Mario Romano Marcello Carretti Corrado Scifo Gaetano Salvatore Giacalone Francesco Siciliano Rocco La Spina Carmelo Zammataro Marcello Pappalardo Elio Marra Giovanni Vancheri Federico Ventura Vincenzo Gambino Antonino Carbone Guglielmo Stornello Michele Zazzaro Bernardino Manenti Vincenzo Padua Walter Musco Angelo Mazza Salvatore Maugeri Santo Cutri Rosario Picone Domenica Scarsi Chiara Fisicaro Michela Di Cataldo Vincenza Borzì Vito Sgroi Francesco Landolina Riccardo Gatta Concetta Maraschi Giovanni Nicastro Santo Giugno Ignazio Maira Raimondo Nicosia Calogero SARDEGNA Addis Luciano Verre Piero Asproni Giuseppina Orecchioni Wolfgang Baule Giovanni Gentili Alessandro Brundu Mario Caredda Fiorella Armeni Marina Congiu Paolo Mantega Mauro Corda Carlo Marcialis Roberto Dore Salvatore Cossu Nicola D’Elia Cataldo Molinu Margherita Guiso Gustavo Peralta Bruna Flumene Francesco Arras Sebastiana Salis Salvatore Secci Roberta Peigottu M. Antonietta Solinas Franco Marchi Antonio Pisanu Andrea Mereu Salvatore Pirino Giuseppe Tanda Manuel Pisano Efisio Murtas M. Grazia Paolini Tito Antonio Cicu Antonio Migaleddu Antonio Pintus Franco Mascia Patrizia Pisu Giorgio Granata Nicoletta Dore Filippo Poddighe Guido Saragat Cesare Besson Alessandro Renier Giuseppina Secchi Giovanni Achenza Marino Spiga Enrico Pisu Luigi Pilleri Giampaolo Fadda Giorgia 203 Caso clinico La sindrome di Weil: descrizione di un caso clinico P. Bertucci, R. Toscano, F. Serione, P. Bertello Struttura Complessa di Medicina Interna, Ospedale Civico di Chivasso, ASL 7, Chivasso (TO) GIMI 2004;3(4):204-208 RIASSUNTO Riportiamo il caso di un paziente maschio di 71 anni giunto in Pronto Soccorso per febbre, intensa astenia, dispepsia, sputo emoftoico e con un’importante ipotensione arteriosa. Gli esami ematochimici evidenziavano leucocitosi, piastrinopenia, insufficienza renale e respiratoria, rabdomiolisi (senza aumento della creatinfosfochinasi), iperbilirubinemia prevalentemente diretta in progressivo aumento. L’Rx torace evidenziava una polmonite medio-basale bilaterale. Nella seconda settimana di ricovero si manifestava un’importante anemia iporigenerativa. La terapia antibiotica con amoxicillina-acido clavulanico per via endovenosa e doxiciclina per via orale determinava scomparsa della febbre e netto miglioramento della trasparenza polmonare (Rx) in sesta giornata. Le prove di agglutinazione, solo alla terza settimana, evidenziavano titoli positivi per alcuni sierotipi di Leptospire e, alla quinta settimana, individuavano come causale il sierotipo icterohaemorrhagiae. Si sottolinea che la terapia antibiotica va iniziata in presenza del solo sospetto diagnostico di Leptospirosi e che questo è facilitato da un’accurata raccolta anamnestica. Parole chiave: sepsi, ittero, insufficienza renale, infiltrati polmonari. SUMMARY We report the case of a 71-year-old man who was admitted to our Emergency Department for fever, prostration, dyspepsia and blood-stained sputum. At clinical evaluation, the arterial pressure was very low; laboratory findings showed leukocytosis, thrombocytopenia, renal and respiratory failure, rhabdomyolysis (no creatine phosphokinase changes) and a progressive increase in bilirubin (predominantly direct) values. There was radiographic evidence of pulmonary infiltrates in the lower lobes. In the second week he developed severe hypoproliferative anemia. Intravenous amoxicillin-clavulanate added to oral doxycycline treatment induced remission of fever and greatly improved radiographic abnormalities after six days. The agglutination test identified the infecting serovar icterohaemorrhagiae only on the fifth week. We underline the importance of starting an antimicrobial therapy when the diagnosis of Leptospirosis is presumptive and based on a thorough hystory. Key words: sepsis, jaundice, renal failure, pulmonary infiltrates. INTRODUZIONE Per la corrispondenza: Pierdomenico Bertello SC di Medicina Interna, Ospedale Civico Corso Galileo Ferraris, 3 10034 Chivasso (TO) tel. 011-9176229-228 fax 011-9176230 e-mail [email protected] 204 La leptospirosi è la zoonosi più frequente1 e anche la più sottostimata, se si considera che, nelle popolazioni a rischio (veterinari, addetti ai mattatoi) la sieroprevalenza per anticorpi specifici è del 15% circa. La trasmissione dell’infezione all’uomo avviene principalmente tramite il contatto con acqua contaminata da urine di animali infet- La sindrome di Weil: descrizione di un caso clinico ti.2,3 Esistono due specie di Leptospira, la Leptospira biflexa, che è saprofita, e la Leptospira interrogans, che invece è patogena e di cui, a tutt’oggi, sono stati identificati oltre 200 sierotipi. La leptospirosi può essere asintomatica o sintomatica lieve anitterica (90% circa dei casi) o presentarsi nella forma grave itterica (10% circa dei casi), nota come morbo di Weil, dal nome del ricercatore che nel 1886 descrisse i primi quattro casi.2,3 Ci sembra che il caso di morbo di Weil giunto alla nostra osservazione possa offrire lo spunto per considerazioni epidemiologico-cliniche e diagnostico-terapeutiche. DESCRIZIONE DEL CASO Maschio di 71 anni, non fumatore da 25 anni, bevitore solo occasionale di alcolici, proprietario di un orto che usa coltivare di persona, si presenta in Pronto Soccorso accusando febbre insorta da 3-4 giorni (per cui dal giorno prima assumeva amoxicillina e tachipirina per via orale), astenia, malessere generale, dispepsia e riferendo sputo emoftoico. Dall’anamnesi patologica remota emerge ipertensione arteriosa in terapia da circa 10 anni, ultimamente con amlodipina 10 mg, enalapril 10 mg, atenololo 50 mg e clonidina per via transdermica. All’esame obiettivo il paziente appare sudato, pallido, lievemente obnubilato; la temperatura corporea è di 37,8°C, la pressione arteriosa è 100/50 mmHg, la frequenza cardiaca è ritmica 104 b/min, la SaO2 in aria ambiente risulta dell’86%. All’auscultazione polmonare sono presenti rantoli crepitanti in campo medio-basale bilateralmente; all’auscultazione cardiaca non sono apprezzabili rumori di soffio patologici. L’addome è trattabile senza punti particolarmente dolenti. Non si palpano linfonodi superficiali. Gli esami ematici eseguiti al momento del ricovero evidenziavano: Globuli bianchi 2700, Hb 12 g/dl, Ht 36%, MCV 92, piastrine 41.000, glicemia 123 mg/dl, urea 149 mg/dl, creatinina 4,5 mg/dl, bilirubina totale 5,1 mg/dl, bilirubina diretta 3,6 mg/dl, AST 27 UI/l, ALT 10 UI/l, CPK 126 UI/l, CPK-MM 3 UI/l, LDH 292 UI/l, mioglobina 1270 µg/l, troponina-T <0,01ng/ml, fosfatasi alcalina 168 UI/l, gGT 46 UI/l, amilasi 390 UI/l (v.n. 20-220 UI/l), calcio 2,0 mmol/l, fosfato 2,9 mg/dl, sodio 137 mmol/l, potassio 3,5 mmol/l, albumina 2,6 g/dl, colesterolo totale 84 mg/dl, urato 11,5 mg/dl, tempo di protrombina (INR) 1,9, tempo di tromboplastina parziale attivata 36 sec, VES 122 mm, proteina C reattiva 443 mg/l (v.n. <10 mg/l), d-Dimero 2,82 µg/ml(v.n. <0,5 µg/ml), ferritina 678 ng/ml. Il quadro proteico evidenziava un aumento delle proteine della fase acuta. L’emogasanalisi arteriosa evidenziava la presenza di ipossiemia (pO2 45,5 mmHg) e di alcalosi respiratoria (pH 7,51; pCO2 28,3 mmHg; HCO– 21,7 mmol/l; eccesso di basi: –1,4 mmol/l). L’ECG dimostrava solo turbe aspecifiche della ripolarizzazione. L’Rx torace evidenziava un esteso addensamento cotonoso esteso a tutto il campo polmonare sinistro e in sede medio-basale destra con ili addensati e congesti. L’ecotomografia dell’addome totale non evidenziava reperti patologici, in particolare non evidenziava la presenza di epatosplenomegalia. L’esame colturale dell’escreato, compresa la ricerca del BAAR, ha dato esito negativo. L’esame citologico su tre campioni di escreato ha presentato reperto negativo per cellule neoplastiche. L’urocoltura, la coprocoltura e l’emocoltura (su 3 campioni, per microrganismi aerobi e anaerobi) risultavano negative. La reazione di Widal Wright risultava negativa. La ricerca degli anticorpi escludeva l’epatite da virus A, B, C. Le IgM Mycoplasma pneumoniae risultavano negative ed era presente un debole tasso anticorpale IgG (11 U.A./ml). La ricerca dell’antigene urinario e di anticorpi anti-Legionella pneumophila sierogruppo 1 con il metodo di immunofluorescenza indiretta e con il test di microagglutinazione eseguita su due campioni, a distanza di due settimane, risultava negativa. Gli anticorpi anti-Leptospira risultavano negativi nel 1° campione e positivi (IgM 32,7 U.A./ml, quando >20 U.A./ml è positivo e indica infezione recente o trascorsa) nel 2° campione, a distanza di due settimane. L’andamento di alcuni valori ematochimici è illustrato nella Tab. 1. Le prove di agglutinazione per l’accertamento diagnostico delle leptospirosi sono riportate nella Tab. 2. Comunque, fin dal primo giorno del ricovero è stata praticata terapia antibiotica con amoxicillina-acido clavulanico (2,2 g ev 2 volte/die), doxiciclina (100 mg per via orale 2 volte/die) e fluconazolo (200 mg ev 2 volte/die). È stata inoltre praticata terapia con dopamina, furosemide e uricasi ev. In sesta giornata, l’Rx torace dimostrava un netto miglioramento della trasparenza polmonare bilaterale. Durante la seconda settimana di ricovero, in considerazione dell’anemizzazione, è stata eseguita la ricerca di sangue occulto nelle feci (3 campioni) con esito negativo; è stata effettuata una biopsia osteomidollare, che ha evidenziato un midollo osseo con cellularità del 50%, serie mieloide e megacariocitaria rappresentate e lieve iperplasia della 205 206 41 14-17,5 42-54 150-400 (x103) Emoglobina Ematocrito 0,1-1 <0,3 10-50 10-50 25-190 240-280 0-10 23-72 2,4-7 0,8-1,2 Bilirubina totale Bilirubina diretta AST ALT CPK LDH PCR Mioglobina Urato P.T. (INR) Fibrinogeno 200-400 <40 0,5-1,3 Creatinina P.T.T. 10-50 Urea Piastrine 36 30-45% Linfociti – 36 1,9 – 1270 443 292 126 10 27 3,6 5,1 4,5 149 12 7,4 90,7 45-60% Neutrofili 2700 4-10.000 1 Globuli bianchi Valori normali 1236 – – 11,5 – 347 321 113 16 36 7,6 8,2 4,9 168 18 31,8 10,6 2,8 91,1 14.400 2 TABELLA 1 Evoluzione dei valori ematochimici durante il decorso clinico 1221 33 1,8 12,7 – – 565 96 17 37 11,8 12,3 6,3 239 15 31,5 10,9 5,6 87,3 12.700 3 1009 29 1,6 – 117 – 954 36 35 94 – 17,7 5,0 271 42 37,6 13 10 77,6 14.100 4 – 32 1,6 – 82 64 734 22 48 75 9,8 13,9 3,5 250 57 35,2 12,4 14 75,5 17.400 6 8 – – – 1,6 – – 712 – 54 92 4,7 8,4 1,3 79 232 24,8 8,4 14,7 77,5 9600 Giorno di ricovero 714 – – – – 91 500 – 63 89 4,5 6,1 1 61 227 24,1 7,8 25,9 63,7 5800 12 – 38 1,5 – – – 281 – 66 57 2,7 4,1 0,9 41 236 22,1 7,1 26,9 65 5300 15 525 38 1,4 4,7 – 34 310 – 33 28 1,6 2,5 1,1 44 215 39,1 12,3 34,4 58,7 7600 22 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna La sindrome di Weil: descrizione di un caso clinico TABELLA 2 Prove di agglutinazione Sierotipi di Leptospire Ceppi Icterohaemorrhagiae Copenhageni Canicola Pomona Bataviae Grippo-typhosa Bratislava Australis Zanoni Saxkoebing Sejroe Mini Castellonis Tarassovi Poi Lora Handjo Handjo Autumnalis Hebdomatis Bianchi1 Wijnberg Alarik MezzanoI PaviaI MoskavaV Riccio2 Ballico Zanoni Mus24 Topo1 Sari Castellon3 MitisJohnson Poi Riccio37 Handjoprajitno FarinaC715 Akiyami HebdomatisH. serie eritroide con diseritropoiesi; la mielocoltura è risultata negativa. Sono state praticate tre emotrasfusioni. La febbre ha cominciato a diminuire dopo 4 giorni fino a scomparire in settima giornata. La TC del torace con MDC eseguita in ventesima giornata non ha evidenziato addensamenti parenchimali, lesioni con caratteristiche evolutive, adenopatie mediastiniche e ha dimostrato strutture cardiovascolari complessivamente regolari. DISCUSSIONE La sindrome di Weil, che rappresenta la forma più severa di leptospirosi, è frequentemente, come nel nostro caso, ma non esclusivamente, associata al sierotipo Leptospira icterohaemorrhagiae. La leptospirosi è considerata una malattia bifasica, la cui prima fase, con febbre, della durata di 4-7 giorni, è seguita, dopo qualche giorno di defervescenza, dalla seconda fase, quella immune, con la comparsa nel siero degli anticorpi specifici.2 Nella sindrome di Weil, il decorso bifasico è molto meno evidente e talora può mancare del tutto, come è avvenuto nel nostro caso.3 Il I siero 24/09/2002 II siero 11/10/2002 III siero 23/10/2002 – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – 320 100 100 – 100 – – – 320 – 320 – – – 100 – 100 – – – 1000 320 100 – 100 – – – 320 – 320 – – – 100 – 100 – – – sintomo più importante e frequente (98% dei casi)2 della sindrome è un’intensa cefalea frontale e retro-orbitaria, accompagnata da segni meningei. Questo sintomo si manifesta principalmente nella prima fase della malattia, in cui la Leptospira può essere isolata, oltre che dal sangue, anche dal liquor. Il nostro paziente, invece, non ha mai accusato una cefalea significativa. Anche l’epatomegalia, descritta nel 70-80% dei casi, la splenomegalia, presente nel 20% dei casi, e la congiuntivite, presente nel 40-60% dei casi, non erano evidenti nel nostro paziente. La leptospirosi determina una vasculite infettiva con un danno alle cellule endoteliali capillari, che diventa il principale responsabile delle manifestazioni cliniche della malattia, rappresentate da insufficienza renale, epatica, respiratoria e cardiaca. L’ipovolemia, secondaria al danno endoteliale e alla conseguente aumentata permeabilità capillare, può peggiorare il quadro di insufficienza renale ed essere concausa del collasso cardiocircolatorio. Il soggetto da noi osservato ha presentato un quadro di insufficienza renale ai limiti della necessità di trattamento dialitico. L’insufficienza respiratoria è in genere dovuta, come nel nostro caso, a polmonite infiltrati207 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna va nodulare diffusa, sovente associata a emorragia intra-alveolare, che può determinare sputo emoftoico.4 L’insufficienza epatica è in genere transitoria perché non vi è per lo più necrosi epatocellulare. Difatti, l’aumento delle transaminasi è modesto (2-3 volte al massimo i valori normali). Anzi, l’aumento lieve delle transaminasi, in associazione a elevati valori di CPK-MM dovuti a rabdomiolisi, può costituire, in un soggetto itterico, un importante criterio diagnostico differenziale nei confronti delle epatiti virali acute. Nel nostro caso, i valori delle transaminasi non hanno raggiunto le 100 UI/l, ma anche i valori della creatinfosfochinasi sono rimasti nel range della normalità, nonostante fossero presenti altri segni bioumorali di rabdomiolisi, in primo luogo la mioglobinemia elevata. La piastrinopenia, associata all’insufficienza renale con necrosi tubulare, è descritta nel 50% circa di casi e può far parte di un quadro di coagulazione intravascolare disseminata.5 Possono manifestarsi, come nel nostro soggetto, anemia iporigenerativa e leucocitosi. Per quanto riguarda la diagnosi della sindrome di Weil, vorremmo ricordare che è possibile far crescere in coltura la Leptospira isolata dal sangue durante la prima settimana di malattia, ma che, poiché la crescita è assai lenta, possono essere necessarie fino a 4-6 settimane prima che le colture si positivizzino. Le agglutinine compaiono dopo il sesto giorno di malattia, per raggiungere il massimo nella terza o quarta settimana e la diagnosi è basata sull’aumento di quattro volte del titolo degli anticorpi agglutinanti. Difatti, nel nostro paziente, solo nel secondo siero (terza settimana di malattia) vi erano titoli positivi per alcuni sierotipi di Leptospire e solo alla quinta settimana di malattia veniva individuato come causale il sierotipo icterohaemorrhagiae. La terapia (ampicillina o amoxicillina 1 g ev 4 volte/die nelle forme più severe oppure doxiciclina 100 mg per via orale 2 volte/die nelle forme 208 più lievi)6,7 va perciò iniziata in presenza del solo sospetto diagnostico, tanto più che sull’efficacia della terapia antibiotica iniziata tardivamente (dopo 4 giorni) le opinioni non sono tuttora concordanti. La diagnosi va quindi sospettata, tenendo conto delle modalità di trasmissione della malattia (urine infette oppure acqua o terreno contaminati da urine infette) e considerando l’anamnesi lavorativa (lavoratori agricoli, veterinari, allevatori di maiali, addetti ai mattatoi) e anche sportiva (nuoto, windsurf, canoa). Anche noi, dato il quadro clinico, abbiamo cominciato a ipotizzare fortemente per il nostro paziente la diagnosi di leptospirosi quando abbiamo appreso che era dedito, qualche volta anche scalzo, alla coltivazione di un orto. Pertanto, il caso ci è sembrato meritevole di segnalazione anche per sottolineare l’importanza diagnostica della raccolta anamnestica. BIBLIOGRAFIA 1. Petri WA, Jr. Leptospirosi. In: Cecil. Trattato di Medicina Interna. Roma: Verduci, 1997:1917-1918. 2. Farrar WE. Leptospira species (Leptospirosis). In: Mandell GL, Bennet JE, Dolin R (eds.). Principles and Practice of Infectious Diseases. New York: Churchill Livingstone, 1995:2137-2140. 3. Speelman P. Leptospirosis. In: Fauci AS (ed.). Harrison’s Principles of Internal Medicine. Singapore: Mc Graw Hill, 1998:1036-1038. 4. O’Neill KM, Rickman LS, Lazarus AA: Pulmonary manifestations of Leptospirosis. Rev Infect Dis 1991;13:705-709. 5. Edwards CN, Nicholson GD, Hassell TA, et al. Thrombocytopenia in leptospirosis: the absence of evidence for disseminated intravascular coagulation. Am J Trop Med Hyg 1986;35:352-354. 6. Watt G, Tuazon ML, Santiago E, et al. Placebocontrolled trial of intravenous penicillin for severe and late leptospirosis. Lancet 1988;1:433-435. 7. Mc Clain JBL, Ballon WR, Harrison SM, et al. Doxycycline therapy for Leptospirosis. Ann Intern Med 1984;100:696-698. Caso clinico Watermelon stomach: descrizione di due casi e rivisitazione della letteratura R. Risicato,1 B. Zazzaro,1 G. Passanisi,2 G. Cascone,1 S. Romano,2 M. Stornello1 1U.O. Medicina Interna “L. Scapellato”, A.O. “Umberto I”, Siracusa; 2Servizio di Gastroenterologia A.O. “Umberto I”, Siracusa GIMI 2004;3(4):209-216 RIASSUNTO Gli autori descrivono due casi di ectasia vascolare antrale gastrica (GAVE). Si tratta di due donne di età matura, una delle quali diabetica, obesa, ipertesa e affetta da insufficienza renale cronica lieve. Entrambe affette da epatite cronica HCV-correlata, senza ipertensione portale. Ricoverate per anemia severa sideropenica e ricorrenti episodi di emorragia digestiva superiore. Dopo aver riportato i riscontri clinici, ematochimici e strumentali, che li hanno portati alla diagnosi, gli Autori descrivono le caratteristiche della GAVE, rara causa di emorragia digestiva cronica, che si manifesta con severa anemia sideropenica, secondaria allo stillicidio ematico cronico. Una rivisitazione della letteratura sull’argomento permette di caratterizzare la GAVE e di definirne criteri diagnostici e opzioni terapeutiche. SUMMARY The Authors report two cases of gastric antral vascular ectasia (GAVE) observed in old females. One of these was affected by diabetes, mild chronic renal failure, obesity, and hypertension. Both were affected by chronic HCV hepatitis, without portal hypertension. They were admitted for severe anemia with low iron level and recurrent upper gastrointestinal bleeding. The Authors report clinical, haematological, histological, and instrumental characteristics of these two cases. Then, they describe the features of GAVE and make a review of recent literature of this relatively new, distinct, clinical entity, to define diagnostic criteria and therapeutic options. CASISTICA CLINICA Caso 1 S.M., donna di 72 anni. Riferisce al Pronto Soccorso insorgenza, da circa trenta giorni, di astenia marcata, pallore cutaneo, dispnea da sforzo e scompenso glico-metabolico. La signora non fuma, non assume alcolici, ha una familiarità per diabete, assume ACE-inibitori per ipertensione arteriosa e ipoglicemizzanti orali per diabete di Per la corrispondenza: Roberto Risicato U.O. Medicina Interna, A.O. Umberto I Via Testaferrata, 1 96100 Siracusa tel. 0931-724072; fax 0931-724077 e-mail [email protected] tipo 2. Riferisce, altresì, stipsi cronica, lieve insufficienza renale secondaria a nefropatia diabetica e turbe dispeptiche di tipo dismotility-like. Mai rettorragia. Al ricovero presso l’Unità Operativa di Medicina Interna, l’esame obiettivo rivela severo pallore cutaneo e mucoso; sovrappeso moderato/severo (BMI 35); PA 140/85; frequenza cardiaca 90 bpm; assenza di scompenso emodinamico, assenza di edemi, assenza di ascite, epatomegalia moderata, di consistenza aumentata, assenza di splenomegalia, murmure vescicolare lievemente indebolito, addome trattabile. Tiroide nei limiti; assenza di linfoadenopatie superficiali. Esplorazione rettale: assenza di lesioni attive rilevabili. La routine di laboratorio rivela: globuli rossi 3.400.000; globuli bianchi 5300 (NE 63%; LI 24%); piastrine 215,00; Hb 6 g/dl; MCV 68. VES 1 ora 40; PCR 7 (v.r. 5); AST 53 U/dl (v.r. 40), ALT 33 U/dl (v.r. 40); GGT 52 U/dl 209 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna (v.r. 50); PCHE 2946 (v.r. 3000-8000); proteine totali 5,1 g/dl; albuminemia 2,86 g/dl; gammaglobulinemia 2,41 g/dl; calcemia 7,7 mg/dl; amilasemia e altri parametri di laboratorio normali. Successivamente, la diagnostica di laboratorio è stata integrata con i seguenti parametri: CEA 2,6 (v.r. <5); gastrinemia 134 pg/dl (v.r. 100); ALKM1 negativi; autoanticorpi non organo- specifici (immunofluorescenza indiretta su fegato, rene e stomaco di ratto con siero diluito a 1:40): ANA, SMA, AMA, A-ribosomi, A-reticolina, A-microsomiali, APGA, crioagglutinine, IgA, IgG, IgM, immunocomplessi circolanti, ATPO, anti-tiroidei, fattore reumatoide, C3, C4: tutti negativi. FT3, FT4, TSH: nei limiti della norma. HbsAg: negativo. A-HCV: positivo. Dosaggio vitamina B12 e acido folico nel sangue, ferritinemia, transferrinemia: sotto la norma. Ricerca sangue occulto nelle feci: positivo. La diagnostica strumentale ha dato i seguenti risultati: • ECG: ritmo sinusale, 88 bpm, alterazioni aspecifiche della ripolarizzazione. • Rx Torace: assenza di alterazioni pleuro-parenchimali. • Ecografia addome superiore: fegato di dimensioni globalmente aumentate, a margini regolari, ecostruttura omogenea con ecogenicità medio-alta per echi fittamente stipati, di piccole dimensioni. Assenza di lesioni focali. Reni con parenchima di spessore ridotto. Assenza di segni di ipertensione portale. Colecisti, vie biliari, pancreas, milza: nulla di rilevante. • EGDscopia: esofago normocanalizzato ed esente da lesioni, corpo gastrico esente da lesioni. A carico dell’antro: mucosa friabile, con ectasie venose di colorito vinoso, rilevate, che si estendono cranialmente verso la regione angolare e in breve tratto della piccola curva pre-angolare. Sono eseguite prese bioptiche a livello angolare e dell’antro. • Esame istologico (su prelievo bioptico endoscopico): dilatazione dei capillari della mucosa, iperplasia fibromuscolare della lamina propria, ispessimento della mucosa; assenza di infiltrato infiammatorio. In considerazione della grave forma di anemia, è stata proposta terapia trasfusionale, che la signora ha rifiutato per motivi religiosi (la signora ha dichiarato di essere una testimone di Geova). È stata praticata, pertanto, terapia medica a base di ferro ev, folati ev, PPI, rHePO. Alla dimissione, la signora presenta il seguen210 te quadro emocromocitometrico: Hb 9,9; GR 3.610.000; GB 4650; piastrine 132.000; MCV 71. Al controllo ambulatoriale, dopo 4 settimane, tuttavia, i valori di emoglobina erano nuovamente scesi a 6,2. Pertanto, visto il rifiuto alla pratica trasfusionale e non essendo la terapia medica in grado di risolvere la grave anemia secondaria, si sono prese in considerazione le terapie non mediche. Per la presenza di fattori di rischio per l’intervento chirurgico, si è optato per la terapia endoscopica e la signora è stata sottoposta, con successo, a terapia con laser a plasma d’argon, presso altra struttura ospedaliera. Tuttora, è controllata periodicamente, per programmare ulteriori sedute di laserterapia endoscopica. In regime ambulatoriale ha eseguito la colonscopia, risultata negativa. Caso 2 C.A., donna di anni 67. Ricoverata per recente riscontro di severa anemia con astenia e pallore cutaneo. L’anamnesi personale non evidenzia patologie familiari di rilievo. La signora non fuma e non assume alcolici. L’anamnesi patologica rivela una precedente diagnosi di polipo gastrico. Alvo e diuresi sono riferiti regolari. Mai rettorragia. Al ricovero, l’obiettività clinica rivela: severo pallore cutaneo e mucoso, normopeso, PA 130/70, Frequenza cardiaca 90 bpm; soffio sistolico 1-2/6 Levine, ubiquitario, assenza di scompenso emodinamico, MV fisiologico, addome trattabile, organi ipocondriaci nei limiti, M. di Giordano negativa bilateralmente, assenza di linfoadenopatie superficiali, tiroide nei limiti. Esplorazione rettale: assenza di lesioni attive rilevabili. La routine di laboratorio rivela: Hb 5,1; MCV 84; GB 2800/mm3; GR 2.200.000/mm3; PLT 300.000/mm3; proteine totali 5,2 g/dl, albumina 56%; gammaglobuline 12,7%. A-HCV: positivo. Tutti gli altri parametri risultano nella norma. Successivamente, vengono eseguite altre indagini di laboratorio, che risultano normali e che includono: CEA, A-LKM1, ANA, SMA, ANA, crioagglutinine, APGA, IgA, IgG, IgM, immunocomplessi circolanti, AAT, fattore reumatoide, C3, C4, FT3, FT4, TSH. Risultano invece patologici: dosaggio di folati e vitamina B12, ferritinemia, transferrinemia: ridotti sotto la norma. ATPO: aumentati: 425 Au/ml (v.r. 0-30). ENA: positivi. Haemoccult: positivo. La diagnostica strumentale ha fornito i seguenti risultati: • ECG: ritmo sinusale 84 bpm, alterazioni aspecifiche della ripolarizzazione. Watermelon stomach: descrizione di due casi e rivisitazione della letteratura • Rx torace: assenza di alterazioni pleuro-parenchimali in atto. • Ecografia addome superiore: fegato di dimensioni, margini ed ecostruttura conservati. Componente vascolare normalmente rappresentata. Non dilatate le vie biliari intra- ed extraepatiche. Lesione focale anecogena, compatibile con cisti semplice, del diametro di circa 2 cm, rilevabile al confine tra i segmenti 7° e 8°. Colecisti di dimensioni regolari, con pareti di spessore normale. Reni, pancreas e milza di dimensioni ed ecostruttura normali. • EGDscopia: piccola ernia jatale, piccolo polipo iperplastico sottocardiale. Corpo gastrico normale. Mucosa antrale friabile, con ectasie venose rosso scuro, rilevate, che si estendono verso l’angulus. Si eseguono biopsie. Test all’ureasi negativo. • Colonscopia: non eseguita per rifiuto della paziente. • Esame istologico (da prelievo bioptico endoscopico): mucosa ispessita; assenza di infiltrato infiammatorio; ectasia dei capillari mucosali; iperplasia fibromuscolare della lamina propria. Sono state praticate terapia trasfusionale e terapia medica a base di ferro ev, folati ev, PPI e steroidi. Alla dimissione, il quadro anemico era molto migliorato, con HB intorno a 11. GR, GB, PLT, normali. È stato programmato il follow-up per verificare l’efficacia della terapia prescritta a domicilio: IPP, steroidi. È prevista una prima EGDscopia di controllo a due mesi dalla dimissione. ECTASIA VASCOLARE ANTRALE GASTRICA (GAVE) Definizione Patologia gastrica cronica acquisita, che colpisce prevalentemente donne in età avanzata o senile. Rappresenta una rara causa di emorragia digestiva (2-5% del totale delle emorragie digestive non varicose), causando uno “stillicidio” cronico ematico, e determinando, quindi, progressiva anemizzazione e quadro ematico di carenza marziale, ipoalbuminemia, carenza di folati e vitamina B12. È indicata anche come watermelon stomach, per il tipico aspetto endoscopico della mucosa antrale gastrica. È una patologia distinta dalla gastropatia ipertensiva portale tipica del cirrotico.1,2 Inoltre, attraverso la valutazione di parametri morfometrici e statistici, la GAVE è stata differenziata dalle gastriti e dalla mucosa gastrica normale.3 Altri autori hanno elaborato uno score system che, attraverso l’utilizzazione di parametri quali anomalie dei vasi della mucosa (trombi di fibrina e/o estasia) e presenza di proliferazione di spindle cell, permette di differenziare la GAVE dagli stomaci normali, dagli antri resecati, dalle gastriti acute e dalle gastriti croniche.4 Patogenesi Sono state avanzate alcune ipotesi patogenetiche. Secondo alcuni autori potrebbe svolgere un ruolo importante nella patogenesi della GAVE il prolasso cronico della mucosa gastrica, causato da altre patologie concomitanti, o essere la conseguenza di disturbi dei neuro-ormoni e dei neurotrasmettitori secreti a livello di mucosa gastrointestinale, o rappresentare l’esito di un microtraumatismo cronico.5,6 Altri autori avanzano l’ipotesi che potrebbe trattarsi di una localizzazione precoce e/o non riconosciuta della sclerodermia, o rappresentare uno spettro delle alterazioni vascolari tipiche della sclerosi sistemica.7,8,9,10 Inoltre, le teleangectasie nella cute e nella mucosa di pazienti con sclerodermia ed emorragia digestiva sono istologicamente indistinguibili da quelle osservate nella teleangectasia emorragica ereditaria.11 Nel siero di pazienti affetti da GAVE sono stati talvolta riscontrati particolari autoanticorpi. Più specificamente, si tratterebbe di proteine nucleari di 100 kDa, definite da alcuni autori proteine “Gu”, che sarebbero membri di un nuovo sottogruppo di RNA-elicasi. Inoltre, esse, fuse con la glutatione-S-transferasi, contengono attività RNA-elicasi ATP-dipendente. Il preciso ruolo biologico di tali autoanticorpi nella biogenesi del RNA ribosomiale nella patogenesi della GAVE e nei disordini autoimmunitari associati resta ancora non chiarito e in fase di studio.12 Infine, come recentemente rilevato da Fisher,13 non sempre è possibile escludere la presenza di ipertensione portale sulla base dei parametri ecografici o di laboratorio. La diagnosi, infatti, di ipertensione portale andrebbe correttamente formulata sulla base della biopsia epatica e/o del gradiente porto-epatico (HVPG), insieme a metodiche neuroradiologiche del sistema venoso portale, al fine di escludere la trombosi della vena epatica o della vena splenica. Infatti, è stato rilevato che in pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo o affetti da malattie autoimmuni l’ipertensione portale può essere causata da 211 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna una malattia veno-occlusiva epatica o da cause extraepatiche. Caratteristiche endoscopiche La prima descrizione si deve a Jabbari, che nel 1984 ha definito le seguenti caratteristiche endoscopiche in 3 casi osservati: pliche longitudinali irregolari, che attraversano l’antro e convergono sul piloro; ciascuna di esse contiene una colonna visibile di vasi convoluti e assomiglia alle strisce scure di un’anguria. Esse sono meno procedenti rispetto al prolasso mucoso.14 Altri autori hanno definito le lesioni della GAVE come pliche lineari o strisce rossastre parallele con vasi visibili che dal piloro si irradiano all’antro,5,15,16 intenso arrossamento longitudinale o macchie rosso ciliegia (cherry-red spots) della mucosa antrale.17,18 I rilievi endoscopici precoci consistono in punti rossi in area pre-pilorica. Le lesioni vascolari gradualmente si ispessiscono e si estendono lungo la mucosa antrale e il quadro definitivo si realizza in un periodo di tempo che varia da 18 a 60 mesi.19 Le lesioni sono state graduate in assenti, minime, moderate e marcate.15 Il quadro di distribuzione è stato classificato in tre tipi: (1) punteggiato, (2) confluente e (3) a strisce.19 La GAVE, pur manifestandosi nella forma tipica in un periodo di tempo variabile e per lo più in meno di cinque anni, può causare emorragia già negli stadi precoci (spot pre-pilorici), ma generalmente l’anemia viene osservata solo nei pazienti che presentano il quadro endoscopico diagnostico tipico.19 L’ecoendoscopia (EUS) può avere un ruolo nella diagnosi e nel follow-up del paziente con GAVE. L’EUS, infatti, permette di identificare le zone ispessite della parete gastrica che presentano aspetto “spugnoso” per l’ectasia vascolare a carico degli strati II e III, mentre lo strato muscolare sembra preservato. Inoltre, l’EUS permetterebbe di controllare l’efficacia della laserterapia endoscopica.20 Si vedano le Figure 1 e 2. dilatati e tortuosi e pliche mucosali prominenti, mentre la parete gastrica prossimale è sottile.6 Le vene sottomucose antrali sono dilatate fino a tre volte il calibro delle arteriose.6 La mucosa è ipervascolarizzata e sono presenti capillari ectasici e trombosati sotto la superficie dell’epitelio.14,15,17 I trombi capillari sono di tipo fibrinoso.17 Sono inoltre presenti iperplasia fibromuscolare della lamina propria, rigenerazione epiteliale e distorsione dell’architettura mucosale.15 Caratteristica è, infine, la mancanza di infiltrato infiammatorio.17 L’ischemia focale, dovuta ai microtrombi fibrinosi nei vasi mucosali, sarebbe la causa della tendenza di questa malformazione vascolare al sanguinamento.21 PATOLOGIE CONCOMITANTI Il 50% circa dei pazienti affetti da GAVE presenta disordini autoimmuni associati.11,22 Altre condizioni patologiche descritte in associazione alla Figura 1. Caratteristiche istologiche Secondo alcuni autori, i dati desunti dalle antrectomie, confrontati con quelli ottenuti da biopsie endoscopiche, permettono di concludere che anche le seconde possono essere diagnostiche di GAVE.4 La parete antrale gastrica è ispessita, soprattutto a livello del piloro, con vasi sottomucosi 212 Figura 2. Watermelon stomach: descrizione di due casi e rivisitazione della letteratura GAVE sono: – A-HCV positività23 – Acloridria16 – Ipergastrinemia16,23 – Mancanza di folati e vitamina B1216 – Epatopatia cronica (cirrosi, epatite cronica)1,16 – Sclerosi sistemica (SSC)7,9,10,11 – Teleangectasie cutanee9 – Linfomi24 – Ipertensione portale24 – Insufficienza renale cronica25 – Connetivopatie25 – Presenza di autoanticorpi non organo-specifici12 – Ipotiroidismo22 – Alcolismo25 – Diabete mellito26 – Cirrosi biliare primitiva (PBC)12,2,27 – Sindrome di Sjögren22 – Sindrome CREST27 – Malattia di Rendu-Osler28 – Ectasia vascolare rettale29 – Adenocarcinoma “in situ” del piloro30 – Carcinoma squamoso del cardias30 – Trapianto di midollo, terapia con Busulfan10,31 DIAGNOSI E TERAPIA Rappresenta il problema maggiore nei pazienti affetti da GAVE, così come rilevato da diversi autori.32,33 Una volta raggiunta la diagnosi, infatti, il paziente, che generalmente manifesta una severa anemia, con ipoalbuminemia, deficit vitaminico e scadimento dello stato generale, necessita di un trattamento di supporto e di trasfusioni di sangue. Ciò perché, a seguito dello stillicidio cronico ematico, si stabilisce una sorta di adattamento del paziente a valori di emoglobina sempre più bassi con il passare del tempo. I sintomi e i segni che inducono il paziente a ricorrere al medico e, quindi, che permettono di fare la diagnosi attraverso accertamenti bioumorali e strumentali sono, infatti, legati proprio alla progressiva anemizzazione e alla perdita ematica intestinale: pallore mucocutaneo, astenia intensa, iporessia, calo ponderale, dispnea da sforzo, melena, turbe dell’alvo e dispepsia. Possono essere presenti altre manifestazioni vascolari a livello cutaneo (in particolare a carico delle dita o delle labbra), come le teleangectasie, ma solo nei casi di connettivopatia concomitante.7 Distinguiamo: (1) terapie mediche, (2) terapia endoscopica e (3) terapia chirurgica. Terapie mediche (a) Supporto nutrizionale e vitaminico, acido tranexamico, acido folico, eritropoietina ricombinante (rHePO), terapia marziale, secondo le necessità del caso. (b) Inibitori di pompa protonica (IPP), al fine di ridurre il rischio di ulteriore danno mucosale gastrico da iperacidità. La loro utilità è controversa, in quanto, per le caratteristiche della lesione gastrica vascolare, in realtà, generalmente concomita un’ipocloridria, ma il loro uso fa parte quasi di una “routine terapeutica” nel gastroepatico. (c) Allo stesso scopo vengono usati gli antiacidi (ad es., magaldrato, sucralfato, alginato) come composti di “barriera” protettiva nei confronti della mucosa gastrica. (d) Beta-bloccanti non cardioselettivi (ad es., propranololo, nadololo), in analogia con la terapia per la profilassi del sanguinamento da varici esofagee del cirrotico, secondaria a ipertensione portale, la quale può causare una gastropatia congestizia con caratteristiche morfologiche simili alla GAVE. I beta-bloccanti non cardioselettivi hanno dimostrato, anche in studi di metanalisi, la loro efficacia. Agirebbero, infatti, riducendo il gradiente pressorio portale, il flusso ematico dell’azygos e la pressione intravariceale, attraverso una vasocostrizione splancnica (azione di blocco sul recettore vascolare B2 vasodilatatore) e una riduzione della gittata cardiaca (azione di blocco sul recettore B1 cardiaco). Il sanguinamento, in caso di GAVE, tuttavia, non risponde al trattamento con TIPS (shunt portosistemico intraepatico transgiugulare), né a betabloccanti, a dimostrazione che non è coinvolto lo stesso meccanismo alla base della gastropatia ipertensiva portale del cirrotico, secondo quanto affermato da McCormick et al.1 Inoltre, secondo Rainoldi et al., in nessun caso di GAVE riportato era possibile riscontrare la presenza di ipertensione portale.2 (e) Octreotide, che è un analogo sintetico della somatostatina ad azione protratta, somministrabile anche per via sottocutanea. Esso ha dimostrato di essere in grado di diminuire la pressione portale senza modificare la pressione arteriosa, la gittata cardiaca e le resistenze vascolari periferiche.35 Probabilmente agisce aumentando le resistenze della circolazione arteriolare splancnica. L’azione del farmaco potrebbe essere mediata (analogamente a quella della somatostatina) anche dall’inibizione della secrezione di glucagone, i cui elevati livel213 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna li potrebbero contribuire alla vasodilatazione splancnica presente nell’ipertensione portale. L’octreotide è inoltre un potente inibitore delle secrezioni gastrointestinali. L’uso dell’octreotide ha prodotto risultati contrastanti. Secondo alcuni autori, il trattamento sarebbe inefficace.35 Secondo altri, il trattamento prolungato, a basse dosi, sarebbe efficace.32 (f) Terapie ormonali a base di estroprogestinici. Questo approccio identifica come bersaglio della terapia la componente legata all’ectasia capillare e ai microtrombi fibrinosi intracapillari, nonché alla vasodilatazione venosa della sottomucosa. Anche questa terapia ha prodotto risultati contrastanti, secondo quanto riportato da diversi autori.25,26,36,37,38,39 (g) Steroidi. L’utilizzo della terapia steroidea è relativo ai casi che si rilevano in soggetti con concomitante disordine autoimmunitario e nell’acloridria. I risultati, in questi casi, sono incoraggianti.14,39,40 Terapia endoscopica La terapia endoscopica si avvale delle metodiche di emostasi, che sono state applicate alle EDANV (emorragie digestive alte non varicose). In particolare, hanno trovato applicazione nel trattamento della GAVE la coagulazione bipolare (BiCAP);41 la termocoagulazione con heather probe (HP);42 la fotocoagulazione Laser (Nd-YAG)43 e la coagulazione con plasma di argon (PLA).44 Quest’ultima, per i bassi costi e la dimostrata efficacia, è preferita da molti Servizi di Endoscopia. Terapia chirurgica Consiste essenzialmente nell’antrectomia con anastomosi secondo Billroth I o II. Tale terapia, quando applicata, risulta molto efficace e può essere considerata il trattamento definitivo della GAVE. CONCLUSIONI – La GAVE è una patologia gastrica cronica acquisita, segnalata quasi esclusivamente nelle donne in età senile. – È una rara causa di sanguinamento gastrointestinale cronico “occulto”. – Causa un’anemizzazione progressiva e severa del soggetto colpito. – Si tratta di una patologia distinta dalle altre 214 forme di gastrite acuta e cronica e in particolare dalla gastropatia ipertensiva portale del cirrotico. – È stata spesso confusa o misconosciuta con altre forme di gastrite antrale refrattaria. – È stata riscontrata in associazione a molte condizioni patologiche a carico di diversi organi e apparati: in particolare, si associa a epatopatie di diversa eziologia, malattie metaboliche ed endocrine, disordini ematologici e del sistema immunitario. – Il 50% circa dei soggetti affetti da GAVE presenta disordini autoimmunitari associati e alcuni autori formulano l’ipotesi che potrebbe trattarsi di una localizzazione precoce e/o non riconosciuta della sclerodermia. Gli stessi autori propongono che la diagnosi endoscopica di GAVE induca alla ricerca di autoanticorpi, in particolare anti-centromero, e a eseguire una capillaroscopia. – Recentemente, Kamath et al. hanno dimostrato che la TIPS (shunt porto-sistemico intraepatico transgiugulare) riesce a risolvere il 75% dei casi di gastropatia ipertensiva portale (PHG) severa e l’89% circa dei casi di PHG lieve, mentre non risulta efficace nella GAVE. Ma anzi, in considerazione dell’età avanzata tipica dei pazienti con GAVE, questi sono più esposti al rischio di encefalopatia portosistemica postshunt.45 Anche i farmaci beta-bloccanti migliorano la PHG, mentre non sembrano avere effetto terapeutico sulla GAVE. Ciò dimostrerebbe che la GAVE è un’entità patologica distinta dalla PHG, pur concomitando l’ipertensione portale.45 – La sua patogenesi non è ancora stata chiarita, sebbene tra le ipotesi avanzate rientrino il ruolo di particolari proteine con funzione di autoanticorpo, l’effetto di un traumatismo cronico sulla mucosa, disturbi dei neuro-ormoni e dei neurotrasmettitori secreti a livello gastrointestinale o l’effetto sulla mucosa gastrica di patologie concomitanti. – La presenza di ipertensione portale in pazienti con GAVE potrebbe essere misconosciuta. – Le lesioni della mucosa nella GAVE sarebbero in ogni modo correlate a un incremento del flusso ematico mucosale e alla vasodilatazione splancnica, che tipicamente si verificano nelle epatopatie croniche. – L’ischemia focale, dovuta ai microtrombi fibrinosi nei vasi mucosali, sarebbe la causa della tendenza di questa malformazione vascolare al sanguinamento. Tale sanguinamento può determinarsi anche negli Watermelon stomach: descrizione di due casi e rivisitazione della letteratura stadi iniziali della GAVE, in cui la sola manifestazione endoscopica rilevabile è la presenza di cherry-red spot pre-pilorici. Il quadro clinico severo e la conseguente anemia sideropenica si realizzano, però, solo quando la gastropatia ha assunto le caratteristiche endoscopiche patognomoniche e ciò si verifica in un lasso di tempo variabile tra 18 e 60 mesi. – La biopsia per via endoscopica può essere diagnostica, al pari di quella eseguita sul pezzo operatorio da antrectomia. – L’EUS può svolgere un ruolo nella diagnosi e nel valutare l’efficacia della laserterapia endoscopica – Il trattamento della GAVE resta il problema principale. I diversi approcci farmacologici trovano indicazione in un limitato e ben definito numero di casi, mentre generalmente falliscono l’obiettivo della guarigione. L’antrectomia sembra essere il trattamento risolutivo. La terapia endoscopica rappresenta una valida scelta, soprattutto in casi selezionati (soggetti che rifiutano l’intervento chirurgico o che non possono essere sottoposti alla gastroresezione per le patologie concomitanti). La metodica di scelta dipende dalla disponibilità del centro e dall’esperienza dell’operatore. In virtù del miglior rapporto costo/beneficio, la metodica di scelta potrebbe essere, attualmente, la laserterapia con plasma di argon. – La TIPS e lo shunt porta-cava chirurgico sono controindicati nella GAVE. – È auspicabile che vengano condotti ulteriori studi sulle caratteristiche dei pazienti affetti da GAVE (WS), per meglio definire il ruolo che eventuali alterazioni del sistema immunitario svolgono nella patogenesi e nella storia naturale di questa rara patologia gastrica. BIBLIOGRAFIA 1. Mc Cormick PA, Ooi H, Crosbie O. Tranexamic acid for severe bleeding gastric antral vascular ectasia in cirrhosis. Gut 1998;42(5):750-752. 2. Rainoldi J, Naves A, Rainoldi F. 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Maria Nuova, Reggio Emilia GIMI 2004;3(4):217-219 RIASSUNTO La bullosis diabeticorum è una rara complicanza del diabete mellito, ma ne rappresenta un marcatore tipico. È caratterizzata dall’improvvisa comparsa di lesioni bollose cutanee in assenza di dolore e di segni di flogosi, tipicamente localizzate alle estremità. Sono più spesso colpiti maschi adulti con diabete di lunga data complicato da neuropatia periferica. La patogenesi non è chiara; i traumi possono rappresentare un fattore precipitante. Tali lesioni abitualmente guariscono spontaneamente senza lasciare cicatrici. Le recidive sono comuni. Riportiamo il caso di un uomo di 53 anni, affetto da diabete tipo II con retinopatia diabetica e neuropatia periferica, giunto all’osservazione clinica per comparsa da alcuni giorni di bolle non dolenti a entrambi i piedi. Riferiva un analogo episodio con lesioni sovrapponibili nella stessa sede due anni prima, guarite spontaneamente. In entrambi i casi vi era correlazione con l’impiego sul lavoro di pesanti calzature antinfortunistica. L’esame istologico ha mostrato una bolla a sede intraepidermica; l’immunofluorescenza è risultata negativa. Dal punto di vista terapeutico è stata praticata medicazione locale quotidiana, oltre a terapia antibiotica sistemica per verosimile sovrainfezione. Le lesioni sono guarite completamente nell’arco di tre settimane. Parole chiave: bullosis diabeticorum, diabete mellito, bolle, neuropatia periferica. SUMMARY Bullosis diabeticorum, though a rare manifestation, is a distinct diabetic marker. It is characterized by suddenly occurring bullae without pain or any sign of inflammation, commonly on the acral areas. The bullae occur more frequently in adult men with long standing diabetes and neuropathy. The pathogenesis is unclear; trauma may be a precipitating factor. The blisters usually heal spontaneously without scarring and recurrences are common. A 53-year old diabetic man with diabetic retinopathy and peripheral neuropathy presented with a few day history of spontaneous painless blister formation on both lower legs, feet and soles. He recalled another episode of developing bullae on the feet two years before, which spontaneously resolved. In both cases, he had used heavy shoes at work. Histologically, the examination showed an intraepidermal bulla; immunofluorescence studies were negative, excluding an immunobullous disease. The treatment consisted of local care with disinfection and protective covering; systemic antibiotics were also given. The bullae healed completely over three weeks. Key words: bullosis diabeticorum, diabetes mellitus, bullae, peripheral neuropathy. Per la corrispondenza: Chiara Trenti UO I Medicina Interna AO S. Maria Nuova Reggio Emilia e-mail [email protected] INTRODUZIONE Manifestazioni cutanee associate al diabete mellito si osservano nel 30% circa dei pazienti durante il decorso della malattia.1 Tra queste, le 217 Giornale Italiano 2004;3(4) di Medicina Interna lesioni bollose sono rare, ma ben caratterizzate e così tipiche da poter essere considerate un marcatore cutaneo specifico del diabete. Sono state descritte per la prima volta da Kramer nel 1930,2 ma soltanto nel 1967 Cantwell e Martz coniarono il termine di “bullosis diabeticorum”.3 Finora, solo un centinaio di casi è stato descritto in letteratura e la maggior parte delle segnalazioni riguarda uno o pochi pazienti.4-8 PRESENTAZIONE DEL CASO CLINICO Un uomo di 53 anni, affetto da diabete tipo II complicato da grave neuropatia sensitivo-motoria periferica e da retinopatia diabetica, giunge alla nostra osservazione per l’improvvisa comparsa di estese lesioni bollose non dolenti a entrambi i piedi. Obiettivamente, il quadro cutaneo ricorda quello di un’ustione localizzata, con bolle tese alternate ad altre flaccide e ad ampie aree di cute disepitelizzata, ma aflegmasica. Sono interessate le dita, la superficie dorsale e quella plantare. In anamnesi non viene riferita l’assunzione di farmaci diversi dall’abituale terapia (metformina e ramipril). L’unico fattore temporalmente correlato alla comparsa delle lesioni risulta essere l’impiego di pesanti scarpe antinfortunistiche sul lavoro. Approfondendo la storia, emerge un episodio analogo due anni prima, con lesioni bollose di identico aspetto al solo piede sinistro, guarite spontaneamente in tempi lunghi per sovrainfezioni ripetute e anche in questa occasione correlate a verosimile microtraumatismo dei piedi a opera di calzature pesanti. Gli esami bioumorali mostrano leucocitosi neutrofila (GB: 15.000; N: 85%) e incremento degli indici di flogosi (VES: 84 mm; PCR: 9,83 mg/dl). Le indagini immunoreumatologiche risultano nella norma, comprensive di ANA test, anti-ENA, fattore reumatoide, Waaler-Rose. Viene eseguita biopsia cutanea che mostra lesione bollosa intraepidermica subcornea; il tetto della bolla è costituito dallo strato corneo dell’epidermide e nella bolla si reperta fibrina con rari granulociti neutrofili. Nel derma si osserva un modestissimo infiltrato perivascolare superficiale prevalentemente linfocitario (Fig. 1 e 2). Gli esami di immunofluorescenza per la ricerca di immunoglobuline e complemento danno esito negativo. Durante la degenza, le lesioni bollose sono quotidianamente medicate con fisiologica, rimozione dei frammenti di cute necrotica e applicazione di sulfadiazina argentina in occlusione. Per la comparsa di febbre da verosimile sovrainfezione cutanea si decide di istituire terapia antibiotica ad ampio spettro con piperacillina-tazobactam. Il quadro migliora progressivamente con graduale e costante tendenza alla riepitelizzazione e con stabile normalizzazione della curva termica. La Figura 3 mostra l’aspetto delle lesioni dopo 15 giorni dal primo riscontro. L’orientamento diagnostico è quello di bullosis diabeticorum, sulla base della storia clinica (comparsa spontanea di bolle cutanee non dolenti in un paziente diabetico di sesso maschile con grave neuropatia periferica, in accordo con i dati della letteratura), della sede acrale tipica, della ricorrenza delle lesioni già osservate due anni prima, del quadro istologico aspecifico con immunofluorescenza negativa e dell’esclusione di altre patologie in diagnosi differenziale. DISCUSSIONE La bullosis diabeticorum è caratterizzata dall’improvvisa comparsa di una o più bolle cutanee tese, di dimensioni variabili da pochi millimetri ad alcuni centimetri, in assenza di dolore e di segni di flogosi. Tali lesioni possono interessare molteplici sedi, ma più spesso si osservano alle estremità, in particolare ai piedi o alla porzione distale delle gambe. È stata finora descritta solo negli adulti, ma il range di età pare molto Figura 1 e 2. Lesione bollosa intraepidermica subcornea contenente fibrina e rari neutrofili; modesto infiltrato perivascolare. 218 Bullosis diabeticorum: una problematica diagnosi clinica di esclusione Figura 3. Aspetto macroscopico delle lesioni a 15 giorni dalla prima osservazione. variabile dalla seconda all’ottava decade di vita; i maschi sono più frequentemente interessati. I pazienti hanno in genere una lunga storia di diabete, tipicamente complicato da neuropatia periferica, retinopatia e nefropatia, come nel caso clinico descritto; in alcuni casi, invece, la bullosis diabeticorum rappresenta la modalità clinica di presentazione di un diabete all’esordio. Le recidive sono molto comuni, nella stessa sede o in siti anatomici differenti. Inizialmente, le bolle sono tese e appaiono macroscopicamente come ustioni; rapidamente diventano flaccide, perdono il tetto lasciando la cute sottostante disepitelizzata e tendono ad ampliarsi e a confluire. All’interno contengono un liquido limpido che, in assenza di superinfezioni batteriche o emorragie intralesionali, è di regola sterile; in genere guariscono spontaneamente senza cicatrici, con completa restitutio ad integrum nell’arco di 2-5 settimane. Istologicamente sono stati descritti quadri eterogenei: le bolle appaiono intraepidermiche in alcuni pazienti (da subcornee a soprabasilari) e subepidermiche in altri. L’immunofluorescenza diretta e indiretta risulta sempre negativa. Il liquido contiene fibrina e leucociti polimorfonucleati in modesta quantità. Dal punto di vista eziopatogenetico, non si conosce l’esatta causa della bullosis diabeticorum, che verosimilmente è multifattoriale. La microangiopatia potrebbe svolgere un ruolo eziologico rendendo la cute ipovascolarizzata più suscettibile allo sviluppo delle bolle. Anche la neuropatia sembra essere un fattore rilevante; infatti, la quasi totalità dei pazienti descritti ha evidenza di grave neuropatia periferica. Secondo altri autori, la nefropatia svolge il ruolo principale, forse mediante un’alterazione nel bilancio tra calcio e magnesio che diventa rilevante a livello cutaneo. I traumi possono agire come fattori precipitanti e la localizzazione acrale rafforza questa osservazione. Tuttavia, se da un lato sono riportati in letteratura casi di bullosis traumatica,9 molti altri sono spontanei e spesso le lesioni si sviluppano durante la notte mentre il paziente è a riposo. Nel caso clinico descritto vi è una relazione temporale significativa con l’impiego di calzature antinfortunistiche, tanto nell’episodio attuale quanto in quello precedente anamnestico. Non esiste un test diagnostico specifico per la diagnosi, basata essenzialmente sui tipici reperti clinici e sull’esclusione di altre condizioni patologiche. La diagnosi differenziale comprende il pemfigoide bolloso, il pemfigo volgare, la porfiria cutanea tarda, l’eritema multiforme, l’epidermolisi bollosa e le reazioni cutanee a farmaci. La terapia è finalizzata a evitare le sovrainfezioni consentendo alla lesione di guarire spontaneamente. In questo senso è di primaria importanza, poiché ogni soluzione di continuo della cute di un paziente diabetico può costituire il primo gradino verso l’amputazione. La terapia locale consiste nell’aspirazione delle bolle di grandi dimensioni per prevenirne la rottura, lasciando intatto il tetto della bolla a proteggere la cute sottostante; ogni giorno la lesione deve essere detersa delicatamente con fisiologica in assoluta sterilità e mantenuta coperta. Se vi sono segni di superinfezione è necessario intraprendere terapia antibiotica sistemica, possibilmente dopo aver eseguito tampone per esame colturale. Si stima che lo 0,5% circa dei diabetici sviluppi bullosis diabeticorum, ma probabilmente la patologia è più comune e non riconosciuta. BIBLIOGRAFIA 1. Paron NG, Lambert PW. Cutaneous manifestations of diabetes mellitus. Prim Care 2000;27(2):371-383. 2. Kramer DW. Early warming signs of impending gangrene in diabetes mellitus. Med J Rec 1930;132:338-342. 3. Cantwell AR Jr, Martz W. Idiopathic bullae in diabetics. Bullosis diabeticorum. Arch Dermatol 1967;96:42-44. 4. Basarb T, Munn SE, Mc Grath J, et al. Bullosis diabeticorum. A case report and literature review. Clinical and Experimental Dermatology 1995;20:218-220. 5. Lipsky BA, Baker PD, Ahroni J. Diabetic bullae:12 cases of a purportedly rare cutaneous disorder. International Journal of Dermatology 2000;39:196-200. 6. Derighetti M, Hohl D, Krayenbuhl BH, et al. 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