Interrogazione e risposta_000001
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Interrogazione e risposta_000001
GIORDANO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che: il dottor Danilo Nuccetelli, medico e assessore alla Sanità del Municipio di Roma Centro Storico, nel marzo 2006 ha perso un fratello di 60 anni, morto per una embolia polmonare da trombosi venosa profonda (TVP) degli arti inferiori, dopo essere stato sottoposto ad una operazione complessa, ma a prognosi comunque benigna; da accertamenti effettuati dallo stesso dottor Nuccetelli, in merito alle modalità, negli ospedali di Roma, della profilassi della TVP, sarebbe emerso che in tutta la città di Roma in un solo ospedale (e in un unico reparto), ovvero il San Camillo Forlanini - Unità di Chirurgia Generale I, vengono applicate integralmente le linee guida del settore riconosciute a livello internazionale; la corretta profilassi della TVP in chirurgia si fonda su tre passaggi: la valutazione del rischio tromboembolico per ogni paziente e per ogni intervento chirurgico, la somministrazione prima e dopo l'intervento di anticoagulanti (generalmente eparina a basso peso molecolare), l'uso prima, durante e dopo l'intervento di mezzi meccanici di prevenzione (calze elastiche antitrombo, dispositivi per la compressione pneumatica intermittente, filtri cavali); nella città di Roma, risulta che nessun ospedale dispone di una scheda di valutazione del rischio tromboembolico, e che gli anticoagulanti, quando somministrati, vengono forniti al paziente spesso solo dopo l'intervento chirurgico (e quindi in maniera impropria); inoltre i mezzi meccanici di prevenzione, pure previsti nelle linee guida riconosciute a livello internazionale, salvo rare eccezioni, sono completamente ignorati; da accertamenti che è stato possibile effettuare, parrebbe che tale allarmante situazione sia riscontrabile anche a livello regionale e nazionale, eccetto alcune isole di efficienza nelle regioni del nord (ad esempio a Torino, Ospedale San Giovanni Battista; a Milano, Ospedale San Carlo Borromeo); gli studi sul tema hanno acclarato ormai da anni che negli interventi di cosiddetta «chirurgia maggiore» (tutti gli interventi sull'addome, sul torace, eccetera) effettuati su soggetti ad alto rischio (età maggiore di 60 anni, oppure età maggiore di 40 anni con cancro, eccetera) la frequenza di embolia polmonare fatale va dallo 0,8 all'1 per cento: dati allarmanti se si tie ne conto che una corretta profilassi esclude di fatto il rischio di embolia polmonare - : se sia a conoscenza dei fatti sopradescritti; se non ritenga grave che, nonostante il rigore delle linee guida internazionali sul tema, l'inadeguatezza della profilassi della trombosi venosa profonda possa compromettere il diritto alla salute dei cittadini; quali iniziative urgenti intenda intraprendere per porre fine a tale grave situazione e, in particolare, se intenda adottare iniziative affinché si provveda in tempi celeri ad un adeguamento della profilassi della TVP nel nostro Paese alle linee guida internazionali. Risposta. - La malattia tromboembolica, che include due manifestazioni cliniche, trombosi venosa profonda ed embolia polmonare una delle principali cause di morbilità e mortalità ospedaliera. Per trombosi venosa profonda Tvp si intende l'ostruzione o l'occlusione trombotica di una vena del sistema venoso profondo, più frequente a livello degli arti inferiori (90 per cento dei casi). Un trombo può distaccarsi dalla sua sede primitiva, risalire l'albero farro venoso e arrivare al microcircolo polmonare, causando una embolia polmonare Ep. L'incidenza di Ep è pari a circa 65.000 casi l'anno in Italia, oltre 100.000 casi in Francia, 65.000 casi tra, i pazienti ospedalizzati in Inghilterra e Galles, 500 mila casi annui negli Stati Uniti. La letalità per Ep non trattata si aggira attorno al 30 per cento, ma può essere ridotta, con appropriata terapia anticoagulante, fino al 2-8 per cento. La Tvp e l'Ep rappresentano temibili complicanze per i pazienti ospedalizzati, in particolar modo per quelli chirurgici, a causa dell'interazione tra stasi venosa, danni vascolari, attivazione dei fattori della coagulazione ed immobilità; infatti, la dilatazione venosa intraoperatoria riduce il flusso sanguigno nelle vene, causandone la cosiddetta stasi venosa. Allo stesso tempo, la dilatazione venosa può provocare microlesioni nella parete venosa che, in presenza di stasi, attivano piastrine, fattori della coagulazione ed altri prodotti trombogenici dei tessuti danneggiati. L'interazione di questi fattori, combinata al trauma della procedura chirurgica ed all'immobilità post-operatoria, aumenta il rischio di sviluppo di trombi nel sistema venoso. Il rischio di andare incontro a Tvp per i pazienti chirurgici non sottoposti a profilassi varia in base alla tipologia degli interventi; più precisamente il rischio è del 25 per cento per i pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia generale, urologia, ginecologia e neurochirurgia, del 50 per cento nei politraumatizzati, del 50-60 per cento per gli interventi ortopedici, fino al 65 per cento nei casi di protesi di anca e ginocchio. Per i pazienti affetti da patologie non chirurgiche e non sottoposti a profilassi, quelli colpiti da ictus hanno la probabilità del 63 per cento di andare incontro a Tvp, mentre tale rischio è del 25 per cento nei pazienti colpiti da infarto del miocardio, del 5-15 per cento per quelli affetti da neoplasie, del 15-20 per cento per i soggetti affetti da scompenso cardiaco, broncopeumopatie croniche ostruttive riacutizzate, sindrome nefrosica, policitemia vera e piastrinosi. Anche diverse condizioni acquisite aumentano la coagulabilità del sangue, favorendo la Tvp: neoplasie, obesità, immobilizzazione della durata superiore a quattro giorni, soprattutto negli anziani, gravidanza, puerperio, sindromi mieloproliferative, policitemia vera, terapia estroprogestinica e sindrome nefrosica, scompenso cardiaco congestizio, accidenti cerebrovascolari e l'anestesia. Le linee guida più accreditate per il rischi tromboembolico legato all'atta operatorio, come quelle proposte dalla Consensus conference on antitbrombotic therapy, classificano i pazienti in quattro livelli di rischio (basso, moderato, alto ed altissimo rischio di Tvp), identificati in base al tipo di intervento ed alle caratteristiche del paziente. Tale suddivisione permette di modulare l'intensità dei trattamenti preventivi, che includono la mobilizzazione precoce, l'impiego di farmaci ant icoagulanti del tipo dell'eparina e di mezzi meccanici come le calze compressive. Le raccomandazioni ad utilizzare o meno un particolare trattamento sono bilanciate sul rapporto tra potenziali benefici e potenziali rischi emorragici. Pertanto, è possibile ridurre il rischio di Tvp, ma non azzerarlo e devono essere considerati attentamente i rischi emorragici connessi agli stessi trattamenti preventivi. In questo senso, la Tvp rientra nella più ampia problematica del rischio clinico che può essere previsto e gestito (risk management) per migliorare la qualità e la sicurezza del paziente. Relativamente alle iniziative adottate dal Ministero della salute in tema di sicurezza delle cure o, meglio, di gestione del rischio clinico (rik management), va preliminarmente osservato che le cause degli eventi avversi in ambito clinico assistenziale sono o l'errore umano, cioè del professionista sanitario durante un intervento chirurgico o nella somministrazione di un farmaco o di una terapia, o l'errore causato da inefficienze organizzative del sistema sanitario. Va tuttavia precisato che, pur in presenza di un sistema perfetto e di medici e personale altamente competenti, è impossibile eliminare del tutto la teorica possibilità dell'errore. Nell'attuale mandato governativo, il Ministero della salute, nella certezza che l'attivazione dei diversi livelli di responsabilità concorra al miglioramento della qualità dell'assistenza, ha già avviato le iniziative necessarie ad affrontare in maniera integrata i diversi aspetti della sicurezza dei pazienti con: il monitoraggio degli eventi avversi; l'emanazione di raccomandazioni; le strategie di formazione; il supporto per la gestione degli aspetti assicurativi e medico- legali. In questa logica, opererà il «Centro di riferimento nazionale sulla sicurezza dei pazienti», istituito per la prima volta in Italia nello scorso mese di dicembre, in accordo con quanto attuato in altri Paesi europei ed extraeuropei ed in linea con le indicazioni di tutti gli organismi internazionali che si occupano di sanità. Sulla base del Patto sulla salute, è stato poi concordato con le Regioni di pervenire alla stipula di un accordo sul Programma nazionale per la promozione permanente della qualità nel Servizio sanitario nazionale, che conterrà, tra l'altro, un capitolo dedicato al tema della sicurezza dei pazienti. Relativamente al monitoraggio, è stato predisposto un sistema per l'allarme sui cosiddetti eventi sentinella, cioè quegli eventi di particolare gravità che, una volta segnalati, devono essere oggetto di immediate analisi e verifiche per comprenderne le relative cause; il modello, già pronto, dovrà essere applicato in tutti gli ospedali. È stato, inoltre messo a punto il «Sistema Informativo per il Monitoraggio degli errori in Sanità» (Simes), che diventerà uno degli strumenti del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (Nsis). Saranno predisposte una serie di indicazioni per la prevenzione degli errori nelle procedure (al momento ne sono state già realizzate 3 e se ne stanno ultimando altre 12) che verranno diramate in tutte le Asl e gli ospedali. In merito all'aspetto fondamentale della formazione degli operatori sanitari, sono stati infatti già elaborati diversi programmi specifici e, soprattutto, uno specifico «Manuale di formazione sulla sicurezza e gestione del rischio clinico» a disposizione di tutti gli operatori italiani. Va evidenziato, peraltro, che il problema della sicurezza deve essere affrontato con la partecipazione attiva di tutti i soggetti interessati; in particolare pazienti e familiari. Per questo obiettivo, sono in fase di realizzazione una serie di materiali informativi che saranno distribuiti negli ospedali e sono state avviate campagne di comunicazione rivolte ai cittadini sul rischio clinico e la sicurezza delle cure. Non deve essere sottovalutato l'aspetto della comunicazione dell'errore, che è un diritto, del paziente, un dovere delle organizzazioni sanitarie e rappresenta uno dei principali pilastri su cui costruire un approccio di sistema per la sicurezza dei pazienti e la gestione degli errori in sanità. Al riguardo, è in via di pubblicazione da parte del Ministero della salute una raccomandazione specifica sulla comunicazione dell'errore, secondo criteri innovativi che sono in linea con gli indirizzi degli altri Paesi europei. La questione degli aspetti medico legali ed assicurativi dovrà essere regolamentata con una legge che abbia come obiettivi principali, tra (altro, la garanzia di percorsi rapidi per il risarcimento del danno ai cittadini, la previsione di assicurazioni obbligatorie di copertura dei danni da parte delle Asl e degli ospedali e una più corretta segnalazione degli errori da parte degli operatori, prevedendo l'obbligatorietà della segnalazione ma garantendone contestualmente la riservatezza. Sempre in tema di rischio, si sottolinea la realizzazione della «Prima conferenza europea sul risk management» promossa dal Ministero della salute lo scorso mese di dicembre, che ha visto riuniti ad Arezzo i massimi esperti internazionali del settore per un proficuo scambio di esperienze e di linee di azione operativa. Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Gaglione.