2 comunicato politico - Lesbiche Fuorisalone

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2 comunicato politico - Lesbiche Fuorisalone
LESBICHE FUORISALONE MILANO
DAL 14 AL 18 OTTOBRE 2015
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NO FEAR, LET’S BE QUEER!
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Abbiamo viaggiato come clandestine, siamo state invertite, internate, tribadi, antisociali. Nel
movimento femminista il nostro soggetto ha preso forma, restituendo nel tempo l’oltraggio della
mancata nominazione dell’esperienza lesbica. Non siamo donne, abbiamo detto, non saremo mai
come volete voi. Ci sono stati gli anni della prima visibilità, quando tre giorni di dibattiti, laboratori
e feste sono stati sinonimo di Settimana Lesbica, spartiacque nelle esistenze individuali e nella vita
di un movimento, quando il Festival del Cinema Lesbico di Immaginaria ha rappresentato un luogo
di senso, di resistenza, di lotta.
Abbiamo aperto spazi, ce ne siamo prese cura; poi la forma dell’associazione ha sostituito quella
dell’occupazione e abbiamo dovuto pensare a statuti ed affitti, mentre la conquista di un po’ più di
benessere, di visibilità e di accettazione sociale si sarebbe fatta pagare in termini di perdita di
radicalismo nelle lotte, profondità nell’elaborazione, coraggio nelle rivendicazioni, portata della
nostra azione rivoluzionaria. Siamo state assenti, in TV abbiamo visto Genova assediata, la Diaz
assaltata e un altro movimento piegato sul nascere. Abbiamo sentito le nostre istanze indicibili
ignorate al salotto buono del Pride, la Legge 40 approvata senza battere un colpo, e compagne
trascinate giù dal palco nel giorno dell’orgoglio. Abbiamo strillato, chiesto, preteso, preso le
distanze e tirato dritto una volta più. Abbiamo temuto, ma la nostra rete ha tenuto.
Non era giusto uscire dall’invisibilità, dall’indicibilità della nostra esperienza, chiedere pari diritti,
leggi contro la discriminazione che ci colpisce e tentare di modificare il clima sociale intorno a noi?
Anche questo ha fatto parte del nostro lavoro politico negli ultimi vent’anni, in un contesto certo
non favorevole alla nostra azione, e lo rivendichiamo con orgoglio. Anche se oggi possiamo
rimproverare al Movimento GLBTQ di essersi ripiegato su se stesso, perdendo in molti casi
l’opportunità politica di incrociare il suo percorso con quello di altre lotte, ricordiamo che c’erano
lesbiche alla manifestazione in difesa del Leoncavallo nel settembre del 94, c’erano, con il loro
striscione, il 25 aprile 1994, prima del primo governo Berlusconi contro il quale saremmo andate in
piazza un giorno sì e l’altro no. Ci sono stati movimenti come NOVAT, Facciamo Breccia, siamo
state a Vicenza a protestare contro la base militare. Ma dobbiamo dirci anche che il progressivo
restringimento del campo di azione sul tema dei diritti ha impoverito la nostra azione politica che
rischia di divenire la rivendicazione di un privilegio nel contesto dato.
Quest’anno a Milano non è stato un anno come gli altri: il vento di EXPO ci è entrato dentro casa,
paradigma di mafie, cemento, precarizzazione e di un’idea fortemente eteronormata della sessualità,
promossa come unica via a quel riconoscimento che serve a molte per sopravvivere. Ci hanno
offerto una gay street, una spugnetta per ripulire i muri da ogni messaggio antagonista, appoggiato e
sviluppato il discorso per cui il nostro unico obiettivo debba essere l’adeguamento legislativo che
consentirà anche in Italia alle persone omosessuali di sposarsi. Con nuov@ compagn@ nella Rete
NOEXPO PRIDE abbiamo rivendicato l’utopia di un’intera “città frocia”, sottraendoci all’invito di
contribuire a creare una vetrina gay per Expo; abbiamo squirtato davanti a Sant’Eustorgio e alle
storiche chiese del centro, passeggiato in drag nelle strade glamour dell’Isola, circondate, in una
paradossale coreografia, da centinaia di poliziotti in assetto antisommossa. Se Stonewell fu una
rivolta, il terreno si fa oggi scivoloso a causa di un potere che si insinua tra noi in maniera sempre
più suadente, proponendoci l’integrazione in cambio del nostro complice silenzio. Ma le nostre
identità non sono in vendita, e i nostri corpi sono laboratori di resistenza, luoghi di piacere e di
sessualità dirompenti, strumenti di costruzione di legami che vanno al di là dei discorsi dominanti;
corpi che si avvicinano ad altri corpi, che contaminano, ibridano le lotte, che si alleano con quelli
che subiscono altre forme di esclusione. Corpi di lesbiche, corpi froci, migranti, precari, corpi come
luoghi di senso, di resistenza, di lotta, di micropolitiche che favoriscono la creazione di altri mondi,
contesti, situazioni, che superano le dicotomie, perturbano gli spazi del sistema etero-patriarcale,
che visibilizzano e rivendicano modi di vita e visioni in contrasto con quelle dominanti.
Citiamo da Foucault (La volontà di sapere, Feltrinelli, 1978), “Il valore della critica storico-politica
della repressione sessuale e dei suoi effetti sulla realtà è stato considerevole. Ma la possibilità stessa
del suo successo era legata al fatto che si dispiegava sempre all’interno del dispositivo di sessualità,
e non al di fuori o contro di esso […]. Tutta questa ‘rivoluzione’ del sesso, tutta questa lotta
‘antirepressiva’ non rappresentava niente di più, ma anche niente di meno […] di uno spostamento e
un capovolgimento tattici nel grande dispositivo di sessualità”. Se quindi il potere cerca sempre di
scovarci e di trarre vantaggio dalle nostre lotte, anche le più radicali, assimilando, trasformando le
nostre istanze, digerendole e rigirandole contro di noi, siamo consapevoli della favolosità delle
nostre vite, della libertà che ci siamo conquistate e rivendichiamo l’irriverenza con la quale
sfidiamo chi ci vuole normate, consumatrici, mettendo in campo la capacità amarci e sostenerci
grazie anche alle nostre relazioni senza nome che danno senso alle nostre vite.
Oggi ci interessa ragionare intorno a parole-chiave come resilienza, pinkwashing, diversity
management, omonazionalismo, intersezionalità delle lotte. Oggi ci interessa capire come anche il
corpo possa divenire un luogo di resistenza attraverso la pratica del pornoattivismo. Sappiamo di
muoverci su un terreno incerto, ma è proprio su questo terreno dell’incertezza e del margine che si
inserisce la nostra azione: il piede vacilla dove sembrava di poterlo poggiare con sicurezza ma noi,
se serve, sappiamo volare.
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