La responsabilita` precontrattuale dell`intermediario finanziario nel

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La responsabilita` precontrattuale dell`intermediario finanziario nel
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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE . GIURISPRUDENZA
Intermediari finanziari
La responsabilità precontrattuale
dell’intermediario finanziario
nel diritto inglese
ENGLISH HIGH COURT (COMMERCIAL COURT OF THE QUEENS BENCH DIVISION) 25 maggio 2005
P.I. Ltd. c. A.N.Z. Banking Group Ltd.
Diritto inglese - Intermediari finanziari - Disciplina degli intermediari - Servizi di investimento - Svolgimento dei servizi - Responsabilità precontrattuale - Risarcimento del danno
(Section 2(1), Misrepresentation Act 1967)
I. Quando una banca illustra oralmente le caratteristiche di un certo prodotto finanziario in modo difforme dalla realtà, la successiva sottoscrizione del contratto d’investimento - che pure descrive in
modo corretto le caratteristiche del prodotto - non fa venire meno la responsabilità per la precedente
falsa rappresentazione e il conseguente obbligo dell’intermediario di risarcire il danno sofferto dall’investitore.
La Corte (omissis).
IL COMMENTO
di Valerio Sangiovanni
La tematica della responsabilità degli intermediari finanziari è fra le più attuali nella giurisprudenza italiana. I casi Argentina, Cirio e Parmalat hanno determinato una serie di azioni giudiziarie nei confronti delle
banche. Il rilievo pratico della materia rende interessante esaminare una recente sentenza inglese che si è
occupata della responsabilità di una banca che aveva
suggerito un investimento rivelatosi poco proficuo per
l’investitore.
La vicenda inglese
I. La vicenda da cui origina la massima giurisprudenziale inglese riportata sopra può essere cosı̀ brevemente
descritta. Un signore gestisce il proprio patrimonio attraverso una società appositamente costituita a tal fine
(P.I. Ltd.). Per l’effettuazione degli investimenti P.I. si
avvale della intermediazione di un gruppo bancario
(A.N.Z. Banking Group Ltd.). Tra i due partners intercorre un rapporto di lungo periodo, durante il quale la
banca ha posto in essere diversi investimenti in nome e
per conto dell’investitore. A.N.Z. suggerisce a un certo
punto a P.I. di effettuare un investimento in obbligazioni russe. L’investitore discute le condizioni di questo
nuovo contratto, il cui contenuto essenziale viene pattuito per telefono. Successivamente viene sottoscritto
un testo che dovrebbe riportare le condizioni contrattuali pattuite telefonicamente. L’investitore dà per scontato che il testo del contratto riporti quanto pattuito
oralmente e, prima di sottoscriverlo, non legge in dettaglio tutte le clausole. Firmato il contratto, viene effettuato un investimento del controvalore di 250.000 dollari statunitensi avente a oggetto obbligazioni russe. A
un certo punto la Russia non è in grado di rimborsare
le obbligazioni. Il valore dell’investimento si riduce a
5.919 dollari.
L’investitore chiede allora alla banca il risarcimento
del danno. Tale richiesta viene fondata sul fatto che la
banca non aveva informato in modo adeguato l’investitore sulle caratteristiche del prodotto finanziario. A base
dell’azione in giudizio viene posta la sezione 2(1) del
Misrepresentation Act del 22 marzo 1967. Secondo questa disposizione quando una persona stipula un contratto dopo che l’altra parte gli ha rappresentato qualcosa
in modo non corrispondente al vero, la persona che ha
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posto in essere la falsa rappresentazione è responsabile
per il danno subito dalla controparte (1). Nel caso di
specie la banca aveva rappresentato telefonicamente dei
fatti non corrispondenti al vero. L’investitore sostiene
che, se fosse stato adeguatamente informato sui rischi
dell’investimento, non vi avrebbe proceduto.
La banca convenuta ribatte che l’investitore non è
stato indotto in errore. Il contratto che era stato successivamente sottoscritto descriveva difatti correttamente i
termini dell’investimento, segnalando tutti i rischi ad
esso connessi.
La Corte decide che l’investimento è stato rappresentato male dalla banca. Se l’investitore fosse stato informato correttamente, non avrebbe proceduto a tale
operazione finanziaria. L’investitore non aveva ragioni
per ritenere che il contratto scritto avrebbe descritto
uno strumento finanziario diverso da quello rappresentato telefonicamente. La Corte decide che le false rappresentazioni orali non vengono meno per il fatto che è
stato successivamente stipulato un contratto scritto.
L’investitore avrebbe dovuto essere avvertito di variazioni sostanziali fra le caratteristiche dell’investimento quali rappresentate oralmente e le condizioni del contratto
successivamente sottoscritto. La banca si rende colpevole perché ha abusato del rapporto fiduciario intercorrente con il cliente. Per queste ragioni la Corte conclude
nel senso che l’investitore ha il diritto di essere risarcito
del danno subito. La banca viene dunque condannata a
pagare 244.081 dollari, vale a dire la differenza fra la
somma messa a disposizione per l’investimento
(250.000 dollari) e l’attuale valore degli strumenti finanziari (5.919 dollari).
La problematica nell’ordinamento italiano
Anche nel diritto italiano la violazione da parte dell’intermediario finanziario di certe regole di condotta attribuisce all’investitore il diritto a ottenere il risarcimento del danno (2). Al riguardo è decisivo il momento in
cui viene posto in essere il comportamento scorretto.
Occorre distinguere se la violazione della banca si realizza prima o dopo la conclusione del contratto (3). Se l’inosservanza si colloca prima, l’investitore può utilizzare
certe basi normative. Se invece la violazione si colloca
dopo la stipulazione del contratto, vengono in considerazione altre basi normative e, conseguentemente, altri
rimedi (4). In questa nota ci si soffermerà solo sulle violazioni poste in essere dall’intermediario prima della
conclusione del contratto.
L’art. 1337 c.c.
Se la violazione, da parte dell’intermediario finanziario, di regole di condotta viene posta in essere prima
della conclusione del contratto, viene in considerazione
la responsabilità «precontrattuale». L’art. 1337 c.c. stabilisce che «le parti, nello svolgimento delle trattative e
nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede».
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La rubrica dell’art. 1337 c.c. parla di responsabilità
«precontrattuale». Non è tuttavia cosı̀ pacifico se la responsabilità precontrattuale sia un genere di responsabilità a sé stante (appunto «precontrattuale») oppure sia
da ricondursi a una forma di responsabilità «contrattuale» o «extracontrattuale». L’orientamento giurisprudenziale è nel senso di riportare la responsabilità precontrattuale a una forma di responsabilità extracontrattuale (5). In questo senso milita la considerazione che si
tratta di una responsabilità che opera quando il contratto non è ancora stato concluso: non potendo trattarsi
di responsabilità «contrattuale», la si riconduce allora per esclusione - a una forma di responsabilità «extracontrattuale». La questione merita ulteriori approfondimenti che non sono possibili in questa sede. Non ci si
può peraltro esimere da un’osservazione. Anche a voler
ricondurre la responsabilità precontrattuale alla responsabilità extracontrattuale, va dato atto delle peculiarità
della responsabilità precontrattuale. Questa forma di responsabilità è in ogni caso legata a un contratto. Mentre vi sono forme di responsabilità del tutto extracontrattuali (si pensi solo alla responsabilità da circolazione
di veicoli di cui all’art. 2054 c.c.: qui non vi è alcun legame di alcun tipo con un contratto), la responsabilità
precontrattuale ha comunque a che fare con un conNote:
(1) Il testo inglese della disposizione è il seguente: «Where a person has
entered into a contract after a misrepresentation has been made to him
by another party thereto and as a result thereof he has suffered loss, then,
if the person making the misrepresentation would be liable to damages in
respect thereof had the misrepresentation been made fraudulently, that
person shall be so liable notwithstanding that the misrepresentation was
not made fraudulently, unless he proves that he had reasonable ground
to believe and did believe up to the time the contract was made that the
facts represented were true».
(2) In materia di responsabilità degli intermediari finanziari cfr. le monografie di M. Lobuono, La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli,
1999; F. Sartori, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano,
2004, 367 ss.
(3) In questo senso anche S. Ambrosini/L. Jeantet, Vendita di titoli di Stato
argentini, conseguenze della violazione dei doveri comportamentali della banca
ed obbligo di informazione: una voce «fuori dal coro», in Giur. comm., 2006,
II, 163.
(4) Per una panoramica sui rimedi esperibili dall’investitore sia consentito
il rinvio a V. Sangiovanni, La responsabilità dell’intermediario nel caso Cirio
e la recente legge per la tutela del risparmio, in I Contratti, 2006, 686 ss.; Id.,
La responsabilità dell’intermediario nel caso Parmalat e la recentissima legge per
la tutela del risparmio, in questa Rivista, 2006, 605 ss.
(5) Cass. 5 agosto 2004, n. 15040, ha deciso che la responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall’art.
1337 c.c. a tutela del corretto dipanarsi dell’iter formativo del negozio costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate
le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Cass. 16
luglio 2001, n. 9645, ha stabilito che la responsabilità precontrattuale,
configurabile per violazione del precetto posto dall’art. 1337 c.c., costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento
dell’iter di formazione del contratto, sicché la sua sussistenza, la risarcibilità
del danno e la valutazione di questo ultimo debbono essere vagliati alla
stregua degli artt. 2043 e 2056 c.c., tenendo peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell’illecito in questione.
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tratto. Si potrebbe definirla «responsabilità che sorge in
vista della conclusione di un contratto».
Occorre chiedersi qual è, nello specifico contesto
dell’intermediazione mobiliare, il contratto di riferimento. Fra intermediario e investitore viene spesso ad esistenza una pluralità di rapporti contrattuali. Il riferimento fondamentale è senz’altro il contratto d’investimento,
disciplinato dall’art. 23 D.Lgs. n. 58/1998. Ma questo
contratto è talvolta preceduto da un altro rapporto contrattuale fra intermediario e investitore. Si può trattare,
per esempio, di un contratto di «deposito di denaro»
(art. 1834 c.c.). L’investitore ha a disposizione certe
somme, sul proprio conto, e utilizza queste risorse per effettuare un investimento. Oppure fra le parti intercorre
già un contratto più sofisticato rispetto al mero deposito
di denaro, vale a dire un contratto di «deposito di titoli
in amministrazione» (art. 1838 c.c.). Fonte di obbligazioni, in questi casi, è innanzitutto il rapporto contrattuale bancario.
Al primo contratto bancario segue un secondo contratto, «relativo alla prestazione di servizi di investimento» (art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 58/1998). A questo secondo contratto ci si riferisce anche con l’espressione
«contratto-quadro» oppure «master agreement». Il contratto d’investimento precede difatti successivi contratti
di compravendita di strumenti finanziari. Il contrattoquadro è fonte di obblighi per le parti, la cui violazione
comporta il dovere di risarcire il danno. In caso di inadempimento importante (art. 1455 c.c.) potrà essere
chiesta la risoluzione del contratto.
Infine sopravviene un terzo contratto, di compravendita (artt. 1470 ss. c.c.), nel momento in cui - in attuazione del contratto d’investimento - vengono compravenduti gli strumenti finanziari. Il dovere informativo
dell’intermediario sussiste per tutta la durata del contratto d’investimento, vale a dire in relazione a tutte le singole operazioni di compravendita che vengono poste in
essere. Se gli obblighi d’informazione non vengono rispettati, la banca può essere chiamata a risarcire il danno. Nei casi più gravi può essere pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento.
Nel complesso si deve dunque constatare che fra
l’investitore e l’intermediario può esserci una serie di
rapporti contrattuali, ciascuno dei quali fa sorgere obbligazioni in capo alle parti.
Nella sentenza inglese in commento, fra investitore
e intermediario risulta essere venuto ad esistenza un solo
rapporto contrattuale, un contratto di investimento. I
termini del contratto vennero dapprima concordati telefonicamente e poi fissati in un testo scritto, che conteneva peraltro condizioni difformi da quanto pattuito
oralmente.
La responsabilità «precontrattuale» è, per definizione, la responsabilità che precede la conclusione del
contratto. Il caso tipico è dunque quello del risparmiatore che si rivolge a un intermediario con il quale non
intercorre alcun rapporto contrattuale. L’investitore in-
contra un dipendente della banca ed esprime l’intenzione d’investire una certa somma di denaro in strumenti
finanziari. Risparmiatore e intermediario intavolano delle trattative finalizzate alla conclusione del contratto. La
banca illustra i prodotti di cui dispone e cerca di convincere l’investitore ad affidarle i propri danari. In una
situazione del genere possono porsi problemi di responsabilità precontrattuale.
Le regole di condotta non operano solo una volta
che è stato formalmente sottoscritto un contratto fra intermediario e investitore (6). La prestazione dei servizi
d’investimento è un’attività complessa. Parte di essa si
esplica prima della stipulazione del contratto. A questa
conclusione conducono, nel diritto italiano, alcuni elementi testuali. Innanzitutto l’art. 21, comma 1, D.Lgs.
n. 58/1998 si esprime nel senso che le regole di condotta operano nella «prestazione dei servizi» d’investimento. La scelta di questa terminologia sembra indicare che
non vi deve essere un legame diretto con la conclusione
di un contratto. Il legislatore avrebbe potuto esprimersi
diversamente e scrivere «nella esecuzione dei contratti
d’investimento, i soggetti abilitati devono...». In secondo luogo la legge prevede la possibilità che i danni vengano cagionati al cliente nello «svolgimento dei servizi»
(art. 23, comma 6, D.Lgs. n. 58/1998). Anche qui si fa
riferimento allo svolgimento di un servizio piuttosto che
alla esecuzione di un contratto. In terzo luogo lo stesso
capo secondo (artt. da 21 a 25 bis D.Lgs. n. 58/1998),
dove sono contenute le disposizioni che qui interessano,
è rubricato «svolgimento dei servizi» e non «contratti
con gli investitori». Ai contratti con i risparmiatori è
dedicata una sola norma particolare, l’art. 23 D.Lgs. n.
58/1998.
Per queste ragioni si ritiene di non condividere la tesi sviluppata molto recentemente dal Tribunale di Rovereto (7). Secondo questa autorità giudiziaria gli obblighi di comportamento non sono obblighi precontrattuali. Essi sarebbero invece solo adempimenti esecutivi di
un contratto già in essere. Questo contratto viene individuato dal tribunale di Rovereto in un mandato. Ad
avviso di chi scrive, invece, la previsione di regole di
condotta implica che gli intermediari debbano tenere
certi comportamenti sia prima sia dopo la conclusione
del contratto, che è il contratto tipico d’investimento
previsto dall’art. 21 D.Lgs. n. 58/1998. Nella maggioranza dei casi le regole di condotta si esprimono sotto
forma di obblighi che attengono alla fase di esecuzione
del contratto. E, tuttavia, in alcune ipotesi il legislatore
impone all’intermediario di comportarsi in un certo moNote:
(6) In questo senso anche V. Roppo/G. Afferni, Dai contratti finanziari al
contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno resp., 2006, 31.
(7) Trib. Rovereto 18 gennaio 2006, in Contr. impr., 2006, 579 ss., con
introduzione di F. Galgano.
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do prima della conclusione del contratto, si potrebbe dire «in vista» della stipulazione dello stesso.
La distribuzione delle regole di condotta sia nella fase che precede la conclusione del contratto sia nella fase di esecuzione dello stesso può essere illustrata bene
esaminando l’obbligo di «acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano
sempre adeguatamente informati» (art. 21, comma 1,
lett. b, D.Lgs. n. 58/1998). Questo doppio dovere dell’intermediario finanziario (di acquisizione di informazioni e di dazione d’informazioni) sorge, in forza di legge,
ancora prima che il contratto d’investimento sia concluso. La banca che facesse sottoscrivere un contratto
al primo malcapitato che entrasse in una sua filiale senza assumere dallo stesso alcuna notizia violerebbe questo precetto. L’acquisizione d’informazioni è finalizzata
alla conclusione del contratto, è strumentale allo stesso,
è effettuata «in vista» dello stesso. E una volta concluso il contratto, non è che venga meno il dovere informativo dell’intermediario. Questi è obbligato, sempre,
sia a raccogliere informazioni dall’investitore sia a fornirgli quelle notizie che possono essere rilevanti per
l’investimento già effettuato o in funzione di nuovi investimenti (8).
La contestazione mossa all’intermediario nella sentenza inglese in commento è proprio quella di non avere fornito all’investitore le informazioni necessarie. Più
precisamente: nel corso delle trattative che hanno preceduto la conclusione del contratto sono state date notizie errate sulle caratteristiche del prodotto. Queste informazioni sono state rettificate nel testo scritto del contratto. Il giudice inglese ritiene tuttavia insufficiente la
sottoscrizione di un contratto - che descrive correttamente il prodotto finanziario - per evitare responsabilità
in capo all’intermediario, perché la falsa rappresentazione attuata in precedenza ha ingannato l’investitore,
spingendolo a concludere l’operazione.
Nel complesso pare dunque di poter affermare che
alcune regole di condotta operano già durante la fase
che precede la conclusione del contratto (9). Gli obblighi informativi della banca, per esempio, si dipanano in
due successivi momenti: un’acquisizione iniziale d’informazioni e un costante aggiornamento successivo. Ma
l’acquisizione originaria deve, per forza di cose, precedere la conclusione del contratto. È solo in base alle notizie acquisite prima della sottoscrizione del testo contrattuale che si può proporre al risparmiatore un investimento ragionevole. Se la banca non rispetta queste disposizioni, ecco allora che si può ipotizzare una responsabilità «precontrattuale». Un’inosservanza del canone
di buona fede nella fase che precede la conclusione del
contratto configura violazione dell’art. 1337 c.c. Ciò
può avvenire quando non si fornisce alcuna informazione all’investitore oppure quando si danno informazioni
insufficienti o errate. Se sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 1337 c.c. il cliente può ottenere dall’intermediario il risarcimento del danno.
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Il ragionamento appena svolto trova ora conferma
in una recente sentenza di legittimità (10). La Corte di
cassazione ha stabilito che l’art. 1337 c.c. «assume il valore di una clausola generale, il cui contenuto non può
essere predeterminato in maniera precisa, ma certamente implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti
e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria diligenza,
ai fini della stipulazione del contratto».
Cenni al possibile annullamento del contratto
Il comportamento scorretto dell’intermediario, precedente alla conclusione del contratto, può avere conseguenze più gravi del semplice risarcimento del danno.
Esso può difatti condurre all’annullamento del contratto
per vizio del consenso (11).
L’annullamento del contratto è una questione non
trattata nella sentenza inglese in commento. Il giudice
condanna solo al risarcimento del danno. Il diritto inglese conosce però anche l’istituto dell’annullamento
del contratto. In Inghilterra si parla letteralmente di
«rescissione» (rescission) del contratto, ma la corretta
traduzione in lingua italiana di questo istituto è «annullamento», atteso che la rescissione regola - nel diritto
italiano (artt. 1447 ss. c.c.) - una fattispecie completamente diversa. La sezione 1 del Misrepresentation Act
stabilisce che quando una persona ha stipulato un contratto dopo che gli sono state rappresentate delle circostanze non corrispondenti al vero, tale persona ha diritto di chiedere l’annullamento del contratto.
Ecco allora che si pone il problema della relazione
fra annullamento del contratto e risarcimento del danno. La questione è risolta dalla sezione 2(2) del Misrepresentation Act. Questa disposizione stabilisce che quando una persona ha stipulato un contratto dopo che gli
sono state rappresentate circostanze non corrispondenti
al vero, e tale persona avrebbe diritto a ottenere l’annullamento del contratto, il giudice può - ciò nonostante - dichiarare che il contratto rimanga in forza e riconoscere il solo risarcimento del danno al posto dell’annullamento, quando ciò appare equo (equitable).
Note:
(8) Cosı̀ anche M. M. Gaeta, L’applicazione del principio del know your customer rule ai contratti di deposito ed amministrazione titoli, in I Contratti,
2006, 119 ss.
(9) Sulla informazione precontrattuale cfr., per tutti, V. Roppo, L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, in
Riv. dir. priv., 2004, 747 ss.
(10) Cass. 29 settembre 2005, n. 19024, in I Contratti, 2006, 446 ss., con
nota di F. Poliani, e in Danno resp., 2006, 25 ss., con nota di V. Roppo/
G. Afferni.
(11) Sull’annullabilità del contratto per vizio del consenso nel contesto
dell’intermediazione mobiliare cfr. E. Battelli, L’inadempimento contrattuale
dell’intermediario finanziario, in I Contratti, 2006, 476; G. Gobbo/C.-E. Salodini, I servizi d’investimento nella giurisprudenza più recente, in Giur.
comm., 2006, II, 36 s.
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Nel diritto italiano l’annullamento del contratto può
essere richiesto in caso di errore oppure di dolo.
Per quanto riguarda l’errore si immagini che le informazioni fornite dall’intermediario spingano l’investitore
a rappresentarsi una situazione diversa da quella reale.
Se l’errore è essenziale e riconoscibile (art. 1428 c.c.) ricorrono i presupposti per ottenere l’annullamento del
contratto.
Si può poi immaginare che la violazione delle regole
di condotta (in particolare la scorretta politica informativa) dell’intermediario non sia dovuta a semplice colpa
dello stesso, ma a dolo. Anche in un caso del genere
l’investitore potrebbe essere stato indotto a concludere il
contratto dalle affermazioni fatte dalla banca. Ricorrono
allora i presupposti per l’annullamento del contratto per
dolo (art. 1439 c.c.). Il raggiro può realizzarsi anche mediante una semplice «omissione informativa». Vi sono
alcune pronunce di legittimità in questo senso (12). Si
possono verificare dei casi in cui i risparmiatori, se fossero stati adeguatamente informati, non avrebbero stipulato alcun contratto. Il silenzio dell’intermediario può
dunque configurare un raggiro determinante del consenso. Il Tribunale di Pinerolo ha stabilito che è annullabile per dolo il contratto di compravendita di strumenti finanziari concluso in violazione dei doveri di comportamento imposti agli intermediari dall’art. 21 D.Lgs. n.
58/1998 (13). Il giudice piemontese ritiene che sia integrato il dolo omissivo ove in capo al contraente reticente vi sia un obbligo legislativamente stabilito di fornire
determinate informazioni e questo obbligo venga violato. Il Tribunale di Pinerolo afferma che il comportamento della banca ha assunto, nel caso di specie, le
connotazioni del dolo, sia per avere fornito informazioni
inesatte, sia per avere taciuto informazioni che - se fornite - avrebbero indotto i clienti a maggiore cautela.
La violazione degli obblighi informativi che incombono sull’intermediario può infine rilevare anche come
dolo incidente (14). La disposizione di riferimento è
l’art. 1440 c.c., secondo cui «se i raggiri non sono stati
tali da determinare il consenso, il contratto è valido,
benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni
diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni» (15). Il dolo incidente, dunque, non produce effetti
sulla validità del contratto, ma consente solo di ottenere il risarcimento del danno. Si tratta di un esito simile
a quello cui giunge la sentenza inglese in commento
(nessun annullamento del contratto, ma semplice risarcimento del danno). Con la differenza che, nel caso inglese, non risulta vi sia stato raggiro da parte dell’intermediario.
Note:
(12) Cass. 12 gennaio 1991, n. 257, ha deciso che il dolo quale causa di
annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1439 c.c. può consistere tanto
nell’ingannare con notizie false (dolo commissivo), quanto nel nascondere alla conoscenza altrui, con il silenzio o con la reticenza, fatti o circostanza decisive (dolo omissivo). Cass. 11 maggio 1977, n. 1817, si è
espressa nel senso che la reticenza di un contraente può configurare comportamento doloso, al fine dell’annullabilità del negozio ai sensi dell’art.
1439 c.c., quando abbia provocato l’occultamento di un fatto la cui conoscenza avrebbe escluso il consenso dell’altro contraente. Cass. 7 luglio
1976, n. 2528, ha stabilito che il dolo, quale causa di annullamento del
contratto, può consistere in una semplice reticenza.
(13) Trib. Pinerolo 14 ottobre 2005, in Giur. it., 2006, 521 ss., con nota
di G. Cottino.
(14) Cass. 29 settembre 2005, n. 19024, in I Contratti, 2006, 446 ss., con
nota di F. Poliani, e in Danno resp., 2006, 25 ss., con nota di V. Roppo/
G. Afferni.
(15) Sulla responsabilità dell’intermediario ex art. 1440 c.c. cfr. F. Poliani,
La responsabilità precontrattuale della banca per violazione del dovere di informazione, in I Contratti, 2006, 454 ss.
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