Circolare n. 21-2015
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Circolare n. 21-2015
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA PREVIDENZA E ASSISTENZA COMPLEMENTARE Prot. n. 36 LC/lc Torino, 24 luglio 2015 Anno 2015 circ. n. 21 Agli Associati Loro sedi Oggetto: imponibilità IVA delle prestazioni della banca depositaria Si segnala che, con istanza di consulenza giuridica congiunta, Assoprevidenza e Assofondipensione avevano sottoposto all’Agenzia delle Entrate la questione dell’applicabilità ai fondi di previdenza complementare delle conclusioni recate dalla risoluzione n. 97/E del 17 dicembre 2013. Con la risoluzione predetta, l’Agenzia delle Entrate, nel riscontrare un’istanza di consulenza giuridica avanzata da Abi e da Assogestioni, aveva affrontato il tema dell’inquadramento, ai fini di imponibilità IVA, delle prestazioni rese dalla banca depositaria in favore di organismi di investimento collettivo del risparmio e delle relative commissioni percepite a fronte di dette prestazioni. Prendendo atto della sentenza della Corte di Giustizia UE del 4 maggio 2006, n. C-169/04, Abbey National Plc, secondo cui le attività di controllo e sorveglianza affidate a una banca depositaria non rientrano nel regime di esenzione IVA di cui gode la gestione di fondi comuni di investimento (art. 135, para. 1, lett. g, della direttiva 2006/112/CE), l’Agenzia delle Entrate ha stabilito il principio di imponibilità ai fini IVA delle prestazioni della banca depositaria e ha indicato un criterio, di carattere forfettario, per distinguere, tra le varie attività generalmente affidate alla banca depositaria medesima, quelle, per l’appunto, da considerare imponibili e quelle che, invece, beneficiano del regime di esenzione. Posto che per l’espletamento delle indicate attività è prassi convenire un corrispettivo onnicomprensivo, l’Agenzia delle Entrate, - sulla base di analisi effettuate con riferimento alle strutture operative e ai costi delle banche - ha ritenuto che la quota del 28,3% dei corrispettivi unitari possa ritenersi riferita all’attività di controllo e sorveglianza resa dalla banca depositaria, rispetto al complesso delle attività prestate. Pertanto, secondo l’Agenzia delle Entrate, a questa quota del corrispettivo, concernente una prestazione imponibile, deve applicarsi l’IVA, secondo l’aliquota pro tempore vigente, con conseguente diritto alla rivalsa della banca nei confronti del beneficiario del servizio. Il residuo corrispettivo, riferito a prestazioni rientranti nel regime di esenzione, continua a non scontare alcuna imponibilità IVA. Assoprevidenza c/o Camera di Commercio di Torino Via Carlo Alberto, 16 10123 Torino C.F.: 97081680585 Telefono – Fax: 011.51.85.814 Mobile: 338.63.44.356 E-Mail: [email protected] www.assoprevidenza.it In relazione a quanto precede si è posta questione se le statuizioni di cui alla citata risoluzione n. 97/E/2013 siano applicabili anche ai fondi pensione (e, dunque, se anche per essi valga la percentuale di imponibilità del 28,3%), considerato che la ridetta risoluzione non fa ad essi espressa menzione. L’Agenzia delle Entrate ha condiviso la soluzione prospettata dalle due Associazioni circa la possibilità di estendere ai fondi pensione le conclusioni raggiunte dalla risoluzione. In questo senso è stato considerato decisivo dall’Amministrazione Finanziaria quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE, con la sentenza 13 marzo 2014, Causa C-464/12, ATP Pension Service, la quale, esprimendosi sul regime fiscale IVA applicabile ai fondi pensione, ha ritenuto legittima l’estensione ad essi (aventi certe caratteristiche tecniche) della disciplina di esenzione IVA, già testualmente prevista per i servizi di gestione ai fondi comuni di investimento. Per la Corte di Giustizia, “l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 6, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che possono rientrare in tale disposizione i fondi pensione, come quelli di cui al procedimento principale, allorché sono finanziati dai beneficiari delle pensioni versate, che il risparmio è investito secondo il principio della ripartizione dei rischi e che il rischio degli investimenti ricade sugli affiliati. È irrilevante a tal riguardo, che i contributi siano versati dal datore di lavoro, che i loro importi risultino da contratti collettivi tra le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati, che le modalità finanziarie di restituzione del risparmio siano diversificate, che i contributi siano deducibili sulla base delle regole applicabili alle imposte sul reddito o che sia possibile aggiungere un elemento assicurativo accessorio”. Viene in rilievo, in primo luogo, la definizione di fondo comune di investimento fornita dalla Corte di Giustizia. Per la Corte, “la caratteristica principale di un fondo comune d’investimento è la messa in comune dei patrimoni di numerosi beneficiari, che consente la ripartizione del rischio sopportato da tali beneficiari su un insieme di titoli”. Rientrano, dunque, in questa nozione gli organismi ove sono raggruppati più investimenti e che comprendono una serie di titoli da amministrare in modo efficace, per ottimizzarne i risultati reddituali, all’interno dei quali gli impieghi individuali possono essere di ammontare relativamente modesto. Detti organismi collettivi gestiscono gli investimenti in nome proprio e per proprio conto, mentre ciascun partecipante detiene una partecipazione nel fondo (quota), ma non gli investimenti del fondo stesso, in quanto tali. È proprio il criterio della ripartizione del rischio che risulta più volte sottolineato dalla Corte - e condiviso dall’Agenzia delle Entrate – l’elemento dirimente per assimilare o meno un fondo pensione ad un fondo comune. Pertanto, stante le indicazioni della Corte di Giustizia, i fondi pensione che operano secondo il regime tecnico della capitalizzazione, nei quali il beneficio pensionistico spettante agli aderenti è conseguenza dell’accumulazione e dell’investimento dei contributi versati, sono equiparabili ai fondi comuni di investimento e, pertanto, ad essi, ai fini IVA, va applicata la medesima disciplina prevista per i fondi comuni. Per l’Agenzia, infatti, “rientrano nella nozione di fondo comune di investimento anche i fondi pensione che siano caratterizzati dall'apertura al mercato o a segmenti di mercato e dalla parametrazione delle prestazioni pensionistiche ai risultati di gestione, ovvero che presentino le caratteristiche che connotano gli OICR. Ciò posto, si è del parere che rientrano nella nozione di fondo comune di investimento anche i fondi pensione che siano caratterizzati dall'apertura al 2 mercato o a segmenti di mercato e dalla parametrazione delle prestazioni pensionistiche ai risultati di gestione, ovvero che presentino le caratteristiche che connotano gli OICR”. Sulla base della richiamata ricostruzione, già prospettata nel proprio quesito dalle Associazioni istanti, l’Agenzia delle Entrate giunge alla conclusione che i fondi pensione già regolati dal d.lgs. n. 124/1993 e ora disciplinati dal d.lgs. n. 252/2005, essendo alimentati dagli aderenti, su cui ricade il rischio degli impieghi patrimoniali, vanno assimilati ai fondi comuni di investimento e ad essi, dunque, può essere legittimamente esteso il regime di esenzione IVA, nei termini previsti dalla risoluzione n. 97/E/2013. È appena il caso di soggiungere che, come in più occasioni rilevato da Assoprevidenza, l’assimilazione ai fondi comuni di investimento non può intervenire per i fondi pensione preesistenti, operanti a ripartizione, in regime tecnico di prestazione definita, ove il rischio di gestione degli attivi patrimoniali della forma pensionistica non ricade direttamente sugli aderenti. Da ultimo, va richiamata l’attenzione sull’importante circostanza che l’Agenzia delle Entrate ha conclusivamente precisato che la percentuale forfetaria (del 28,3%) trova applicazione solo per le convenzioni già in essere, dovendosi, invece, “necessariamente” (così testualmente è indicato nella risposta all’istanza) dare autonoma evidenza ai diversi corrispettivi dovuti per il servizio di banca depositaria, in occasione della sottoscrizione di nuove convenzioni. Pertanto, in esse andrà analiticamente indicato l’ammontare o la percentuale delle commissioni pattuite per i servizi imponibili di controllo e sorveglianza, da distinguere dagli altri servizi esenti (percentuale che, in tutta evidenza, potrà essere inferiore, pari o superiore alla forfetaria del 28,3%). Ciò impone, per il futuro, un’attenta riconsiderazione dei contenuti degli inerenti strumenti contrattuali, attività per il cui espletamento l’Associazione ha già promosso, insieme agli altri Enti esponenziali di categoria, un tavolo di lavoro tecnico, per l’appunto incaricato di definire le diverse tipologie di contenuto contrattuale. Ci si riserva di dare, nel prosieguo, ogni compiuta informativa al riguardo. Con i migliori e più cordiali saluti. IL PRESIDENTE (Sergio Corbello) 3