Infanticidio. Un affare di famiglia

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Infanticidio. Un affare di famiglia
Psicologia e Giustizia
Anno VI, numero 1
Gennaio - Giugno 2005
Stefano Salvatori
Infanticidio. Un affare di famiglia
Edizioni Sapere, Padova, 2005
Per porre fine alla vita di un bimbo non è necessaria la violenza, basta la
trascuratezza, l’indifferenza, l’abbandono. Sono le madri che a volte uccidono il
proprio figlio, più raramente i padri. L’infanticidio, ossia l’uccisione di un
bambino entro il primo anno di vita, è stato per secoli, di fatto, insieme
all’aborto, un mezzo di controllo demografico: una vera strage degli innocenti,
perpetrata
per
motivi
d’ordine
economico, politico, religioso, rivolta
all’eliminazione dei figli deformi, degli illegittimi, degli indesiderati, dei
mentalmente handicappati, delle femmine, categorie considerate prive di diritto
all’esistenza. Si tratta di una tipologia di delitto che è sempre esistita, ed è
ancora presente nella società odierna, come dimostra l’ampia rassegna di case
reports raccolti in questo volume.
Il libro affronta, da molteplici punti di vista, storico, psicologico, di giustizia
criminale,
psichiatrico,
il
problema
dell’infanticidio,
una
delle
forme
d’aggressività patologica più comuni nella donna. Si tratta di un crimine di
natura speciale, diverso dall’omicidio di un adulto, un delitto consumato entro le
mura domestiche, in seno alla famiglia. Un infanticidio può essere l’esito
estremo di un malessere a lungo represso e celato, quasi l’atto catartico che
pone fine ad uno stato di stress, che è lievitato a dismisura senza trovare altre
possibili vie di compensazione.
L’autore prende in esame quelle psicopatologie, come la depressione post
partum e la psicosi puerperale, da cui molte madri omicide sono affette. La
mancanza di senso materno dell’infanticida scaturisce da una difficoltà a vivere
e gestire la propria maternità, in quanto non trova nell’ambiente e nelle strutture
sociali i necessari supporti.